Addio, don Andrea Portas
di Gianfranco Murtas

Parla tu, Andrea, prete cavaliere, operaio sociale, professore poeta, mistico affaticato, uomo qualsiasi e dell’eccellenza. Esperto d’una novità che si ripete ogni giorno, ti riassorbi oggi nella stessa storia dei molti che ti hanno accompagnato nella missione fangosa e profumata tanto a lungo incompresa nei palazzi. Ai tuoi, con la comunione d’umanità, hai anche donato la dialettica forte delle idee, perfino le distanze. Certamente non soltanto a San Rocco, ma anche a San Rocco, con Efisio Spettu e Salvatore Loi e quegli altri che non cito – nel mucchio marginale anch’io, giovane muratore con la telecamera – ma sono tutti – tutti – inclusi nella intenzione. T’hanno preceduto nel gran volo, dopo che nel lungo tempo della pena, li rivedi e ci ridiscuti, sempre per il meglio possibile.
Frugo fra i tuoi versi. Ti restituisco questi, brevi, da qualcuno dei tuoi libri preziosi.
Mi chiamo Adil, Maner, Khalid…
Possiedo tutti i nomi della terra
e parlo senza menzogna rotolando
le sillabe come l’acqua sotto i boschi
Sono mussulmano, ebreo, ateo, cristiano…
sono ciò che sono perché esisto per amore
Ho i colori dei fiori del mondo
Ho le mani stanche ed i piedi sotto gli stracci
Non sono terrorista, neppure
per chi mi vuol male. Sono uno di voi.
Spavaldamente vostro.
Spazio per essere scoperto
viso per essere contemplato
Fermatevi lungo la strada,
guardate, informatevi…
Mi consegno alla vostra curiosità,
alle vostre paure ed al tutto
ciò che resta di pietà,
del peso delle vostre bilance
truccate.
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