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Gianfranco Murtas

Cagliari 1909, nasce Francesco Alziator

di Gianfranco Murtas

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Il teatro di Varietà è saldamente impiantato nel bel palazzo fatto costruire da Pietro Valdès, il fondatore della nota ditta commerciale e tipografica, nel tratto che precede il Terrapieno e guarda da pari a pari i finestroni della passeggiata coperta. Esso – teatrino per capienza – offre produzioni di genere abbastanza differenziato. Il primo filone è quello cinematografico cui si dà la qualifica di “morale” per dire che ha un intento pedagogico e fa dormire sonni placidi a parroci e mamme. L’altro è il filodrammatico, aperto però alle canzonette ed anche ai balli, a quanto può impensierire, dunque, chi veda la modernità quasi come prefigurazione degli inferi promessi…

L’anno inizia con le proiezioni delle pellicole fatte per star tranquilli: per 20 centesimi la sera dell’Epifania puoi ammirare le scene di “Il più bel giorno della mia vita”, “di “Lo zampese” e della “Scuola di cavalleria a Tor di quinto”, con finalino comico “L’uomo a pezzi”. E nei giorni successivi “Dalla sventura alla felicità”, “Irlanda pittoresca”, “Caccia al pescecane”, ecc.

«Il cinematografo di Palazzo Valdès – commenta il clericale Corriere dell’Isola del 9 gennaio – è destinato a divenire il re dei cinematografi della nostra città, perché la spesa che gli altri locali dedicano ai numeri di varietà, i dirigenti del “cinematografo morale” la dedicano all’aumento delle pellicole, alla loro bontà… Ogni due sere uno spettacolo nuovo». E per qualche tempo, in effetti, è proprio così. I documentari raccontano soprattutto di lutti. Così non può mancare quello sul terremoto che tante rovine ha provocato in Calabria e Sicilia, una pellicola che viene anche replicata per sensibilizzare chi ancora, egoista, non si sia compenetrato nell’immane tragedia sofferta da quelle popolazioni del meridione d’Italia.

“Reggio e Messina un immenso cimitero”, ha titolato a tutta pagina L’Unione Sarda di venerdì 1° gennaio. E Il Corriere dell’Isola: “Triste e lacrimevole suggello d’anno”.

La notizia è arrivata in città, immediata, col telegrafo e la stampa locale ha subito offerto ai propri lettori l’informativa più ampia possibile. Le edizioni degli ultimissimi giorni del 1908 hanno anticipato le dimensioni del terrificante evento di morte e distruzione, ma ancora per tutto gennaio i giornali continueranno a fornire notizie ed emozioni ad un pubblico che vuol sapere e partecipare. A pagine intere, la prima e la seconda monografiche, tutti i giorni almeno per alcune settimane, e sovente anche gran parte della terza destinata alla cronaca cittadina: riservando questi larghi spazi i quotidiani di viale Regina Margherita e di via Nuova cercano di soddisfare la voglia di conoscere e solidarizzare dei cagliaritani.


La tragedia di Messina e Reggio

Guardano, i giornali, anche ai sardi coinvolti nell’inferno dei crolli ed a quelli accorsi per prestare il loro aiuto. «Sin’ora poche notizie sulle sorti dei soldati sardi di guarnigione a Messina… Essi appartengono alle tre classi di leva dell’86, 87 e 88 e si calcola che in ogni reggimento vi fossero circa trecento sardi, delle due province di Cagliari e di Sassari. Questi i soldati sardi presenti a Messina nella tragica alba del 28 dicembre», riferisce Il Corriere del 2 gennaio. Una squadra di soccorso composta da giovani universitari è intanto partita dalla Sardegna il 30 e già sbarcata l’indomani al porto del capoluogo siciliano. Il corrispondente – Giuseppe Canepa – appartiene al gruppo: «Arrivammo dopo ventotto ore di viaggio per mare, mare orribile e viaggio doloroso per la mesta compagnia di un gran numero di messinesi partiti con noi da Cagliari alla ricerca dei loro cari. Allo sbarco assistiamo alle prime scene dolorose. Bare e barelle passano fra un gran numero di membri di tutti i comitati di soccorso magnificamente organizzati… Arrivano notizie incredibili. Il numero dei morti pare ormai accertato in circa duecento mila… La città non esiste più; migliaia di assistenti e di tecnici sono più che sufficienti, sovrabbondanti: occorrono squadre di operai, provvisti di viveri, pronti a difendersi col coltello alla mano, perché bande di malfattori, datisi al ladronaggio e alla rapina, aggrediscono i treni e i soldati: stamane ne hanno fucilato venticinque. E’ stata proclamata la legge marziale».

Ed ancora: «Intanto i nostri colleghi d’università ci portano nelle aule di chimica e là stabiliamo il nostro quartier generale. Il dottor Cocco spiega come meglio può la sua attività. Noi legulei corriamo alla stazione per trasportare le barelle…».

I soccorritori sardi organizzati sono una ventina: con Luigi Cocco, un giovane medico trentenne di origini sinnaesi, ed al suo coordinamento, sono gli studenti Oreste Fagà, Evaristo Loi, Enrico Mara, Luigi Scano, Siro Fadda, Giuseppe Secchi, Aurelio Congiu, Giuseppe Marci, Pietro Azara, Silvio Zuddas, Giovanni Sergenti, Mario Cambatzu, Armando Businco, Mario Costa, Efisio Maxia, Giuseppe Pisano, Giuseppe Del Rio (quest’ultimo iscritto a farmacia, mentre tutti gli altri sono di medicina), ed Efisio Sciolla, offertosi come inserviente.

Di giurisprudenza sono Lorenzo Figari, Giuseppe Canepa, Tullio Mulas, Pasquale Marica, Ruggero Ruggeri. Di ingegneria è Bonetti. Accompagnatori Elino Boero e l’avv. Ferruccio Loriga.   

E’ Armando Businco il corrispondente de L’Unione Sarda dal luogo del disastro e da Palermo, la città che ha messo a disposizione dei sinistrati ogni struttura d’accoglienza. I suoi articoli compaiono con largo rilievo sulla prima pagina del quotidiano: «Accampati alla Scuola di Applicazione, dopo il colloquio col Rettore dell’Università, che ci accolse gentilmente, si dispose l’ordine di servizio: due squadre di otto portaferiti trasportano, sempre che il caso lo richieda, con celere attività e entusiasmo, i feriti o dalla stazione o dai piroscafi. E si lavora fino alle 3,30 del mattino… Una delle nostre squadre ha scoperto, sul Corso Calatafimi, tre piccoli bambini sardi, gl’infelici figlioli del signor Greco e della signora Pais, recatisi a Reggio due mesi fa con la domestica cagliaritana Virginia Pettinau. Questa si salvò coi tre bimbi, i genitori dei quali restarono sotto le macerie della sventurata città». E’ l’articolo datato 1° gennaio e pubblicato lunedì 4.

A marzo verranno diffuse le strazianti statistiche. Fra i 714 militari – ufficiali, sottufficiali o truppa – che sicuramente sono periti, 7 sono sardi (un capitano, un maresciallo, cinque soldati semplici).

I cagliaritani si mobilitano. Aziende e leghe di mestiere, associazioni d’ogni genere, scuole ed istituzioni, ordini professionali e parrocchie, non c’è chi non partecipi allo sforzo corale teso ad aiutare i fratelli caduti nella sventura, coloro che hanno perso tutto, affetti e cose, e pur debbono ricominciare. Sottoscrizioni a scheda, passeggiate o serate teatrali di beneficenza, lotterie…, a tutto si ricorre pur di raccogliere gli aiuti dei quali si necessita.

Il prefetto Germonio diffonde ai sindaci della provincia una circolare con cui li informa delle disposizioni emanate dal ministero delle Poste e Telegrafi ai propri uffici periferici, ch’esso ha autorizzato «a rilasciare vaglia con esenzione da ogni tassa e spesa per la trasmissione delle somme offerte», e dell’incarico conferito a «tutte le sedi, succursali, filiali e agenzie della Banca d’Italia e del Banco di Napoli a ricevere oblazioni sia in contanti, sia col mezzo di vaglia postali o telegrafici…».

Mons. Pietro Balestra, arcivescovo di Cagliari ed amministratore apostolico della diocesi di Ales, pubblica anch’egli una circolare che fa pervenire a tutti i parroci della sua giurisdizione: «Preghiamo pace alle anime dei poveri morti, e prestiamo sollecito soccorso ai disgraziati nostri fratelli che trovansi senza pane, senza veste, senza casa, ovvero mutilati e feriti, e aspettano l’opera della nostra carità…».

Discutendo del bilancio comunale

«Onorevoli Colleghi!…». Giovedì 21 gennaio l’assessore alle Finanze Rafaele Accardo dà lettura, in Consiglio comunale, della relazione al bilancio preventivo del 1909 predisposto dalla giunta unitamente al consuntivo dell’anno precedente.

Dopo essersi diffuso ad illustrare i termini del contratto già predisposto ed ora quasi alla firma per il riscatto dell’acquedotto e l’acquisto dell’azienda del gas, con quanto anche si riferisce alla provvista delle ingenti risorse con cui chiudere l’operazione (prestiti sono stati contratti con la Cassa nazionale di previdenza, tramite la Cassa depositi e prestiti, e con la Cassa di risparmio di Torino), egli si sofferma sui numeri del budget e le scelte amministrative adottate con priorità dal Municipio.

Nuovi organici con nuove tabelle retributive e anche nuovi livelli pensionistici a favore di chi ha cessato il servizio: è il primo impegno assunto, come debito d’onore da rispettare, con coloro che servono od hanno servito la collettività nei ranghi dell’amministrazione. Poi le opere pubbliche in cantiere, ad iniziare dal viale San Pietro, «dove Cagliari tende tuttodì a svilupparsi con nuove costruzioni e nuovi impianti industriali»: si vuole provvedere la zona di «fognatura indipendente, per esigenze altimetriche, da quella principale» ed allacciare una «tubazione per l’acqua ed una per il gas», nonché alzare una adeguata «massicciata stradale». Occorrerà «espropriare le zone attigue sulla linea della chiesa del Carmine», e dotare l’intera area di nuove «strade trasversali». Spesa prevista: 200.000 lire, di cui 60.000 già nel bilancio dell’anno.

C’è quindi da pensare alla pavimentazione del sempre polveroso largo Carlo Felice. Spesa prevista: 60.000 lire, di cui 32.500 da attingere dai residui passivi.

Altri interventi paiono urgenti e saranno cantierati nella via dei Mille, nel prolungamento di via San Giovanni (già San Mauro) e nell’attigua via Giardini, «località tutte molto abitate, ma di disagevole praticabilità». In agenda sono ancora il restauro del muro di sostegno del bastione di Santa Caterina – per cui sono già preventivate 7.000 lire –, la sistemazione del vico Corte d’appello (possibile a basso costo per l’avvenuta donazione, da parte della famiglia del conte Nieddu, dell’area necessaria a rettilineare), ecc.

«Per le case popolari abbiamo stanziato il saldo promesso di lire 40.000, onde raggiungere il primo capitale di lire 100.000 con cui la Commissione per l’Ente autonomo, testé nominata, inizierà presto la sua opera proficua», aggiunge l’assessore che accenna quindi ad un sussidio, più che doveroso, di 3.000 lire da concedere alle suore francesi della Provvidenza agricola che, da soltanto qualche mese, hanno «con pochi mezzi, impiantato un ospizio ove ricoverano una ventina di bambini sottratti alla miseria, all’ignoranza, e forze al vizio». Esse sarebbero anche disposte – soggiunge il cav. Accardo – «a ricoverarne fino ad un centinaio, se non mancassero di un dormitorio che può facilmente costruirsi nei vasti locali dell’ex convento di Cappuccineddus».

E, a proposito di strutture di accoglienza per gli sbandati, egli parla anche dell’atteso impianto del dormitorio pubblico «la cui istituzione sarà facilitata – assicura – dal concorso dei fondi disponibili per il proposto monumento al compianto re Umberto I», il sovrano assassinato, ora sono già nove anni, a Monza. Eh, il dormitorio. I massoni della città l’hanno assunto già da un lustro quasi come un’opera loro, una loro iniziativa forse anche d’immagine, e però soprattutto sostenuta come risposta ad un’indiscutibile esigenza sociale di Cagliari.

Le giornate “infami” sono quelle del 25, 26, 27 e 28 gennaio. Nel quadro delle discussioni sul budget del 1909, l’assemblea riunita a palazzo di città (dirimpetto alla cattedrale) approva, a maggioranza, il taglio delle spese facoltative per funzioni religiose. La proposta è venuta dal consigliere radicale Umberto Cao, nel nome di una precisa scelta politica e sociale: la prima si concretizzerebbe nel principio della laicità (e cioè rispettosa estraneità) delle istituzioni rispetto al credo dei singoli cittadini, la seconda nella destinazione delle risorse risparmiate alla costruzione di un padiglione per i tubercolotici.

Gli assessori Desogus e Sanna Randaccio, e poi anche il consigliere Scano apprezzano l’idea; non così Marongiu (che presiede la Deputazione provinciale), e neppure Picinelli (già sindaco all’epoca dell’esperienza parlamentare di Bacaredda) e Colomo, sia perché appare loro doveroso onorare le tradizioni, tanto più se si pensa che fra le spese da cassare ci sarebbero quelle per Sant’Efisio, sia perché le risorse ricavabili dal taglio del capitolo di spesa sarebbero comunque largamente insufficienti a risolvere il problema del contagio del “mal sottile”. Per non dire poi che la classificazione di talune voci di bilancio fra le spese facoltative appare impropria, comprendendosi in esse perfino la partecipazione comunale al pareggiamento dell’università che invece costituisce vincolo di legge!

Dai banchi del pubblico, qualcuno di evidente parte clericale fa polemico riferimento alle 2.000 lire concesse alla Camera del lavoro, e Sanna Randaccio replica bruscamente trattarsi di «opera molto più utile, civile e moderna» di quella che si vorrebbe ancora finanziare, appunto «per far andare i preti a salmodiare per le vie». Il consigliere Macis, e con lui Valle, sono per una soluzione mediana – ancora per quest’anno passino le spese ... –, ma, quasi a voler subito contenere lo sgretolamento del fronte laico, ecco Piga, socialista, annunciare che voterà per la soppressione.

