Cagliari nella svolta lenta della sua provinciale belle époque, alle rive del Novecento
di Gianfranco Murtas
1899-1903, un lustro esatto. Cagliari passa da 45.000 a 55.000 abitanti (erano 35.000 al censimento del 1881). Il ritmo di crescita è, in quest'ultimo scorcio di tempo, vicino alle duemila unità all'anno.
Le statistiche fotografano la città in pochi dati: una media annua di trecento matrimoni, di 2.500 nascite (di cui tre o quattrocento "illegittime", più spesso segnate da abbandoni presso chiese o "ruote" di monasteri: dieci al mese, su per giù), di milleduecento decessi. Il polo urbano attrae dalle campagne dell'entroterra circa seicento individui ogni anno.
Villanova - una lingua di case tutte accompagnate da orti, verso oriente - è il quartiere più popolato, con sedicimila abitanti; c'è poi, alla parte opposta, Stampace, con quattordicimila (oltre i militari e carcerati nelle caserme e nel reclusorio di Buoncammino); la Marina, il quartiere di pescatori e portuali, segue con diecimila; quasi ottomila sono i castellani, forse a metà divisi fra aristocratici e popolani; Sant'Avendrace, fra il calcare punico di Tuvixeddu e le rive occidentali di Santa Gilla, conta 2.500 residenti, e San Bartolomeo, col suo "bagno penale" a mezza strada fra il porto commerciale e la spiaggia del Poetto (demanio tutto quartese e per l’utilizzo fin qui dei militari in addestramento), duemila.
Città ricca, città povera? Una spia dello stato della popolazione è certamente rappresentato dal dato decessi. Anemie, scrofala, tisi, certi eczemi, talune oftalmie croniche, le malattie della povertà insomma sono largamente in testa alle cause di morte. E fra tutte primeggia incontrastata, col suo dieci per cento e più, la tubercolosi. È così da anni, in un rimbalzo che non si riesce a frenare e tanto meno a fermare, seppure adesso ci si impegni di più a capire il fenomeno, ad organizzare le forze almeno per un suo rallentamento…Castello - l'antico imprendibile "Castellum Castri", alto su una collina di tufo un tempo ricoperta di ginepri, dai pisani e dagli spagnoli e dai piemontesi edificata intensivamente senz'altro respiro che quello concesso da lunghe feritoie longitudinali - è il quartiere che offre il più largo tributo in questo campo «perché - come scrive l'Ufficiale sanitario del Comune nel 1901 - entro i sottani e in non pochi piani alti, si vive senza sole, senza luce ed aria; molte famiglie nell'estrema miseria non possono asciugare i cenci dei loro neonati, salvo che a mezzo di una sedia o di due metri di corda rasente i muri, e ciò quando la guardia municipale lo permette, sorvolando su una contravvenzione di due lire alla volta, frutto per le madri di una settimana di lavoro fuori casa...».
Ma se i decessi da etisia pongono Cagliari nel gruppo delle dieci città d'Italia a più alta mortalità, è migliore fortunatamente il dato generale, segno evidente delle contraddizioni ch'essa esprime, a loro volta riflesso delle varietà urbane, spaziali, che compongono come un mosaico il capoluogo sardo.
Col 29,2 per mille - mentre il dato nazionale è il 23,8, a fronte di un 15 della Svezia ad esempio - Cagliari è al tredicesimo posto nella classifica negativa. Dicono gli ottimisti: essa tende a migliorare costantemente la sua posizione - meglio di Catanzaro o di Potenza, ma anche di Siena o di Cremona... Qualcuno è perciò indotto ad osservare: «e che sarebbe se si prosciugassero tanti stagni, si bonificassero tanti terreni acquitrinosi, e fossero regolati i corsi d'acqua, ripristinati i boschi, ecc.?».
All'Ospedale civile i posti letto sono circa duecento e più di trecento altri sono gestiti dalla Sezione manicomiale in procinto di trasferirsi a Monte Claro.
