A conclusione (imminente) della “polemica Bovio”. Una Tavola d’Accusa presentata e ritirata a palazzo Sanjust
Redazionale
Doverosa premessa. Il presente articolo redazionale deriva da riflessioni generali circa quanto Giornalia è venuto a conoscenza – in una terzietà sempre difesa – di vicende presenti, o prossime e anche remote della Libera Muratoria sarda e cagliaritana in specie, ma deriva anche da un colloquio approfondito, e sviluppatosi in questi ultimissimi giorni sulla materia (o alcuni particolari aspetti), con Gianfranco Murtas.
Fin da subito, da quando impostammo il progetto del sito e riuscimmo infine a farne una cosa concreta e operativa, egli ci ha sostenuti e nell’arco di questo ultimo biennio ci ha inviato circa centoventi articoli, mille e più cartelle si sarebbe detto al tempo dei giornali su carta… e gli argomenti trattati sono stati i più vari, fra politica e Chiesa e comunità terapeutiche e di vita, recensioni librarie, Massoneria ed universo villacidrese (e dessiano) a lui particolarmente caro, toponomastica storica e sardismo delle origini (siamo nel centenario!) e in Giustizia e Libertà, profili biografici di uomini e di… testate giornalistiche (sta lavorando a una storia de L’Unione Sarda e del giornalismo minore di fine Ottocento), ecc.
Giunto alla fine del suo impegno – così ha affermato – e ritraendosi ora, per motivi essenzialmente di salute, dalla scena pubblica, per quanto minima essa sia stata con libri e mostre, conferenze e video e articoli, a Cagliari e fuori Cagliari, egli ci ha offerto uno spaccato nuovo di conoscenza, fra ieri e oggi, di un mondo misterioso per alcuni versi e fin troppo scoperto per altri: chissà, forse più lodevoli i primi nella loro super-riservatezza, meno i secondi, per il modo in cui i social lo hanno divulgato, almeno qui da noi. Della Massoneria, o della Libera Muratoria come ama meglio chiamarla, egli ha scritto molto, diffondendosi circa le sue complessità di diversa natura. Di essa ci ha riferito nel lungo colloquio, come si diceva, all’origine di questo redazionale che riprende, pur in un breve spazio e come sarà facile rilevare, spunti e osservazioni.
Questa scorsa estate Giornalia ha accolto con spirito di assoluta liberalità i contributi pervenuti al sito relativamente alla questione ormai nota come “caso Bovio”: si è trattato di una serie di articoli – diciassette in tutto – a firma o sigla di Gianfranco Murtas, di numerosi post di commento da parte di lettori (una trentina circa) e di alcuni nostri redazionali. Al centro di tutto lo “sbertucciamento” – questo, o simile, il sostantivo usato nel primo degli articoli – che a palazzo Sanjust, sede ufficiale del Grande Oriente d’Italia a Cagliari, ha subito, parrebbe per molti o moltissimi mesi, da parte di diversi dignitari locali dell’Obbedienza massonica più importante del paese, un monumento che altrove forse sarebbe stato custodito con intenzione e pratica religiosa, di religiosità civile s’intende. In ultimo si è saputo che perfino il presidente circoscrizionale, preso anche lui dal gioco dei social (dei “mi piace” e delle faccine gialle a conferma), aveva partecipato allo “sbertucciamento”, senza peraltro aver mai ritenuto di doverlo ammettere. Una esibizione da instagram è stata riprodotta in un recente articolo, ma ora ne sono venute fuori un’altra decina almeno, egli in degna compagnia neppure soltanto cagliaritana.