Nella seduta successiva viene quantificato in 10.000 lire il costo del riattamento del convento di San Benedetto in funzione di padiglione anti-tbc. Si discute poi di molto altro: della nuova pavimentazione del largo Carlo Felice, di un nuovo piano regolatore, dell’allargamento della via degli Ospizi e del collegamento del Corso con le zone intorno al colle di Buoncammino, della ripresa edilizia anche in chiave occupativa, ecc. Vengono anche deliberate 400 lire a favore del Circolo filologico… Forse stufo dell’amministrazione, il radicale Guidi passa quindi alla politica, anzi all’ideologia, proponendo, o riproponendo, l’abolizione dei sussidi a favore di diverse chiese che ancora appaiono nel preventivo.

L’assessore Accardo precisa: si tratta di appena 560 lire di fitti figurativi di case d’abitazione per i parroci dell’Annunziata e Sant’Avendrace, per il resto sono elemosine alla Purissima o a Bonaria. Discussione anche su questo: niente fitti per i preti, i quali potrebbero farsi aumentare la congrua, propone Cao; si salvi però l’aiuto alla Purissima, per il suo elevato valore artistico, chiede Scano, massone ma anche fine esperto di storia ed architettura… Colomo interviene nel dibattito, invero povero, scongiurando tutti a non accedere ad un’impostazione settaria ed anticlericale. Il pubblico nuovamente rumoreggia.

Ci si rivede l’indomani. Contribuendo ad alimentare il culto si favorisce il funzionamento delle chiese, «che chiamano così il concorso del popolo, e quando questo va in chiesa non frequenta le bettole e il giuoco, la mala compagnia che lo corrompe, ivi ascolta la parola della moralità della giustizia, ed ogni incitamento al bene», sostiene, quasi in apertura, il buon Colomo. Gli risponde l’assessore Sanna Randaccio: «No, nelle chiese cattoliche segnatamente d’Italia si apprendono sentimenti contrari alla patria». Ribatte il collega: «Questa è un’affermazione che sorpassa l’inganno del quale voi, o quelli di parte vostra, vi siete serviti per attirarvi le simpatie del popolo che fortunatamente sta ridestandosi dal torpore nel quale l’avete esiliato». E aggiunge: «Se si tolgono i sussidi alle chiese queste non potranno essere più officiate ed allora neanche il consigliere Cao potrà nei giorni festivi andare, come fa, ad ascoltare la messa». 

Riprende la parola Sanna Randaccio: «Non intendo fare politica anticlericale e rispetto tutte le opinioni, ma questo non può essere un buon motivo per votare elemosine per le chiese. Voterò contro”. Anche Macis voterà contro. Opposto, sorprendentemente, l’orientamento di Ballero.

Votano per il mantenimento dello stanziamento in 16, contro in 11. Il sindaco Marcello e tre assessori sono nel primo gruppo, il resto della giunta con chi perde.

Si discute del sussidio all’Opera delle suore francesi, proposto dall’esecutivo. Interviene per primo il consigliere Pernis, nuovo leader della loggia cagliaritana, che approva lo stanziamento di 3.000 lire perché – sostiene – «certo ne avvantaggeranno dei bambini poveri, cui sarà data un’educazione, se pure non conforme ai miei ideali ed alle mie tendenze, ma che varrà a crescerli onesti, tenendoli lontani da ambienti moralmente e igienicamente malsani». Egli si dice testimone, «per averlo constatato negli istituti pii cittadini, dello spirito di abnegazione e di sacrifizio che informa sempre l’opera delle suore nell’assistere i fanciulli, i poveri e gli ammalati», però… «non posso tacere – aggiunge – che le suore hanno delle regole disciplinari, cui debbono attenersi, e non di solo carattere religioso, regole che si riferiscono anche ad altri scopi e che si riferiscono a tempi che ormai crollano. Mi è stato riferito, ad esempio, che le suore francesi han rifiutato d’ammettere un bambino perché illegittimo…». Chiede, perciò, al Municipio un controllo affinché, «nel raccogliere i bambini, si preferiscano quelli che sono in peggior stato».

Il sindaco spiega che da parte delle suore gli è stata già dichiarata la piena disponibilità a riservare tre posti al patronato municipale, ed osserva che «l’istituto della Provvidenza agricola può rappresentare il primo embrione di un istituto per l’infanzia abbandonata, da svolgersi s’intende con altri criteri».

Parla Sanna Randaccio: non ho obiettato nulla sinora – dice press’a poco –, perché meglio le suore del niente, ma confessa di essere molto perplesso a dar un sussidio «a chi crede ancora che gli spuri portino sulla fronte il marchio del peccato originale e debbano lasciarsi smaltire per le vie». Tocca al consigliere Scano: «Allo stato attuale delle cose, se questi denari non si danno alle suore andranno perduti alla beneficenza», sostiene annunciando il suo voto favorevole.

Cao porta un’altra linea ancora: «Vi sono altri istituti, come quello di San Vincenzo, che han bisogno d’aiuti, senza darlo a suore venute dalla Francia, dopo un’epica lotta per mandarle via, da ambe le parti combattuta con pari ardimento, dalla Francia che a tutte le fedi dà i più ardenti seguaci. Queste suore, sottraendo i fanciulli ad ogni influenza esterna, possono in essi alimentare spirito non conforme al sentimento d’italianità, cominciando dall’insegnar loro il francese, dimenticando l’italiano. Voterò contro».

Macis, che pure è laico ed ha frequentato anche lui la loggia, dissente: non è provato che gli “spuri” siano rifiutati, non è provato che si insegni il francese contro l’italiano… Sosterrà lo stanziamento.

Votazione finale in chiave di affidamento: rispondono sì tutti i consiglieri, restano isolati i due radicali Cao e Guidi. 

A discuter del sussidio municipale alla cattedrale, in primo luogo per i servizi della cappella civica, gli animi sembrano, mercoledì 27, particolarmente caldi. E’ ormai da un anno che la questione si trascina senza concluder nulla. La cappella è costituita da 23 elementi che costano annualmente alle casse municipali qualcosa come 13.800 lire: somma considerata spropositata in rapporto al bilancio complessivo dell’amministrazione. Va poi considerato che diversi dei suoi membri sono musicisti stipendiati dallo stesso Comune in quanto nell’organico o della banda o dell’orchestra civica, e dunque...

«Il Comune non è giuridicamente obbligato a corrispondere alcuna somma al capitolo [metropolitano] di Cagliari», sostiene il consigliere Cao riferendo i risultati dello studio effettuato dalla apposita commissione di legali sulla obbligatorietà o meno dello stanziamento.  

Picinelli, sola voce contraria, invoca di poter tracciare una specie di contro-relazione, e Cao – non opponendosi – chiede però che a ciò si proceda in seduta segreta. Così avviene. Alle 21,30 circa il pubblico è invitato a lasciare i banchi.

Giovedì 28 l’ultimo tempo. Nobilioni: «Voterò puramente e semplicemente perché lo stanziamento radiato dalle spese obbligatorie sia inscritto fra quelle facoltative». Scano: «Non ho dubbi sulla non obbligatorietà del Comune a corrispondere il contributo al capitolo. Il corpo musicale andrebbe mantenuto, anche se in forma diversa, per “l’utilità dell’arte”».

Ironico (e greve) Guidi, il quale ha appena dato alle stampe un libretto dal titolo Sul bilancio comunale per le case comunali: «Trovo parziale che solo alla cattedrale e non anche alle altre chiese si diano orchestre, di cui non c’è bisogno per pregare, tanto più quando si tratta di archi scordati». Piga si dice d’accordo con il collega radicale e presenta anche lui un ordine del giorno con cui «si stanzia la somma, ma se ne sospende l’erogazione finché il capitolo non dichiari di non aver diritto a pretenderla, e si delibera di pagare gli orfeonisti sospendendone l’invio alla cattedrale finché il capitolo non faccia la sua dichiarazione».

Sanna Randaccio apprezza: «Voterò l’ordine del giorno Guidi». Colomo: «Seri dubbi si presentano ancora sulla questione. Io credo che gli interessi del Comune ci impongano di lasciare le cose quali sono…». Manca di Nissa: «Il Comune avventurandosi in una lite potrebbe perderla. Per questo voterò contro le conclusioni della commissione…Tutta la questione si riduce a quattro moccoli che si danno alla cattedrale…».

Ballero: «Si discute da quattro giorni e si è fatta non altro che dell’accademia, nella sede più inopportuna». Egli si dice convinto della «mancanza di diritto nel capitolo a pretendere la somma», ma sostiene anche che «voler depennare la somma dal bilancio è un pretesto rettorico ed accademico per fare una affermazione di tendenze, giacché dal sopprimere questa somma nessun miglioramento ne viene al bilancio». E ancora: «Si è detto che il Comune deve essere areligioso, e sta bene, ma ora il certo si è che una gran parte della popolazione vuol queste spese, e il sopprimerle significa fare un’affermazione contraria ad una delle tendenze e professioni religiose imperanti nella città: bisogna essere leali».

Incidente. Sanna Randaccio, in un recupero giacobino, apostrofa il collega con un «Lei vuol confondere le cose presentandole col manto di una lealtà che non ha». Replica dell’accusato: «Prego, qui ciascuno, anche modesto, ha il suo orgoglio. Le ricordo che sono ormai ventisette anni che io seggo in Consiglio, sempre a questo stallo…». Ribatte il giacobino: «Io le ricordo che l’altro giorno diceva il contrario: parlo di lealtà politica, s’intende». 

Riprende Ballero: «Non intendo fare affermazioni di fede, perché non est hic locus. Se dovessi fare affermazioni di fede religiosa, essa non sarebbe dissimile da quella dei miei avi, pur ammettendo che per la mia fede non sono necessarie le orchestre. Quanto alla fede politica posso ricordarle che vi è stato pur chi, dopo aver abbattuto la breccia vendicatrice, è andato ad ascoltar la messa… Io qui faccio l’amministratore: depennare dal bilancio il contributo per la cappella urterebbe buona parte dei contribuenti e io finirei per amministrare contro il loro interesse… Basta l’iscrizione nelle spese facoltative perché sia affermato che il Comune non è tenuto».

Cao: «Le spese di culto che deve fare il Comune sono quelle per la manutenzione delle chiese, le altre sono vietate dalla legge comunale e provinciale». Ed insiste per l’approvazione dell’ordine del giorno Guidi. Marras, Ballero, Valle e Nobilioni dichiarano di votare per il mantenimento del contributo. Il sindaco Marcello, a titolo personale, sostiene non opportune le «manifestazioni di tendenza» e per tale ragione dice che voterà l’ordine del giorno Piga «che definisce, come si impone, la questione giuridica». Vien posto in votazione l’ordine del giorno Guidi nella parte che afferma il non obbligo del Comune all’erogazione: rispondono sì in 17, no in 13. Quindi nella parte della radiazione totale della spesa obbligatoria e non iscrizione fra le facoltative: il Consiglio si divide giusto a metà, 15 contro 15. Il documento è respinto.

Si passa poi al voto della seconda parte dell’ordine del giorno Piga: stanziare la somma ma sospendere l’erogazione al capitolo se non dichiara di non riceverla in forza di proprio diritto. Rispondono sì in 16 (il sindaco Marcello è tornato nella mobile maggioranza “innovatrice”), no in 14.

Al giudizio dell’aula va infine la terza parte del documento che stabilisce di pagare gli orfeonisti, ma sospendendo il servizio al duomo finché il capitolo non adempia a quanto richiestogli. Conclusione: votano sì in 18, si astengono in 12. Il documento è approvato. 


Fra concerti e gare di nuoto

Di corali intitolate a Giuseppe Verdi ce ne sono, a Cagliari, due che fra loro si distinguono dall’indicazione della sede. La prima, apprezzata per l’indiscusso merito artistico, sta nel viale Regina Margherita; la seconda, che ha natura anche mutualistica riconosciuta dal Tribunale, si è sistemata, dopo la gemmazione dalla maggiore, in via Sant’Eulalia (da dove si trasferirà, d’estate, a palazzo Valdès). 

V’è, fra le due, una specie di sotterranea, inespressa eppur palpabile, reciproca avversione. L’anno inizia, però, con una sfida alle divisioni. Verdi è di tutti ed a celebrarne degnamente l’anniversario della morte si richiede unità di presenze, se non addirittura quella superiore conciliazione che è nella vocazione profonda dell’arte e della cultura. I due presidenti Anselmo Carcassi e Carlo Napoli hanno, nella santa ricorrenza, un sussulto di cordialità che è quasi amicizia, e diffondono, a doppia firma, una circolare con la quale annunciano per mercoledì 27 gennaio una grande commemorazione nello square delle Ferrovie Reali, davanti all’erma che – spalle al bianco busto di Giovanni Bovio – dal 1901 ricorda ai cagliaritani il grande maestro. Tutti sono invitati a partecipare, a cominciare dalle associazioni che, con le rispettive bandiere, faranno corteo dalle 9, movendo dalla passeggiata coperta e procedendo, in discesa, lungo la via Manno, il Corso e la via Sassari.

Il maltempo, ostile alla pace cittadina, impedisce però la manifestazione che viene rinviata, e la corale di viale Regina Margherita decide comunque di pontificare in casa, la sera, fra luci sfolgoranti, la nuova bandiera sociale, i ritratti di illustrissimi compositori, il quadro grande con l’effigie del santo patrono.

Sul podio si succedono i maestri Buzenac, Brunetti, Rachele, Sormani, Sanjust. Fra gli orchestrali non manca proprio nessuno… La massa corale si esalta nelle arie della “Forza del destino” e dei “Lombardi alla prima crociata”, mentre la violinista Pierina Addis e la cantante Elodia Sforza raccolgono anch’esse meritati, insistiti applausi. Il programma sarà bissato la sera di domenica 31. Tempo permettendo la mattina si svolgerà invece la commemorazione ai giardinetti.

E così è, infatti. Accompagnato dalle esecuzioni della banda civica, un gran pubblico si assiepa fra le aiuole del recintato. Le bandiere immettono altri colori nel mezzo del verde potente dei ficus retusa o magnolioides o bellengeri, ma soprattutto rendono, plasticamente, il senso dell’unità ritrovata: ché l’uno a fianco dell’altro sono i drappi delle due corali, della scuola municipale di musica e del Touring club, del Circolo universitario e del Convitto nazionale, della Società operaia laica e di quella cattolica, dell’Amsicora e dell’Arborea, dei reduci garibaldini e della Fratellanza militare, dei sottufficiali in congedo… E poi ancora è la finezza cromatica delle due corone di fresco lauro poggiate alla base del busto bronzeo.

