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Gianfranco Murtas

Angelo Pittau ventenne, collaboratore di “Nuovo Cammino”

di Gianfranco Murtas

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In Viaggiando Chiesa – il ripasso biografico dei suoi ottant’anni –, don Angelo Pittau richiama le prime esperienze giornalistiche, o meglio giornalistico-narrative e poetiche del lungo corso. Lo fa nelle prime pagine quando ricorda di aver costituito con i compagni delle medie e del ginnasio al seminario minore di Seddanus a Villacidro – con Peppetto Nonnis, Petronio Floris, Salvatore Spettu… - un giornalinoEmergere era la testata – che catturò subito una certa simpatia da parte del rettore monsignor Abramo Atzori.

Questi era giornalista lui stesso, a mo’ del giornalismo dei preti del tempo naturalmente, e dirigeva (essendone anche stato il vero fondatore nel 1948) Nuovo Cammino, il periodico della diocesi di Ales. Dove, proprio lui, don Abramo, accolse più volte, precisa Angelo Pittau, «alcuni miei racconti e mie poesie»: «Scrissi una poesia per la morte di “Mamma Marietta” la madre di mons. Tedde. Mons. Atzori la pubblicò. Pubblicò anche un mio racconto breve: narravo con ingenuità di un momento incantato in una gita che la maestra Camboni ci fece fare a Narti, quando le mimose erano in fiore. Narrai come la maestra si sedette su una roccia vicino al fiume e si allargò a campana il vestito. Io raccolsi dei fiori, delle mimose e le misi attorno al suo vestito. Narrai del suo incanto e del mio turbamento. Mons. Atzori pubblicò il racconto e con il racconto lo schizzo del pittore Marchionni. Quando incominciai a pubblicare ero ancora in ginnasio…». 

Purtroppo, nelle collezioni (ampie ma lacunose) presenti nelle varie biblioteche pubbliche di Cagliari – tutte compulsate – non ho trovato quei più lontani contributi del ragazzo Angelo Pittau 16-17enne, ora nel passaggio fra Villacidro e Cuglieri. La madre di monsignor Tedde scomparve nel febbraio 1957.

Poi naturalmente continuarono le collaborazioni. Furono numerosi gli articoli stesi e firmati in associazione prevalente con Petronio Floris (attuale, e già da diversi anni, direttore del periodico diocesano): partivano dal seminario regionale di Cuglieri, tanto più nei primissimi anni ’60, quando si trattò di riferire anche della politica di Rinascita come il presidente della Giunta regionale Efisio Corrias ed i suoi assessori cercavano di presentarla ai chierici così come in altri contesti sociali e associativi dell’Isola.

Ho, per molte ragioni, una simpatia speciale per il giornale alerese. Anni fa, in una lettera proprio all’amico Petronio Floris avevo proposto uno studio collettivo delle collezioni del giornale. In una pagina speciale Nuovo Cammino ne dette conto il 12 luglio 2015, ma in una rielaborazione che avevo creduto di fare per consegnarla al blog di Enrico Lobina che la aveva postata il 26 giugno 2015 (titolo “Storie di preti, vescovi, comunità e… di un giornale molto amato, e di memorie vietnamite”): i riferimenti al Vietnam (pertinenti al vissuto di don Angelo Pittau) coinvolgevano infatti direttamente Enrico, che sulle vicende storiche e sociali vietnamite aveva scritto la sua tesi di dottorato in scienze politiche. 

Superata la stupida censura originaria di Nuovo Cammino – e tanto più stupida perché immotivata e perché compiuta da un prete (si vede che anche i… progressisti sono segnati dalle antiche pratiche epurative del clero illiberale d’un tempo) – e ripristinato il corso collaborativo sempre offerto al giornale di tanta mia affezione, eccomi qui dunque, in onore di don Pittau e anche come augurio di pieno recupero di salute a don Floris, al rilancio di quel progetto di repertorio generale delle migliaia di articoli pubblicati dal 1948 ad oggi. Per almeno i due terzi di tale periodo, infatti, non potrebbe soccorrere, nei ricacci, la tecnologia informatica e una schedatura materiale sarebbe insieme storia del giornale, storia delle comunità civili del medio Campidano, Marmilla e Terralbese, storia delle comunità parrocchiali in capo al vescovo di Ales, storia delle persone (e delle generazioni!) e storia degli eventi, storia di un territorio ora chiamato a declassamento – almeno in apparenza declassamento – anche ecclesiale. 

