user profile avatar
Gianfranco Murtas

Addio a Pina Ghisu, professoressa di cuore barbaricino

di Gianfranco Murtas

article photo


Era – mi riferisce Andrea Giulio Pirastu direttore editoriale di Giornalia – una fra le prime iscritte alla piattaforma di giornalismo partecipativo inaugurata nel 2019. Io l’ho avuta nel circuito confidenziale che ci riportava a Bachisio Zizi e a Maria Baldessari, gli scrittori sardi fra quelli che di più ho amato. Meno di due settimane fa, al telefono, di tarda sera, mi aveva annunciato la sua prossima, imminente fine: parole impossibili a ripetersi ma di cui resta nella mente e nel cuore il tono sacerdotale del congedo, insieme doloroso e dolce, espressione di quella superiore dignità che mi viene sempre di riconoscere alle donne le quali, capaci di dare la vita, custodiscono in sé, nella loro biologia mentale o nella loro percezione esistenziale, una nativa sapienza anche della morte.

Il 12 agosto, nell’antivigilia del decennale della scomparsa di Bachisio Zizi, mi aveva chiamato per anticiparmi i commenti facebook che le erano pervenuti riguardo ad un mio articolo, uscito proprio in Giornalia, sullo scrittore di Santi di creta (e di quante altre preziosità) che lei aveva diffuso – con le trasmissioni dei link – fra i trecento del suo giro, o meglio fra quelli che, fra Orune e Bitti, fra Bitti ed Orune conservavano le sante memorie dei loro migliori: fra essi, suoi amici carissimi, Elena Manca e Sebastiano Mariani e prima ancora Silvestra Pittalis.

Ci aveva unito anche la stima e l’amicizia per il professore Antonio Romagnino, che avevo celebrato direi “comunitariamente” al Dettori nel centenario della nascita, in una giornata che fu celebrazione della scuola e di quella certa Cagliari laboriosa e gentile, colta e aperta al nuovo, alle germinazioni letterarie, creative e di ricerca che hanno fatto, ora in parallelo ai canali associativi come gli Amici del libro, ora in perfetta autonomia, la storia della nostra città amata nel tempo che ci è stato dato di abitare, dopo le distruzioni della guerra e gli affossamenti della dittatura.

Amava le moderne tecnologie di comunicazione, facebook ed altro, Pina Ghisu, pur nella sua età che era ormai avanzata e che ancora però la teneva impegnata, di lato agli interessi culturali, nelle fatiche familiari, nella assistenza di quanti – prevedendosi una ravvicinata chiusura dei tempi – da Cagliari volevano tornare a poggiare il capo in paese, nel paese di Asproni o in quello dell’ammirato Antonio Pigliaru.

Ad Orune fu, stretta amica di Ammentos, a preparare l’importante convegno su Bachisio Zizi (“La ricerca del filo della pietra. Bachisio Zizi intellettuale e scrittore”), cui partecipò, nel novero dei relatori, lei stessa insieme con Francesco Berria, con il sindaco Michele Deserra, e con Gianni Filippini (Direttore editoriale dell'Unione Sarda), Silvestra Pittalis (fondatrice di Ammentos de Orune), il giurista Giuseppe Bandinu, l’avvocato Elena Manca, il professore Giovanni Mundanu ed il sociologo e presbitero (direttore di Radio Barbagia ed abile saggista) Francesco Mariani... Era il 2014.

Amante della filologia sarda, delle parlate particolari del nostro sardo universale, e del vocabolario orunese, ovviamente, con specialissima vocazione, fu non in misura minore amante della poesia. La ricordo soprattutto come curatrice (per i testi a fronte), nel 1990, di La rondine pellegrina, di Giuseppina Unida, e la puntuale prefazione di Bachisio Zizi.

Fino alle paci di San Giovanni (1887) era stata faida fra Orune e Bitti, e di tanto fece le spese anche il sindaco orunese giovane padre della poetessa che il padre non conobbe mai e fu cresciuta dall’uomo che sposò la madre vedova al termine del suo servizio come commissario prefettizio in comune. L’assassinio nel 1910 del sindaco allora in carica del suo paese riportò indietro di vent’anni la storia, ché del delitto venne accusato (e per questo poi condannato) il marito di Giuseppina Unida: la quale – paradossalmente figlia di vittima e moglie di carnefice (per sentenza) –, anni dopo, per lui ottenne la grazia, mentre, donna di fede e di carità, fu sempre soccorritrice dei diseredati e seppe restare nella storia della letteratura sarda con la sua ricca ed originale produzione letteraria.

Alla stampa di questo lavoro, Pina Ghisu dedicò una sua toccante introduzione. E con le sue stesse parole la saluto, cara amica con la quale avevo condiviso un progetto che chissà se potrò mai realizzare: in gruppo di amici convocarci presso la tomba di Bachisio Zizi e là leggere in circolo, come fossero preghiere, alcuni brani dei suoi romanzi.



 

Alle Donne di Barbagia

La Barbagia è da tempo oggetto di studio di sociologi, antropologi, scrittori e uomini politici, che di volta in volta avanzano e sostengono diverse ipotesi riguardo alle manifestazioni di violenza che a intervalli più o meno lunghi insanguinano e dilaniano i nostri tormentati paesi. Spesso vengono chiamate in causa le donne quali istigatrici e ispiratrici, presunte custodi dei codici della vendetta e della violenza.

È una teoria che mi provoca sempre un senso di doloroso disagio, una sorta di ribellione viscerale, riflesso di una dignità offesa. È maturata forse qui l'idea di proporre la lettura delle poesie di Giuseppina Unida, la cui vicenda, come quella di tante, troppe donne barbaricine, è permeata di sofferenza, di affanno, di lotta per i tragici avvenimenti che ne hanno sconvolto la vita.

Leggendole e rileggendole, sempre più mi sembra che esse non siano la voce di una singola esistenza, ma la voce accorata di un'intera comunità.

Da esse si leva la protesta per le ingiustizie, le dimenticanze, gli errori dell'ordine costituito; in esse leggo la condanna pro sos mortores che con dissennatezza e bestialità sconvolgono la vita di intere famiglie; in esse leggo, soprattutto, la disperazione delle donne di Barbagia, mogli, madri, sorelle che non possono mai aver pace perché c'è sempre l'ansia e il timore di un nuovo dramma; in esse leggo la condanna per quelli che parlano dichiarando il falso, ma anche per quelli che non parlano, perché la falsa testimonianza e l'omertà ci rende tutti colpevoli.

Dalla disperazione e dalla ferma condanna non nasce l'incitamento alla vendetta, l'insano desiderio di farsi giustizia da sé, ma la speranza in un riscatto, la fede in una rigenerazione morale e materiale.


Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

letto 349 volte • piace a 1 persone0 commenti

Devi accedere per poter commentare.

Scrivi anche tu un articolo!

advertising
advertising
advertising