Antonello Angioni: “25 aprile 1945, 25 aprile 2020, a Cagliari con Cesare Pintus”
di Gianfranco Murtas
Lo scorso mercoledì, in una tornata consiliare svoltasi in videoconferenza, il consigliere comunale di maggioranza Antonello Angioni ha ricordato, con un breve intervento in apertura di lavori, la nobile figura di Cesare Pintus, sindaco di Cagliari nei diciotto mesi che segnarono il passaggio dall’armistizio con le potenze alleate alla democrazia realizzata con il ritorno della popolazione alle urne per la libera scelta della rappresentanza (prima comunale, poi politica).
Spiace che al riguardo non sia intervenuto, salvo errore, alcun consigliere della minoranza. Quasi che l’evento non lo meritasse.
L’occasione mi dà lo spunto per qualche riflessione. E intanto però vorrei richiamare testualmente quanto pronunciato dal consigliere Angioni:
“Sabato 25 aprile la Repubblica Italiana celebra i 75 anni dalla Liberazione: si tratta di una ricorrenza importante che, nonostante l’emergenza sanitaria, non può passare in silenzio.
“Voglio pertanto brevemente ricordare Cesare Pintus, il sindaco di Cagliari del 25 aprile 1945, un vero democratico. Nato a Cagliari il 4 agosto 1901, di formazione mazziniana, durante il periodo degli studi universitari, fu segretario della locale sezione repubblicana. Nel 1930 aderì, con altri repubblicani e sardisti (tra cui Emilio Lussu), al movimento “Giustizia e Libertà”, ragione per la quale lo stesso anno venne arrestato e poi condannato a dieci anni di reclusione (di cui cinque scontati) oltre a tre anni di libertà vigilata e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Durante la prigionia contrasse la tubercolosi e, quando fu scarcerato, non poté esercitare la professione forense in quanto, in esito ad un procedimento disciplinare, era stato radiato dall’Albo. Verrà riammesso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati nel 1944.
“All’indomani dell’armistizio, Pintus fondò nel Cagliaritano il Partito d’Azione, divenne segretario del Comitato provinciale di concentrazione antifascista e fu redattore del quotidiano “L’Unione Sarda”. Per unanime deliberazione dei partiti democratici (riuniti nel Comitato di Concentrazione Antifascista di Cagliari), sugellata da delibera del Prefetto Mocci, assunse la carica di sindaco dall’ottobre del 1944 al marzo del 1946, vale a dire nel periodo in cui si avviò la difficile ricostruzione della città distrutta dai bombardamenti aerei del 1943.
“Dopo le elezioni comunali del 17 marzo 1946, rimase consigliere comunale nelle file sardiste (per l’avvenuta confluenza degli azionisti isolani nel PSd’Az) ma dovette abbandonare l’impegno nell’Amministrazione a causa dei diversi ricoveri (in vari sanatori del Continente) conseguenti al peggioramento delle condizioni di salute. Morì in un ospedale del Piemonte il 31 agosto del 1948, all’età di soli 47 anni, lasciando un grande esempio di concretezza e dedizione all’interesse generale. È con lui che Cagliari ritorna ad essere la città guida della Sardegna”.
Debbo dare atto all’amico Antonello Angioni di aver mantenuto la parola con me spesa di portare in Consiglio comunale – allora si immaginava certamente non prigioniero del coronavirus – la santa ricorrenza del 25 aprile e, con essa, la figura di democratico, di italiano e di sardo di Cesare Pintus, cagliaritano stampacino di su Brugu, scolaro alle elementari che si chiameranno Satta, ginnasiale e liceale al Dettori, universitario a Giurisprudenza nel palazzo di via Università. E, nella sua gioventù, mazziniano – con Silvio Mastio – già negli anni del liceo, quello con Dante di guardia all’ingresso, corrispondente de La Voce Repubblicana che a Cagliari, dal potere prefettizio nonno ideale degli amministratori di Cagliari oggi, sindaco Truzzu in testa, era sequestrata un giorno sì e l’altro anche al suo arrivo alla stazione dei treni. Commemorò Mazzini per l’ultima volta, nel marzo 1925, parlando con Silvio Mastio nella sede del Solco sardista, in via Nuova (poi Sonnino).
