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Gianfranco Murtas

Ancora con Bovio, fra Ponzio Pilato, Barabba e il sinedrio in p.zza Indipendenza. Nicodemo e i ruoli da assegnare per la cronaca e la storia

di Gianfranco Murtas

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Con una certa frequenza leggo i libri di storia massonica, sempre gustosi oltreché istruttivi, e vedo spesso, quanto meno nelle note, il riferimento a episodi particolari che possono confermare, dimostrare, spiegare nel concreto quanto affermato nelle sintesi del testo. Ed immaginando così lo storico che fra cinquanta o cento anni scriverà della Massoneria sarda ho anche immaginato che si troverà, nelle carte da compulsare, ordinare, interpretare, queste mie o nostre osservazioni critiche su quanto operato nei tempi recenti (e anche non recenti), nel cagliaritano palazzo Sanjust – palazzo di tanta storia, e storia onorata ancorché lontana per presupposti (quelli) guelfi, liberali i miei o nostri. Dico operato a palazzo Sanjust, riferendoli al dileggio tremendo e volgare della Tradizione e della buona creanza, cioè della educazione e del viver civile, ed anche delle autorità della Repubblica insieme con il sentimento democratico che ha sempre sostenuto la Libera Muratoria italiana. Lo storico del tempo che verrà si farà una idea di ciascuno degli attori oggi sulla scena – sinedriti e nicodemici, barabbiani e imbecilli – e ne scriverà come meglio gli parrà giusto. Rispettiamo la sua autonomia.

Dalle linee del perimetro, io mi permetterei però di metterlo in guardia – dico lo storico professionale – circa la identificazione dello scriteriato innominato perché ancora non mi rassegno a credere – invero rischiando la fine di don Ferrante – che si tratti di un dignitario del GOI, perché allora la prestazione minchiona d’un singolo diverrebbe una bestemmia collettiva capace di schiacciare sotto il suo peso devastante chiunque si sia infilato a trovar una qualche ragione dritta nella pentola della follia costipata. L’ho detto ad un amico giornalista che è venuto a trovarmi nei giorni scorsi: come se si facesse soltanto timide spallucce ad un balordo che avesse posto una sigaretta in bocca ad un Crocifisso in chiesa o avesse giocato con i bigodini in una improbabile parrucca della Vergine Maria su un altare. (Ne ho scritto anche di recente, di quanto rispetto e amore in varie occasioni mi è stato dato di registrare per i simboli religiosi nelle logge massoniche, e chissà che il paragone oggi non faccia pensare!).

Il mio maestro politico, padre della patria ma di ampi contatti internazionali, antifascista e resistente, economista di virtuose conoscenze, ma che pur era gratificato alle elezioni appena da un misero due per cento – Ugo La Malfa – sosteneva spesso, riferendosi malinconicamente al suo paese, che la classe dirigente è quella che sa antivedere i problemi, calcolando in anticipo tutte le conseguenze, morali e materiali, d’una qualsiasi azione attivata in un determinato contesto. Anticipare i problemi, non inseguirli. Anticiparli sapendo pensare in grande e in prospettiva, oltre l’episodico. Credo che l’osservazione ed il monito di Ugo La Malfa potrebbero trovare applicazione anche in campi diversi dalla politica.

Don Ferrante esclude, comunque, che l’autore dello spupazzamento di Giovanni Bovio a palazzo Sanjust, nella stessa sala che accoglie cinquanta ritratti dei gran maestri del Grande Oriente d’Italia, dalla fondazione ad oggi, che sarebbe – valga il condizionale – anche lo stesso personaggio, piuttosto spiritato, che si è sparato il nobile selfie per lo specchio della pozzanghera – ricopra funzioni, tantomeno elevate, nel Grande Oriente d’Italia. L’istituzione giustinianea fu infatti la Famiglia umanistica di Giuseppe Petroni – il gran maestro che, reduce dalle segrete papali dov’era stato imprigionato per tre lunghi interminabili lustri, fu poi il primo Maestro Venerabile di Giorgio Asproni, a Firenze! – e di Ernesto Nathan, ma anche di Carlo Angela, del maestro Manzi e degli antifascisti costretti all’esilio in Francia per due decenni… fu dunque, di tutta evidenza, altra cosa dalle glorie dell’oggi massacrato palazzo Sanjust: con irriverenza supplementare, e davvero insopportabile, alla memoria di Vincenzo Racugno, che quell’edificio alla Fratellanza cagliaritana donò, per servizio e custodia, ora è già più di un trentennio. 

Non sarebbe cioè, quella insanabile divaricazione – lo dico con altre parole –, problema di bardamenti ed accessori, sarebbe problema di neuroni e più ancora… di coscienza. Tribunale abile o non abile. E la coscienza non si compra al mercatino, la coscienza la raccogli dal modello e la educhi, la curi nelle quotidiane difficoltà dell’esistere confrontandoti sempre con le tavole di valore per una società libera ed inclusiva, sentinella della generosa fatica delle generazioni e responsabile delle future fruizioni…

Il Maestro Venerabile d’una loggia massonica, a Cagliari ed ovunque

Impossibile, sostiene Don Ferrante (e io, con molta molta convinzione, sono con lui) che un consesso costituitosi per un alto obiettivo umanistico – mi riferisco ad una loggia massonica in quanto tale, per come quella loggia io conosca, stimi ed ammiri! – converga le sue energie fiduciarie sull’inconsistenza morale, e meno che meno sarebbe possibile che tanti Maestri Venerabili – espressione ciascuno d’essi della migliore volontà di tanti galantuomini, intellettuali e professionisti d’eccellenza, funzionari leali e competenti dello Stato, persone oneste, buone ed esemplari nella loro quotidianità sociale ed altruista – possano riconoscere un primus inter pares in chi, appunto sotto i ritratti dei gran maestri succedutisi nell’arco di 161 anni, goda a prendersi ogni villana licenza, giocando e non studiando, non testimoniando, non insegnando, e invece impallinando per banale divertimento, e perfino con l’applauso fatuo dei superiori, la Tradizione, la Ritualità hiramitica, gli obblighi costituzionali sia del GOI che della stessa Repubblica italiana, il decoro e la misura.