Ma non solo voglio riproporre il repertorio. Voglio anche presentare quel che ho trovato, nelle collezioni di Nuovo Cammino, degli scritti adolescenziali o di primissima giovinezza di don Angelo Pittau. Due racconti e una composizione in versi. 

A seguire sono dunque questi vari contributi. Di quasi sessant’anni fa quelli letterari di don Angelo. Più recente, ma ovviamente datato anch’esso (del 2015, come ho già precisato) il mio.

Per un repertorio del periodico diocesano

Si avvicinano le date di calendario che da sole possono raccontare, con suggestione che va per magici automatismi, tutto il senso della vita dei preti e, nel caso, di don Angelo Pittau – prete glolocal già prima che fosse ordinato – e del direttore di Nuovo Cammino, don Petronio Floris, così come dei loro compagni di corso al seminario regionale di Cuglieri, in specie di quelli della stessa diocesi di Ales-Terralba chiamati a concelebrare con papa Francesco l’altro ieri (il 19 giugno): sono date che segnano i cinquant’anni di messa.

E certo la coscienza conta più del calendario, ma il calendario – con il preciso riferimento temporale a quel mezzo secolo dall’evento tanto atteso – rimanda, in un indistinto come in un film in rewind, al concreto della missione ampia e varia onorata con il dono, sempre, del meglio delle proprie energie, della propria generosità e abilità nella conduzione comunitaria o degli uffici ricevuti. Vale per il direttore di Nuovo Cammino, ordinato in San Gavino dalle mani dell’indimenticato vescovo Antonio Tedde – vescovo degli agricoltori e dei minatori, il vescovo che abolì le tariffe liturgiche vent’anni prima del Concilio! – il 18 luglio 1965, vale per don Pittau, prete-omnibus e poeta universale che già l’11 luglio festeggerà in Villacidro il suo giubileo…

Fu un anno importante, per la diocesi di Ales-Terralba, quel 1965, perché furono in sette allora a raggiungere l’obiettivo che si erano dati già da ragazzini e sempre confermati nel tempo successivo, fra adolescenza e prima giovinezza, seguendo gli studi prima al Diocesano di Villacidro, poi al Regionale di Cuglieri.

Per due settimane mi sono rinchiuso full time, mattina e sera – con Andrea Giulio Pirastu –, in Biblioteca universitaria, a Cagliari, e per svariate ore anche nella bella biblioteca della Camera di Commercio ed ho spulciato circa diecimila pagine di Nuovo Cammino dai primi anni ’50 – immaginando questi giovanissimi seminaristi già allora “prigionieri” della talare, alle medie e al ginnasio di Seddanus – al capitale 1965, agli anni immediatamente successivi, diciamo pure al 1970, anno della visita cagliaritana di papa Paolo VI, o al 1971, quando il Regionale fu trasferito da Cuglieri a Cagliari…

Avevo recuperato, molti anni fa, qualche pezzo – tre-quattro forse – di scritti di don Angelo Pittau (presto volato nell’inferno del Vietnam) e di don Petronio Floris (presto incaricato della cappellania di Montevecchio) risalenti proprio alla vigilia della loro ordinazione presbiterale. Erano quelli gli anni magni del Concilio e, con riferimento alla nostra storia regionale, quelli di impostazione della politica di Rinascita. I chierici al completamento degli studi di teologia a Cuglieri ricevettero anche la visita, nel febbraio 1964, del presidente della Regione Efisio Corrias – senz’altro uno dei migliori esponenti della classe politica sarda di quel tempo – che illustrò la filosofia riformatrice e innovativa della Rinascita, quel principio di aggiuntività degli stanziamenti cui lo Stato centrale si era impegnato per un dodicennio, il collegamento che la Rinascita sarda voleva avere con il primo tentativo di politica di programmazione, a livello nazionale, propria del centro-sinistra allora all’esordio con i governi Moro, tesa a riequilibrare negli investimenti e negli standard di vita le regioni del nord e quelle del sud. E don Angelo e don Petronio, giovani di 22-23 anni furono, fra il 1962, il 1963 e il 1964 prolifici autori di articoli apparsi nella pubblicistica cattolica non solo alerese. Ho schedato almeno cinquanta loro pezzi di quel triennio fecondissimo.