I repubblicani ed i sardisti erano allora fratelli. Ispiratori di grandi pensieri erano stati Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo ed altri cento con loro e con Garibaldi, fondatori ognuno con una sensibilità diversa ma tutti uniti da un ideale – Bovio e Colajanni (entrambi così legati alla Sardegna!), Quadrio e Ghisleri… direi Giorgio Asproni e Giovanni Battista Tuveri, Vincenzo Brusco Onnis e Pietro Paolo Siotto Elias, Gavino Soro Pirino ed Enrico Berlinguer – della scuola democratica. Una scuola di pensiero importante – importante la scuola e importante il pensiero – che rimandava all’unità politica della patria ed a un sistema di autonomie territoriali, che rimandava alla repubblica e ad ordinamenti avanzati anche nella laicità assoluta ed ostile ad ogni prevaricazione clericale nella scuola e nella più varia legislazione, che rimandava anche – nel sostegno alla causa irredentista, e perciò nazionale – all’europeismo federalista.
Era la corrente di pensiero, quella democratica, che contro quella liberale e quella socialista che ponevano il centro della libertà nell’economico (il mercato e la libera impresa da una parte, l’unità di classe dall’altra), individuava nell’istituzionale – appunto la repubblica, appunto le autonomie territoriali (comunali o regionali), appunto la laicità e, poteva ancora dirsi, l’Europa federata! – il piano dell’emancipazione nella modernità sociale. I giornali sardisti del tempo – da La Voce dei combattenti al Il Popolo Sardo, a Il Solco – accoglievano in ogni loro pagina i distici mazziniani e cattaneani, gli stralci dei discorsi o degli scritti maggiori degli altri repubblicani… E Pintus nel 1924 – alla vigilia delle elezioni combattute con le regole della legge Acerbo – intervistò Lussu per la prima pagina de La Voce Repubblicana, mentre Mastio condirigeva con il sardista Raffaele Angius, già militante repubblicano, il quotidiano Sardegna. Tre anni prima Agostino Senes, repubblicano e massone oristanese, s’era candidato, ed era stato fra i più votati, nella lista dei Quattro Mori concorrente ai seggi della Camera. Mentre nel 1928 Giovanni Battista Melis finiva 23enne in galera, a San Vittore, con Ugo La Malfa 25enne, accusati entrambi di appartenere alla formazione clandestina “Giovane Italia”… cento anni dopo quella “Giovane Italia” per la quale a Chambery era stato fucilato, giovane trentenne, il mazziniano sassarese Efisio Tola.
Ha mai chiesto l’amico Antonello Angioni che cosa ne sanno i sardisti che con lui sono in maggioranza al Comune di Cagliari, fra la fiamma tricolore degli ex missini (reduci di Salò e reduci del duumvirato ventennale) e il tricolore banderuolo di forza italia e il nulla dottrinale delle varie formazioni civiche-civetta, della storia del loro partito, della vita dei loro ipotetici, direi soltanto nominali, avi ideologici?
Ai sardisti oggi subleghisti e sovranisti-panitalianisti, ieri all’incontrario nazionalitari indipendentisti del genere “noi sardi, voi italiani”, sarà mai capitato di leggere – essi così rapidi nei passaggi sui fondamentali e i controfondamentali – le parole del mazziniano Cesare Pintus indirizzate a Emilio Lussu, quando, nell’agosto 1944, questi “impose” (per gli affetti patriottici dell’antifascismo) anche ai mazziniani di Giustizia e Libertà organizzati nel Partito d’Azione di confluire nel Partito Sardo, in cambio della fidelizzazione sardista all’azionismo nazionale: “Caro Emilio, … In queste condizioni, né io, né Antonino Lussu, né Gonario Pinna, né molti compagni delle tre province… nessuno di noi pronuncerà mai una parola contro l’unità dello Stato italiano, né farà propaganda di separatismo…”? Potevano cambiare, per varie contingenze, le tessere di partito (fra partiti fratelli comunque!), non poteva cambiare il credo patriottico e democratico.