Nel corso del tempo, dalla metà di luglio in poi, le anomalie registrate e denunciate non hanno riguardato più soltanto lo “sbertucciamento” di cui sopra ma anche insolenze di varia natura recate da un Maestro Venerabile in carica (e da altri del suo stretto giro) nientemeno che al presidente della Repubblica Mattarella così come già al presidente Napolitano e in ultimo anche al presidente della Camera dei deputati Fico; nel quadro delle anomalie, “sorprendente” agli occhi di un “profano”, certamente “dolorosa” agli occhi di un “interno” (o di un interno «credente», secondo il lessico del nostro amico), è entrata anche la derisione di aspetti peculiari e rilevanti della ritualità massonica tre volte secolare; in esso è entrato altresì un insistito – per dire “insistito” si fa riferimento a un dato dimensionale nell’ordine delle… cento volte – rimando a sconvenienti immagini, anche da fotomontaggi, ora fascistoidi e perfino nazistoidi, ora misogine e sessiste, comunque sempre volgari, e commenti impensabili nella testa e nella bocca di un dignitario del Grande Oriente d’Italia, sia esso presidente circoscrizionale sia esso leader (Maestro?) di una loggia.
Un fotomontaggio ha avuto su molti di quelli che hanno letto gli articoli pubblicati – gli accessi complessivi alla scorsa settimana sfioravano gli 11.500 – l’impatto drammatico che potrebbe avere l’abusivo e prepotente mascheramento di un proprio familiare – un genitore, un figlio, un fratello – fatto protagonista di una azione malavitosa e riprovevole: implicando qui la figura alta di Giovanni Bovio fra i golpisti cileni che portarono alla morte suicida di Salvador Allende.
Di questo e di altro si è appreso nell’ultimo periodo e anche, secondo quanto ne ha riferito L’Unione Sarda lo scorso 23 agosto, della chiusura a riccio, a difesa dei rei, da parte dell’Organo direttivo regionale del GOI, senza nessuna eccezione dei suoi partecipanti (i Maestri rappresentanti le varie logge). Idem da parte del corpo ispettivo e degli altri dignitari assegnati a varie funzioni di lato governo nazionale della Comunione massonica. Ancora per un mese – un mese dopo la difesa collettiva di cui sopra, come ha documentato alla polizia postale, e naturalmente allo stesso Grande Oriente, il denunciante – nessuno si è avveduto (o… voluto avvedere) di un provocatorio enorme dito medio postato in internet, appunto a mo’ di scherno generalizzato e come a dire “non temo nessuno”, ancora con il volto di Giovanni Bovio – il filosofo e santo laico del risorgimento democratico nazionale – imprigionato bendato quattro volte in una improbabile bandiera sarda.
«Nessuno ha alzato la propria voce a stigmatizzare». E sì che Cavour, quando pensò alla Massoneria italiana di sua ispirazione al fine di bilanciare il peso democratico garibaldino nell’impresa unitaria – questo dicono i libri di storia, questo ha ricordato Gianfranco Murtas nei suoi articoli e nei suoi libri, e ha ricordato a noi –, rappresentò ai suoi, e a quelli della Società Nazionale del La Farina, l’urgenza di una rete di opinion leader territoriali, pochi ma di prestigio, colti e sensibili al disegno storico che andava profilandosi. Uomini di mente liberale, uomini di impegno civico, uomini dalla schiena dritta, severi con se stessi e con gli altri. Un paradigma, potremmo dire, che si fatica a vedere efficace o espresso nella realtà d’oggi, anche nella realtà di piazza Indipendenza, nella casa che il professor Vincenzo Racugno – anche questo lo ha ricordato più volte Gianfranco Murtas e lo prendiamo per buono – donò alla Fratellanza massonica cagliaritana sborsando alla famiglia proprietaria ben un miliardo e duecento milioni nel 1988 e cedendo in ulteriore un terreno del valore quasi pari, in permuta dei gravosi lavori di ristrutturazione e adattamento da avviare nell’edificio.
«Nessuno dei Maestri Venerabili delle 49 logge sarde, o delle 27 cagliaritane, ha stigmatizzato lo scandalo», ci ha detto Murtas. «Neppure una parola, mai, e neppure alla polizia, circa i furti subiti in casa evidentemente da qualche interno con disponibilità delle chiavi – addirittura della Torah ebraica! bestemmia assoluta – con accompagno di lordure al labaro della stessa loggia vittima del furto, assalti ai “forzieri” chiusi con i documenti riservati e il denaro delle questue sociali, ecc.». Noi prendiamo atto dello sfogo e soprattutto del fatto denunciato.