Aggiungerei – poiché non debbo chiedere per questo l’autorizzazione ad alcuno – che, benché un Maestro Venerabile non derivi il suo carisma come avviene nella “successio apostolorum”, quella dei vescovi per intenderci (atteso che qui non interviene nessun alito dello Spirito Santo), ma lo derivi dalla convergenza dello slancio fiduciario che una “comunità” che ambisca diventare “comunione” materializza sul suo capo, nel prescelto riconoscendo il profilo di austerità, equilibrio e saggezza che fu dei migliori della scuola universale ormai tre volte centenaria, la dignità che infine se ne configura è espressiva di un adempimento integralmente interno alla Tradizione liberomuratoria che pur ha, date le sue coordinate etico-morali, un che di “sacro”. Si chiama Maestro Venerabile, il maggior dignitario di una loggia massonica, perché impersona una laica religiosità che si esprime essenzialmente nel sentimento profondo dell’ininterrotto fluire della storia, nella consapevolezza delle complessità del vivere umano, personale e sociale, e tutto indirizza perché, anche con la pedagogia dell’esempio, la partecipazione dei singoli nel collettivo realizzi la missione per la quale ad una loggia ci si avvicina. Quale missione? quella del progresso del mondo, con cuore puro e mani pulite, a lode di Chi il mondo ha pensato e voluto, qui sì alitando libertà e carità (come avrebbero detto gli antichi).  

Confesso che provo sconcerto a scrivere queste cose, in fondo semplici e anche note, quando il pensiero permane ferito dalle pagliacciate riconsacrate goliardate nel palazzo che il professor Racugno donò alla Libera Muratoria cagliaritana nel 1988. Direi anche di più e nell’amarezza, fidandomi dei buoni ricordi delle lunghe conversazioni avute nella casa di viale Merello tanto più dopo le avversità di salute che lo imprigionarono in una relativa ma progressiva immobilità. C'erano allora infatti già vent’anni di buona amicizia e confidenza (nata nelle stanze del nobilissimo Partito Repubblicano Italiano) e tutto consentiva queste reciproche aperture al dialogo che lo scarto generazionale alimentava. Fu un dono alla città di Cagliari, quel palazzo: perché Vincenzo Racugno intese sempre la Libera Muratoria come una corporazione civile che negli attraversamenti delle necessità culturali e sociali trovava motivi di permanente attualità. Nel capoluogo della Sardegna, in questo concreto caso. Per questo anche tanto insistette perché il palazzo accogliesse un giorno una grande biblioteca per la fruizione tanto più dei giovani…

E invece ecco l’incosciente a violentare, con quel lascito materiale, anche e soprattutto quel lascito morale. Dell’incosciente ho sempre pixellato il volto, nei riversamenti delle immagini con cui ho corredato i testi dei precedenti sette articoli. Ma giuro che se non avessi pixellato, se cioè avessi lasciato… nuda e cruda l’immagine, la sequenza delle “faccine” offerte al autoflash della pozzanghera, chi anche non ha trovato eccessiva l’irriverenza avrebbe cambiato idea. Ma così vanno fatte le cose, così ho comunicato – nessuna denuncia, soltanto informativa, da cittadino agli organi dello Stato – alla polizia postale, alla procura della Repubblica, al Quirinale e a Palazzo Giustiniani (per l’ufficio del presidente emerito). Nel corredo anche il ghigno fallico che dal 22 giugno pare abbia sostituito il pregresso, ancora coinvolgendo l’effigie di Giovanni Bovio bendato replicata nei quattro campi della bandiera sarda. Tutto ciò in attesa della conclusiva regolazione pubblica: di poter produrre, cioè, spererei nel prossimo autunno – Covid permettendo – una grande mostra sulla statuaria civile nella Cagliari bacareddiana, con l’esposizione delle grandi tavole grafiche e fotografiche relative a Verdi e Giordano Bruno, i quattro risorgimentali e Dante e Manzoni, e ancora Dante e appunto Giovanni Bovio, fra 1901 e 1913, e le grandi lastre dedicate a Mazzini ed al XX Settembre nel Palazzo di città. Nel mezzo, riguardo specifico a Bovio, anche le pagine de L’Unione Sarda e de La Nuova Sardegna – anche le prime pagine! – che riferirono della morte del filosofo e riferirono anche dell’erezione, due anni dopo, del monumento allo square. Fra esse le foto pixellate dello sfregio recente a palazzo Sanjust, nell'austera sala della quadreria giustinianea, recuperate dalla corrispondenza, per informativa, con la procura della Repubblica.

Sarà quella l’occasione, lo auspicherei, per presentare anche un lavoro che da molto tempo avevo sullo scrittoio e cui ho rimesso mano da poco: uno stradario massonico di Cagliari, per quattro distinte passeggiate muovendo ciascuna da uno dei quartieri storici e attraversando i moderni, per raggiungere le periferie e includere non soltanto le sessanta targhe stradali intestate ai massoni sardi e del mondo, ma anche le trenta sedi fra scuole, ospedali e musei, ecc. anch’esse intitolate, a Cagliari, ai massoni, e ancora quel centinaio di case, studi professionali, luoghi di lavoro e commercio o di ribalta pubblica dei liberi muratori operanti, nell’arco di un secolo pieno, nel capoluogo isolano. Con accompagno di pannelli grafici, oltre la pagina scritta, e il supporto anche di un video. Vorrei mostrare a Cagliari e alla Sardegna quanta presenza qualificata abbia sedimentato la Libera Muratoria nella città del sole, la nostra «bella come l’anticamera del Paradiso» a dirla sempre con Francesco Alziator, e rinsecchire così l’insulsa minchionata antiboviana e, con essa, anche i bassi sentimenti dei sinedriti montati in sua protezione.   