Al Ricovero di mendicità, di fianco al convento francescano di Sant'Antonio, luogo produttore di santi, e giusto dirimpetto all'Anfiteatro romano, a monte della zona detta di Palabanda, zona di osterie e di bestemmie, stazionano un centinaio di sbandati, più della metà inviati dalla Pubblica Sicurezza. All'Istituto dei sordomuti, poco più giù, una sessantina sono i ragazzi le cui rette sono pagate dalla Congregazione di carità, dal Municipio o dalla Provincia. Da pochi anni è stato aperto anche l'Istituto dei ciechi, che vive una vita grama e deve appoggiare la sua sorte alla generosità dei privati: preti, massoni, borghesi, aristocratici. Una decina sono, sparsi qua e là in questo saliscendi che è Cagliari, gli asili ed ospizi, i luoghi d'accoglienza e di educazione.
Nelle caverne di calcare a Bonaria o a Tuvixeddu, anzi nella stessa necropoli fenicio-punica di quelle colline, non sono pochi i miserabili, anche intere famiglie, che hanno attrezzato le loro dimore. Altri poveracci, cenciosi e magari etilisti, passano le loro giornate (e le nottate) presso gli usci delle chiese o sotto i portici della nuova via Roma, ispirando così alla loggia massonica "Sigismondo Arquer" l'idea di un dormitorio pubblico che nel 1915 sarà offerto al Comune (e da questo però subito girato alla Croce Rossa per le necessità sanitarie della grande guerra).
Un’autentica moltitudine sono i Gavroche cagliaritani il cui teatro preferito sono le larghe piazze che anticipano le chiese storiche, per Io più spagnole, nei quattro quartieri, piccoli monelli perennemente armati di fionde che circolano minacciosi o che usano bagnarsi, in disinibita nudità, nelle acque del porto, dando spettacolo e riempendo le cronache cittadine dei giornali. Decine e decine sono poi is piccioccus de crobi, i servitorelli al mercato della carne e del pesce, un partenone senza uguali che è uno dei distintivi migliori della Cagliari belle époque. (Costruito dopo l’abbattimento dei bastioni della Marina e inaugurato nel 1884 nell'area dell'ex convento agostiniano, esso è articolato in due corpi - uno, coll'ingresso principale, tutto tettoia ad onde, l'altro, invece, più sobrio col suo colonnato dorico – ed ha accolto le decine di macellai e pescivendoli, di lattai, salumieri e fruttaioli, un'autentica folla di vocianti, da anni inquilini di baracche e capanni sistemati ai piedi dell'ieratico bronzeo Carlo Felice inventato dal Galassi in vesti di senatore romano. Col tempo il mercato è diventato davvero un tempio venale, un luogo d'incontro rituale, forse il concentrato di cagliaritanità simbolizzato e consacrato più di ogni altro in pagine di letteratura in dialetto non meno che in lingua, in prosa come in poesia).
Le "cucine economiche", tra Stampace e Villanova, distribuiscono adesso una media di 420 pasti al giorno, che è come dire 120.000 razioni all'anno, e costituiscono un ristoro sociale importante per la città che deve trovare nel decoro di vita dei suoi ceti poveri la legittimazione ai riconoscimenti che le vengono per i sempre migliori indici di sviluppo ch’essa denuncia e di cui si vanta.
La popolazione universitaria è di quasi duecentocinquanta unità, il doppio di dieci anni avanti. Un terzo e più degli studenti sono iscritti a Legge, un'ottantina a Medicina, gli altri sono sparsi fra Ingegneria (primo biennio), Farmacia, Scienze biologiche e matematiche e qualche corso minore. (Sassari ha la metà degli iscritti di Cagliari: e qui sta la ragione del mancato "pareggiamento", o del tardivo pareggiamento delle università sarde che verrà nel 1902; il Ministero vorrebbe un solo ateneo nell'isola).