Abbiamo appreso che nei giorni scorsi è stata depositata all’autorità giudiziaria interna al Grande Oriente una cosiddetta “tavola d’accusa”, cioè una denuncia per fatti dettagliatamente circostanziati, a carico di un dignitario cittadino. Il documento è stato recapitato, via email (il 15 settembre, ore 22,42) da un collega di quest’ultimo e operativo nella stessa Circoscrizione, a Gianfranco Murtas, forse in segno di speciale e personalissimo rispetto per le mille collaborazioni richiestegli nel tempo e da lui offerte alle logge ed altri organismi massonici cui è legato da radicati vincoli morali, ideali e affettivi: al Grande Oriente d’Italia dai cui uomini – ci ha detto esplicitamente egli stesso – è stato formato, nei suoi anni giovanili, «all’ecumenismo civile, ad un patriottismo democratico laico che combinava, senza neutralizzarle, le idealità liberali a quelle socialiste e mazziniane, ad una pratica solidaristica che andava per progetti, perfino coinvolgendosi in rappresentazioni del bisogno sociale cittadino raccolte da organismi statali come il Tribunale di minorenni». Quaranta, cinquant’anni fa. Il tempo è corso veloce.
Il documento, due volte desecretato perché – ci è stato riferito – il querelante, distintosi inizialmente in quanto il solo ad aver voluto e saputo bucare una tela (forse “ragnatela”) di «omertà, ignavia e, al meglio, … “nicodemite”» – parole anche queste di Gianfranco Murtas –, è stato poi convinto a ritirare l’atto. Quanto qui appresso noi riportiamo reca quindi il solo valore di contributo alla storia della Massoneria sarda, fuori da ogni valenza giudiziaria o disciplinare. E’ anch’esso una immagine di costume, di pratica, di responsabilità assunta o non assunta davanti ai doveri, davanti alla morale condivisa, davanti alla onorabilità di una storia fraternale e civile molte volte secolare, anche in Sardegna.
Sarà lo storico di domani ad ordinare la copiosa documentazione scritta e figurata e a dire a figli e nipoti dei protagonisti di questa estate «se e quanto il loro avo – sono queste ancora parole di Murtas – abbia avuto coscienza trasparente, schiena dritta, idealità alte e di tradizione, senso dell’appartenenza a una corporazione civile che è patrimonio morale della nazione» e non ad un’accolta la cui definizione ci permettiamo di non ripetere, lasciandola a quanto più volte ha scritto nei suoi interventi l’on. Armando Corona cui Murtas ci ha rinviato: «il gran maestro che Cagliari e la Sardegna seppero donare alla Comunione storica e prestigiosa di Palazzo Giustiniani all’indomani dello “scandalo Gelli”».
Ed inoltre: «Purtroppo altri documenti mi risulta stiano balzando fuori ancora oggi dai depositi villani di uomini iscritti ad una certa loggia, spero destinataria di un ravvicinato abbattimento delle colonne, così come lo fossero a un circolo di perditempo, di adolescenti senza guida e perditempo. Nuovi Fratelli hanno appreso di essere stati personalmente e insistentemente offesi e di tanto sono stati informati, nel dettaglio e con denuncia scritta, sia il presidente circoscrizionale – quello stesso però coinvolto anche lui nei giochi scemi del “mi piace” e così privo di alcuna credibilità ed autorevolezza – sia l’Oratore, un dignitario che dovrebbe avere a cuore la preservazione dell’onorabilità di tutti, e finora ha invece mostrato inerzia, puntando ai rattoppi… che tristezza! Penso a Nathan e Ferrari e Laj: se fossero a Cagliari oggi gliela rilascerebbero la tessera del GOI, non dico agli insolenti naturalmente, dico a quel presidente e a quell’Oratore?».