A Campo de’ Fiori, il 9 giugno 1889

Dal male si vada al bene. Trattando così spesso di Giovanni Bovio in questi giorni, m’è parso che sarebbe utile una rilettura del breve ma solenne e importante discorso che egli tenne a Campo de’ Fiori, il 9 giugno 1889, per lo scoprimento del busto di Giordano Bruno, il frate domenicano arso vivo nell’autodafé del 17 febbraio 1600. (E si ricordi, a tal proposito, che in Sardegna – tanto più tra fine Ottocento e primi Novecento – per molti anni, con una certa frequenza, si celebrò San Giordano, così a Cagliari come a Sassari, e a Tempio dove addirittura nel suo nome si svolse nel 1908 il primo congresso del Libero Pensiero, presente anche Sebastiano Satta. E circoli intitolati a San Giordano ne sorsero in diversi centri isolani: a quello di Cagliari, che faceva manifestazioni pubbliche attorno al busto di Giovanni Bovio, allo square delle Reali, partecipò anche il giovanissimo Antonio Gramsci, allora studente dettorino).

Più di cento le bandiere massoniche radunatesi quel giorno a Campo de’ Fiori, più di tremila i Fratelli convenuti da tutt’Italia, anche dalla Sardegna (con capodelegazione Gavino Scano, già rettore dell’università, prossimo senatore). Innumerevoli gli studenti che aprivano il corteo partito da piazza di Termini e accompagnato, come una bellissima processione laica, da evviva continui e da un’autentica pioggia di fiori. Parlò Giovanni Bovio, grande oratore del Grande Oriente d’Italia:

«Questa inaugurazione dovrebbe esser fatta da popolo muto, come di chi adempie atto solenne di religione; e le poche parole, onde romperò il silenzio, già fattosi, saranno puramente dichiarative.


«Reca meno dolore al papato il 20 Settembre, che il 9 giugno; quella data fu una conclusione, questa è un principio: allora l'Italia entrò in Roma, termine del suo cammino; oggi Roma inaugura la religione del pensiero, principio d'un'altra età. La Dea Ragione, intollerante, non entra in Roma, che a tutte le religioni aprì il Pantheon, né idoli nuovi vengono a chiedere adorazione qui, dove suona ancora viva questa parola di Cristo: Dopo me non verranno profeti.

«Ben sentono le nazioni qui venute che, come il 313 in Milano fu fissata, con decreto imperiale, la religione cristiana, così con questo 9 giugno in Roma, si ferma, per consenso di genti libere, la data della religione del pensiero.

«E' una religione? E sono questi il secolo ed il luogo da tanto? Se nella più popolosa città d'Europa due regine cercano l'una il capo dell'altra ed una lo lascia in mano dell'altra, sono due dogmi di due religioni rivelate.

«Se tra l'una e l'altra un esule italiano offre sé ad una idea, la quale adempie nell'umanità il destino dell'uomo, è la religione del pensiero.

«Qui fu arso, e le ceneri non placarono il dogma; qui risorge, e la religione del pensiero non chiede vendetta.

«Chiede la tolleranza di tutte le dottrine, di tutti i culti, e culto massimo la giustizia: in luogo della contemplazione il lavoro, della credulità l'esame, dell'obbedienza la discussione, della preghiera la rivendicazione e l'opera. Diventano articoli di questa religione le ricerche della scienza, gli equi patti internazionali, e le universali esposizioni del lavoro universale.

«Questa fede non ha profeti, ha pensatori: se cerca un tempio, trova l'universo; se cerca un asilo inviolato, trova la coscienza dell'uomo. Ebbe i suoi martiri: impone che da oggi le riparazioni non siano postume.

«Roma può far questa proclamazione. Qui si solennizzano i millennari delle successioni religiose: tutti gli dei della terra ebbero convegno nel Pantheon universale, qui ove universale erasi fatto il diritto e cattolica doveva farsi la Chiesa. E qui è possibile fissare il nuovo millennario sostituente alla cattolicità di un uomo quella del pensiero umano. 

«Ed è questo il tempo divinato da Bruno. Molte sono ancora, certo, molte e deformi le ipocrisie dominanti, ma la loro impotenza contro questo bronzo vivente determina il significato di questa memoranda solennità civile. Onorarlo qui vuoi dire che gran parte di lui è qui viva e parlante in quella filosofia della natura, che non è soltanto una dottrina, è un destino.

«Rispetto a questa successione d'idee e di civiltà, qualunque altro monumento a principe o a tribuno, avrebbe indicazione di paese o di parte. Innanzi a questo la politica, l'arte, il costume, la lingua diventano frammenti: i sistemi e le confessioni dissimulano le loro particolarità, gli ordini sacerdotali nascondono la regola; le nazioni dimenticano i confini; e l'uomo si sente pari a sé. Nessuna voce di odio può uscire da questo monumento. L'ultima parola di ogni grande olocausto fu sempre: Ignosce illis!

«Papa Aldobrandino, che decretava la corona a Tasso ed il rogo a Bruno, ignorava i dubbi dell'uno, la affermazione dell'altro, e se, tormentato da quei dubbi e da quell'affermazione.

«Né al successore, che con occhio penoso vede questo monumento, moverà di qui una parola, che oscuri la luce di quest'ora. Non è felice quel vecchio, vittima - e più di Bruno – ei primo, del dogma suo, che gli mozza il saluto agitantesi in petto italiano alla patria italiana. Ei sente che mentre l'Italia ed il mondo civile sono qui, dentro la solitudine amara, che circonda lui, suonano queste parole di un filosofo ucciso: Persevera ed assicurati, o Nolano, che alfine tutti vedranno quello che tu vedi, tutti, colti da buona coscienza, riporteranno favorevole sentenza di te... cominci la cognizione dell'universo infinito..., innanzi a cui non è grandezza che duri.

