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Gianfranco Murtas

A palazzo Sanjust nella fatica di un ripristino di stile. Cordiale rigore attorno a Bovio fatto cagliaritano

di Gianfranco Murtas

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La sede massonica di via Barcellona 29-31 – allora erano questi i numeri civici che identificavano palazzo Fulgher, uno stabile prestigioso ed antico già allora di duecento anni, quasi allo sbocco nella via Roma e passato per legato ereditario alla Congregazione del SS. Sacramento nella Marina, cioè in Sant’Eulalia – fu presa in locazione all’inizio del 1907, a febbraio, ed esordì con l’accoglienza di due profani. Tenne il discorso di benvenuto l’Oratore titolare della loggia Sigismondo Arquer, il giovane avvocato erariale Bartolomeo Rapisardi, catanese di nascita ambientatosi benissimo a Cagliari dove frequentava circoli e sodalizi, dal Casino filarmonico alla sezione della Dante Alighieri. Egli pubblicò quindi il suo discorso, e anche da tanto – rintracciato in qualche biblioteca pubblica – conosciamo i moduli valoriali e sociali della Libera Muratoria del tempo: la patria unita e liberale, la laicità degli ordinamenti, la democrazia sociale, la pratica umanitaria. Fu l’anno, quel 1907, del debutto come Maestro Venerabile della compagine rituale – la loggia era nata nel 1890 di rito scozzese (e tale sarebbe morta nel 1925 per volontà fascista) – da parte di Romolo Enrico Pernis, console di sua maestà britannica, facoltoso commerciante nell’import-export di numerose materie, consigliere comunale (e presto anche assessore con Bacaredda e poi ancora, dal 1913, presidente dell’Ospedale civile), personalità carismatica, abilissimo organizzatore, filantropo nei giorni pari e in quelli dispari a favore anche delle opere cattoliche. 

Di quella presenza a palazzo Fulgher si venne a sapere in città perché il 4 luglio – anniversario, anzi centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi – la loggia ostese, in una delle sei luci che davano sulla strada principale, al primo piano, il proprio labaro verde. Giusto per celebrare l’evento pubblicamente onorando la memoria del Generale che era stato anche Gran Maestro e dichiarato, nel 1861, “primo massone d’Italia”. 

L’avv. Enrico Sanjust – leader del guelfismo cagliaritano nel passaggio di secolo – se ne ebbe a male e sul suo nuovo giornale quotidiano, Il Corriere dell’Isola cioè (che aveva rimpiazzato la defunta Sardegna Cattolica) scrisse articoli di fuoco per un bel po’ di giorni: contro i prediletti – così si chiamavano – della Congregazione che avevano osato fare contratto con i… discepoli di Satana. (Salvo poi non negarsi lui stesso a possibili alleanze elettorali e amministrative in chiave di classe, liberali o anzi borghesi in coeso schieramento antisocialista). 

Dieci anni prima c’era stata, in contemporanea con lo svolgimento del congresso internazionale “antimassonico” a Trento (del quale riferì il Sanjust medesimo fattosi “inviato speciale”), quella polemica sulle 50 lire donate dalla loggia all’Istituto dei ciechi: il presidente, perché cattolico, avrebbe dovuto rifiutarle. Ma Francesco Nobilioni, cattolico sì però non guelfo, resse bene alle pressioni, ed ebbe un bel futuro come presidente anche della Camera di commercio e come sindaco di Cagliari, per alcuni mesi nel 1911. 

Un busto signoreggia nei Passi perduti

Quella sede massonica era spaziosa, copriva addirittura qualcosa come quattrocento metri quadrati, fra la via Barcellona e la via Napoli (dove pure si aprivano, speculari alle principali, altre sei luci): contava su una parte rituale – con il Tempio e il Gabinetto di riflessione, la sala dei Passi Perduti e la Segreteria –, destinata più direttamente alle specifiche attività fraternali, di studio dei simboli e programmazioni umanitarie, ed aveva una parte adibita alla socialità conviviale di tono borghese propria del primo Novecento: gli scacchi e la dama, o magari il biliardo, occupazioni di gioco in alternativa alla serata da trascorrere con la famiglia al Civico o al Politeama di viale Regina Margherita.

Sobrie ed insieme cariche di suppellettili che raccontavano la storia, la Segreteria e la sala dei Passi Perduti qualificavano l’intero compendio: il busto in gesso pesante di Giovanni Bovio (dalle dimensioni una volta e mezzo il naturale) faceva il paio, appunto nei Passi Perduti, con quello di Giuseppe Garibaldi. Entrambi erano montati su una colonna in legno di abete, ed alle pareti erano là in bella esposizione un ritratto dell’ex Gran Maestro Ernesto Nathan (con cornice in legno di noce) e quattro quadri con gruppi fotografici. Un tavolo piuttosto lungo, utilizzato per qualche agape, riempiva il centro della stanza ed era protetto da un grande tappeto verde e accompagnato da dieci sedie (otto “uso noce fondo paglia” e due “Vienna”). Completavano gli arredi della stanza una lampada a gas a sospensione con cinque becchi, una coppia di grandi specchi (montati su cornice dorata), due tende complete di festone e cornice in legno. 