L’incombenza del discorso d’occasione è stata affidata all’avv. Francesco Ballero, figlio del consigliere comunale e lui stesso protagonista del foro cagliaritano, colto intenditore di musica ed arte. «Orgoglioso della nostra patria, Giuseppe Verdi può chiamarsi “il cittadino del mondo”. La sua arte fu l’arte, il canto della nazione. E infuocati dal canto del loro bardo, gli italiani sognarono una patria unita, la vollero, la raggiunsero…». Applausi. Mix di arte e patriottismo, le metafore dell’oratore piacciono. Poi, riordinato il corteo, tutti tornano al bastione.

Ore 11 ancora di domenica 31 gennaio. Nello specchio d’acqua prospiciente il loro spogliatoio, i nuotatori della Rari Nantes si cimentano contro il freddo. E’ per Cagliari, pur città di mare, uno spettacolo nuovo che incuriosisce.

Sul grande piazzale della banchina di levante si è accalcata una folla enorme. Può essere che il risultato della prova – che sembra quasi un esperimento scientifico: quale sarà il grado di resistenza dei corpi fisici alle più basse temperature dell’acqua? – costituisca un motivo pubblicitario e di proselitismo in vista di nuove iscrizioni, a soli undici giorni dalla fondazione, per il sodalizio affidato alla presidenza dell’avvocato tutto sport-letteratura-e-Mazzini Enrico Nonnoi. E per far apprezzare ancor più l’orgoglioso cimento, non si nasconde poi uno scopo che è insieme educativo ed umanitario: l’allenamento in condizioni così ostili potrebbe essere straordinariamente prezioso in caso di urgenti necessità, come per salvare in mare un incidentato o, più spesso, un candidato suicida.

A dar la carica ai giovanotti in mutandine e canottiera convergono perfino la fanfara dell’Amsicora e l’applauso delle larghe rappresentanze delle società sportive cittadine: della ginnastica Arborea come della canottieri Ichnusa e del Touring.

A mezzogiorno il mare sposa il maestrale che da quel momento pare ogni ora di più rafforzarsi, dispettoso nei confronti dei quattordici sfidanti che i fotografi cercano di immortalare nelle loro lastre. Sono 300 metri di bracciate rapide ed eroiche quelle di Enrico Congiu, vice presidente della società, di Mario Carlomagno ed Attilio Pagliarello, ispettori della gara, e degli altri… Andata e ritorno in velocità e poi, con un balzo più sprint ancora, su a terra, nel gran capannone della Rari dove ad amici ed ospiti è servito un ristoratore vermouth. Agli ardimentosi viene consegnato un diploma di nuotatore invernale. 

L’umanità dell’istituto tecnico e nautico è nota. Per esso l’anno si è aperto con un doppio lutto. Il terremoto ne ha colpito duramente la memoria neppure remota e perfino il presente. Giuseppe Labisi e Luigi Vaccani – preside il primo fino a pochi anni addietro e docente di matematica il secondo, artieri entrambi della loggia massonica intitolata a Sigismondo Arquer – sono risultati fra le vittime del disastro. Nell’antico edificio che fu convento annesso all’ospedale dei Fatebenefratelli, là dove è il portico che collega la via Manno con la piazza del Santo Sepolcro, rimane il rimpianto. La didattica pare si combini, al Martini, con la presenza nella vita sociale della città. Sarà di fine aprile una circolare emanata da un apposito comitato che recita: «Gli studenti che ci hanno preceduto, allo scopo di accrescere il fondo di una cassa di soccorso che da parecchi anni funziona nel nostro istituto a favore dei compagni poveri, solevano dare, nella stagione di Carnevale, un ballo di beneficenza.

«Quest’anno in cui l’immane distruzione di Reggio e di Messina ha contristato l’Italia tutta, noi abbiamo creduto doveroso astenerci da un tal genere di trattenimento e d’accordo con la benemerita società Amsicora abbiamo concretato un programma di esercizi e di giuochi che si svolgerà il giorno 2 maggio nella palestra di quella Associazione alle ore 17. Vi prenderà parte oltre detta Società in forma ufficiale la squadra vincitrice della gara di foot ball della coppa d’argento nel passato Marzo».

Nei mesi che dall’inizio dell’anno portano agli esami, gli studenti sono più volte, secondo l’opportuna usanza condivisa con gli altri istituti scolastici, condotti in gita fuori città: per “istruzione”, s’intende, più che per svago.

Si comincia il 19 febbraio, con i ragazzi del corso nautico che si recano allo stabilimento della Società Esercizi Molini, in zona San Pietro, quasi di spalle alla stazione delle Reali. Accolti dal direttore conte Bonomelli nella vastissima sala macchine, essi assistono ad alcuni esperimenti eseguiti al fine di stabilire i diversi inconvenienti che possono derivare dalla distribuzione del vapore. Vengono così rilevate alcune serie di diagrammi che offrono nuova ottima materia di studio ai ragazzi. Essi assistono pure all’arresto e messa in moto della potente macchina e visitano le caldaie e gli apparecchi ausiliari, nonché una ingegnosa “guardia” per il controllo della sicurezza notturna…

Paolo, Gina ed Albertino Chapelle tornano nella loro Cagliari, dentro una stessa bara trasportata dal piroscafo di linea da Palermo, domenica 21 febbraio. Adagiate su un carro di prima classe, l’indomani – lungo il tragitto che dalla darsena le conduce al monumentale – le salme, letteralmente coperte di fiori e lacrime, sono accompagnate da numerose rappresentanze associazionistiche e scortate dalla banda civica. I cordoni del carro, seguito da una gran folla e da diverse carrozze che trasportano le corone floreali, sono retti dal sindaco Giovanni Marcello e da alcuni dei notabili cittadini… Sono lì anche la delegazione della scuola enologica, i gruppi di enotecnici amici di Paolo Chapelle, i soci dell’Amsicora con bandiera abbrunata. Officia la collegiata di Sant’Anna, col presidente parroco mons. Silvio Canepa.

A marzo inoltrato verrà messo in vendita un album letterario-artistico-musicale predisposto dal prof. Marcello Vinelli con numerosi suoi amici disegnatori, pittori e scultori, fra i più noti… Un numero da collezione, pregevole per fattura anche tipografica, con le incisioni su speciale carta patinata. Il prezzo è di una lira. Il ricavato netto sarà interamente destinato alla causa “pro Sicilia e Calabria”.


Scuole, sindacato e tasse 

Se gerarchia d’onore può mai esserci fra istituti scolastici, a Cagliari, quando ancora si va per trimestri, il liceo-ginnasio Dettori accetta di buon grado l’ex aequo con il tecnico commerciale e nautico. Subito dietro, per complessità di piano di studi e per affluenza nelle sue aule, è senz’altro la normale femminile, che incorpora anche il corso complementare post-elementare, mentre è certamente assai più ridotto l’ambito del corso magistrale maschile.

Fra le secondarie inferiori due sono invece i soggetti che si disputano la formazione dei pre-adolescenti: il ginnasio Siotto-Pintor (l’altro ginnasio è associato al liceo) e la scuola tecnica che s’intitola all’architetto Cima, nella via Collegio.

Il Dettori occupa il vetusto convento gesuitico della piazzetta in cui convergono in discesa la via Principe Amedeo (da dove tutte le mattine arriva il giovane Antonio Gramsci che lì abita da qualche mese) e le scalette di Santa Teresa, in salita le vie Sant’Eulalia e Barcellona, e di taglio il vico Collegio che fascia catino e sagrestia della parrocchiale e la via Dettori in cui s’affaccia la bella e singolare chiesa del Santo Sepolcro.

E’ liceo antico di oltre mezzo secolo e felicemente autorevole per la qualità del corpo docente. Riunisce in larga prevalenza i figli delle famiglie borghesi di Cagliari, di professionisti e funzionari più che di commercianti però, ed anche di aristocratici che, dopo il ginnasio nel rionale Siotto-Pintor, indirizzano la prole al triennio che dovrà portarla all’università, a giurisprudenza o medicina in particolare.

L’anno inizia bene per il Dettori: il re Vittorio Emanuele si è ricordato del suo preside, il valoroso prof. Federico Menghini, educatore di prim’ordine, «scienziato ed artista, profondo conoscitore delle vicende storiche umane», e l’ha nominato cavaliere della corona d’Italia.

La scuola normale femminile che s’intitola alla giudicessa Eleonora d’Arborea ha sede a Castello, nella parte alta della via Lamarmora. Lo stabile conosce i secoli, costruito sui muri del convento della Purissima, sopra fondazioni sicuramente deficienti ma almeno in sopraelevazione realizzate con buon pietrame e buona malta di calce.

Che sia alquanto malandato è evidente e non sorprende che qualcuno l’abbia visto anche pericolante, allarmando chi tutte le mattine lo traffica ed impensierendo le autorità. La parola d’ordine è stata “pericolo imminente”. Ma il pericolo non c’è. Sì, sono crollati alcuni cornicioni e gli intonaci purtroppo realizzati con rincocciature di vario spessore e non intimamente collegati con la struttura muraria, si vede ad occhio nudo che i tramezzi non sono combinati con i muri maestri, però lesioni e scrostature, crepe e fenditure non annunciano l’incombenza della rovina al suolo. Il presidente della Deputazione provinciale, che fra le sue competenze ha la manutenzione dell’edificio, ha disposto un’immediata verifica della sua staticità, ricevendo dagli ingegneri Dionigi Scano – neosovrintendente regionale ai monumenti –, Cristoforo Manconi e Giuseppe Costa, capi rispettivamente degli uffici tecnici di Provincia e Comune, una risposta assolutamente tranquillizzante. E però… e però, tra febbraio e marzo, lo sciopero è scattato ugualmente.

Racconta un’allieva: «Mentre puntellavano due finestre, si dislivellò il pavimento di due aule». All’annesso convitto – ricordano altre – «i dormitori della parte di San Guglielmo erano talmente sconnessi che si è preferito rimandare a casa ben diciotto bimbe…».

Diverse parti dell’edificio vengono chiuse e talune classi sono dirottate alle aule della vicina scuola municipale di musica, poste a disposizione dal sindaco. Altre classi si spostano invece al giardino d’infanzia, presso il palazzo Cugia, giusto di fronte alla Prefettura.

Alla Camera del lavoro l’assemblea generale delle leghe aderenti ha cercato affannosamente, lunedì 8 febbraio, di conciliare fra loro le molte anime che le danno spessore. Hanno partecipato i dipendenti pubblici, i lavoratori del libro (i tipografi cioè), gli infermieri, i metallurgici, i falegnami, i sarti (che hanno appena costituito una propria cooperativa di lavoro), i fornai (anche con la mutua mugnai), i vermicellai, i commessi, i camerieri. A presiedere la riunione è stato il tagliatore Gio.Maria Valli, un repubblicano d’origini toscane che, uomo di mediazione, ha lanciato il suo appello alla collaborazione reciproca fra organizzazioni sì autonome ma tutte ugualmente necessarie al progresso delle condizioni materiali di vita delle classi più deboli. E di collaborazione c’è effettivamente bisogno perché sono ancora fumanti le polemiche che hanno opposto lega a lega nella commissione esecutiva che esprime indirizzi e gestione dell’intera Camera.

Qualcuno – leggi il socialista Frongia – aveva accusato qualcun altro di voler «sostituire la violenza all’ordine», ma al dunque è parso che l’unità di classe, abbia fortunatamente fatto premio sulle divergenze comunque motivate. E d’altra parte, la grave crisi occupativa che perdura in città, miscelandosi al crescente carovita, ha per prime vittime proprio i ceti operai che andrebbero dunque tutelati con un’azione ad alto dosaggio di realismo, senza deviazioni demagogiche, ma altresì di solida resistenza agli abusi sui quali il padronato non avareggia mai.

Pochi ricchi, molti benestanti a Cagliari, secondo i ruoli ufficiali delle imposte che vengono resi noti a febbraio. Essi rivelano che la rendita ricavata dai fabbricati è accertata in 2.255.575 lire, mentre i contribuenti gravati da imposte per 680.813,83 lire sono 1.704.

I terreni con rendita superiore alle 6.000 lire danno un imponibile di 64.307,42 lire: si tratta di soli 6 nominativi che pagano imposte per 11.141,94 lire. In quanto alla ricchezza mobile, il reddito accertato in capo ai 1.692 gravati da 372.846,78 lire d’imposte è di 1.799.279,92 lire. 

Facendo i conti, dunque, i contribuenti cagliaritani assommano a 3.984 unità per un totale d’imposte di 1.084.522,37 lire.

Le quote di competenza dell’erario superano il 98 per cento per la ricchezza mobile, il 52 per cento per le rendite da fabbricati, fra il 48 e il 39 per cento per quelle da terreni. La seconda grossa quota è incassata dalla Provincia. Al Comune spetta circa il 4 per cento delle imposte su terreni e fabbricati e soltanto l’1,25 sulla R.M.

Le tasse comunali ascendono a complessive 115.144,54 lire. Per valore locativo sono 1.697 i contribuenti che versano 70.497,66 lire, e ce n’è per domestici, rivendite ed esercizi, cani, vetture… 

A proposito di vetture. In seguito ai molti abusi che si sono verificati nella circolazione de “gli” automobili in prova, il governo ha stabilito che il movimento dei mezzi appunto in prova, e quindi in esenzione tributaria, potrà esser consentita solamente entro i limiti territoriali della provincia. Su ogni automobile non potranno circolare più di quattro persone compreso lo chauffeur, e deve trovarsi apposta una targa di ferro smaltato a fondo turchino con lettere bianche per l’indicazione “in prova” ed anche quella della provincia di appartenenza e della ditta concessionaria, oltre al bollo di garanzia e lo stemma reale con la dicitura “tassa sugli automobili”.

Riuniti i suoi aderenti nei locali della biblioteca universitaria, la Società storica sarda, attiva in città ormai dal 1905, cerca di individuare nuovi filoni di attività.

Presieduta dal giovane eppur già esimio storico del diritto Arrigo Solmi – presidente soltanto nominale, perché egli è fuori Sardegna ormai già da alcuni anni, essendo passato ad insegnare all’ateneo di Siena – il sodalizio vanta un consiglio direttivo di altissimo livello: vice presidente operativo è Dionigi Scano e segretario il bibliotecario Arnaldo Capra, e con loro cooperano Raffa Garzia, Federico Menghini, Filippo Nissardi, Enrico Sanjust di Neoneli, ecc. Assicurano attiva partecipazione anche diversi esponenti della politica locale, della magistratura e dell’avvocatura, così come del notariato, dell’università. 