«Al grido di quest'appello non si notano assenti, perché non vi sono assenze innanzi alle date fastiche, le nazioni venute e le non venute qui sono rappresentate del pari. Sono presenti come voi i desiderosi, ai quali la lontananza, la povertà, le sciagure e qualche governo meno civile della nazione, hanno messo impedimento: sono presenti, e quelli che hanno ricevuto le dottrine del Nolano, e quelli che, per tardo pudore, negano di averlo morto; quelli che cominciarono a contare un'età da questo giorno, sono presenti. Nell'Universo di Bruno non ci sono scomuniche, ed il genere umano vi entra intero.

«O Roma universale, oggi veramente tu ti concilii colla parola cattolica non pronunziata dal dogma, ma dal pensiero concorde delle nazioni».

Tutto nacque dall’iniziativa di sette studenti fattisi promotori del Comitato bruniano. Si riunirono inizialmente nelle sale del Grande Oriente d'Italia; quattro loro colleghi cagliaritani parteciparono, con il professor Scano, alla missione romana e tornando in città riferirono della loro esperienza. Fu in quel contesto che sorse a Cagliari l’idea di promuovere una loggia che s’intitolasse ad un Bruno cagliaritano, addirittura precursore di Bruno: era Sigismondo Arquer, e molta parte della vita sociale, non soltanto di quella ideologica o religiosa o politica di Cagliari, da allora, da quel 1889 respirò aria di Arquer e di Bruno. Era la Cagliari di Ottone Bacaredda, che da giovane, allora 22enne, nel fatidico 1870, era uscito anche lui con le aperture laiche e libertarie di un giornale che s’intitolava A vent’anni

La Rivista Massonica naturalmente riferì dell’avvenimento, si cullò negli argomenti (sì positivisti ma comunque rispettosi d’ogni religione) di Giovanni Bovio, scrisse che «lo spirito della Massoneria aleggiò sempre vivo, provvido, animatore nelle grande opera, incitando, soccorrendo, rimovendo ostacoli, avversità, ripugnanze, dando al fatto epico il carattere di una solenne affermazione e rivendicazione internazionale del diritto umano alla libertà del pensiero».

Non debbo né voglio fare qui nessuno strumentale elogio celebrativo della Fratellanza massonica che, come società di uomini, ha avuto anch’essa, e sempre avrà, i limiti della nostra natura, le incertezze una volta, le imprudenze un’altra. Accenno soltanto a Bovio che nelle sue brevi parole riunisce, con il taglio suo tipico, la massima dimensione universale e quella minima nazionale, gli universi progressivi di cui proponeva una teorica Giordano Bruno e l’Italia conquistata al suo destino finalmente liberandosi dal temporalismo papale, l’alta nobiltà del pensiero libero – nobile perché responsabile – e la non minore nobiltà del fare sociale: «culto massimo la giustizia… il lavoro, l’esame, la discussione, la rivendicazione e l’opera… le ricerche della scienza, gli equi patti internazionali, e le universali esposizioni del lavoro universale». In tempi in cui il papa si autorecludeva, offeso, nella città leonina, in tempi in cui certo liberalismo europeo e anche italiano mostrava un volto autoritario, in tempi in cui il colonialismo e le sistemazioni internazionali per via d’armi costituivano la norma…

Un Grande Oratore per un Grande Pensiero

Nei due volumi del suo Il libro del massone italiano, Ulisse Bacci – che del Grande Oriente fu a lungo gran bibliotecario e gran segretario, lui, anche lui, di fervida fede mazziniana e repubblicana (ripeto: in tempi di monarchia e di liberalismo nazionale sovente autoritario!) – riferì, collocandone notiziario e commento in un capitolo piuttosto prossimo a quello della inaugurazione del monumento bruniano, dell’“Azione di G. Bovio nella Massoneria”. Ne riporto alcune righe, dedicandole in modo speciale a chi, miope (eufemismo di gentilezza), sprofondato nell’insipienza e disumanando (altro eufemismo di gentilezza) il proprio grembiule, abbia ritenuto il dileggio dell’imbecille cagliaritano una superabile leggerezza (e a lui ricordo quel passo boviano riferito al monumento di San Giordano: «… questo bronzo vivente… Onorarlo qui vuoi dire che gran parte di lui è qui viva e parlante»): 

«Né l'illustre filosofo limitava l'opera sua alla Camera dei Deputati, ma profondeva nella Massoneria i tesori inesauribili della sua salda fede e del suo poderoso intelletto. Nel Marzo del 1892, ritornando come rappresentante straordinario dei Governo dell'Ordine alla direzione della famiglia Massonica Napoletana, rivolgeva ai Fratelli il seguente discorso:


«“Mi avete voluto la seconda volta a quest'ufficio, e vi ritorno volentieri recandovj il fraterno saluto. Dirò due parole sulle condizioni locali e generali della nostra famiglia.

«“Il Congresso della pace tenutosi in Roma mi fece avvisato dei grandi servigi che la nostra Istituzione, antichissima ed universale, può ancora rendere alla umanità. Il congresso indicò alcuni mezzi, che valgono ad affratellare i popoli, ma la somma dei mezzi è in potere dell'istituzione massonica, che per origine, progressi, statuti, universalità, mira all'unità concreta e organica dell'umana famiglia. E tutte le discussioni tendenti all’universalità pratica restano accademiche se la Massoneria non se ne impossessa. Questa Istituzione è il naturale segretariato internazionale. Qualunque altro segretariato di tal natura può esser utile al mondo profano, se ha radici nel nostro Ordine. Io mi aspetto sempre il giorno in cui di tutti gli Orienti se ne faccia uno solo e questo abbia natural sede in Roma, di fronte all'atea cattolicità di un potere avverso alla scienza ed ai destini dell'uomo.

«“L'esperienza vi ammonisce che quando i meno accorti hanno dato un colpo alla Massoneria, hanno interrotto il corso delle civili iniziative. La sola data solenne - da quando siamo entrati in Roma - è quella del 9 Giugno, data che celebrò il pensiero libero di contro al dogma, data che affermò la nuova Italia, e fu data e fu festa spiccatamente massonica.