Padre Giuseppe Pittau S.J. – futuro rettore della università Sophia di Tokio, futuro arcivescovo ed incaricato, negli anni ’80, della sovrintendenza alle università e accademie cattoliche di tutto il mondo – aveva iniziato a farsi conoscere per quel gran valore che si portava addosso, ricevendo ripetutamente le attenzioni del giornale, ma poi ecco che dal 1962 fu Pittau jr., don Angelo ancora agli studi, a farsi conoscere ora per le sue poesie – che da allora cominciarono ad essere pubblicate in sillogi di case nazionali che costituiscono oggi una preziosità editoriale – o i suoi racconti (rubrica “Racconto della settimana”), ora per le recensioni letterarie o spirituali o per la rassegna stampa (“Ciò che non scrivono i giornali”). Don Petronio non fu da meno.

Contro la fame nel mondo (a Villacidro si radicò in quel tempo la Lega Missionaria Studenti) fu un articolo ancora di don Angelo sul numero 11 del 14 marzo 1963, e guardando al continente nero fu invece del suo collega il pezzo titolato “Ottanta milioni di africani sono disponibili per Cristo” uscito su numero doppio 20-21 del 23 maggio 1963. E poi ecco gli articoli, documentati e gustosissimi, usciti a puntate sulla comunità rurale di Sa Zeppara, quello sui licenziati dalla scuola ENALC, quegli altri – a mo’ d’inchiesta condotta unitamente a don Angelo nell’arco di vari mesi – sulla Rinascita in atto, “A che punto i progetti d’industrializzazione della Sardegna” e “Intervista all’on. Alfredo Atzeni assessore agli Enti Locali” (ecco i titoli, questi ultimi sul numero 10 del 12 marzo 1964), ecc.

Sì, erano proprio numeri di Nuovo Cammino ad alta intensità di firma Floris e di firma Pittau, e/o di firma abbinata, come poi molti anni dopo, ma neppure tanto, dieci-quindici forse, avremmo ritrovato su Confronto – tiratura cinquemila copie, diffusione regionale per quindici anni pieni –, cui anch’io collaborai. Ancora don Angelo sui lavori del Concilio ecumenico o sul quarto centenario della istituzione dei seminari, ancora don Petronio sui movimenti diocesani in seno all’Azione Cattolica, o sulle attività nel Seminario di Cuglieri da cui ancora non s’erano licenziati…

Sul numero 15-16 dell’11 aprile 1963 ecco anche una lettera al direttore monsignor Atzori, sotto il titoletto “Perché i corrispondenti non scrivono”: «Caro direttore, ogni sabato, puntualmente, dieci copie di Nuovo Cammino raggiungono i chierici di Ales, una copia per ciascuna delle otto classi, più due abbonamenti personali. Praticamente un giornale per cinque o sei lettori…». La proposta era allora di un sondaggio circa il gradimento del giornale esteso ai chierici di liceo e teologia, circa le preferenze dei temi o delle rubriche, circa le modifiche ritenute opportune…

Chi formula quelle proposte è ormai lui, da cinque o sei anni, il direttore del giornale, che ha buona circolazione fra Marmilla e medio Campidano. Egli ora è stato fatto destinatario da me, laicus quidam cagliaritano da molti anni abbonato a Nuovo Cammino di una proposta innovativa che si muove sulla linea di meglio associare la testata giornalistica al vissuto del territorio… Perché non mettere insieme un gruppo di cinque-sei-dieci giovani di buona volontà (e qualcuno, unendo l’utile al faticoso dilettevole, potrebbe farne materia perfino per una tesi di laurea!) e procedere, armati di pc, al completo repertorio del giornale negli anni dell’episcopato Tedde, fra 1948 e 1982, o almeno fino a quel 1970 anno della visita cagliaritana di papa Paolo VI? La Biblioteca universitaria di Cagliari possiede le annate pressoché complete dal novembre 1951 al 1971 (è presente anche un numero del 1948), la Camera di Commercio quelle del triennio 1960-1962; annate ricche ne trovai a suo tempo, non schedate, anche nella biblioteca del Consiglio regionale, ma immagino che la redazione in Ales o il Seminario diocesano, e forse il Cenacolo di San Gavino o qualche parrocchia particolarmente organizzata o qualche biblioteca comunale del territorio posseggano anch’essi, e felicemente complete, le collezioni.