Sostenuta dai finanziamenti del ministero della Pubblica istruzione e degli enti locali, nonché da un cospicuo numero di benemeriti, la società è impegnata nella pubblicazione di alcuni studi destinati a far epoca: uno di Ettore Pais sulla storia antica dell’Isola, uno di Lodovico Baylle, i cui apografi inediti, custoditi nella biblioteca dell’ateneo (di cui fu presidente ai primi dell’800), sono destinati a formare un vero codice diplomatico delle relazioni fra Pisa e la Sardegna. In programma c’è anche l’uscita di un codex diplomaticus sardo-genovese, curato da Arturo Ferretto, e di un altro studio archivistico relativo alla conquista aragonese, con documenti recuperati perfino a Barcellona.

Procede abbastanza regolarmente la stampa degli annali cui si è dato il titolo di Archivio Storico Sardo, e molto graditi giungono i contributi di studiosi d’oltre Tirreno.

Il Circolo universitario ha la sua bella sede in via Torino, a pochi metri dalla chiesa dei Siciliani e dal comando della divisione militare. Può disporre di un gran salone destinato agli incontri plenari degli associati ed alle manifestazioni – siano conferenze o prove artistiche – di norma aperte al pubblico. Ne è presidente Valerio Sanna, ora impegnato a preparare gli ultimi esami e scrivere la tesi che discuterà, in facoltà di giurisprudenza, a novembre, nella stessa sessione che addottorerà, fra gli altri, il redattore del Corriere (e prossimo segretario della Camera di commercio) Ninuccio – Dettori.

Domenica 14 febbraio ha preso avvio un ciclo di conferenze che si è voluto rivolgere ad un pubblico pagante per la santa causa dei terremotati calabro-siciliani. Primo relatore è stato nientemeno che Ottone Bacaredda. Per lui, docente di diritto commerciale e sindaco negli anni caldissimi di “sa rivoluzioni” contro il carovita, è stato scelto il tema più azzeccato: “La politica del buon mercato nella storia economica della Sardegna”. Ed assolutamente gustosa è stata la sua trattazione che ha preso il passo, umile ma efficace, dell’aneddotica per attraversare alcuni secoli di storica civica e dimostrare che «l’odierno lamento sul caroviveri era un ritornello obbligato dei tempi remoti». 

Uscirà, nella tarda primavera, il libro di ben 280 fittissime pagine firmate dall’ex sindaco in penoso ricordo dei fatti del maggio rosso locale: L’Ottantanove cagliaritano, il cui ricavato è destinato al fondo vedove ed orfani della Società operaia. 

Del Circolo universitario, dello sport giovanile e del carnevale

A guardar l’età, le scuole sembrano il maggior serbatoio di atleti per la città. Per svariati giorni, a febbraio, le vetrine della sartoria Ancis hanno esposto all’ammirazione dei passanti l’artistica coppa messa in palio dall’Amsicora fra le sei squadre iscritte al torneo cittadino di foot ball, articolato a mo’ di play off: il 13 le eliminatorie, il 14 la finale. Arbitro il tenente Luigi Gambelli. Il sorteggio ha opposto (maleficamente) fra loro, innanzitutto, le due squadre portanti la stessa maglietta martiniana, quindi i ragazzi della scuola tecnica alla prima delle due squadre presentate dal liceo, ed infine i ginnasiali alla seconda formazione dettorina. Le eliminatorie hanno premiato la prima squadra dell’istituto tecnico e nautico, la seconda del Dettori e quella del Cima.

Per l’improvviso maltempo – vento e pioggia – le gare decisive sono state poi rinviate. Perfetto il recupero, merito anche delle tifoserie. E dopo l’agonismo i festeggiamenti al ristorante della stazione. Prenotazioni per 24 coperti: fra gli ospiti, tutti d’onore, il preside Ghera, il prof. Costa, l’omonimo – proprio per nome e cognome – presidente dell’Amsicora ed il tenente-arbitro Gambelli. Pochi discorsi, quelli che servono. Il prof. Costa ricorda la consuetudine degli istituti scolastici e delle facoltà universitarie, in England, a disputare campionati e tornei sportivi. Per gli studenti parlano Ballero e capitan Ballerini.

Dei riti popolari il primo nel calendario è, puntuale ogni anno, il carnevale. Le sedi nelle quali si sfoga la voglia, più o meno sfacciata, di sana allegria, in città, sono numerose ed il loro assortimento dà quasi il segno della varietà, ma anche della universalità, del sentire.

Cronache della settimana “grassa”, con qualche prologo e qualche coda. La sera di mercoledì 17 febbraio, al teatro Civico si svolge il gran ballo goliardico, finalizzato anche a raccogliere fondi per riempire alcune borse destinate agli studenti bisognosi. La replica, col gioco, è all’imberrettazione delle matricole, quando si fa sfoggio di costumi espressamente confezionati sui modelli delle antiche e prestigiose università di Pavia e Bologna. Non manca, naturalmente, l’orazione in latino maccheronico. 

Alle 23 in punto di sabato 20 è ancora pienone al Civico, stavolta a pro della Società operaia che ha organizzato il veglione delle maschere e dei mascherotti. Amministratori pubblici e nobildonne, colonnelli ed industriali – sempre i soliti –, ciascuno ha fatto e donato o prestato quel che poteva. Perché anche qui il fine sociale non manca. Ed è quello del ristoro del fondo a favore dei soci diventati inabili al lavoro e delle vedove ed orfani di quelli scomparsi.

L’indomani – nella notte fra domenica e lunedì – le danze carnascialesche migrano alla sede della corale del viale Regina Margherita. Ed il giorno (o la notte) dopo ancora è elegante replay al Civico, a beneficio dell’Istituto dei ciechi.

Festeggiano, magari con maggiore compassatezza, anche i soci dei circoli Mario De Candia ed Impiegati civili, che uniscono le forze, martedì 23, per tirarla fino all’alba e oltre dell’indomani...

Assai più modesto, col suo carattere quasi privato, è il carnevale dei seminaristi. Vi partecipano anche alcuni musicisti imprestati dall’Istituto dei ciechi. Nel piccolo teatro del Tridentino appena rimodernato, ed alla presenza dell’arcivescovo e del suo vicario, di diversi canonici e sacerdoti della città nonché dei chierici delle Missioni, i giovani Saba, Usai, Serci, Mulas e Meloni si esibiscono nel dramma in cinque atti “Giovanna d’arco”, mentre negli intermezzi i colleghi Dessy e Meloni due propongono due apprezzati monologhi. 

La pentolaccia cade nella notte fra sabato 27 e domenica 28: gli universitari festeggiano nella loro sala di via Torino, abbellita dalle tele di Filippetto Figari e del Caldanzano, con ospiti d’eccellenza come il prefetto ed il primo presidente della Corte d’appello, un mezzo esercito di colonnelli, capitani e tenenti, e poi, a profusione, avvocati, medici ed ingegneri, funzionari e quant’altri…

L’Eden e l’Iris hanno entrambi la loro sala nella via Roma. Il primo – di proprietà dei fratelli Vivanet – sta sotto i portici del palazzo di famiglia, messo su nel 1895 sulla destra della stazione delle Reali. L’Iris, che è un baraccone in senso proprio e di proprietà dei fratelli Mazza, si trova all’incrocio del Largo, dove qualcuno un giorno lontano vorrà impiantare i grandi magazzini della Rinascente.

“Le” film che entrambi – Eden ed Iris – presentano al proprio pubblico coprono soltanto la prima parte dello spettacolo serale cui seguono cabaret e varietà. Trattandosi per lo più di corto e mediometraggi, la proposta comprende più titoli per volta, con puntuale conclusione comica. Al salon-théatre Eden, “Ratto sotto Luigi XVI” è l’apertura appunto filmica segue il dramma dal vero “Norimberga”. Chiude la comica “Il signore, la signora ed il bambino”.

Anche all’Iris cinematografo e varietà lo spettacolo serale quotidiano si articola secondo lo schema collaudato. I titoli delle pellicole alludono ora a scene melanconiche o patetiche, ora a quadri storici addirittura epocali… “La istitutrice”, “Il Natale di un cane”, “Il grande Napoleone”…

Non è diverso, va detto, al Moderno ed anche al cinematografo Ideale, in via Sassari, che sono i cadetti della piccola famiglia dell’intrattenimento serale dei cagliaritani che preferiscono movie e varietà alla prosa.

Le filodrammatiche sono l’approccio volontaristico al teatro da parte di chi si “diletta” ad interpretare un copione. In città ve ne sono diverse, e ciascuna può contare sulla fedeltà del proprio pubblico. Si esibiscono in piccole sale di quartiere, in prevalenza al Novelli, a Castello. Fra esse merita ricordare la Juventus e la Lyra.

Un teatrino c’è anche a Stampace, al civico 32 di via Siotto Pintor, intitolato a Gioacchino Rossini. Quando se ne parla, sulla stampa, vien riferito che a prodursi su quel palcoscenico, con numeri di varietà, monologhi e più complessi copioni, sono i luigini di Sant’Anna. 


Cine-teatro laico e cine-teatro religioso, la questione del gazogeno e dell’acquedotto…

Altro è il teatro professionistico di chi ha fatto dell’arte un mestiere e da abile mestierante si esibisce, trottola inesausta, sui palcoscenici di tutt’Italia, nord-centro-sud-isole. Attrici ed attori di buon nome hanno portato al Politeama, già dai primi giorni di gennaio, una serie di commedie che hanno riscosso ottimo successo… Senz’altro però un salto di qualità si ha con l’arrivo della compagnia di Oreste Calabresi ed Elisa Severi, forte di ben 36 artisti, diciotto e diciotto più una decina di assistenti e tecnici, dal direttore di scena ai costumisti, dai tappezzieri agli scenografi, dai suggeritori ai fornitori… Il cartellone elenca titoli che copriranno un mese intero: “Il re burlone” di Rovetta, “I fantasmi” di Bracco, “L’esodo” di Monicelli, “I fuochi di San Giovanni” di Sudermann, “L’età critica” di Dreyer, “Il canto del cigno” di Duval e Rou…

Al Politeama, a fine febbraio, viene rappresentata la commedia “Due blasoni”, e ad essa seguono il sempre apprezzato “Bufere” di Sabatino Lopez, il “Cantico dei cantici” di Felice Cavallotti, memoria ancora vivissima in città, che il poeta-onorevole visitò nel 1891 e nel ’96...

Al Circolo universitario, dopo Bacaredda ed in logica d’alternanza di genere, tocca ai teatranti. Si presentano gli attori principali della compagnia chiamata a tenere il palcoscenico al Politeama da carnevale fin quasi alla settimana santa. E’ un successo bis. Essi offrono al pubblico una selezione delle opere di alcuni dei maggiori poeti nazionali moderni. Leggono Carducci, onorato due giorni prima nell’aula magna dell’università anche dal provveditore agli studi Luigi Garello. Ma non solo Carducci, s’affacciano e mosse strofe d’atmosfera iberica del suo “Passo di Roncisvalle” o i versi di vibrante impeto libertario dell’ode “Per la morte di Monti e Tognetti”… 

A marzo torneranno le conferenze. Verrà il turno di Josto Randaccio, per illustrare la produzione letteraria di Grazia Deledda. E poi di nuovo sarà lettura poetica, ma stavolta dello stesso autore. Diviso fra l’aula del Tribunale, quella del Consiglio comunale e le suggestioni del verseggiare, l’avv. Salvatore Palomba riassume molte vocazioni. E’ un bravo poeta ed il pubblico apprezzerà i suoi tre nuovissimi canti dedicati alla selvaggia bellezza del compendio dei Sette Fratelli e dell’annessa borgata di San Gregorio…

Procedendo la stagione torneranno i discorsi dotti. L’ancor giovane prof. Carlo Aru presenterà un “apostolo della bellezza”, il filosofo-scrittore-artista-filantropo John Ruskin. Il preside del Dettori Federico Menghini sarà sapido relatore sul curioso tema “Le parole di Don Basilio: pace e gioia siano con voi…”. 

Sul fronte delle infrastrutture che occorre assolutamente potenziare per renderle meglio rispondenti alle accresciute esigenze della città, il vero “colpo” del 1909 da parte del Municipio è il riscatto dell’acquedotto in abbinata all’acquisto dell’azienda del gas, da cui viene la possibilità di illuminazione dell’abitato urbano.

Il contratto è sottoscritto, nel doppio testo italiano ed inglese, con oltre 900 firme, il 1° marzo. Al rogito del notaio Giuseppe Sulis intervengono, per il Comune, il sindaco Giovanni Marcello ed il tesoriere Fedele Martini, e per la parte venditrice – The Cagliari Gaz and Water C. Limited – il direttore locale rag. Ernesto Sanna ed il procuratore dei liquidatori mr. Thomas Henry Scott, con l’assistenza dell’avv. Luigi Congiu. Fra i testimoni il cav. Romolo Enrico Pernis, nella sua veste di console di sua maestà britannica. Il passaggio di mano grazie a dieci vaglia della Banca d’Italia per il valore complessivo di 3.875.000 lire: somma che viene dal doppio prestito contratto dal Comune con la Cassa nazionale di previdenza per la invalidità e la vecchiaia degli operai e con la Cassa di risparmio di Torino.

Anche il Consiglio provinciale ha trattato l’argomento. Il rapporto, lungo e circostanziato, fra storia e diritto, è stato letto dal deputato Giuseppe Sulis, il quale ha concluso auspicando il sì dell’assemblea, ritenuto “l’inizio di un’era nuova” per l’azienda dell’acquedotto e «per il bene di Cagliari che è bene inseparabile da quello della Provincia».

Sette mesi dopo, il sassarese on. Michele Abozzi depositerà alla Camera la relazione sul disegno di legge presentato dal ministro Lacava fin dal 10 luglio, per la convenzione fra il demanio dello Stato ed il Comune di Cagliari. Un provvedimento di larga agevolazione fiscale per quest’ultimo, senza peraltro aggravi per l’erario.