«“In quel medesimo tempo Adriano Lemmi, Gran Maestro dell'Ordine, propose un monumento al fratello nostro, all’immenso Mazzini, in Roma: sarebbe stato un documento di civiltà ed un debito di gratitudine. E nol propose a parole, bensì deponendo, sul tavolo, come ci suole, una somma cospicua. Or dove è il monumento? Sorse la linda bizza, e volle trasportare l'iniziativa dell'Ordine Massonico al Parlamento nazionale. Si disputò infelicemente poi come e sul come, ma il monumento non sorse e l'iniziativa falli. Riapparirà, se sarà ripresa dalla Massoneria, ed allora il nostro pensiero civile, da Dante a Mazzini, sarà scolpito in Roma.

«“Quanto alle condizioni locali vi è chiaro che, dopo i tizzi arsi buttati dai demolitori nell'Ordine nostro, qui non apparve nessun'altra associazione, che per autorità, durata, consistenza ne prendesse il luogo. Apparvero associazioni più o meno elettorali, che solleticarono ambizioni personali e speranze equivoche, ma nessuna che desse impulso alla libertà ed alla educazione pubblica. Il prete potrebbe qui rialzare il capo ed allora il popolo domanderebbe a noi: ma che sapete far voi? Bisogna ricostituirci, ed io ho bisogno di tutta la vostra fiducia. Quanto mi darete di forza, tanto ne spenderò per l'istituzione.

«“V'inculco silenzio, longanimità e fede. Le nostre deliberazioni non debbono essere note oltre quel termine: ciascuno deve informare l'ambizione sua ai comuni intenti; e dovete confidare più nel valore, che nel numero. I nostri propositi non ci consentono indulgenza verso i manchevoli, e chi ha da essere mandato vie, andrà!

«“Leggo che l'Imperatore di Germania manderà al Papa un volume dei suoi discorsi evangelici, ed il Papa lo ricambierà con un volume di encicliche. Tra l'uno e l'altro la Massoneria alza il codice eterno della Ragione”».

«Chi teme di restar solo non sarà mai, politicamente, un galantuomo...»

Certo Bovio stesso va storicizzato, e molti suoi accenti, molte sue forzature dialettiche, oltre la purezza della tesi cioè, risentono della temperie che ho prima descritto. Tutto questo do per scontato. Vorrei però chiosare questo ritorno al filosofo, rapido certamente ma sufficiente a rinverdire memorie, a reindirizzare la coscienza verso le tavole morali dalle quali viene difficile derogare per un libero muratore, direi per ogni galantuomo che ami la democrazia e sappia promuoversi alfiere di responsabilità, a meno di farsi quei che Gesù chiamava “sepolcri imbiancati” («belli di fuori, ma pieni dentro di ossa di morti e d’ogni sporcizia»), riportando una pagina di don Rosario Esposito con il quale ebbi corrispondenza e dal quale raccolsi qualche confidenza sulla difficoltà che la stessa Compagnia di San Paolo e le edizioni paoline gli creavano, ancora cento anni dopo la breccia di Porta Pia, nella sua fatica di studioso massonologo. 

Ecco un estratto da Le buone opere dei laicisti degli anticlericali e dei framassoni (con presentazione di Giordano Gamberini), altra volta citato, pp. 48-49: 

«Perdòno delle offese e dedizione alla causa fino al sacrificio s'incrociano nella polemica fra Giovanni Bovio e coloro che gli apparivano troppo condiscendenti con la Chiesa; egli ha pronunciato nei confronti di essa una condanna inappellabile e, ciò fatto, non intende mostrar debolezze di nessun genere, mostrandosi naturalmente molto più brutto di quanto non sia in realtà. I particolari del suo litigio con un sacerdote che l'aveva attaccato troppo aspramente li narriamo nel capitolo sulla carità dei laicisti [fu la volta che sollevò dall’umiliazione un povero prete pentitosi della propria aggressività e presentatosi per ritrattare: “Questa carta offende la dignità umana non fatela vedere a nessuno. Rinunzio alla querela e rinunzio alla dichiarazione. La dichiarazione la porto nella mia coscienza”]. Qui ci preme riferire l'interpretazione ch'egli stesso dà dell'episodio nella prefazione all'atto unico Il Millennio, austeramente intitolata “Agl'Italiani, il XX Settembre”:

«“Ecco: io apriva una lotta, e mi aspettavo lo contrappasso, massime da gente che non perdona, verso uomo che rifiuta il perdono... Molte cose scritte erano invettive e non mi toccavano. Una volta mossi querela contro un prete, che subito si disdisse, ed io aprii la finestra e mandai fuori quella nottola. E che possono dire? Tra me e il Governo c'è quel po' di spazio che trae il Governo a proibire il mio pensiero, non potendolo sommettere a un tribunale di teologi come sottomise il pensiero degli altri ai tribunali militari. Tra me e i chierici non ci sono mai state quelle transazioni che poi ho veduto tra chierici e massoni e radicali, a nessun fine pubblico e con molta prostrazione della coscienza umana. E ne' partiti ho fatto intendere che i miei studi e la vita mi davano il diritto di avere una opinione mia e il dovere di tenerla alta in faccia ad avversari e vicini. Chi teme in qualche occasione di restar solo non sarà mai, politicamente, un galantuomo...

«“Dalla Città di Dio alla Città Terrena era tutto un ciclo, un millennio, che pur bisogna delineare per vedere a che mena questa Città Terrena, che alcuni fanno cominciare da Petrarca, e qui si fa cominciare con Dante. Questo famoso regnum hominis, di cui costruttore è l'uomo, a che mena? Ci farà più infelici con più ardenti e più sterili illusioni, o ci guiderà a rivendicazioni che in parte acquetino le tendenze e i sentimenti dell'uomo moderno?...” [Opere drammatiche, Milano, 1904, Pp. 114-115, 116].

