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Redazione

Cagliari, la formazione della città borghese: sviluppo urbanistico ed economico tra Ottocento e Novecento

di Antonello Angioni

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Penso che, se dovessimo indicare una data per segnare l’inizio della “Città borghese”, non vi è dubbio che potremmo fare riferimento al 30 dicembre 1866. In tale data, infatti, viene approvato il R.D. n. 3467 che cancella la città di Cagliari dall’elenco delle piazzeforti. Si tratta di un lungo elenco di beni militari, ben 670 in tutto il territorio dello Stato, che cessano di essere considerati come opere di fortificazione.

Per la verità il ruolo militare di Cagliari, di sentinella nel cuore del Mediterraneo, si era esaurito da tempo ma il trapasso da piazzaforte a città borghese non si era ancora verificato. Da un punto di vista urbanistico, l’evoluzione è assai graduale ma segue una direzione univoca e senza ritorno. Gaetano Cima, l’architetto che nel 1858 aveva redatto il piano regolatore entrato in vigore nel 1861 (uno dei primi in Italia), aveva previsto la conservazione dell’antica cinta muraria del Castello e l’abbattimento di tutte le porte ancora presenti nei restanti quartieri. Lo smuramento, passaggio obbligato nel processo di espansione della città, peraltro, avviene con estrema lentezza.

A questo punto è opportuno indicare alcune date che hanno segnato altrettanti fatti importanti per la storia della città:

- nel 1867 viene inaugurato l’acquedotto;

- nel 1868 l’Impianto di illuminazione a gas;

- nel 1871 si apre il primo tratto della linea ferroviaria (da Cagliari a Villasor); la stazione, intesa come edificio, non c’è ancora: verrà inaugurata nel 1879;

- nel 1886 si registra l’apertura del mercato civico del largo Carlo Felice: nello stesso anno Bacaredda è consigliere comunale e l’anno dopo viene nominato assessore nella giunta del sindaco Ravot Ortu;

- nel 1887 (la sentenza è del 25 giugno) si registra il fallimento del Credito Agricolo Industriale Sardo di Pietro Ghiani Mameli e poi della Cassa di Risparmio di Cagliari col conseguente crack bancario che coinvolge tutti gli istituti di credito presenti a livello locale; ciò genera una profonda sfiducia nel sistema creditizio e nella stessa classe dirigente isolana;

- sempre nel 1887 iniziano i lavori di costruzione del molo di levante e, poco dopo, quelli del molo di ponente;

- nel 1889 si svolge la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio comunale; le cause e le conseguenze del crack bancario sono al centro del dibattito; le polemiche infiammano; Cocco Ortu viene accusato che, pur conoscendo lo stato d’insolvenza della Banca (che, sulla base degli accertamenti del Tribunale, risalirebbe addirittura al 1884), avrebbe esercitato pressioni affinché il Comune vi depositasse ulteriori risorse e precisamente lire 1.500.000 come da delibera del giugno 1886;

- le elezioni del 1889 sono le prime dopo la riforma della legge comunale e provinciale (introdotta con R.D. 10 febbraio 1889, n. 5291) che prevede la nomina del sindaco, nei capoluoghi e nei comuni con oltre 10.000 abitanti, da parte del Consiglio comunale; a novembre, Bacaredda viene eletto sindaco;

- nel 1890 Bacaredda adotta il nuovo piano regolatore, predisposto dall’ingegner Costa, che interessa tutta la città con la sola esclusione del sobborgo di Sant’Avendrace.

Proprio allora, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, inizia l’edificazione della palazzata a portici di via Roma, con un fatto nuovo: il palazzo non rappresenta più lo status symbol, il blasone di famiglia, come era sempre stato. È anche il prodotto di un processo industriale da immettere sul mercato per essere venduto o concesso in locazione.