Al liceo-ginnasio "Dettori", nell’omonima piazzetta (o Santa Teresa che dir si voglia) trecento sono i ragazzi iscritti, centoventi circa al "Siotto-Pintor", su a Castello, all’ombra della Torre dell’Elefante. Al "Martini" (classificato al diciassettesimo posto fra i cinquantatre istituti tecnici del Regno) fra alunni regolari e uditori, sono una sessantina e pochi di meno quelli del Nautico (undicesimo su diciannove in tutta Italia come indirizzo scolastico): a direzione condivisa essi hanno sede nel portico Sant’Antonio, nelle sale dell’antico ospedale servito dai Fatebenefratelli. Circa sessanta sono i convittori al "Nazionale" Vittorio Emanuele della via Manno. Funziona, seppure un po' precariamente (ma presto riprenderà forza e vigore), anche la Scuola arti e mestieri, fra gli orti di Villanova e San Lucifero.
Alcune centinaia sono i bambini che seguono i corsi delle elementari in una "perpetua straordinarietà" di alloggio. I locali sono o presi in affitto da privati (e come scuole sono assolutamente inidonei) o ricavati da conventi demanializzati ormai da mezzo secolo. I quartieri si sono organizzati per accogliere la folla di scolaretti con rigide distinzioni di sesso: i maschietti a San Giuseppe, San Domenico e Santa Teresa, tutti ex-monasteri, e in via Sant'Eulalia (in uno stabile cui è annessa la Normale, cioè le prossime Magistrali), le femminucce in via del Valentico (di lato a Sant’Anna) e nel corso Vittorio Emanuele, nonché in via San Domenico. Più spregiudicato, ma per necessità, il borgo di Sant'Avendrace ospita invece una scuola mista...
Nelle parrocchie o in qualcuna delle chiese non più officiate il Comune ha impiantato i suoi ambulatori per le vaccinazioni gratuite. La legge del 1888 ha trasferito agli enti locali le funzioni in materia di vigilanza e cura dell'igiene pubblica e sanità. In una di esse, a Santa Maria del Monte precisamente, si tengono anche le visite per la leva militare.
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Con quella popolana convive la nuova Cagliari borghese che il pubblico impiego e il commercio e le professioni liberali affermano sempre più, e convive ancora la Cagliari aristocratica che resiste nel suo conservatorismo religioso, ideologico e politico (nobiltà nera senza smagliature), ma pure con le sue aperture sociali, nel quadro di un certo solidarismo di marca cattolica che, nonostante gli sforzi, non ce la fa ad emanciparsi da quel paternalismo che è come un cromosoma dinastico (benché non manchino nel campo – bisognerebbe aggiungere - le avanguardie della santità che sanno coniugare spirito umanitario e lucida consapevolezza dei tempi nuovi che avanzano).
Borghesi ed aristocratici, liberali più o meno avanzati e laici liberali gli uni, guardinghi clericali gli altri, sono loro che sostengono, non meno del Municipio e delle altre pubbliche istituzioni, l'infinità di "opere pie" che riempiono la città. Frequentano i teatri, hanno un palchetto al Civico o, dal 1898, al Politeama, frequentano i circoli, le società.
Casa Sanjust organizza i suoi esclusivi "martedì", con danze (valzer, mazurke, quadriglie) che durano fino a notte avanzata. Il circolo filodrammatico "Goldoni", quello filarmonico di via Lamarmora, che ha da poco inaugurato il «nuovo meraviglioso apparecchio di Edison: il fonografo», o quello intitolato a Mario De Candia, il circolo letterario "Farina", ecc., offrono di che ben passare le serate. Ai tramonti estivi, poi, il convegno dell'high society è al bastioncino alto di Santa Caterina, dove lo sfoggio di abiti è davvero mirabolante. Le bande musicali, quella civica e quella del reggimento fanteria che ha sede nella caserma di Buoncammino, fanno spettacolo anch’esse, ogni settimana per la soddisfazione dei cagliaritani, da sempre appassionati della musica concertistica (come anche degli spettacoli lirici).