Dire del servizio d’illuminazione pubblica, cioè dell’impianto generatore del gas in quel di Campo di Marte, comporta richiamare temi ed atmosfere del dibattito che, ancora tra fine marzo e metà aprile, si svolge in Consiglio comunale in vista di deliberare la spesa per l’allargamento dell’officina. Il primo problema che da più fronti ci si pone, a tal riguardo, è l’opportunità di consentirlo nell’antica ubicazione ove essa si è installata ormai da 42 anni. I rischi di incendio o di esplosione, per farla tragica, ed il fastidio del fumo della sua ciminiera, costituiscono motivo di perplessità che non basterà però a far decidere uno spostamento.

Quel che si decide, invece, è l’ingrandimento dell’impianto per aumentarne la capacità produttiva. Il che avverrà già in autunno grazie ai ritmi intensi di lavoro imposti alle maestranze specializzate della comasca ditta A. Badoni ed agli operai locali assunti per quattro mesi ed inquadrati dall’ingegnere capo del Comune.

«Occorre ampliare l’area dove sorge l’officina del gasogeno con un’altra area di 3.900 metri quadri di superficie, e occorre anche aprire una nuova strada tra il viale Bonaria e il vico 1° Nuoro – dice il sindaco nella seduta consiliare del 30 marzo –. Nello stesso tempo bisogna aprire due strade trasversali tra la proprietà Ballero e la proprietà Ravenna, ciò anche per rendere fabbricabili queste due aree. Per trattative già fatte con i proprietari, il Comune potrà avere l’area per ampliare l’attuale del gasogeno a lire 6 il metro quadro; l’area per la nuova strada longitudinale a lire 3 il metro quadro; l’area per le altre strade trasversali gratis». Alle spese occorre aggiungere quelle per un muro di cinta…. Insomma, 29.116,92 lire in tutto. Il Consiglio approva.

Il consigliere Pernis chiede se con l’ampliamento del gasogeno si sia rinunciato all’idea di impianto per l’illuminazione elettrica. Il capo dell’esecutivo risponde negativamente: non solo non si è rinunciato a tale idea, ma anzi «nell’area che servirà per ampliare quella su cui sorge l’officina a gas, una parte – 2.100 metri quadri – è riservata al futuro impianto elettrico».

Il nuovo deposito, formato da una enorme calotta a telescopio, potrà accogliere fino a 5.000 metri cubi di gas, il 70 per cento più di prima. Una amplissima vasca di lamina metallica, capace di 3.000 metri cubi di acqua e troneggiante fra i due vecchi serbatoi dismessi (ma pronti a tornare in servizio in caso di necessità), sostituirà la vetusta ed ormai insufficiente vasca in muratura sotterranea. Su di essa galleggeranno le due campane costituenti il gasometro.

Collegati alla vasca ed al posto delle robuste rigide colonne in ghisa, s’alzeranno al cielo alcuni snelli guidagli ad angolo in ferro, la cui flessibilità potrà meglio rispondere alle spire del vento. Tra i due anelli formanti la campana gasometrica funzionerà la chiusura idraulica per evitare qualsiasi perdita. Due grossi tubi con rubinetti di manovra condurranno il gas dai forni al gasometro, e da qui esso verrà immesso nella canalizzazione urbana.

L’impianto trasformato, ingrandito, potenziato e anche ingentilito, costerà alla fine 110.000 lire. Il beneficio sarà certamente per tutti. Specialissimo, però, per coloro – e sono circa 500 – che a casa hanno il sistema di riscaldamento con contatore automatico a monete di nichelio da 10 cent. (la tariffa per un metro cubo di gas), che ad aprile si è raddoppiato.

Nel mondo dei fastidi

Pur se l’amministrazione civica è molto attiva nel cercare di migliorare la qualità del tessuto urbano, delle infrastrutture e dei servizi pubblici, le ragioni di insoddisfazione dei residenti sono infinite. A Castello le vestali sono di stanza in via Stretta e, forse per la loro concentrazione in un’area troppo angusta e la mancanza di ogni misura nella regolazione del traffico, quel che emerge è il caos: rifiuti accumulati nella strada, turpiloquio cantato e gridato, lenoni pregiudicati che s’azzuffano nel vicolo buio, sudicio e maleodorante. Lì s’affacciano i balconi di molte case sia di via Corte d’appello che di via Genovesi, e i bambini crescono tallonati da spunti non propriamente edificanti. Di questurini non si vede mai neppure l’ombra. 

Girando per Castello a mortificare ancor più è quel senso di abbandono che emana anche dalle nuove opere pubbliche che pur dovrebbero rappresentare quel salto di qualità delle strutture urbane ritenute punti qualificanti di tutte le amministrazioni d’inizio secolo. Prendi la galleria Umberto I: le pareti scalcinate e malconce per l’umidità, eppure a proteggere muri e pilastri dalle infiltrazioni basterebbe forse una mano di cemento idraulico prima di una nuova passata d’intonaco. O prendi l’area del bastione di Santa Croce, nel punto in cui s’incontrano il Cammino nuovo ed il prolungamento della via Genovesi, transito obbligato per i castellani che vogliono recarsi all’ospedale civile senza dover girare mezza città: discarica a cielo aperto. Spazzatura ed escrementi sono montagne in fermentazione, basterà un acquazzone per ammorbare ancor più l’aria e diffondere dalla vetta della città un fetido messaggio d’inciviltà. 

Poco oltre la porta Cristina, da dove si dipana la passeggiata di Buoncammino, si trovano la caserma Carlo Alberto ed il carcere malvagio. Il traffico delle persone è notevole. Ebbene, lì è chiuso da vari mesi il rondò. Certo, la muraglia di cinta presentava segnali di cedimento, ed è stato prudente intervenire con una protezione e l’abbattimento delle rocce sporgenti, e però… 

Né è migliore la situazione nella città bassa, o di semicollina, ad iniziare da Stampace. Scoppietta il vandalismo nella piazza del Carmine, dov’è la statua sempre controversa dell’Immacolata, con protagonisti balilla senza criterio e senso del limite. C’è, in zona di ospedale civile, l’angustia degli spazi nei quali s’affacciano gli ingressi del nosocomio, mentre da più parti si suggeriscono soluzioni minimali di riordino, con alcuni modesti espropri per pubblica utilità, l’abbattimento di ruderi e lo spostamento, quanto mai opportuno, di un vespasiano.

C’è, soprattutto, il problema di un percorso viario all’altezza delle necessità, del gran numero di pedoni e/o di trasportati con i più vari mezzi, dalle vetture a traino animale alle macchine a motore. La zona interessata è quella che da piazza Yenne arriva al cantiere del nuovo municipio, e tutta l’area, dunque, del largo Carlo Felice e della via Carmine. Sistemate le fognature, si pensa all’impiantito. La grossa questione è: lastricato o acciottolato?

L’acciottolato al posto del macadam, vecchio ormai di vent’anni e colpevole di non aver salvato nessuno dal quasi quotidiano assalto del polverone, rappresenta una soluzione contestata dai più. Prima ragione contro: si deturperebbe una delle migliori arterie dell’ordito urbano; seconda: ne avrebbe contraccolpo negativo il mercato civico per l’ovvia difficoltà opposta al traino dei carri, mentre con la pioggia il rischio sarebbe autentico pericolo per gli animali, mentre altre strade ancor più bisognose di sistemazione vengono lasciate nel dimenticatoio.

Se non fosse possibile lastricare, sarebbe molto meglio procedere – suggerisce qualcuno – con una buona cilindratura, a cura della Provincia che anche in epoca recente vi ha utilmente provveduto da qualche altra parte.

Più portato a ragionare di economia, qualcun altro insiste, sul filo di una logica che pare serrata, sui costi. Premesso che la parte alta del Largo dovrebbe essere interamente lastricata e quella in discesa acciottolata così come la piazzetta Santa Croce, viene da pensare che una strada di così ampia carreggiata non potrebbe aver meno di due coppie di guide in granito; per realizzare le quali, da estendersi per la lunghezza di oltre 500 metri, si dovrebbero spendere almeno 40.000 lire… Quanti problemi! E poi veramente si lasciano nell’abbandono tante strade, con fossi e pietre disseminate qua e là… Basti pensare al tratto del corso Vittorio Emanuele tra l’imboccatura della discesa al Carmine e lo stabilimento Merello. Né migliore è la situazione in via Cucine e, per restare a Stampace, in via Santa Margherita, sempre molto frequentata, anche perché preferita per la rapida risalita a Castello, in alternativa alle irte scalette di Giacobbe; idem il viale San Pietro ed il viale La Playa, o il lato mare della stessa via Roma: polvere e polvere! Idem ancora lo stradone che taglia in due il borgo di Sant’Avendrace: il primo tratto fino al dazio è tutto bello cilindrato, il seguito è il regno della terra al vento. Assurdo, poi capita che si lesini il soldo per la nettezza urbana, per l’igiene al mercato dei commestibili che un tempo veniva lavato due volte la settimana, mentre ora, per colpa del bilancio avaro, una sola volta…

Le soluzioni alternative sono più d’una. C’è chi vorrebbe la cilindratura con l’impiego del catrame e del pietrisco, capace di realizzare una massa uniforme e solida; con l’acciottolato votato dagli assessori, invece, si paventa un Largo “deserto pedonale” ed ostile anche ai veicoli a ruote strette, come le biciclette, con conseguenti danni per il commercio. Altri ha pensato che il modello Santa Croce non funzionerebbe in una strada di ampio transito: i sassi di piccola pezzatura non saprebbero opporre resistenza ai pesi dei veicoli, sicché ad ogni lieve attrito essi si smuoverebbero lasciando i vuoti, cioè avvallamenti e fossi per il ristagno dell’acqua piovana. E sempre cercando soluzioni alternative, c’è infine chi suggerisce né acciottolato né lastricato, ma due bei filari di alberi e manutenzione a modo. 

Anche alla Marina la situazione è precaria. La via Arquer la sera è confinata nel buio più pesto: manca anche un solo fanale fino ad arrivare alla via Cavour. A dir della Marina potrebbe anche aggiungersi un’altra osservazione critica motivata dall’ormai invalsa consuetudine dei facchini di riunirsi in piazza Martiri, nell’attesa di una chiamata al lavoro ecco lazzi e chiasso, ecco il turpiloquio gratuito che disturba chiunque passi in zona

Strade ed illuminazione, acqua ed igiene. I rubinetti non sono ancora arrivati in tutte le case, anzi larga parte della popolazione si deve approvvigionare, paziente, alle fontane sulla via. Queste sono spesso fontane di spreco, per guasti mai sollecitamente riparati. Come avviene appunto in via Collegio, fra la scuola tecnica ed il liceo-ginnasio. Una sorgente sempre aperta che genera un ruscello, un torrente, un fiume. E di più: il vespasiano che nella via Baylle copre le spalle al mercato civico è un’autentica indecenza. Al suo pari, nonostante il conveniente riparo di lamiera di ferro recentemente aggiunto alle postazioni, sono tutti gli altri sparsi per la città, e fra essi quello più prossimo al teatro di palazzo Brondo, che ha una sola imboccatura… 

Nel quadrifoglio urbano c’è infine Villanova, il cui tempo è dettato da un orologio – quello del campanile di San Giacomo – che ogni qualche settimana fa riposo ad un quarto alle 16 e combina così brutti scherzi a chi non li merita, come le operaie della Manifattura alcune delle quali, depistate dalle lancette del quadrante, han perso, causa ritardo, un’intera giornata di lavoro. C’è poi da dire del buio serale delle strade: ad esempio quella che da via Ozieri porta all’enologica, in regione di Sant’Alenixedda. Così è fra le più prossime vie Tempio e Macomer, dove va sorgendo un nuovo quartiere. Le costruzioni paiono levarsi senza alcun preciso indirizzo urbanistico... 

Un altro peccato di Villanova, soprattutto nell’ultimo tratto che apre al sub-quartiere di San Mauro/via Giardini, è il teppismo che, per piccolo che sia, toglie comunque la tranquillità ai residenti. Tutti i giorni i monelli debbono esercitarsi con i sassi su obiettivi mobili – i passanti –, o con i fiammiferi accesi per vedere l’effetto che fa, per non dire del vocabolario scelto per far colpo..., e poi sono furti e aggressioni...

I grandi, in verità, non danno il buon esempio. Nei pressi della chiesa di San Giovanni «vi è una sarta che per la miserabile mercede di 0,75 settimanali ha il barbaro coraggio di far lavorare una decina di ragazze dai dodici ai quindici anni, non solo tutti i giorni dalle 7 alle 13 e dalle 14 alle 22, ma anche le domeniche dalle 7 alle 13. Come si vede – è la denuncia del settimanale socialista La Forza Proletaria – l’autorità è inerte e qui s’infischiano di leggi e di regolamenti».

Scendendo di qualche centinaio di metri, nella via Nuova (prossima Sonnino) le principali ragioni di lamentela vengono dallo stato gravemente antigienico del mattatoio e da quello, non meno precario, delle chiaviche. Circa il mattatoio, che s’erge pestifero di lato al giardino di San Lucifero, il meno che possa dirsi è che è l’ospizio di ratti e sorci d’ogni razza, mentre i ganci e gli arpioni a cui vengono fissati i quarti sono fonti autorizzate di infezione. Riguardo alle fognature, tutto il primo tratto è dolente testimone d’una presenza che, invece d’esser a favore dell’igiene, ne è nemica implacabile. Le mefitiche esalazioni che ammorbano l’aria della zona si combinano infatti con quelle provenienti dalla cloaca del quartiere, dal marciume delle alghe di su Siccu, dai fumi dell’officina del gas.

E’ un settore della città, anche questo, di recente edificazione abitativa economico-popolare, che oltre a subire l’oltraggio dei miasmi e, manco a dirlo, quello del più assoluto buio vespertino, soffre adesso, in rassegnato silenzio, di un altro quotidiano attentato: le visite dei ladri. Né è raro vedere qui (presso i Magazzini generali o alla stazione tramviaria di via Garibaldi) i carrettieri sdraiarsi sui propri veicoli, lasciando al pascolo brado gli animali…

Verso Bonaria merita lamentarsi di una certa fontana che, a ridosso del muro di cinta del cimitero, ha accolto, durante una delle ultime epidemie coleriche, un numero cospicuo di cadaveri. Ebbene, il terreno che la contiene è stato di recente acquistato da un tale che, ha voluto ripulirla buttando fuori, senza rispetto di niente, così alla rinfusa, gli scheletri. Si sono colmate due grandi ceste di teschi e tibie e femori, batuffoli di capelli e umili cenci di sfortunati cagliaritani. La pietà non è arte che s’impara.