Sul finire del secolo, e precisamente nel 1896, il Comune vince una causa, che durava da oltre trent’anni, contro l’Amministrazione Finanziaria dello Stato: sono più di 3 milioni di lire, una cifra davvero ingente. Che fare? Bacaredda pensa che tra le prime cose ci debba essere il nuovo Palazzo Civico e, nello stesso anno, il Consiglio comunale individua l’area dove realizzare lo stesso: una scelta strategica per lo sviluppo sociale, economico e urbanistico della Città. Una scelta, peraltro non condivisa da tutti. In particolare i socialisti volevano la realizzazione di case per i ceti meno abbienti. Ovviamente, non si realizza solo il Palazzo Civico. Si prevede anche la costruzione di 4 caseggiati scolastici, del bastione di Saint Remy e di opere minori. Inoltre viene lastricata la via Roma.

L’edificazione del palazzo inizia nel 1899, il 14 aprile, e si conclude nel 1907. L’impresa è quella dei fratelli Barbera, impegnata in quegli anni a realizzare il ponte della Scaffa. L’edificazione segna una discontinuità nella storia, non solo architettonica e urbanistica, ma anche sociale e “ideologica” della città. L’edificio guarda verso il mare, oltre i confini fisici della città murata, non è più all’ombra della Cattedrale e dell’Episcopio ed è distante anche dalle dimore patrizie e dai luoghi che, più in generale, nel corso di una vicenda plurisecolare, hanno determinato la storia di Cagliari. Come è stato osservato, col Palazzo Civico si attua un vero e proprio rovesciamento della direzione storica tradizionale.

Non vi è dubbio che il trasferimento della sede del Palazzo di Città, dal Castello all’attuale via Roma, in prossimità del porto e della stazione ferroviaria, costituì non solo una risposta all’esigenza di avere un edificio più ampio e funzionale ma, anche e soprattutto, rappresentò una precisa scelta “ideologica”. Era il passaggio di testimone dalla Cagliari d’ancien régime arroccata nel Castello, sede della nobiltà e dell’aristocrazia feudale, alla Cagliari borghese, ben interpretata dal dinamismo dei quartieri della Marina e di Stampace basso, dove avevano sede le imprese e si svolgevano i traffici commerciali.


Il Castello, quartiere dei nobili e dei feudatari, che dalla conquista catalano-aragonese (prima metà del XVI secolo) aveva espresso senza soluzione di continuità le classi dirigenti locali, diviene sempre più marginale in relazione all’affermarsi di un nuovo ceto produttivo, portatore di un nuovo assetto di interessi che sposta il baricentro della città verso il quartiere della Marina e la parte bassa di Stampace, quella più vicina al porto e alla stazione ferroviaria. È la nuova classe borghese, capitalistica, che imprimerà allo sviluppo della città un carattere più propriamente mercantile e moderno. È una borghesia che si forma anche attraverso un peculiare intreccio, fatto di relazioni economiche ma anche di unioni matrimoniali, tra l’elemento locale e gli imprenditori forestieri.

Ed è a partire da questo periodo che le esigenze delle classi mercantili emergenti diventano preminenti e spingono verso la creazione della città-porto. Al riguardo è nota - in termini generali - la stretta relazione che intercorre tra economia e urbanistica. Non è un caso quindi che, a Cagliari, il passaggio dal vecchio assetto cittadino, chiuso, delimitato da mura, bastioni e fossati, a quello aperto, dell’area urbana inizi proprio sul finire dell’Ottocento con lo sviluppo delle attività portuali e mercantili e col diffondersi intensivo degli insediamenti di tipo industriale.

Le semolerie, il porto, la Manifattura Tabacchi, l’attività edilizia, gli opifici e i mercati costituiscono le diverse espressioni di uno sviluppo frenetico e tumultuoso che presto determinerà la proiezione sul tessuto urbano di interessi sindacali, associativi e di partito sino a quel momento inesistenti o del tutto secondari.

Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, come detto, ha inizio la costruzione dell’imponente palazzata a portici sulla via Roma che vuole rimarcare il peso economico e sociale di quei ceti borghesi, mercantili e professionali che, proprio in quel periodo, avevano posto le premesse per affrancare la città dalle ruvidezze e dagli immobilismi del feudalesimo imprimendo i ritmi e la cultura della modernità. Qui palazzi ancora oggi portano i nomi delle famiglie (Magnini, Garzia, Devoto e altre ancora) facenti parte della classe imprenditoriale che rese possibile e guidò la trasformazione di Cagliari da “città coloniale”, residenza dell’aristocrazia e del conquistatore di turno, a “città nuova”, dinamica, dedita ai commerci e ai traffici.

Ed è proprio tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento che Cagliari cambia volto assumendo le caratteristiche di una città moderna grazie alla presenza di una vivace e variegata borghesia commerciale, costituita soprattutto da elementi continentali ma anche provenienti dall’estero. Da Stefano Doglio a Luigi Merello, da Josias Pernis a Enrico Serperi, da Galeazzo Magnini a Giovanni Zamberletti, da Giuseppe Picchi a Giovanni Balletto: sono tutti imprenditori “forestieri” che si insediano a Cagliari e che, con le loro idee e le loro imprese, daranno un contributo decisivo al cambiamento del ruolo e dell’immagine della città integrandosi a pieno titolo con la classe dirigente locale. Grazie a loro, Cagliari accentua la funzione di cerniera tra la Sardegna e il Mediterraneo, che da sempre le è stata congeniale, favorendo un continuo afflusso di imprenditori, mercanti, tecnici, intellettuali e funzionari dello Stato provenienti dall’Italia continentale e dall’Europa.

Grande è l’impulso dato dal mondo delle imprese allo sviluppo della città. Nel settore molitorio abbiamo lo stabilimento Merello, i mulini Balletto e Costa, il pastificio Faggioli e altri ancora. Nell’industria conciaria operano Gavaudò e il cavalier Francesco Spissu. E poi c’è il mobilificio di Guglielmo Cau, con 40 operai e 50 giovani apprendisti tenuti a frequentare la scuola di arti e mestieri. Nel settore vitivinicolo e dei liquori abbiamo due veri e propri colossi: Amsicora Capra con la Vinalcool e Francesco Zedda Piras. Pensate che quando si costituì, nel 1908, la Vinalcool aveva un capitale sociale di 4 milioni di lire mentre, nello stesso anno, il capitale della Fiat di Giovanni Agnelli era di 800 mila lire.

A distanza di oltre un secolo, quegli imprenditori non devono essere visti solo come accumulatori di capitale ma anche come innovatori e artefici del progresso civile. Si tratta di una borghesia colta, sensibile all’arte e alla cultura, che promuove anche l’abbellimento della città e dei suoi edifici. Per la prima volta, i palazzi vengono decorati: Picchi, Chapelle, Atzeri, Zedda Piras, Serventi, Zamberletti e altri affrescano le loro residenze. È un fatto nuovo. Occorre considerare che anche la decorazione del Palazzo Viceregio risale agli ultimi anni dell’Ottocento, allorché l’edificio venne acquistato dalla Provincia di Cagliari che commissionò l’intervento al pittore perugino Domenico Bruschi.

Questo è il contesto di riferimento nel quale Bacaredda tenne a lungo il timone della Città. Va detto che fu un sindaco molto fortunato perché, durante la sua amministrazione, il Comune vinse la causa che fruttò oltre tre milioni di lire. Si può dire che lui simboleggiò un’età perché il suo nome resta indissolubilmente legato all’epoca d’oro di una città che si espande e si trasforma, di una città che si apre all’industria, al commercio e alla modernità in genere. La storia gli fu alleata perché prima di lui ricoprirono la carica gli esponenti dell’ancien régime e dopo di lui arrivarono le gestioni commissariali e dei podestà. Di fatto rappresentò il “progresso” rispetto a ciò che c’era stato prima e la “tradizione” rispetto ai commissari e ai podestà (molti dei quali furono ottimi amministratori, pensiamo a Tredici ed Endrich, ma sprovvisti di quel consenso che può provenire solo da un’elezione popolare).


Fonte: Antonello Angioni
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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Andrea Frasca

09 Dic 2023

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