«“In effetti l'intera vita di Bovio, a parte la sua posa ereticale che solo raramente riesce ad uscire dal seminato cristiano, costituisce uno dei più felici tentativi ottocenteschi di coniugazione dell'ideale classico con quello evangelico. La formula del non potersi non dir cristiani fu teorizzata da Croce, ma fu vissuta, giorno dietro giorno, da Bovio. Egli è come l'ape che per quanti sforzi faccia, non riesce ad allontanarsi dal fiore; che per lui è la Bibbia e la Divina Commedia. Realizza un cristianesimo straordinariamente anticlericale, e perciò sovente umiliato dalla fretta e dalla sommarietà di giudizio, ma è un Cristianesimo affascinante».


Fonte: Gianfranco Murtas
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Gian Luca Zanzara

07 Ago 2020

Dev'essere che in quest'estate muratoria cagliaritana lo struzzo è un'animale che piace molto! Ma perché l'Oratore del Collegio non procede con Tavola d'accusa d'ufficio? Al burlone gli si commina una sospensioncina e finisce tutto. C'è solo l'imbarazzo della scelta dall'almanacco delle colpe massoniche. 😁 A breve, sembra di capire, avremo pure la mostra con le indecenze pixellate..... 🙄 Ma fatelo assonnare, questo fratello chiacchierato! Altro che difenderlo e poi inveire contro il giornalista, accusato di scrivere Tavole a pagamento ed ora bandito da Palazzo Sanjust! Ridicoli. Si bandisce la cultura e si salvaguarda lo sfregio. Che altissimi valori morali! Ma facciamoci un esame di coscienza tutti quanti.


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Dario Gabrielli

08 Ago 2020

Sono settimane che seguo. Non credevo ci sarebbe stato un altro articolo, ma è giusto che ci sia stato. Ho letto quasi tutto, molto impegnativo. Mi decido a dire la mia, credo come gli altri, in anonimato. Vado al sodo: storia allucinante! Per tante ragioni. La prima è che se frega 'na sega a nessuno di Bovio, perché questa diciamolo è la verità, altra roba è il vilipendio al Capo dello Stato. Ricordo che nei complicati brindisi emulation, perché questo qui è un emulation, non scordiamocelo, perché sempre da lì vengono le rogne, ce n'è uno dedicato proprio a Mattarella. Ora come si fa a pensare che questo M.V. possa condurre un brindisi del genere e poi dire pubblicamente, con una vignetta su facebook, che 'Mattarella' in italiano dovrebbe essere vocabolo declinato solo al maschile, perciò 'mattarello', con evidente allusione al manganello? Roba da matti! Su questo punto sarebbe interessante conoscere la riflessione del Gran Maestro Bisi. Soprattutto, abbiamo motivo di affermare che il GOI dovrebbe ringraziare Gianfranco Murtas per non aver pubblicato le vignette di Bovio più scabrose. Che però circolano, e nelle quali appare anche una Merkel che sfoggia un ammiccante saluto nazista, poi considerazioni sugli appartenenti al Partito Democratico come uomini da bidè, ed anche donne musulmane di cui si mostra il culo, chiedendosi come mai le scellerate mostrino quest'ultimo coprendosi la faccia con il velo, e tralasciamo ulteriori amenità! La seconda ragione è che si sia alla fine accusato il giornalista Gianfranco Murtas di essere un prezzolato e di non essersi comportato da iniziato, quale è. Bene, intanto se una battaglia esclusivamente ideale è scambiata per altro, ciò denota solo la bassezza morale di chi una cosa del genere può aver immaginato (e ne taciamo per misericordia nome ed alta funzione in seno alla Comunione), poi, si spieghi allora cosa vuol dire "essere iniziati". Forse farsi andare bene tutto? Anche rutti e scorregge nel Tempio? Oppure essere iniziati vuol dire essere vili? Servizievoli con chi vuole insabbiare? Eppure noi abbiamo avuto a Cagliari il fulgido esempio di Armandino Corona! Altro che aver paura ed insabbiare! Terzo errore, qua purtroppo occorre fare un appunto a Bisi. Egli non doveva costringersi al silenzio impostogli dal Grande Oratore e dal Presidente del Collegio sardo. Nel tentativo di soffocare ciò che è troppo enorme per essere soffocato. Ed infatti ora andrà pure in mostra, dopo aver viaggiato, si apprende, nei Palazzi istituzionali a Roma, a rendicontare lo stato di estremo degrado della massoneria cittadina. Ma perché non c'è mai stato un ravvedimento da parte di questo Presidente del Consiglio dei Maestri Venerabili di Cagliari, nel senso di un abbozzo di scuse? Un segnale che avesse compreso l'enormità degli errori commessi? Invece, arrogante e spalleggiato da ignavi e compiacenti (magari divertiti dallo scempio), continua a villaneggiare il santo laico Giovanni Bovio su fb con la pag. GIOVA.