Diciamo la verità. La condizione estetica della città non è d’esempio. La confusione toponomastica ne è forse simbolo, unificante nel peggio i quattro quartieri e i due sobborghi. Le targhette coi nomi delle vie e/o i numeri civici corretti all’ultimo censimento sono frequentemente sbiadite ed illeggibili, oppure hanno ceduto… Ma è il tono generale dell’abitato, è il basso decoro dei monumenti e la loro negata fruibilità ad umiliare i più sensibili ed i visitatori di fuori, che di Cagliari intuiscono le potenzialità inespresse. facciata della cattedrale è disossata ormai da dieci anni (sotto il barocco non è stato trovato il romanico), e Sant’Eulalia è chiusa già da un anno e non si sa per quanto tempo lo resterà, mentre altrove sono gradinate sconnesse o prospetti pericolanti…

A marzo sono convocati i comizi elettorali per il rinnovo parlamentare. Per la prima volta, anche a Cagliari, seppure in forma indiretta, i cattolici partecipano con proprie candidature, magari – come avviene nel collegio del capoluogo – dentro lo schieramento ministeriale-costituzionale. Questa è, infatti, la qualifica politica dell’ing. Edmondo Sanjust di Teulada. 

Non ha accettato di candidarsi il cugino conte palatino, il cui nome pure si è affacciato dalle colonne di qualche giornale anche del continente. La circostanza, unita allo spirito pressoché concorde di chi si riconosce nell’ente camerale, è decisiva per portare al confronto con l’avversario radical-laicista Umberto Cao l’ing. Sanjust: «uomo non solo competente ed attivo, ma indipendente, rispettoso del sentimento religioso e pronto alla lotta a sostegno degli interessi del paese contro le mene settarie», scrive il Corriere.

Giovedì 25 febbraio, nella sala adunanze della Camera di commercio, a palazzo Devoto, invitati dal presidente Nobilioni intervengono numerosi elettori (o grandi elettori) per lanciare proprio la candidatura dell’ing. Sanjust-Roberti. Fra i primi il sindaco Marcello, il presidente della Deputazione provinciale Marongiu, il presidente della Società operaia Concas, e professionisti, imprenditori, docenti tutti di primissimo piano, dal notaio Cugusi al cambista Alagna, dall’esattore Boi allo spedizioniere Aurbacher, dall’economista Vinelli all’impresario Barbera, agli industriali, commercianti, finanzieri, immobiliaristi, ecc. – taluno anche con incarichi pubblici – , Rafaele Accardo e Benvenuto Pernis, Antonio Cocco e Vittorio Tronci, Giuseppe Carta e Silvio Lippi, Dionigi e Stanislao Scano, ed altri ancora di pari livello.

La proposta del sindaco Marcello è accolta dal designato come un grande onore. Egli prende la parola per dichiarare subito che, se eletto, sosterrà un programma di importanti opere pubbliche sui molteplici fronti dei bacini di irrigazione, delle comunicazioni ferroviarie, delle attrezzature portuali, tutte infrastrutture necessarie al rifiorimento delle attività economiche sul territorio.

Di tutt’altro tenore è l’impostazione elettorale di Cao, portavoce delle forze dell’estrema popolare, interessate ad introdurre una certa legislazione operaia, a riformare il sistema fiscale e l’esercito, a pubblicizzare le tratte ferroviarie, a laicizzare – soprattutto laicizzare – l’insegnamento scolastico, ecc.

L’accentuazione giacobina della candidatura Cao, appoggiata apertamente dal giornale Il Blocco Popolare e dal socialista La Forza Proletaria (avendo egli dichiarato di «accettare, come radicale, il programma minimo socialista»), conduce a marcare, ogni giorno di più, di un segno opposto quella del suo avversario, sostenuto con crescente convinzione dai clericali, fino addirittura ad ottenere dalla Santa Sede l’abolizione del “non expedit”.

Di massoneria irreligiosa si parla molto, anche troppo e perfino con strascichi giudiziari (per querele per falso, o per diffamazione e ingiurie, o per pubblicazione abusiva di corrispondenza, ecc.), nella polemica elettorale soprattutto giornalistica. I clericali, si sa, vedono massoni ovunque, gli anticlericali spesso non sanno riempire di contenuti sociali e modernismo istituzionale la loro proposta.

In città sono iscritti alle liste 2.880 elettori distribuiti in sei seggi: uno a Castello (presso le elementari di via Lamarmora 44), uno a Villanova (nella chiesa del Santo Cristo), due alla Marina (alle elementari Santa Teresa in via Collegio), due a Stampace (rispettivamente nella chiesa di San Giorgio ed in quella di Santa Restituta). Nell’intero collegio – comprendente anche i comuni di Capoterra, Monserrato, Pirri, Pula, San Pietro Pula, Sarrock, Quartu, Villasimius, Quartucciu, Selargius e Sestu – gli iscritti assommano a 4.210.

Alle urne si presentano complessivamente poco meno di 2.700 elettori. Particolarmente interessante, in città, la distribuzione del voto, fra vincitore e sconfitto, per quartiere: 200 a 109 a Castello, 156 a 140 a Villanova, 313 a 187 alla Marina, 238 a 157 a Stampace. Questo il risultato finale comprensivo anche del dato dell’hinterland: Sanjust 1.771 suffragi, Cao 718, una settantina i voti dispersi.


Nasce Francesco Alziator, il battesimo al Santo Sepolcro

“Anno Domini millesimo nongentesimo nono die decima quinta mensis Martii Puer natus die decima secunda hora vigesima secunda…”. Don Amedeo Loi, parroco collegiato di Sant’Eulalia, compila l’atto di battesimo del piccolo Francesco Vincenzo Salvatore Giuseppe Alziator, figlio di Mario (fu Francesco e fu Vincenza Meloni: quest’ultima deceduta, nella sua casa di via Lamarmora, da poche settimane soltanto), nativo di Caserta, e di Matilde Marini (fu Salvatore e di Geronima Carossino), originaria della Marina di Cagliari. Padrini uno zio paterno, Giuseppe Meloni, e la nonna materna, il rito si è compiuto “in hac Ecclesia Sancti Sepulchri”. E’ il sessantaduesimo battesimo, dall’inizio dell’anno, nella chiesa certo più bella ed originale del quartiere della Marina che ha assunto, in tutto e per tutto, le attribuzioni parrocchiali di Sant’Eulalia, chiusa ormai da diversi mesi per importanti lavori di restauro.

Per dimensioni territoriali e per popolazione la parrocchia dell’antica La Pola è forse la più dinamica della città. Può contare, nella propria circoscrizione che si giustappone a quella amministrativa della Marina, su più chiese succursali: da San Francesco di Paola, affidata ai minimi (o paolotti), nella via Roma, alle Cappuccine di clausura, quasi dirimpetto a porta Castello, da Sant’Antonio abate e Santa Caterina alessandrina, entrambe nella via Manno, gestite dalle arciconfraternite rispettivamente della Vergine d’Itria e dei Genovesi, a Santa Rosalia, onorata anche dalle spoglie del beato Salvatore da Horta, officiata dai minori francescani, da Santa Lucia, nella via Sardegna, a Sant’Agostino (provvisoriamente chiusa però), di lato all’asilo della Marina e Stampace, nella via Baylle… Ma la vice parrocchia è Santo Sepolcro. Chiesa suggestiva, singolare nella storia della sua fabbrica e nel superbo impianto architettonico come di chiesa doppia… I suoi vanti anche artistici sono un’infinità: dal magnifico retablo in legno intarsiato, che occupa tutta una grande parete del cappellone realizzato per grazia ricevuta, ai due splendidi ed imponenti crocifissi, dei quali uno domina dalla nicchia centrale dell’altare maggiore e l’altro è solito esser portato in processione nelle ricorrenze più significative, dalla cosiddetta “quadreria” – le quattro tele ritraenti una il committente don Antonio Lopez de Ayala, viceré di Spagna, e le altre sua moglie ed i suoi due figli – all’antico organo che forse è il migliore dell’intera città, con i suoi doppi mantici azionabili a mano…  

Un veloce excursus fra le sue attività – eminentemente quelle liturgiche – offre la misura della vivacità della partecipazione dei cagliaritani, non soltanto sempre del quartiere, alla missione spirituale animata dalla collegiata (col dottor Luigi Pinna – praeses parochus dal maggio 1903 – sono i teologi Efisio Argiolas e Giuseppe Lai ed il citato don Amedeo Loi):

- da sabato 16 gennaio, alle 7,30, pio esercizio dei sabato dedicati alla Vergine di Pompei;

- martedì 19, alle 10,30, solenne funerale in suffragio delle vittime del terremoto calabro-siciliano, pagato dall’arciconfraternita del SS. Crocifisso e dell’Orazione: nella chiesa parata a lutto, con maestoso catafalco al centro della navata, circondato da numerosi lumi, celebra il cappellano don Loi, con assistenza dell’arcivescovo che imparte, infine, l’assoluzione al tumulo. «Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla...». Magica atmosfera, fra cori, incensi e luci, sincera e palpabile la commozione;

- venerdì 12 febbraio, festività liturgica di Sant’Eulalia, la martire barcellonese titolare della parrocchia. Messe lette circa ogni ora per l’intera mattinata; alle 10 solenne pontificale dell’arcivescovo assistito dal capitolo metropolitano, con panegirico del dottor Argiolas; al primo banco è, secondo tradizione, la rappresentanza municipale, mentre il servizio musicale è dell’orchestra civica. Ottima la collaborazione fra la collegiata, la congregazione del SS. Sacramento e l’arciconfraternita del Santo Sepolcro. Intanto mons. Balestra, che ha finito di visitare le chiese filiali di Stampace, annuncia l’avvio del giro fra quelle della Marina;

- domenica 28, alle 10,30, inizio dei quaresimali da parte del padre Porpora, su incarico dell’arciconfraternita; il pomeriggio del giovedì e della domenica predicherà invece, per conto della collegiata, il can. Alfieri, proveniente da Nocera Umbra, che tiene pulpito anche in duomo (il purgatorio e la libertà di pensiero sono il filo conduttore dei suoi discorsi);

- preceduto dai vespri cantati della vigilia, lunedì 1° marzo festività della Vergine della pietà, che dà il titolo allo storico cappellone: alle 10,30, dopo varie messe lette, solenne celebrazione con omelia del dottor Argiolas; di sera vespri, coroncina e benedizione; 

- sabato 13, inizio della novena a Gesù Nazareno, tradizionale devozione della chiesa, dove è custodita un’antica pregevole tela raffigurante appunto il Nazareno, dipinta da entrambe le parti: un quadro «che viene esposto – sono parole del canonico Giovanni Spano del 1861 – in mezzo alla Chiesa sopra una base impernato, vedendosi così la figura di davanti e delle spalle. Si ha molta venerazione a questa immagine, come all’altra vicina, esprimente parimenti il Nazareno, che dicesi sia stato rinvenuto insieme al simulacro della Vergine».

Dei circoli culturali operanti in città, il Filologico con sede al civico 22 della via Azuni – è senz’altro uno dei più impegnati e, anche, utili al pratico. Perché non organizza soltanto belle conferenze per il diletto dello spirito, ma pure cicli di lezioni di lingue straniere la cui conoscenza è ogni giorno di più avvertita come necessaria da chi, ad esempio, affida lo sviluppo dei propri affari a relazioni con paesi esteri.

C’è l’uno e c’è l’altro, al Filologico, il godimento estetico e l’addestramento ai verbi ed ai vocaboli stranieri. Domenica 14 marzo di mezza mattina, il prof. Michele Regillo, docente alla scuola di pittura di piazza Sant’Eulalia n. 1 bis, svolge una conversazione su “Il dovere dell’arte”. Su tutt’altro versante, per fare un salto di molti mesi arrivando addirittura al 23 novembre, è la conversazione di Antioco Casula noto Montanaru da Desulo, che ai molti accorsi ad ascoltarlo (ma lui replicherà subito al Circolo universitario) offrirà anche alcuni dei suoi migliori versi dialettali che rappresentano quadretti di vita rurale isolana. 

Dal sardo desulese alla lingua di Shakespeare. Lasciato Montanaru, arriverà R.S. Mackechnie. Proprio il sabato immediatamente precedente il Natale terrà una pubblica lettura, ovviamente tutta in english, sulla tragedia “Salòme” di Oscar Wilde, l’«immaginoso e sciagurato poeta» che ancora tanta inquietudine desta fra i benpensanti anche della provincia italiana.

Conferenze fra circoli e scuole, la cooperazione contro il caropane

Fra i suoi colleghi certo il prof. Guido Costa è uno dei più attivi. Trentottenne docente di inglese, grosso esperto di fotografia, da un anno artiere anche lui della loggia Arquer, è il primo ad occuparsi, al Martini, anche di dattilografia, allestendo un apposito corso per i ragazzi della sezione commercio-ragioneria. «Ormai la conoscenza della macchina da scrivere – ha osservato in febbraio – è diventata una necessità per chi attende alle aziende industriali». Nasce così, d’intesa col preside Ghera, un’altra anticipazione didattica: un insegnamento adesso sperimentale, ma certamente fra non molto curricolare ed obbligatorio.

A proposito del prof. Costa. Egli è figlio di quell’Enrico Costa, ingegno versatile, scrittore di prim’ordine ed annalista della storia millenaria di Sassari che purtroppo scompare, dopo mesi di sofferenza, venerdì 26 marzo. Domenica 28 la personalità dello scomparso viene illustrata in un’apposita assemblea aperta che si tiene nei locali di piazza Santo Sepolcro. 

Per una ragione o per l’altra, il prof. Costa è sempre al centro degli affetti, stavolta lieti: due mesi dopo il lutto familiare, la moglie Evelina Siotto lo rende papà, e allora sono gioie condivise. Sì, perché l’austero Martini è, in fondo, una grande famiglia, e come in ogni famiglia le ricorrenze del calendario sono tutte buone per sviluppare lo spirito solidale. Esempio? Il 17 maggio è San Pasquale Baylon e cioè l’onomastico del preside. E dunque la sera della vigilia questi viene festeggiato alla grande dai ragazzi che chiamano a raccolta orchestrali e dilettanti per una serenata sotto le finestre di casa. La mattina seguente toccherà ai professori offrire un segno di stima e cordialità e così alle signorine della sezione femminile.