E dunque, fra Cagliari ed Ales, Villacidro e San Gavino, ecc. potremmo lavorare a un regesto dei titoli e delle firme. Una bella équipe che in fraternità potrebbe operare, coordinata, spalmando la fatica fra diversi colleghi: ciascuno potrebbe prendersi uno, due, tre annate da compulsare e schedare nel suo pc. Periodicamente ci si potrebbe incontrare per gli utili aggiornamenti. Ci si potrebbe dare tempo un anno, lavorando con calma e bene e preparando una pubblicazione da presentare al successore, quando verrà, del vescovo don Giovanni Dettori, altro allievo di quel Seminario cuglieritano che fu ordinato, anche lui – ma in diocesi di Ozieri –, nel capitale 1965…

Ed ho aggiunto un’altra idea, pur se mi rendo conto della sua maggiore difficoltà attuativa (soprattutto d’ordine finanziario): a complemento di una pubblicazione storica/regesto degli articoli di Nuovo Cammino, si potrebbe azzardare la ristampa in anastatica di una selezione delle pagine particolarmente significative sotto il profilo della storia ecclesiale e civile raccontata dal giornale: cento pagine di formato ridotto.

Il giornale e la storia locale, premessa a quanto sarebbe venuto negli anni successivi, fino a questi più recenti. Il cui top io vedo nei versi alti di Angelo Pittau, quelli dedicati al Vietnam. E in cui, in modo assolutamente originale, si esprime quel potenziale di universalità che Giuseppe Dessì assegna a Villacidro ed ai villacidresi:

«Oggi / a Khe Sanh / nella pista ieri terrore e morte / piantano il caffè / dell’incontro e dell’amicizia / i combattenti reduci / coi figli dei combattenti morti.

«a Vinh Moc / dalle viscere della terra rossa / sale ancora il tepore del sangue / dei martiri della resistenza / ad accendere il tuo orgoglio / di Vietnamita / e il tuo tenero desiderio / di amore e di pace» (da Le stelle di terra, 1999). 

Angelo Pittau 1) Una sera al mare… (Nuovo Cammino, n. 29/9 settembre 1962)


Stasera non ho sonno. Me ne vado in riva al mare a sedermi. Le onde lambiscono quasi i miei piedi, anzi qualcuna va più in là del previsto. L’acqua è calda: ed è una sensazione strana che dà al mio corpo.

L’alta marea forse è già iniziata ma non ho voglia di spostarmi. Me ne resto a contemplare le luci del paese che danno sul golfo e le luci dei fari di Capo S. Giovanni e di Capo Frasca.

E’ una notte di luci. La luna enorme comincia a salire dalla pineta, il cielo pieno di stelle, il mare punteggiato dalle luci delle barche che, all’imboccatura del golfo, pescano.

Sono luci immobili e sempre uguali. Luci che non variano da notte a notte che pure per chi spesso le contempla aiutano nello scavare sempre più profondamente l’anima.

Oggi non sono le luci che voglio guardare. E’ un mondo nuovo che voglio conoscere, scrutare e, se ci riuscirò, amare.

So che una barca da pesca verrà vicino alla nostra casa per gettare le reti. Io voglio vedere gli uomini di questa barca lavorare, forse riuscirò a rubare loro qualche segreto, qualche segreto che inconsciamente custodiranno tramandandoselo da millenni.

… Sono arrivati lentamente, senza che io me ne sia accorto. Il tocco dei remi è delicatissimo. Non hanno luci, se luce non si vuol considerare la sigaretta accesa.

Gli uomini scendono dalla barca per preparare la rete. Sono cinque, quattro “marineris” e il padrone della barca. Quando la rete è pronta la rimettono in barca. Il padrone con due “marineris” restano nella riva a tendere la fune. Gli altri due prendono il largo per gettare la rete. Si allontanano silenziosi, silenziosi sono anche gli uomini che sono con me.

Non oso parlare. Guardo la barca che prende il largo: descrive una retta, poi una leggera curva e ritorna con la stessa snellezza a riva.

I due uomini della barca scendono e prendono l’altro capo della fune che tiene la rete. I due gruppi sono lontani tra di loro una ventina di metri e si vedono a stento. Pure incominciano assieme a tirare.