Sono pure in attività la Fratellanza militare, la Società operaia, quella degli impiegati civili, quella degli ingegneri e architetti (nel 1902 si tiene in città il congresso nazionale della categoria), il Circolo enofilo e le società sportive, dalla "Gialeto" alla "Garibaldi", dall’"Amsicora" all’"Arborea" e alla "Forza e Coraggio"; è compresa nel novero la Società del tiro a segno, tanto marziale quanto sportiva, dovendo rispondere allo scopo statutario di «preparare la gioventù al maneggio delle armi, in difesa del Re e della Patria» (e il giorno di Santo Stefano 1901, trentasei anni dopo il suo esordio in città, essa trasferisce il proprio poligono nel viale San Bartolomeo, a... un tiro di schioppo da Bonaria). L'associazionismo è il carattere prevalente in questa città che vive il suo passaggio d'epoca.
La febbre dei velocipedi - le bici dal 1900 si costruiscono interamente qui - ha preso nella sua morsa Cagliari che ha prontamente attrezzato le sue piste. Ma poi ecco che, prima timidamente e poi a tutta velocità (40 chilometri orari), anche "gli" automobili entrano nelle strade della città, esibendosi, incantando. Un'elegante Phethon a cinque posti, con meccanico e chauffeur e carrozzeria in legno, si mostra al pubblico che passeggia in via Roma: sono le 19,30 del 15 luglio 1903. Debutta pure il football (è stato nel pomeriggio di domenica 27 aprile 1902: rossi contro azzurri), nella piazza d'Armi, a valle della quale, a Is Mirrionis, le esercitazioni tattiche continuano a coinvolgere quelle squadre militari con cui Cagliari benché non più piazzaforte ormai da qualche decina d'anni, non ha smesso di familiarizzare.
Sono un centinaio ormai gli abbonati al telefono: cominciano le redazioni dei giornali, gli studi professionali, gli uffici pubblici, le aziende, gli alberghi. I numeri sono brevi: il magnifico rettore dell'Università ha il 110, ovviamente... Ha preceduto tutti l'ing. cav. Sophus Simmelkioer, il direttore dell'Officina del gas e dell'Acquedotto. È svedese di nascita, ma cagliaritano di elezione. Un personaggio straordinario, massone, benefattore generosissimo. Lui il telefono se l'è fatto mettere già da vent'anni.
Qualche categoria di lavoratori autonomi delibera il riposo settimanale, e il patto - suggellato al caffè del signor Palenzona - è più fra gentiluomini che sindacale. Diverso invece è per le molte leghe di mestiere che - sponsorizzate dai partiti dell'Estrema (repubblicani, radicali e socialisti) - cominciano a dar fiato alle loro rivendicazioni in materia di salario o di orario di lavoro.
Non si pongono problemi sindacali, né di orario né di tariffa, i cento artigiani, individualisti per costituzione e per vocazione, che coi loro arnesi del mestiere popolano i sottani di Castello o della Marina o di Stampace ed ispirano, con le loro originalità, i soprannomi più indovinati, d'effetto: un'arte cagliaritana che le frazioni - Monserrato in testa - condividono. Maistrus, Mistus, quanti ce ne sono fra muratori e fabbri, fra stagnini e falegnami, fra sarti e calzolai, fra ebanisti ed intagliatori, ecc., chi socio del Gonfalone e chi nemico della grammatica, chi magro come un chiodo e chi fondatore di un’autentica dinastia...
A cementare i cagliaritani, oltre ogni distinzione di censo e di ideologia, in una unica sensibilità che non è solo spirituale ma anche culturale e civile nel segno della tradizione, sono le feste religiose, le feste patronali che partono da un gremio o da una contrada ma straripano inevitabilmente fino a coinvolgere l'intera città: da Nostra Signora di Bonaria a Sant'Anna, da San Giacomo a San Lorenzo a San Pietro, per non dire di "Fisieddu martire" che offre anche l'occasione al proteiforme presidente dell’"Amsicora" di organizzare quanto di meglio l'atletica e lo sport isolano possono offrire in quel gran bazar in cui si trasforma Cagliari per le sue "feste di maggio", con mostre-mercato e piste più o meno improvvisate per ginnasti e ciclisti, per cavalieri e amazzoni in costume, e passerelle per carrozze che paiono serre sbocciate. Gli spazi impegnati sono una volta la piazza del Carmine, un’altra la parte alta del largo Carlo Felice e anche qualche settore della via Roma.