I fascisti, rozzi per natura, non compresero quel buon gusto così borghese e fecero, in un modo o nell’altro, stragi: arrestarono Bovio e Garibaldi, e nella vicina Segreteria arrestarono anche Carducci, che aveva pure lui il suo busto in gesso… Mancano i dettagli: forse se la presero anche lì con gli armadi ormai vuoti (ce n’erano tre, di cui uno specifico con le carte del Capitolo R+C) o lo scrittorio con gabbia, con l’altro gran tavolo e il divano “Vienna”, le sedie e lo sgabellone in legno abete, le lampade da tavolo, magari offesero o sottrassero anche l’orologio da muro (“Garibaldi”) e le altre due tende con cornice… Se la scamparono forse, i ritratti di Mazzini e Garibaldi, di Vittorio Emanuele e Umberto I, e gli altri cinque di soggetto diverso, nell’altra parete, che i Fratelli più svelti potrebbero aver ritirato in vista di quella volgarissima intrusione; se la scampò forse anche il pressa copialettere e l’apparecchio per copisteria, testimoni del largo giro di relazioni della loggia…

Sarebbe interessante poter descrivere, ambiente per ambiente con le rispettive pertinenze, l’intera sede (e magari verrà il momento di farlo): erano dodici i vani di varia dimensione, inclusi ovviamente il Tempio simbolico e il Gabinetto di riflessione dominato dal VITRIOL e con il prescritto misero e lugubre arredamento (tavolino triangolare e sedia in legno “uso noce”, molti metri di stoffa nera e un becco a gas), l’ingresso e l’andito, la sala biliardo (nell’inventario stimata £. 1.320,50) e quella da gioco, il salone (con doppio divano e una quindicina fra poltrone e sedie e seggiolone) e la saletta interna, ed anche i servizi… Nel tanto anche diversi altri quadri fotografici che saranno stati salvati da qualcuno e finiti però chissà dove: ancora Mazzini – sempre Mazzini! – e Garibaldi con autografo, e la tomba del Generale, il ritratto dell’ex Gran Maestro Adriano Lemmi, un’istantanea del gruppo del Libero Pensiero, un’altra dei Fratelli d’una loggia americana ed un’altra ancora dei Fratelli cagliaritani; un gran quadro presentava i ritratti di sei Maestri Venerabili della prima serie arqueriana… non saprei chi, ma seguendo la cronologia potrebbero essere Leonardo Ricciardi ed Eugenio Pernis, Cesare Sbragia e Gustavo Canti, Raffaele Aresu e Giovanni Todde Diana… o magari Giuseppe Sanna Randaccio e Romolo Enrico Pernis, e Stefano Cardu perfino, il meraviglioso Cardu conosciuto a Cagliari per la sua collezione siamese oggi in mostra alla Cittadella…


Il Bovio dileggiato, settimane fa, a palazzo Sanjust (non più centrale guelfa ma da un quarto di secolo, e per… nemesi storica, sede massonica) visse quella compagnia che non era soltanto “di cose”, nel buon tempo andato. Le cose rispondevano ad un certo gusto, a un certo condiviso senso del decoro, a sua volta riflesso degli stati d’armonia cui la loggia sentiva di doversi conformare: con la fedele adesione ai valori – ai valori! – del risorgimento patrio ancora in quelli che erano ormai gli anni di Giolitti, ai valori della democrazia liberale che s’apriva alla modernità e insieme a legislazioni sociali più avanzate… Nella sua integra laicità si trattava di una Massoneria religiosa, consapevole dei suoi doveri nell’oggi: e quei santi laici riflessi nei ritratti a muro o nei busti in gesso costituivano una guida di memoria ai valori e ai doveri. Bovio forse più di tutti, proprio per l’intimità con cui tanta parte della democrazia cagliaritana ne aveva coltivato la relazione – in testa a tutti i giovani studenti e i giovani operai con innato il senso della libertà e della giustizia –, non soltanto volgendosi a lui in quel di Roma (per il suo mandato parlamentare) ma anche a Napoli, come per collegare in fraternità le due sponde del Tirreno. Napoli era stata tanta cosa della vita pubblica anche di Giorgio Asproni che vi aveva diretto Il Popolo d’Italia, Napoli era la città che aveva avuto professore e preside (e presto anche rettore) il giurista cagliaritano Carlo Fadda, per non dire di Efisio Marini apostolo con Bovio stesso nella tormenta epidemica del 1884…  