È meraviglioso osservarli: tirando sembra che danzino, un ritmo ancestrale che si è fissato nel sangue: un ritmo naturale quasi come il battito del polso. Tirano zitti ed assorti quasi compiendo un rito religioso. Forse è per questo che temo di disturbarli: questi uomini compiono qualche cosa di sacro o almeno lo compiono come se lo fosse.

Un atteggiamento simile l’ho notato anche nel contadino che semina, nel pastore che apre col coltello il latte coagulato a forma di croce prima di iniziare a fare il formaggio.

La rete ormai è tutta nel lido agitata dai pesci ancora vivi.

Anguille, carpe, muggini, orate, triglie si dibattono per cercare di tornare in acqua. Ma i pescatori con mano ferma li prendono e li buttano nei cesti.

La prima retata è finita. Per tutta la notte continueranno a buttare e a ritirare la rete. Ma il brivido di questa prima retata non sfuma, anzi si fa più profondo anche se ormai parlano con me.

Me ne sto a lungo sdraiato nella sabbia a guardarli. Ho fatto passare una bottiglia di vino e il discorso cade sui vini, sulla pesca, sulla caccia al cinghiale.
Si parla, si parla e loro tirano anche la fune sempre con lo stesso ritmo, sempre con lo stesso rito.

Senza accorgercene si è fatto tardi, la mezza è passata. Non posso non notare che il tempo è passato con lo stesso incantesimo delle notti trascorse nell’aia da piccolo… Inutile! Sono contadino e se devo paragonare qualcosa l’esempio lo trovo sempre nel mio mondo.

Forse perché quello che ho visto oggi ha lo stesso incanto del mio mondo. Gli stessi uomini hanno la stessa venatura filosofica, lo stesso parlare sentenzioso, la stessa inclinazione mistica.

È tardi. Con negli occhi ancora il dibattersi dei pesci nella rete me ne vado a dormire. Forse stanotte sognerò d’esser pescatore anch’io e nel sogno capirò per un attimo quel mistico danzare dei pescatori.


Angelo Pittau 2) Novembre (Nuovo Cammino, n. 39/22 novembre 1962)


Sono venuto in cimitero. Ci sono venuto io, non mi ci hanno portato: mi ci porteranno un’altra volta anche se non ci vorrò andare.

C’è molta gente. Si vede che ieri sera non sono potuti venire per la molta pioggia. Oggi c’è un bel sole e gli abiti d’inverno messi da poco danno fastidio, servono però a dare contegno e serietà anche a chi non ne ha punto voglia.

Recitando i miei requiem mi distraggo ogni tanto a guardare le tombe e le cappelle delle famiglie: c’è sul serio da curiosare. Leggo tanti nomi di gente mai sentita nominare, guardo tante foto; chissà perché mi sono incontrato proprio con questi nomi, con questi volti? Li giudico dalle loro lapidi, dai loro fiori, dai loro monumenti: non giudico loro. Giudico i loro parenti: poveri o ricchi, superbi o no, avari o boriosi: è facile giudicare questo.

Mi incuriosisce anche la gente viva che incontro. Ragazzi, giovani, uomini e donne: tutti con un forzato viso triste. Però qualcuno l’ha sul serio il viso triste: quelli vicino alle tombe scavate da poco!

Incontro un prete seguito da un chierichetto: ogni tanto si ferma nelle tombe e recita il “De Profundis”: a guardare bene, si ferma dove glielo chiedono. Dove non c’è nessuno non si ferma. E’ illogico: dovrebbe fermarsi proprio dove non ‘è nessuno, dove non ci sono lumi né fiori… Forse è illogico perché entra nella mia “forma mentis”: una cosa simile nella mia infanzia non l’avevo mai vista.

Non è il mio paese questo (stavo pensando il mio cimitero…!): è per questo che tutto mi incuriosisce e molto quasi mi urta. Questo cimitero mi piace più come belvedere: si gode una visione magnifica e sembra sprecata. Mi viene a mente il cimitero del mio paese. L’anno scorso, al 2 novembre, ero lì.

Il cimitero era pieno di gente: c’erano molti giovani. L’atmosfera psicologica non era così pesante, così artefatta. C’erano i tristi e c’erano quelli che non lo erano e che non fingevano di esserlo. Tutti quei giovani vestiti a festa, con la loro ragazza non sembravano anacronistici: è tradizione che il due novembre si faccia la passeggiata verso il camposanto, come è tradizione (che so io?) che il giorno di San Pietro si passeggi nell’ “Osteria”.