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Maurizio Trudu

08 Ago 2020

Caro anonimo Dario Gabrielli, vedi, c'è da dire ancora qualcosa. Qualcosa che fin qua è stato evocato ma non riferito. Se infatti la profanazione del busto storico del filosofo ed ideologo repubblicano e democratico Giovanni Bovio è stata prontamente derubricata a "goliardia" ed il vilipendio al Capo dello Stato Sergio Mattarella giudicato "simpaticamente" dagli alti dignitari nostrani, che magari, intimamente, l'hanno pure trovato divertente, resta però da chiarire il tenore ideologico di altre immagini pubblicate dal nostro jolly, cui tu pure ti sei riferito e che sono state sorvolate (per così dire) dal giornalista Murtas, forse per non infierire troppo. In uno di questi selfie il jolly indossa un berretto particolare. Della "Decima flottiglia MAS" (non X MAS! E la differenza è grande!). Con una didascalia che inneggia all'ardimento della pazzia (che certo ha poco a che fare con il senno libero muratorio). Per capire la portata di simili messaggi, che poco hanno di subliminale, bisogna comprendere che cosa fu la Decima flottiglia MAS, la quale operò al servizio della repubblica sociale italiana. Faccio come Gianfranco Murtas un pochino di storia: la Xª flottiglia MAS trae origine dai reparti speciali della marina militare italiana, che operarono già durante la prima guerra mondiale sugli appena nati motoscafi con il motto latino Memento Audere Semper, coniato da Gabriele D'Annunzio, che significa "ricordatevi di osare sempre" o "ricordatevi di essere sempre audaci" e si costituì come "Prima Flottiglia MAS" nel 1939 partecipando alla fase iniziale della seconda guerra mondiale come reparto scelto della Regia Marina fino all'8 settembre 1943, quando oltre la metà dei suoi ufficiali che erano rimasti nel territorio controllato dai nazifascisti decise di proseguirne l'attività militare ribattezzandola "Decima Flottiglia MAS" che rimase sotto il comando del capitano di fregata Junio Valerio Borghese, il quale già comandava la "Prima Flottiglia MAS" dal maggio di quello stesso anno. Il principe Borghese strinse immediatamente accordi con il capitano di vascello Max Berninghaus della marina da guerra tedesca ponendo se stesso insieme alla Xª MAS sotto il comando dell'ufficiale tedesco nell'ambito dello Stato fascista repubblichino ed impiegando la sua formazione sia come forza di contrasto all'avanzata alleata sia in operazioni dirette contro i Partigiani e contro la popolazione civile che dava loro appoggio, ordinando alla sua formazione militare metodi di repressione di una violenza e ferocia inaudita. Tanto da essere giudicati alla stregua di crimini di guerra come quelli compiuti dalle SS. Dopo la Liberazione la Xª MAS fu sciolta e numerosi suoi appartenenti furono condannati per i crimini di guerra commessi insieme al suo comandante. Così in numerose sentenze il reparto militare venne apertamente definito come una organizzazione criminale. (continua)


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Maurizio Trudu

08 Ago 2020

Ora, siccome le nostre Costituzioni impongono al Massone di mantenere un contegno pubblico improntato a sobrietà e prudenza, viene da chiedersi se indossare un simile berretto, fotografarsi e postare il tutto allegramente su fb sia in sintonia con l'appartenenza all'Ordine. Soprattutto con il ricoprire, per di più, un ruolo di presidenza di un consesso di Maestri Venerabili. Io credo di no. Vilipendio, apologia di fascismo, minchionaggine, il tutto in salsa cagliaritana. "A scabecciu", potremmo dire. C'è davvero da domandarsi se Stefano abbia compreso bene cosa c'è in ballo qua a Cagliari o si è fidato delle balle rassicuranti che qualcheduno, da piazza indipendenza, gli ha riferito. Perché ad un certo punto si dovrà pur dire da che parte sta l'Istituzione. Se dalla parte del "companero" massone Salvador Allende (su cui Stefano ha scritto), o con questi piccoli, ma rudi ed arditi personaggi. Nel frattempo l'Oratore del nostro Collegio si desti dal letargo. Visto che ricadrebbe tra i suoi compiti di provvedere. A tutela dell'onorabilità e del buon nome di noi tutti.


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Maurizio Trudu

08 Ago 2020

Crimini di guerra della Xª flottiglia MAS, sul berretto del nostro jollone: - Valmozzola (PR): 17 marzo 1944 fucilazione di otto partigiani presi prigionieri per rappresaglia; - Forno (frazione di Massa), 13 giugno 1944: 68 persone (tra le quali il maresciallo dei carabinieri Ciro Siciliano, che cercò di impedire il rastrellamento), per lo più civili e qualche partigiano, vennero uccise da un reparto di SS e da uomini della Compagnia "O" della Decima al comando di Umberto Bertozzi (che secondo alcune fonti fu colui che selezionò chi tra i prigionieri sarebbe stato fucilato) in quella che viene ricordata come la Strage di Forno; - Borgo Ticino (NO), 13 agosto 1944: 12 civili vengono fucilati, in collaborazione con le SS, mentre il paese viene saccheggiato e incendiato, in quella che viene ricordata come la Strage di Borgo Ticino. Per la prima volta viene applicato il bando Kesselring di rappresaglia per il ferimento di quattro soldati tedeschi: al paese venne chiesto un risarcimento di 300.000 lire a compensazione del fatto e per evitare l' esecuzione, ma dopo aver riscosso la cifra, come ammesso anche al processo dal Capitano Krumhar che guidava il gruppo delle SS, la fucilazione e le successive violenze avvennero ugualmente in modo particolarmente spietato; - Guadine (fraz. di Massa), 24 agosto 1944: rappresaglia sulla popolazione civile, ritenuta fiancheggiatrice dei partigiani, con 13 civili massacrati. Il paese e le sue frazioni furono quasi completamente bruciati e distrutti. L'operazione probabilmente aveva anche lo scopo di bloccare eventuali fuggitivi dalla contemporanea azione della 16ª SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, agli ordini del maggiore Walter Reder e degli uomini della Brigata Nera di Massa, che si stava svolgendo a Vinca (comune di Fivizzano); - Castelletto sopra Ticino (NO), 2 novembre 1944, dopo l'uccisione, in azione, da parte dei partigiani del sottotenente di vascello Leonardi, pubblica esecuzione esemplare: un ufficiale della Xª flottiglia MAS fa fucilare in pubblico cinque partigiani "garibaldini" detenuti ad Arona, dopo aver raccolto una folla obbligata ad assistere; - Crocetta del Montello (TV): tortura di sei partigiani tramite fustigazione e ustioni con stracci imbevuti di benzina e accesi. I sei partigiani, presi prigionieri dal tenente dalla Xª flottiglia MAS Filippo Mariucci, furono poi sommariamente fucilati lungo il muro esterno del cimitero di Ciano del Montello il 2 gennaio 1945. Così, per gradire.