Il documento qui pixellato negli stretti riferimenti nominativi - ciò per ragioni di doveroso rispetto delle privacy (sempre rispettate da Giornalia, che ha pixellato perfino il nome del presidente circoscrizionale che pure è da tutti conosciuto, alla questura e prefettura come all’opinione interessata) – sarà donato “in chiaro”. Con esso saranno le corpose raccolte di materiali scritti e fotografici, e la corrispondenza intercorsa di recente con autorità, enti e associazioni sarde e del continente, responsabili di vario livello del GOI ed anche con i cosiddetti “anonimi”, i dissidenti sconosciuti nominativamente che avevano animato una certa “contestazione” estiva e che parrebbero essere rientrati, chissà perché... nell’obbedienza (minuscola). Destinatario sarebbe un istituto di storia contemporanea inquadrato nel competente dipartimento del nostro ateneo. Ad esso sarebbe anche destinato – con gli stessi vincoli gravanti sui dossier sopra cennati – l’intero Archivio storico generale della Massoneria sarda che Gianfranco Murtas ha costituito e curato nell’arco di quasi mezzo secolo e forte di un milione circa di schede (per nominativi, circolari e documenti vari, articoli stampa, corrispondenza, ecc.), nonché la sua biblioteca specializzata.
Estrapoliamo una frase dalla lunga conversazione con il nostro interlocutore e, ancora da posizione terza, la offriamo alla considerazione dei lettori: «Nel crollo valoriale presente in molti settori della vita civile nazionale, a cominciare dalla politica e dal sistema dei partiti politici, quelli storicamente avversari della Libera Muratoria – come la destra neofascista e stupidissimamente oggi sovranista – e quelli storicamente invece ad essa più propensi, nel riformismo o gradualismo socialista, nell’azionismo repubblicano e mazziniano, nel libertarismo laico radicale, nel moderatismo liberale, nell’autonomismo sardista di salda coscienza italiana, la Massoneria avrebbe potuto e dovuto essere, insieme con altre Istituzioni morali di altrettanto prestigio e vocazione pedagogica ed etico-civile, il “grillo parlante”, la limpida e impavida coscienza, la potenza intellettuale e morale capace di collegare il meglio delle istanze di libertà del passato alle complessità di un futuro che tutti ci attende e dobbiamo preparare con spirito missionario: basti pensare alle materie della bioetica, alle nuove forme sociali di famiglia, ecc. Ha scelto altro, in Sardegna: ne aveva diritto, ne ha il diritto, come i partiti politici che, abbiamo visto, si sono tutti suicidati sul fine della cosiddetta prima Repubblica per alienazione morale della loro classe dirigente. E’ chiaro che s’è trattato di scelte di uomini: gli uomini possono pensare e fare bene e possono pensare e fare male, e determinano così caratteri e indirizzi degli enti cui sono stati chiamati, pressoché sempre con il voto, dunque democraticamente eletti, per una conduzione pro tempore. Se illuminata o rovinosa o piatta lo dirà il tempo. Anche Mussolini vinse le elezioni ed ebbe quel che voleva. E si disse che l’Italia aveva voluto lei essere fascista, e fu fascista regolata da fascisti per vent’anni, fino alla guerra. Io credo sarei stato, nonostante quella legittimazione “democratica”, elettorale e parlamentare, della dittatura, con gli oppositori di Giustizia e Libertà, con i mazziniani o gli amendoliani di Giustizia e Libertà, con il massone democratico Francesco Fausto Nitti oltre che con i fratelli Rosselli e Lussu e Tarchiani e gli altri, con Giuseppe Zuddas, e Pintus e Fancello e Siglienti e Giacobbe... Se pochi non importa, la coscienza non si pesa a chili e non si misura a metri».
La lunga polemica pare finisca qui. Nei giorni prossimi, quasi per il saluto dalla presente fase e anche, più sostanzialmente, come congedo da una certa vita pubblica che negli anni lo ha visto molto attivo con i suoi cento e oltre libri, i cinquemila articoli di stampa, le trasmissioni televisive e radiofoniche, i cortometraggi e le mostre e le conferenze, ecc., il nostro Gianfranco Murtas – del quale in questi giorni stiamo ospitando una serie di pezzi sulla Cagliari del passato, dal 1870 alla grande guerra – pubblicherà l’ultimo intervento della serie (e uno degli ultimi in generale: ce ne ha promesso due o tre su Fabio Maria Crivelli e la sua direzione a L’Unione Sarda, un altro sul professor Antonio Romagnino, ed uno su Vincenzo Racugno, due altri – previsti per la scorsa estate ma rinviati per dar spazio e sfogo al “fiume” boviano – su Zella Corona ed Elena e Ottavia Melis: onore alle memorie più care).