Quest’anno l’hanno aumentato. Ma per me il mio cimitero (l’ho detto finalmente!) sarà il pezzo che sempre ho conosciuto come cimitero. L’altro pezzo sarà sempre la scorciatoia per andare nei giardini di “Paulis”. Ci si passava solo di giorno. Di notte non ci passava nessuno: si aveva paura. Ma i morti non devono far paura. Ed io ci passavo giusto a mezzanotte quando andavamo ad innaffiare l’orto, per far vedere ai miei fratelli più grandi che non avevo paura: e mi affacciavo anche ai cancelli. Ora il sentiero è scomparso: hanno eretto un bastione e colmato di terra il fosso per allargare il cimitero. L’effetto è quello di un vecchio e dignitoso abito da cerimonia allungato con stoffa nuova e dai colori sgargianti.

Sorrido al paragone. Il compagno che mi è vicino mi dice perché sorrido. E’ impossibile spiegargli il perché. Gli dico che è il sacrista che mi fa ridere. Ci crede e sorride anche lui: il sacrista in sottana e cotta e berretto a visiera segue un prete biascicando “De Profundis”. E’ veramente discreto nel ricevere le offerte senza che il prete se ne accorga. Il riso ormai si propaga a tutti i miei compagni… una cosa che non può non far ridere a pensarci. Ma a me fa piangere, anche se è la gente che lo vuole. Ma questo non giustifica niente.

Continuo i miei strapazzati “requiem” cercando di distrarmi il meno possibile. Ma la cosa è assai ardua. Sarà la giornata, sarà la gente… Ma quello che colma la misura è vedere nel sacrario le ossa conservate in una lunga fila di cassette di sapone “Asborno”. È troppo!

Esco dal cimitero con un gran vuoto e con la bocca amara.

Tutti in una cassetta di sapone “Asborno” finiamo?


Angelo Pittau 3) Fremiti nuovi (Nuovo Cammino, n. 30/12 settembre 1963)


Fremiti nuovi hanno le onde dei mari 

lambenti le terre;

fremiti nuovi hanno i venti del cielo

sfiorando i monti, i piani, le valli, l'erbe e gli alberi; 

fremiti nuovi hanno le terre ai sussulti

dell'onde e dei venti:

un messaggio, un richiamo gli abissi

 si sono scambiati nella notte


Le stelle, i candelabri di Dio,

hanno raccolto Il messaggio, il richiamo

che dagli abissi del cielo e del mare veniva

e li chiamava

là dove la terra si congiunge col mare e il mare col cielo 

in ineluttabile abbraccio.


E procedono veloci le stelle

allontanandosi dalle spiagge dell'Oriente e dell'Occidente. 

Violando le tenebre,

comete sfreccianti nell'onde amare

si incontrano, si fondono e insieme procedono

spinte innanzi dall'inseguirsi dell'onde e dei venti.

Ma ecco la stella del candelabro di Dio e del mondo 

procedere sicura nel buio

e subito sicure tutte le altre seguirla. 

Lontane le spiagge e le terre sono 

fondi gli abissi che sfiorano

dure le tenebre che vincono

cupe le acque che solcano

violenti i venti che dominano 

lontano il porto che cercano

veloce la guida che seguono

ma vanno, vanno, vanno...

Fremiti nuovi hanno le stelle dei candelabri di Dio.


Di stella in stella un inno si leva

per la guida che sicura fende il buio, 

vince le onde e orienta la rotta.

Si fa potente come tuono l'inno

accompagnato dalle melodie delle corde 

su cui gioca Il vento:

è un navigare di luci e di canti questo 

ai limiti del cielo e del mare

dove nessuno ha mai navigato Immune.


Fremiti nuovi ha la stella del candelabro di Dio e del Mondo. 

Fremiti nuovi hanno le stelle, i candelabri di Dio;

dagli abissi viene a loro

più splendente di sole in Oriente 

la stella del Mattino

autore del messaggio e del richiamo. 

L'alba è l'incontro loro

l'alba di un giorno eterno

nel mare, nel cielo, e nelle terre. 

Fremiti nuovi avranno i figli di Dio...




Fonte: Gianfranco Murtas
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