Il leader nazionale della maggioranza politica oggi al governo del Comune di Cagliari (così come della Regione) era ieri per la Padania e il dio Po e l’ampolla dell’acqua pura e il colto discorrere di Pontida, di lato a quell’altro che affidava il tricolore agli usi sconci, mentre il presidente del Consiglio Berlusconi irrideva l’inno nazionale (“… siam pronti alla morte!...”) nello stesso giorno in cui si autoproclamava il miglior capo di governo della storia patria, più di Cavour e Giolitti, più di Zanardelli e De Gasperi, ed occhieggiava a Putin e Lukashenko… La maggioranza politica del Comune di Cagliari, che è la stessa delle intitolazioni delle strade e delle piazze (con qualche imbroglio bambino nei pieghevoli illustrativi delle biografie) ai gerarchi locali del fascismo – a proposito né Ugo La Malfa né Giovanni Battista Melis hanno nulla “di materiale” che li ricordi alle nuove generazioni come padri della patria! – sa che la piazza Carlo Sanna fu sbattezzata per far posto alla intitolazione ad Antonio Gramsci proprio dalla giunta di Cesare Pintus?
Quale sentimento del 25 aprile, pur dentro le malinconie e i pericoli del coronavirus, attraversa davvero il Comune di Cagliari oggi, 75 anni dopo quell’evento di storia continentale?
Io stimo molto Antonello Angioni, galantuomo della miglior specie, democratico autentico, intellettuale e professionista di primissima categoria, scrittore assolutamente pregevole e autore di libri rifinitissimi e d’ottimo contenuto sempre, onore della sua e mia generazione cagliaritana. Ma proprio in nome di questa stima, e anche dell’affetto personale, oso chiedergli, tutte le volte lo incontro: ma come è stato possibile che abbia consegnato il tuo nome, per le memorie dei libri di storia civica, a una maggioranza consiliare che se vince la partita fa gonfiare il petto a Salvini e Berlusconi e Meloni, all’area sovranista – sovranista! – e all’area non classificabile?
Io torno al mio Mazzini, al mio Bovio, al mio Pintus, al mio Mastio, alla mia minoranza estrema. Con un voto appena, o dieci voti alle elezioni, ma con la compagnia d’un pensiero nobile e storico – che segna la storia! – davvero, e la testimonianza di vita e il magistero che non trovi al mercatino di piazza Sorcinelli, in faccia al palazzo della Regione Autonoma della Sardegna.
Confido però nell’insperabile, spes contra spem. Chissà che proprio dalla maggioranza consiliare così intimamente ostile al credo (e alla testimonianza) di Cesare Pintus non venga invece – ora che siamo ai tre quarti di secolo dalla liberazione – un’iniziativa educativa, di promozione civica e democratica, nelle scuole medie e superiori della città, che proprio Antonello Angioni potrebbe proporre al Consiglio e all’Amministrazione: un concorso sulla fine della dittatura in Italia (e in Sardegna), sul processo di risveglio democratico nel Comune capoluogo dell’Isola fino alla conquista autonomistica regionale… Sarebbe un riportare lo studio e la riflessione dei nostri ragazzi sui passaggi cruciali della nostra storia recente, ed anche verso le forze ideali e partitiche che, da fronti diversi, ma unite tutte dall’antifascismo – fra liberali e cattolici e comunisti, fra sardisti e repubblicani e socialisti – hanno faticato per offrire alle nuove generazioni quelle condizioni di libertà e benessere materiale oggi, nonostante tutto, abbondantemente fruibili.
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