Anche il mare, d'estate, almeno come gusto di moda, apparenta fra loro i cagliaritani, benché ne articoli la presenza, stavolta, in comitive di censo e di status, distinte nei tragitti come nella permanenza sulla spiaggia. Il Poetto (col Lido e coi casotti) non è ancora la mèta; ci si indirizza piuttosto verso Giorgino, presso La Plaja e Santa Gilla, ad occidente del porto: i "bagni Carboni" (risucchiati poi dall'allargamento dello scalo portuale), sa Perdixedda (per i ceti più popolari), lo stabilimento dei Devoto (per la haute), il nuovo "Carboni", i bagni di Giorgino allestiti dal signor Soro. Rigide divisioni di sesso, costumi super-castigati, percorsi compiuti in "giardinetta" (tram a cavalli) o, più tardi, con le prime Fiat o col tutto-cofano-e-radiatore. Nomi: Nella, Valentina e Maria.
Cagliari è così, altro che sonnolenta! La sua vivacità la rivelano anche le tipografie finalmente a ciclo continuo di produzione. Quotidiani o periodici o fogli senza serie, sono una pletora le testate, dimostrazione di un'elaborazione che pretende uno sfogo editoriale comunque, una possibilità per affermare l’"io" particolare piuttosto che per convincere o condizionare qualcuno. Una necessità di tribuna più che di confronto forse, e in molti casi un divertimento a pronunciarsi in libertà, pur senza mai toccare l'intoccabile...
C'è di tutto a Cagliari (e Sassari per la verità non è da meno in questi anni). Innanzitutto i quotidiani: L'Unione Sarda (fondata nell'89 ed in crescente diffusione), La Sardegna Cattolica (fondata nel '96 con la direzione dell'avv. Enrico Sanjust), L'Avvenire di Sardegna (testata in replay di quella del De Francesco, questa però organo della Democrazia sarda, che dura un anno, fra 1902 e 1903). E poi i periodici o numeri unici a carattere letterario-artistico, dalla Vita Cagliaritana (1900-1902) a Teatri e Spettacoli (1900) e Teatri e Scene (1903), da La Piccola Rivista (1898-1900) a La Giovane Penna (1900), da Il Gazzettino Sardo (1899-1900) a La Donna Sarda (1898-1901) a Il Rinnovamento (pure 1898-1901). E quindi i fogli satirico-politici, sovente anticlericali, cominciando dal Bertoldo (1898-1900) per arrivare al Bertoldino (1903) e soprattutto a La Domenica Cagliaritana (dal 1903), e ancora viaggiando da La Tracca (1900) a Cagliari si diverte (1900) e Cagliari sottosopra (1903), da La Bohème Goliardica (1899-1900) a Il Goliardo (1902); e i fogli economici, come L'Agricoltura Sarda (dal 1897), o politici, da Il Campanile (1903) a La Cronaca (1900, liberal-merelliano), da L'Opposizione (1900) a La Voce dell'Elettore (1900), od occasionali, da Il Primo Maggio (1901) a Contro il divorzio (1902), ecc.
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Bacaredda è sempre saldo a capo dell'Amministrazione civica. Lo è da dieci anni e resterà il leader anche quando, proprio in questi anni – dal 1900 al 19032 –, preferirà operare per qualche tempo per interposta persona (l’avv. prof. Giuseppe Picinelli. La città ferve di opere pubbliche che ne stanno cambiando il volto. Importa al sindaco di dar lavoro ai troppi disoccupati che premono sull'Amministrazione, gli importa inserire Cagliari degnamente nel nuovo secolo.