Lo spirito di corpo è fortissimo. Qualcuno compie anche apposite ricerche per ricostruire le origini del proprio istituto: aperto nel 1862, suo primo preside fu il compianto giurista sen. Gavino Scano (il cui figlio Giulio donerà all’archivio le carte gelosamente custodite in casa). All’inizio funzionava soltanto la sezione chimico-commerciale ed il numero degli iscritti era veramente irrisorio, soltanto poche decine di allievi…    

“Calmiere!”, titola la sua manchette la premiata fabbrica di conserve alimentari di G. Coroneo, con stabilimento al civico 17 del viale San Pietro. Conserve ma non solo, anche pomidoro a pezzi ed interi, e polpa speciale scatola grande e mezza scatola, e ancora salsa pomodoro, e tonno all’olio, e sardine pure all’olio, e capperi sott’aceto…

Calmiere è la parola magica perché il caropane è problema permanente ed irrisolto. Si vorrebbe conoscere, ma non si sa come scoprirlo, il livello del profitto dei panificatori, cioè dei padroni dei forni, anche se è notorio che il prezzo della farina è in costante aumento a causa del cartello fra gli industriali molitori e delle fusioni societarie intervenute nel settore.

Il sogno di una cooperativa di panettieri non riesce a tradursi in realtà. E questo nonostante il certissimo sostegno che, dandosene l’opportunità, offrirebbe il Municipio con l’erogazione di un contributo a fondo perduto e la sottoscrizione del capitale azionario (tale da consentirgli anche un qualche controllo sulla gestione della cooperativa). Il calmiere del forno cooperativo sarebbe senz’altro più efficace di quello attualmente consentito dal forno municipale. Quest’ultimo potrebbe, sì, aumentare la sua produzione, ma occorrerebbe prima un’apposita deliberazione del Consiglio comunale per l’acquisto, con denaro pubblico, di attrezzi e macchinari più capaci.

Circa il sistema, altrove applicato, di dar credito ai dipendenti attraverso appositi buoni di spesa, esso non dovrebbe né trovare né provocare difficoltà, perché le “cantine” date in appalto, nei maggiori stabilimenti industriali, a cooperative sogliono concedere affidamenti su libretti calibrati sul salario di una settimana o rilasciare buoni al portatore dei quali rispondono i sorveglianti contabili aziendali. Settimanalmente, così, dal salario viene scontato il valore delle vettovaglie somministrate e la partita si pareggia con la sistemazione dei fornitori. 

Domenica 5 aprile un pubblico comizio promosso dalla Camera del lavoro sotto il loggiato del mercato (dove a causa della pioggia si è dovuti riparare dall’originario prescelto sito della piazza del Carmine) recupera queste riflessioni ed i progetti conseguenti, tentando di sviluppare una difficile opera di sensibilizzazione dei lavoratori.

Fernando Fara – il leader più acceso del radicalismo anticlericale della città – e gli esponenti sindacal-socialisti Ferdinando Barbieri e Luigi A. Lobina (il primo segretario provvisorio della CdL, il secondo direttore del giornale dei ferrovieri L’Avvenire) espongono i loro argomenti e lanciano le loro parole d’ordine a quelle decine, invero non troppo numerose, di operai accorsi. Chi c’è, infine, vota un documento proposto dal repubblicano Gio.Maria Valli, dando mandato a Barbieri e Lobina di discutere e cercare di concordare soluzioni col sindaco. Il che avviene appunto l’indomani: l’obiettivo dichiarato è la trasformazione in cooperativa dell’attuale forno municipale, onde aumentarne la capacità produttiva. All’ing. Marcello l’idea pare, in linea di massima, condivisibile. Perciò chiede ai suoi interlocutori di presentargli un progetto compiuto. Non ha infatti dato grande risultato il precedente tentativo, da lui stesso personalmente esperito, di apparentare la lega fornai alla cooperativa di consumo attiva in città…


Musica e ginnastica, leva militare e altro ancora

Ogni domenica per un mese circa, sino a marzo inoltrato, il palcoscenico di via De Candia ha ospitato, la domenica, una serie di incontri musicali organizzati dalla Società “per concerti sinfonici”, per lo più condotti dalla maestria di Nando Benvenuti, pianista di grande valore. Non sono mancate le esibizioni dei nuovi talenti. Si sono particolarmente distinti giovani artisti fra cui il violinista Gavino Dessy Deliperi, un brillante avvocato che è mente e cuore del sodalizio, e le pianiste Maria Teresa Germonio e Mary Toreno. 

Il repertorio è stato il più vario: Chopin e Mendelsson, Martucci ed Hendel, Drdia e Chimeri, Listz e Wieniewschy…, ciascuno con la propria ispirazione ed impronta, chi con una mazurka chi con una serenata, o uno scherzo, un preludio, una fantasia… L’orchestra dell’ottimo maestro Giulio Buzenac, forte di una sessantina di esecutori, ha accompagnato da par suo i solisti.

Uno degli ultimi spettacoli ha incluso anche la cavatina di Rosina nel “Barbiere di Siviglia”, proposta dalla contessina Luisa Serra Rossi, avvalsasi dell’accompagnamento della massa orchestrale all’obbedienza del maestro militare Raffaele Luongo. Un talento cresciuto in casa e finalmente rivelatosi... E lunedì 12 aprile ecco il palcoscenico finalmente offrire al giudizio del pubblico altre “nuove proposte”: Efisia Cugia, virtuosista del piano, Adelina Vivanet, soprano di temperamento, ed ancora la Serra Rossi, che strappa vivissimi applausi con due romanze di Carlo Sanjust ed arie di bel respiro…

E a proposito di nuovi talenti, val giusto menzionare anche il saggio pianistico promosso dalla signorina Margherita Pettinelli, maestra di pianoforte recentemente diplomatasi al conservatorio di Santa Cecilia, la quale presenta le sue brave allieve – una decina di adolescenti – in esercizi impegnativi sugli spartiti di Schumann e Listz, Kulav e Clement, Sgambati e Durand, Chopin e Rosati, Bohr e Nicolosi …

Obbedienti alla patria, educati al culto delle sue memorie… Nello spirito pubblico, ma non solo dei ceti di mezzo e dell’high, è presente anche a Cagliari questo sentimento del divenire continuo, del progresso indefinito, senza comunque dimenticare mai le scaturigini. 

Il risorgimento unitario ha introdotto, per affiatare la patria, la coscrizione obbligatoria. Non tutti, specialmente dai territori più remoti delle campagne, si sono, nel tempo, adeguati – i renitenti sono ancora troppi –, ma la legge è legge… Il commissario di leva ha, dall’inizio dell’anno, fatto il suo giusto giro fra i mandamenti dell’intera circoscrizione: è partito da Quartu ed è poi passato, in successione, per Sinnai, Selargius, Dolianova, Decimomannu, Serramanna, Nuraminis, ecc.

In città le operazioni di leva si svolgono nella chiesa (non più officiata) di Santa Maria del Monte, a Castello, con supporto logistico anche nel teatro Civico. Circostanza, quest’ultima, che è legittimo motivo di protesta dei benpensanti i quali, dopo i bacilli antivaiolosi dei bambini vaccinati nel foyer, debbono ora sopportare quelli pruriginosi delle reclute. Di giovanotti, e anche giovinastri, per di più soliti esibirsi in allegre ma moleste, impudenti, irriguardose chiassate nelle ore meno opportune. 

Un manifesto del sindaco ha ricordato, dai primi di aprile, le disposizioni emanate dal ministero della Guerra: all’atto della presentazione, ciascun iscritto nelle liste dovrà dichiarare se sappia o meno leggere e scrivere; in caso affermativo, ed ove non sia in grado di esibire idoneo certificato rilasciato dall’autorità scolastica, egli dovrà fornire la prova scrivendo sotto dettatura un breve periodo da leggere quindi alla commissione.

Le operazioni iniziano proprio nella settimana santa, il che provoca altre giustificate proteste da parte degli ambienti clericali. «Noi italiani – scrive il Corriere del 13 aprile – siamo sulla via della scristianizzazione ufficiale, impropriamente presentata per separazione, farisaica, della chiesa dallo stato».  

La mattina di domenica 22 marzo si svolgono, al Politeama Margherita, le premiazioni dei soci dell’Arborea. Presenti tutte le autorità provinciali e cittadine nonché le rappresentanze dei sodalizi ed istituti scolastici, e un grande pubblico che riflette gli umori dell’ambiente e la simpatia diffusa verso lo sport praticato, c’è festa bella che la parata delle bandiere sul palco e le note della banda civica sottolineano ancor più. Uno stupendo colpo d’occhio e d’orecchio: luci e colori, le coreografie dello sport e della società.

Con gli squilli della fanfara, alle 10,30 in punto, inizia la presentazione delle squadre. In testa i soci adulti capitanati da Filippo Pettinau e gli allievi da Giulio Lai. Le divise in perfetto ordine, i movimenti come da copione, le voci intonate che, sotto la direzione del maestro Viglietti, eseguono gli inni sociali. 

Trenta juniores danno avvio alla parte spettacolare del programma con le manovre di plotone e gli esercizi ai bastoncini francesi; seguono i combinati alle sciabole, le progressioni alle parallele ed ai fucili. Applausi torrentizi di generali e colonnelli, di commendatori e cavalieri, di atleti a riposo od in attività e genitori e giovani mogli o fidanzate, di appassionati e tifosi. Ecco poi la lunga lettura dei messaggi di adesione pervenuti e dopo ancora il discorso ufficiale del prof. Marcello Vinelli, che illustra l’influenza della ginnastica sulla formazione del carattere dei ragazzi, con accenni anche alle virtù della “stirpe” ancora una volta esaltate nella solidarietà offerta ai terremotati calabro-siciliani, e l’evocazione delle grandi memorie patrie, da Amsicora ad Eleonora a Garibaldi. Un atleta della leva più giovane offre al professore un bel servizio da scrittoio in argento con dedica. E’ l’omaggio affettuoso di tutti i soci al loro presidente. 

A mezzogiorno e si passa alle attese premiazioni: scorrono rapidi gli atleti da medagliare con il vermeil di grandi proporzioni e presentano fregi alludenti allo sport e l’incisione del nome del donatore, oppure con oggetti di qualche valore ed utilità pratica.

A lavori quasi conclusi, arriva, accolta dalla fanfara e dall’applauso generale, la Jolao di Iglesias ed un corteo si forma per migrare, in disciplinato coreografico ordine, ai locali sociali, a sa Butanica, per la prevista cioccolata.

Ancora al Politeama, c’è un replay dell’Arborea due settimane dopo, domenica 11 aprile, giorno di Pasqua. Il programma miscela numeri di ginnastica e prove di una filodrammatica e di musicisti dilettanti. Gli atleti si esibiscono agli anelli, alle sciabole, alle scale ed in altri esercizi a corpo libero, fra cui un numero speciale di lotta chiamata “catch as catch can”, di larga pratica in England ma novità assoluta a Cagliari. C’è poi teatro e un po’ di musica…

L’agenda di primavera dell’Amsicora va in parallelo a quella dei buoni cugini (poveri) dell’Arborea e subito si nobilita per un’iniziativa di merito sociale. Visto il gran numero dei militari che hanno presentato domanda d’iscrizione, il consiglio direttivo, nella sua seduta del 21 marzo, delibera di ammetterli tutti a frequentare gratis le lezioni di ginnastica.

Domenica 25 aprile, gita a Dolianova. Partecipano in 300, inclusi diversi soci del Club alpino. Consumazioni al sacco – il tempo è bello – ed alle 16 assemblea generale in piazza per assistere ai balli folcloristici ed alle corse dei cavalli. Nel frattempo arrivano dal capoluogo altre comitive, fino ad essere 500 in tutto. Si riparte intorno alle 21, col diretto che stantuffa rispondendo ai fuochi pirotecnici ed agli spari che salutano gli ospiti.

Anche l’Amsicora la sua tornata di premiazione se l’organizza al Politeama. A ricevere l’applauso da palchi e platea, nella tarda serata di giovedì 20 maggio, saranno gli atleti che hanno meglio figurato ai concorsi ginnici di Troyes e Piacenza e, con loro, gli studenti che hanno partecipato al torneo interscolastico di foot ball promosso nel 1908. 

Disposte sul palco, con la loro tenuta nuova fiammante, le squadre maschile e femminile subito offriranno un saggio del loro proverbiale valore. Sono esercizi a corpo libero ed ai bastoni jager. Il primo premio verrà conferito alla bandiera sociale, toccherà poi alle scuole, ed infine ai singoli atleti. Aprirà la sfilata la signorina Honnorat, caposquadra della sezione femminile. 

Giovedì 1° aprile le alunne del secondo e terzo corso della normale vanno in visita alla scuola enologica. Guidate dal preside e da alcuni professori, esse osservano, affascinate, la coltivazione della vite e di altre piante, trattenendosi anche nel laboratorio e nella grande cantina, dove l’arte umana sa impreziosire perfino la natura…

Allungate di qualche giorno le vacanze pasquali, elementari-complementare-normale-corso frobeliano godranno più in là di un’altra occasione per evadere dai ritmi ordinari del quotidiano: accadrà a fine maggio, per l’onomastico del preside da festeggiarsi «nell’intimità della scuola, fra il profumo dei fiori e il coro di gaie voci infantili». Niente doni però: il prof. Palleschi chiederà espressamente che la somma raccolta per un presente sia invece devoluta a beneficio delle alunne più povere della scuola.

Appendice devozionale

Nell’antica chiesa di Stampace, venerdì 15 gennaio sono onori per Sant’Efisio nell’occasione della sua festa liturgica. Per l’intera giornata una folla imponente di devoti invoca protezione, ringrazia e prega il “martiri gloriosu” del quale visita anche la prigione sotterranea, al cui ingresso è stata apposta una lapide con gli emblemi del santo. Di recente il tempio è stato abbellito con alcuni lavori nel presbiterio effettuati dal confratello Battistino Scano. Il panegirico è del paolotto padre Alfonso M. Porpora. Di sera la processione per le strade del quartiere viene accompagnata dalla banda civica.

Non minore è, due giorni dopo, la festa liturgica di Sant’Antonio abate, che è come incastonata nella tradizionale tredicina in onore del taumaturgo (ogni sera il maestro Nino Alberti accompagna all’organo la funzione). La ricorrenza religiosa si confonde, anche a Cagliari, col mito… La fiera allestita nella via Manno è letteralmente presa d’assalto dai bambini, e nella strada è un continuo passaggio di cavalli… In una chiesa scintillante di luci, fastosamente addobbata e gremitissima, le messe si succedono ogni ora e quella solenne delle 10,30 – alla presenza di una delegazione del Municipio che ha concesso l’orchestra civica – viene pontificata dal can. Giuseppe Durzu, mentre il pulpito è tenuto dal padre Porpora.