L’armonia che era un obiettivo non significò mai, per la Sigismondo Arquer, rinuncia alla franchezza e alla dialettica del confronto all’interno del gruppo fraternale sviluppatosi a Cagliari fra Otto e Novecento e arrivato al 1925: educato alla tradizione simbolica, alla pratica esoterica, spinto all’impegno civile e sociale, esso seppe assicurare una dignitosa presenza nell’Amministrazione pubblica e nei sodalizi, nell’accademia e nell’esercito, nelle professioni a nell’ospedale, nell’arte pittorica, scultorea e musicale e nella Chiesa perfino, se il pastore Francesco Giusto Lo Bue – l’Oratore di loggia dal 1919 – seppe accompagnare i suoi fratelli evangelico-battisti con generosa lealtà per dieci anni interi… Neppure la politica fu un tabù in quel contesto, e i liberali o i liberaldemocratici si trovarono in prossimità con i radicali, costituitisi in partito a Cagliari nel 1904 – lo stesso Venerabile Sanna Randaccio e il Fratello Roberto Binaghi ne erano i leader (così come in campo nazionale lo era divenuto Gustavo Canti, già Venerabile della Sigismondo Arquer) – ed anche con la pattuglia di puritani mazziniani come Angelo Garau, Ettore Vassallo, e Nonnoi e gli altri… Fra il 1910 e il 1911 il grosso del piedilista partecipò alla fondazione di una associazione parapartitica: l’Associazione Democratica, di natura laica e moderatamente progressista, di convinto supporto a Bacaredda nuovamente sindaco e munita anche di un giornale settimanale che resistette felicemente per un triennio: Il Giornale Democratico

La loggia Sigismondo Arquer fu trainante nell’Isola, in quel periodo: non soltanto all’interno del circuito fraternale nazionale, definitosi dal 1901 “giustinianeo”, ma anche in numerose iniziative pubbliche – ora sociali ora culturali – che raccolsero l’apprezzamento anche di numerosi profani: a partire dalla erezione del Dormitorio pubblico (utilizzato dalla Croce Rossa Italiana negli anni della grande guerra) e ad arrivare alla Croce Verde (per il pronto soccorso degli infortunati), e andando ancora dalla Dante Alighieri all’Università Popolare, direi alla Corda Fratres che allenò all’intesa culturale in chiave civile tanti giovani iscritti alle diverse facoltà… e così fu per i comitati, fra cui quello per il monumento a Giordano Bruno, di fronte alla porta dei Leoni, fra Marina e Castello.

A dir della Sardegna e di logge intitolate a Giovanni Bovio

Ebbe rapporti con le consorelle del continente, ovviamente: fra le carte fortunosamente salvate dalla grande perdita provocata dall’azione fascista (l’anno dopo la perquisizione e il sequestro di via Barcellona, l’Amministrazione fascista del Comune avrebbe rimosso anche il busto di Giordano Bruno perché “massonico”, rinchiudendolo in un sacco) ne ho trovata una della loggia Giovanni Bovio, scozzese anch’essa, all’Oriente di Reggio Calabria, datata 24 giugno 1918. Il Venerabile Russomanno presentava al suo collega cagliaritano un Fratello militare (col grado di tenente) destinato, a pochi mesi dalla fine della guerra, all’Ufficio Tecnico Militare del capoluogo sardo. La raccomandazione era ovviamente alla “fraterna accoglienza”, ché nei principi più elementari dello stile (e del mutualismo) massonico era, forse è, certo dovrebbe essere, appunto l’accoglienza solidale.  


Potrei anche dire che il contraccambio è sempre nelle cose, non nelle contabilità venali. In quella stessa officina calabrese, infatti, pochi anni prima – nel dicembre 1912 per la precisione – era stato iniziato un sardo di Carloforte: Riccardo Mereu, classe 1878, ufficiale di Capitaneria. Veniva, il nuovo Fratello, da una famiglia per generazioni legata alla Libera Muratoria: suo padre Federico, segretario comunale, era stato segretario della Libertà e Progresso e nel 1872 aveva tenuto lui l’orazione funebre per Enrico Serpieri al camposanto di Bonaria. Egli era stato poi tra i fondatori della carolina loggia Cuore e Carattere, nel 1891, e frequentatori del Tempio erano stati anche altri suoi figli: così Ettore (nell’organico della iglesiente Ugolino), così Achille (in quello della tunisina Concordia)…

Tale era il prestigio dell’uomo, che di logge intitolate a Giovanni ne Bovio furono promosse numerose dopo il 1903, all’indomani cioè del suo passaggio all’Oriente Eterno – come si dice con il poetico lessico fraternale – e diverse di esse accolsero bussanti sardi. Così quella romana iniziò l’impiegato sassarese Antonio Crispo nel 1905; quella casertana s’aprì al cagliaritano Carlo Galletti, ufficiale di Cavalleria, nel 1906; quella leccese, nel 1914, accolse l’isilese Nicolino Anedda, registrato come viaggiatore di commercio; la stabiese, già sotto la pressione fascista, iniziò nel 1922, il maddalenino Francesco Virdis, macchinista navale.