Sarà, il prossimo e conclusivo articolo, una “lettera aperta” – si direbbe una “lettera impossibile” – ad alcuni dei suoi maestri di vita, certamente di vita pubblica, quelli che egli non ha mai mancato di indicare come tali: Armandino Corona, Mario Giglio, Paolo Carleo.
Dal punto di vista di Giornalia, dunque, tutto quanto svoltosi nella polemica estiva finisce qui, e col documento che segue. Per il resto… apriamo nuove pagine.
P.S. Una parola merita l’accompagnamento fotografico del presente redazionale. Nel nostro repertorio avevamo numerose immagini dei locali interni di palazzo Sanjust, sia dei Templi che delle sale dei Passi Perduti e corridoi di passaggio alle cui pareti sono affissi molti quadri illustrativi della storia antica e recente della Obbedienza massonica nazionale e regionale. Fra il molto altro anche la quadreria relativa ai gran maestri, che ha costituito lo sfondo di molti dei post denunciati nella “tavola d’accusa” di cui riproduciamo il testo. Nei bellissimi saloni dell’antico palazzo di Castello sono collocati anche i labari delle varie logge cagliaritane e quelli dei vari riti, che sono come delle scuole di specializzazione cui liberamente partecipano i Fratelli delle logge insigniti del 3° grado (quel livello di competenza o “sapienza” massonica riconosciuto con le chiavi di un complesso e suggestivo rituale, piuttosto noto anche perché innumerevoli volte pubblicato e presente anche in internet: fu, pure quel rituale, incredibilmente canzonato nella pagina fb in cui veniva proposto il baratto fra la bara che avrebbe accolto il corpo del venerato architetto del Tempio di Salomone… e una canna da pesca).
Avevamo chiesto a Gianfranco Murtas una opinione sulla nostra intenzione di quel corredo fotografico. La sua risposta è stata molto favorevole: «I labari delle logge e dei corpi rituali, delle varie camere superiori, sono in genere bellissimi, a me piacciono molto, e credo siano anche l’orgoglio delle varie officine come dei capitoli. V’è poi, a Cagliari, una certa tradizione di ostensione dei labari, ne ho scritto io stesso varie volte, riferendomi al 1872, quando essi accompagnarono al camposanto di Bonaria le spoglie di Enrico Serpieri, oppure al 1907, quando la loggia di via Barcellona espose sulla strada il proprio labaro verde per celebrare il primo centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi. In occasione delle manifestazioni di Monumenti Aperti, poi, giustamente le varie guide si diffondono a presentare il significato di queste insegne, di questi vessilli che rispondono tutti a coordinate canoniche ma pure concedono spazio alla originalità, alla creatività di ciascuna comunità simbolica o rituale. In considerazione proprio di questo ho molto sofferto quando ho saputo che un qualche sciagurato aveva, da vero vandalo, offeso, lordato il labaro della loggia Heredom. Mazzini e Garibaldi sostenevano: ogni patria è la mia patria, io almeno con il sentimento direi: ogni labaro è il mio labaro… Ricordo poi che, nel momento in cui una loggia si riunisce nel Tempio per sbrigare i propri lavori rituali, il labaro relativo viene tolto dai corridoi e Passi Perduti e portato nel luogo detto “geografico”, o “geometrico”, o “geodetico” del convegno e collocato all’oriente dove già insistono il nostro bel tricolore d’Italia e la bandiera dell’Europa. La Libera Muratoria italiana è europeista nella sua genetica, nel suo presente e nel suo futuro: non è e non sarà mai sovranista o nazionalista, fiamma o non fiamma».
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