A San Domenico è festa in onore della beata Zedislawa. A predicare nelle due sere che precedono la ricorrenza liturgica sono i padri Domenico Fondacci ed Alberto Fontana. Domenica 24, poi, è lo stesso arcivescovo a pontificare e ad omeliare, esaltando il nuovo vanto del Terz’ordine.

In contemporanea alle devozioni domenicane si svolge, a Santa Lucia di Castello, per iniziativa della Società dei figli e figlie di Maria, un triduo dedicato all’Immacolata. Presenzia mons. Balestra che poi partecipa alla lezione periodica riservata al clero sulla “soluzione del caso morale”, tenuta, come al solito, nell’aula teologica del Tridentino.

Lo stesso giorno migra in paradiso madre Marianna, la superiora delle suore della carità che servono all’ospedale militare. Al rito funebre provvede la collegiata di Sant’Anna al completo, con il cappellano don Rafaele Cabras. Il carro percorre sotto la pioggia il tragitto fino al monumentale. Partecipano centinaia di monache, le alunne di San Vincenzo, le rappresentanze scolastiche e quelle istituzionali, un plotone della compagnia di sanità.

L’animo della comunità stampacina è anche scosso da quanto è appena accaduto nella parrocchiale: di notte qualcuno ha forzato la nicchia della sagrestia contenente i vasetti d’argento con gli oli santi, ha spezzato i candelabri d’ottone dell’altare del Santissimo, ha asportato un ex voto d’argento e la corona dal capo della Vergine nella cappella dell’Immacolata. Fortunatamente ha resistito un’altra porta e il s’è salvato. Manomessi anche armadi e casse nel breve andito fra la cappella del beato Amedeo di Savoia e il vano che dà sulla via Fara, ove si rinvengono una paletta di ferro, un mozzicone di candela, un pezzo di stoffa bruciata.

Domenica 31, a Bonaria, gli onori sono per il fondatore dell’ordine mercedario San Pietro Nolasco. Messe in sfilza per l’intera mattinata, la sera vespri solenni con panegirico e benedizione eucaristica. 

Qualche novità, tra fine gennaio e primi di febbraio, è da registrare nei sodalizi che danno vita al complesso arcipelago dell’associazionismo diocesano. Al Patronato operaie cattoliche vengono le cariche annuali: presidente donna Maria Sanjust Aymerich, sua vice la marchesa Carmela Pallavicini. 

Rinnovo pure alla Società operaia cattolica sempre affidata alla salda guida del conte Enrico Sanjust: alla vice presidenza è chiamato il solertissimo Efisio Usai.

Dopo un breve periodo di commissariamento prefettizio (espletato con rara diligenza dal rag. Mario Mela), anche la confraternita delle Anime purganti ricostituisce i propri organi dirigenti: alla presidenza va il già citato Efisio Usai… L’insediamento avverrà nel secentesco oratorio di Villanova con la messa celebrata dal rev. Francesco Loi, parroco collegiato di San Giacomo.

Novità altresì nell’arciconfraternita dei Genovesi, che ha sede presso la chiesa di Santa Caterina. L’assemblea generale, dopo un accordo intervenuto con l’arcivescovo, elegge alla carica di cappellano maggiore il rev. Cesario Maria Vidili, già funzionante a Santa Lucia di Castello, il quale copre così il posto lasciato vacante dal defunto padre Gaetano Solinas. Suo primo impegno sarà di riaccendere le attività di culto nell’antico tempio di via Manno, che ormai da diversi anni accusa una malinconica decadenza. 

Per qualche soluzione positiva che s’affaccia, altre in negativo emergono inaspettate per imperio dell’autorità tutoria. Giovedì 4 febbraio un decreto prefettizio ha sciolto le amministrazioni delle maggiori arciconfraternite locali. Le proteste non sono mancate, parendo a molti trattarsi dell’ultimo episodio di una lunga teoria di abusive invasioni di campo ed esautoramento degli organi elettivi. Regi commissari vengono nominati: alla congregazione del SS. Sacramento di Sant’Eulalia il cav. Lorenzo Valle, all’arciconfraternita del San Sepolcro il dott. Battista Marongiu, a quella del Gonfalone (cioè di Sant’Efisio) il cav. Vacca Maggiolini.

A proposito di Sant’Efisio. L’8 febbraio viene celebrata una messa in suffragio delle vittime del terremoto calabro-siciliano. Chiesa parata a lutto, al centro un catafalco sormontato da un’artistica urna con lampade e ceri, opera dei confratelli Scano e Manunza. Officia il primo guardiano can. Eugenio Puxeddu.

Con predica del teol. Efisio Argiolas, nello stesso giorno, a Santa Rosalia, viene aperto il triduo in onore della Vergine di Lourdes. La chiesa è affollata e l’altare riccamente addobbato. Questo è il 50° dell’apparizione della «dolce e benigna Signora celeste» nel paese dei Pirenei francesi. Portato nell’Isola ed impiantato proprio a Santa Rosalia di Cagliari, dal francescano padre Giusto Serra, il culto è stato, per diverso tempo, un costante appuntamento per i devoti mariani della città. Giovedì 11, festività liturgica, il vicario generale mons. Miglior ed il padre guardiano celebrano messe solenni mentre numerosissimi fedeli s’accostano alla balaustra per prendere, dopo i rigori della confessione e del digiuno, la comunione. In sacrestia riceveranno poi in offerta delle boccette contenenti l’acqua miracolosa della santa grotta. Di sera, dopo la predica del padre Pacifico Zucca, il canto del “Te Deum” e la benedizione concludono il ciclo.

Nel pomeriggio di sabato 27, assemblea generale delle patronesse costituitesi in comitato in vista dell’erezione della grande basilica di Bonaria, di lato al santuario. Un obiettivo rilanciato in occasione delle imponenti feste dell’aprile 1908.

Diarietto quaresimale. E’ tempo di grandi prediche nelle chiese cittadine. Nelle quattro storiche parrocchie e nella ventina di filiali ch’esse hanno distribuite fra quartieri e sobborghi, il punto forte della preparazione alla Pasqua è costituito proprio dalle predicazioni per le quali sono stati mobilitati religiosi locali e teologi anche del continente.

In duomo (ed al Santo Sepolcro) tiene il pergamo – s’ detto – il can. A. Alfieri; a Sant’Anna padre Alfonso M. Porpora; a San Giacomo il giovane parroco collegiato dott. Virgilio Angioni; a San Domenico padre Angelo Pelaggi, che volta a volta tratta del samaritano, del piacere contrapposto alla morte, del peccato, della religione, dello scandalo, del rispetto umano, del culto festivo, della missione redentrice, del figliol prodigo…

Ogni comunità integra poi con altri momenti di preghiera, con speciali culti devozionali, ecc. A Sant’Anna, ad esempio, il can. Francesco Aloisio, che già lo scorso anno ha predicato la Quaresima in parrocchia, torna per le meditazioni sulle quarant’ore, l’adorazione cioè del SS. Sacramento esposto nell’ostensorio sopra l’altare. E’ pratica mensile, questa, condivisa da tutte le chiese, osservata dal popolo. Così anche alla Mauriziana, nella sequenza di alcuni giorni che si completa con un pontificale del rettore mons. Addari, al quale assiste l’arcivescovo, mentre il servizio è assicurato dai chierici dei due seminari. Il maestro di canto Sandri, in forza al collegio della Missione, dirige i cori della “Missa tertia” di Haller. L’omelia è di padre Benedetto Demuro, minore del convento di Quartu. Al termine, processione interna e benedizione col Venerabile impartita da mons. Balestra.

Con la messa delle 8 e seguito di speciali invocazioni, il 16 marzo prendono avvio alla Purissima i cosiddetti “13 martedì di Sant’Antonio da Padova”. Idem a San Mauro: di mattina pontificale basso e comunione generale distribuita dall’arcivescovo, che predicherà nel pomeriggio; messa solenne con la funzione e il bacio della reliquia del santo alle 9,30.

Al santuario dei mercedari, ancora il 16, ed all’Annunziata, l’indomani, partono i novenari in preparazione della festa dell’Annunciazione che cadrà il 25. Questa è la data in cui confluiscono gli esercizi mariani secondo le più varie ispirazioni: della Vergine della misericordia (a Santa Caterina), della Vergine di Bonaria (nell’anniversario della dedicazione della Sardegna), dell’Annunziata naturalmente. E nella chiesa del Corso, dopo le nove speciali funzioni vespertine, la festa è sottolineata dal gran numero di messe, con quella solenne delle 10,30 interrotta dall’omelia di mons. Silvio Canepa, presidente di Sant’Anna. 

Venerdì 19 è la solennità di San Giuseppe. Già dalla vigilia – con i riti dell’esposizione del SS. Sacramento e la recita del rosario – la bella chiesa scolopia di Castello, dove mons. Balestra suole confessare pressoché tutti i giorni, mostra il suo miglior volto, con gran movimento di fedeli che diviene veramente straordinario il giorno della festa liturgica, cadenzato dalle speciali liturgie. Di sera, dopo l’ora di adorazione, il can. Alfieri tiene l’atteso panegirico. Segue la processione interna con la benedizione impartita dall’arcivescovo.

La festa è tradizionalmente vissuta con particolare solennità anche a Santa Caterina, dove si canta messa alle 11 e si replica, con messa piana, a mezzogiorno.

Nella settimana dal 21 al 28, tutte le sere si svolgono, a Santa Rosalia, gli esercizi spirituali per soli uomini organizzati, come ormai già da diversi anni, dalla Società per gli interessi cattolici.

Sempre nella chiesa dei Siciliani ed anche a San Giuseppe, da sabato 27 partono i settenari in onore dell’Addolorata, la cui solennità liturgica cadrà venerdì 2 aprile. A Santa Rosalia, fra l’altro, predicherà il padre Pio Piu dei minori francescani, mentre i riti vespertini contempleranno la benedizione che per le terziarie avrà valore di assoluzione generale.

A ridosso della settimana santa iniziano le cosiddette missioni quaresimali. Dureranno sette giorni. La predicazione, di taglio estremamente popolare, è affidata, in cattedrale, ai canonici Perra e Puxeddu, a Sant’Anna al can. Pinna ed al padre Porpora, al Santo Sepolcro ai due parroci collegiati don Loi e dott. Argiolas, a San Giacomo al can. Durzu ed al dott. Ernesto M. Dodero rettore di San Lucifero.

Chiesa del perdono? Chiesa della libertà e della coscienza, tabernacolo del vero? Giusto alla vigilia della settimana di purificazione il Sant’Offizio onora la tradizione temporalista ed inquisitoriale pubblicando il decreto che commina la scomunica maggiore a don Romolo Murri, deputato neoeletto: «sacerdotem erronea ac seditiosa in Ecclesia Dei scripto et verbo disseminationem». 

Diarietto pasquale. Domenica 4 aprile vengono benedetti i ramoscelli d’ulivo e le palme e si canta il Vangelo della passione. In duomo pontifica mons. Balestra, assistito dai capitolari. Di sera i quaresimalisti annunciano da tutti i pulpiti «il giudizio che ha da venire».

Martedì santo, dalla chiesa di San Michele – dove predica il dott.. Piu –, muove la processione dei misteri. In cattedrale predica il can. Alfieri, a Santa Lucia di Castello il dott, Dodero, alla Purissima il dott. Lai, a Sant’Anna padre Pelaggi, al San Sepolcro don Loi, a Santa Caterina il can. Puxeddu… La mattina di giovedì santo, alla primaziale, la messa crismale riunisce tutto il clero secolare e religioso attorno all’arcivescovo… Per coloro che sono impossibilitati a partecipare alle funzioni in preparazione alla Pasqua, il parroco della cattedrale mons. Peri assicura, alla Purissima, le funzioni di mattina presto nei giorni di giovedì, venerdì e sabato santi.

In ogni chiesa si compiono i riti antichi dell’umiliazione nella lavanda dei piedi e del “divino deposito” nel sepolcro. «Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium…». E la Via crucis, poi: «Adoramus te Christe et benedicimus tibi…».

A Sant’Antonio abate, il giorno della mesta parasceve, mons. Miglior tiene per tre ore il pergamo commentando le «ultime sette parole» di Gesù crocifisso: è tradizione della chiesa di via Manno accompagnare così, fino all’ora nona, l’agonia di Nostro Signore. 

Contemporaneamente, in duomo, padre Pelaggi medita le ore della «solitudine di Maria». Seguono, in città, le processioni del Cristo morto. Quella che parte dalla cattedrale reca il venerato simulacro a San Giovanni, in Villanova, mentre a Castello arriva quella proveniente da Sant’Efisio. Il can. Alfieri risale al pulpito. Raggiunge poi – per analogo ufficio – la chiesa del Santo Sepolcro (dove chiuderà il ciclo dei suoi quaresimali il martedì dopo Pasqua). A Sant’Anna predica la passione di Gesù il padre Porpora, a San Giacomo il dott. Angioni, a San Domenico padre Pelaggi.

Le campane sono sciolte alla mezzanotte del “passaggio”, del “riscatto cristiano”, domenica 11 aprile. «Christus heri ed hodie Principium et Finis, Alpha et Omega…». In tutte le chiese vengono celebrate, con i paramenti più preziosi e l’accompagnamento dell’organo, le messe solenni, secondo i rituali più antichi e suggestivi. Mons. Balestra pontifica, assistito dal capitolo, anche la mattina. Verso mezzogiorno, dalle parrocchie collegiate muovono le processioni di s’Incontru: le emozioni pasquali rivivono al Corso, nella via Roma, nella via Garibaldi.

Intanto si rinnova la pia pratica di portare la comunione al domicilio degli infermi: sono case più spesso di poveri, «abitazioni umide, puzzolenti, buie, coi pavimenti rotti, le pareti scalcinate, i soffietti a brandelli, il focolare spento, i mobili assenti…»; lì si trovano «malati emaciati, bambini scalzi, scarmigliati, seminudi, pallidi, tisicucci, vecchi scheletrici, cogli occhi cisposi, granulosi, ragazzi macilenti, coll’occhio smarrito, senza sorriso, senza lavoro, senza futuro», come testimonia il redattore del Corriere dell’Isola







Fonte: Gianfranco Murtas
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