Modesti appunti, questi, che ho creduto di riportare fuori dall’Archivio per dire un’altra volta ancora quanto stupido (immotivato e insolente) sia stato quel reiterato e ridicolizzante affronto al monumento storico di Giovanni Bovio, nelle scorse settimane e negli scorsi mesi, con quegli scatti fotografici postati nell’web da un imbecille. 

Sono tre le logge intitolate a Bovio attualmente operanti sul continente, e da Cagliari sarebbe certo bello che partisse oggi un atto di scuse a ciascuna d’esse. Qualcuno ne prenderà l’iniziativa, o vi provvederò io stesso.

Bovio fu per un lustro intero, di fianco al Gran Maestro Lemmi, il Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia. Una fortuita circostanza assegna oggi la medesima carica ad un alto dignitario di origine sarda, che vanta anche lui – al pari di Bovio, figlio e nipote di massoni e carbonari – ascendenze liberomuratorie: il riferimento è al celebre clinico professor Luigi Zanda, tra i fondatori della loggia Vittoria – attiva a Cagliari dal 1861 al 1877 – e preside di Medicina all’università di Cagliari, ed infine rettore (dal 1883 al 1885 e ancora dal 1886 al 1888: lo erano già stati i Fratelli Pasquale Umana e Gavino Scano, lo sarebbero stati poi anche i Fratelli Oddo Casagrandi e Roberto Binaghi).

Vorrà dare un segno concreto d’immedesimazione il collega d’oggi del grande Bovio, e insieme restituire all’integrità ferita della Libera Muratoria giustinianea cagliaritana l’onore del giusto risarcimento?


La Massoneria come società di tradizione, che ha consapevolezza della preziosità dell’immateriale, dei lasciti valoriali ricevuti dalla fatica delle passate generazioni, e s’impegna ad arricchire quelle esperienze con quanto il suo tempo presente le concede, in vista di passare tesori ai futuri, ha da meditare su quanto è successo. Giusto come una famiglia che abbia il santo orgoglio di sé, la piena coscienza delle virtù interiori e civili dei suoi vecchi e si prodighi ad aggiungere e sedimentare contributi nuovi così onorando una storia che mai muore. La goliardia è fuori da queste coordinate morali e chiunque sia l’imbecille che abbia offeso l’erma boviana (caricaturandola, fotografandola e postandola così mascherata) è evidentemente esterno a queste consapevolezze. Chi ha uffici di responsabilità saprà adesso ben onorare l’immateriale che, codificato nei simboli, è un tesoro autentico che vale la religione.  

Il Gran Maestro Bisi e Bovio

Mi sono riferito al Grande Oratore oggi in carica. Ripongo buona fiducia in un suo atto risarcitorio anche perché lo so sottoscrittore, con il Gran Maestro Bisi e gli altri della Giunta esecutiva del GOI, di un messaggio d’auguri diffuso alla Comunione ora sono pochi anni, nel 2015, quando proprio a Bovio e alle sue riflessioni si volle ricorrere per impreziosire il dono. Si trovano ancora nel sito del Grande Oriente d’Italia i versi pasquali di Giovanni Bovio. Eccoli, e si comprenda finalmente la nobiltà dell’uomo:   

Verrà un giorno in cui l’uomo non


stenderà più la mano tremula


davanti all’altro uomo, tutti avranno


una casa ed una voce amica….


Quel giorno è pasqua


Sul mare odo gemiti di gente ignota che


va in terra ignota, e sul lido


parole rotte di persone care che non si


rivedranno….


Quel giorno non è pasqua


Verrà un giorno in cui il ferro non


sarà Legge e l’oro non sarà Dio:


sarà religione e nobiltà il lavoro.


Quel giorno, a qualunque ora, in


qualunque ordine della settimana


arrivi, santificatelo….


È pasqua santa


Sorgete dalle miniere, dalle caverne,


dai tuguri; destinatevi al


dominio della Terra; discostate la


tracotanza dei flagellatori;


alitate lo spirito sulla faccia ai timidi.


Tale è la resurrezione, tale è la pasqua


Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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Pasquino Lepori

11 Lug 2020

Purtroppo va aggiunta un'ulteriore vergogna all'infamia: l'imbecille spiritato non è un "grembiulino" qualunque, ma un maestro venerabile in carica, che per primo dovrebbe, il condizionale in questo caso è scempio, difendere l'onore dell'Ordine al quale appartiene. Ma che, nell'ignominioso silenzio dell'oriente cagliaritano, invece, infanga.


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