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Maurizio Trudu

08 Ago 2020

E questo per non scordare l'altra "avventura" di Borghese. La notte di Tora Tora:


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Maurizio Trudu

08 Ago 2020

https://youtu.be/6OE_nAlMXDI


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Ermanno Ganau

09 Ago 2020

È vero fratello caro. Qua non c'entra la goliardia, qua è un sentire silenzioso e strisciante che ci trasforma. Pericoloso ancora di più perché tollerato da chi ha incarichi istituzionali nell'Ordine. Complice un becero garantismo, del quale il nostro presidente del Collegio è fautore, che non è a tutela ma ad estremo detrimento dell'Ordine. Un sentire sovranista ed anti-ecumenico che nulla ha a che fare con la Massoneria, che ha vocazione universale. Intendiamoci, per sovranismo non si intende la legittima prerogativa della difesa degli interessi patri, ma quella miscela esplosiva (ed il nostro proprio di esplosioni sotto il ritratto del Gran Maestro ci parlava, in uno dei suoi selfie) di populismo, nostalgia di "pieni poteri", revanscismo in chiave moderna, reali pericoli per la democrazia. In Italia come in europa. Per tutto questo, proprio per tutto questo, a noi di Giovanni Bovio, invece, "frega"! E frega tantissimo!! Proprio tanto tanto. Perché in Bovio è la Tradizione giustinianea (o del GOI se si vuol dire così), una Tradizione ferita mortalmente a Palazzo Sanjust; in Bovio è la Democrazia avanzata. E se alcuni di noi lo incappucciano, lo bendano, lo ricoprono di parrucchini scopriamo che è l'idea stessa democratica ad essere ferita nel corpo delle logge locali! Questo vogliamo dire a Stefano Bisi. Perché in Bovio è l'antifascismo (quando consideriamo che il monumento originale fu abbattuto dai fascisti e se consideriamo che questo nostro doppione in gesso pesante fu sequestrato dai fascisti nel 1925); in Bovio effigiato nel busto nostro dobbiamo sentire quel che Bovio evocò presentando il monumento di Giordano Bruno a Campo de Fiori nel 1889. Perché in quei monumenti, in quei busti, ci sono gli uomini. Nel busto dileggiato di Bovio c'è la sua testimonianza civile e politica, c'è la sua coscienza libera e il suo pensare democratico. La goliardia è altra roba, da studenti, non da Maestri, meno ancora da Maestri Venerabili. Le notti della repubblica, come quella del golpe borghese, della strage di bologna, della strage di piazza fontana, hanno tutte radici fasciste. E se oggi queste foglioline, forse più ingnoranti che pericolose, germogliano in seno al GOI vanno comunque spazzate via con decisione, annientate! Altro che garantismo, perdono e tolleranza.


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Mimmo Ebau

09 Ago 2020

Fratelli, non prendiamo sottogamba questa vicenda dell'oltraggio a Bovio, del vilipendio a Mattarella e della propagazione di ideologie neofasciste nella nostra Istituzione! Molti Fratelli, che come me hanno parecchi anni di frequentazione a Palazzo, sanno che un tempo il Fratello in questione riferiva (millantava?) una sua vicinanza con apparati coperti. Per dirla in modo più esplicito, i Servizi Segreti. Molti Fratelli sono, come me, a conoscenza di questa circostanza e se leggono potrebbero riferirne privatamente al loro Venerabile, che valuterà poi come comunicare la notizia al Presidente del nostro Collegio. Personalmente sono sempre stato certo si trattasse di una fandonia, ma visti questi sviluppi recenti meglio operare per la più assoluta chiarezza. A beneficio della legalità.


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Pasquino Lepori

10 Ago 2020

Mimmo Ebau, torniamo nel seminato! Che qua gli unici "servizi" degni di nota sono quelli, sempre mal funzionanti, di Palazzo Sanjust! Dove tiri lo sciacquone e ti resta in mano la maniglia! Che la mitomania compulsiva è patologia da trattamento sanitario obbligatorio, e di medici in grado di diagnosticarla ne abbiamo tanti (anche professori), mentre noi scalpellini ci dobbiamo arrestare alle Tavole (quelle d'accusa), e giusto appare il richiamo all'Oratore del Collegio. Che tra i suoi compiti ci sarebbe anche quello d'intervenire d'ufficio; e se non lo fa è culpa in vigilando. Dato che di materiale fornito ve n'è in abbondanza, tra selfie vaneggianti, vignette oltraggiose verso cariche dello Stato, ghigni fallici che ancora troneggiano sotto Bovii bendati e berretti quantomeno inopportuni. Ma sia chiara però una cosa, che si deve essere Fratelli anche di fronte all'infamia del Fratello: il soggetto non va espulso dalla Comunione, non va "preso a calci" come qualcuno ha detto, non va "annientato" (seppure comprendiamo le ragioni di una simile vis polemica)! Va punito, certo, ma va anche subito riaccolto. Perché nostro dovere è educare alla massoneria coloro che, iniziati sul piano formale (ed iniziati gli abbiamo noi), non lo sono mai stati su quello sostanziale. Troppo comodo sarebbe punire, senza poi assumersi l'obbligo di rieducare ad un serio decoro massonico. Questa, tra comprensibili vergogne ed imbarazzi (ma si capisca che anche questi fanno parte della vita e del percorso), è l'unica strada che dobbiamo trovare il coraggio di intraprendere. Se saremo capaci, una volta tanto, di fare i conti con i nostri sbagli. Per quanto attiene la mitomania, invece, essa andrà trattata a parte, se del caso, da Fratelli nel campo delle patologie psicologiche che potranno eventualmente prestare la loro opera gratuitamente, nel silenzio e nell'anonimato che merita la situazione. Questo interessamento fraterno sarà affare per il Presidente del Collegio. Insomma, per dirla tutta, cerchiamo di risolvercela tra di noi questa "rogna". Che per tanto immobilismo è andata fin troppo oltre!


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Pasquino Lepori

10 Ago 2020

Intanto, per ora fuori da Palazzo Sanjust, ma lavoreremo affinché possa starci dentro!, c'è una Cagliari che onora Giovanni Bovio con il frutto della scrittura. In un asse ideale Cagliari-Trani e viceversa, molto lontana dalle provocazioni idiote e pseudofasciste di cui il nostro busto di piazza indipendenza è stato oggetto: https://www.cagliaripost.com/premio-nazionale-giovanni-bovio-sezione-il-verbo-novello-1-classificata-la-scrittrice-di-cagliari-claudia-caredda/


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