Questo sindaco che ama la città come pochi e la serve con tenacia e lungimiranza, con uno straordinario senso laico della gradualità, un metodo che non gli conquista troppe simpatie a sinistra, sta trasformando Cagliari, ne sta facendo una città moderna, dinamica nella cultura e nei traffici commerciali. Il nuovo fulcro economico è il porto cittadino che già occupa l'ottava posizione nella classifica del Regno, benché l'incremento della popolazione con le esigenze che si accrescono e l'ampliamento della stessa infrastruttura facciano immaginare un suo sensibile progresso in tempi brevi. (Dopo il banchinamento dei moli della darsena e del molo di Sanità e la costruzione del molo Levante e delle banchine lungo la via Roma, dopo l'escavo del bacino fino a otto metri e mezzo di profondità e la sistemazione di nuove bitte e anelli d'ormeggio sulle calate, dopo il collocamento d'una prima gru di dieci tonnellate e l'edificazione d'un capannone per le merci nazionali, si sta ora lavorando alla costruzione del palazzo della Dogana ed ai moli di ponente e di Sant'Agostino, anche per poter meglio smistare il traffico merci da quello passeggeri e distinguere gli attracchi del naviglio minore da quello dei piroscafi di linea).
Viene posta proprio in questi anni dalle loro maestà il re Umberto e la regina Margherita la prima pietra del nuovo palazzo municipale, un simbolo prima ancora che un edificio. Il miglior cuore di Cagliari non pulsa più entro le mura di Castello, negli uffici della lenta burocrazia o magari nelle case patrizie, ma presso le aziende e i luoghi dove si produce e si scambia ricchezza, dove l'economia è regolata dalle leggi del mercato e l'arbitrio di qualche feudatario tardo e sognatore non è più possibile. Quel palazzo mezzo neogotico catalano e mezzo Art nouveau - che il giovane ingegnere Annibale Rigotti e l’architetto Crescentino Caselli hanno immaginato tutto archi e crociere, pinnacoli e polifore e anglicizzanti torrette da “beffroi” fiammingo e da “lonja” catalana e finestre a mezzaluna, festoni floreali ecc. ecc. - sorge in una via Roma destinata a cambiare tutti gli equilibri urbanistici già conosciuti e consolidati della città: viene su la palazzata con i suoi porticati e i salotti (ci sono già i palazzi Zamberletti, Magnini, Garzia e Vivanet), in parallelo viene su anche la passeggiata alberata.
Si mette mano a impegnativi lavori per la condotta idrica (bisogna eliminare per quanto possibile i lavatoi pubblici e portare l’acqua nelle case) e per la rete fognaria, altrettanto essenziale; così è per i transiti stradali. Più del 30 e più del 50 per cento dei bilanci comunali rispettivamente del 1899 e del 1900 è destinato al finanziamento di nuove infrastrutture civili o alla manutenzione ordinaria o straordinaria di quelle esistenti.
Si appaltano i lavori di sistemazione del Bastione: ecco la scalea, la terrazza, la passeggiata coperta. Trionfa il Liberty.
Il piano regolatore che l’Amministrazione Bacaredda ha reso esecutivo trent’anni esatti dopo quello del Cima che entrò in disciplina nel 1861 ha il pregio di applicarsi all'intera città comprese le zone di espansione oltre Villanova verso levante, verso Monte Urpinu e lo stagno di Molentargius, quell'area enorme chiamata, dal nome del protettore del convento che ivi si trova, a San Benedetto.
L'obiettivo dell’azione politico-amministrativa di Ottone Bacaredda è di ridisegnare il profilo della città. Egli lo vuol fare incidendo sul piano urbanistico dei tracciati e dei volumi e insieme su quello degli assetti civili, insomma dei servizi collettivi: dai trasporti (le linee del tramvai, le stazioncine nei quartieri, il regolamento dei velocipedi, ecc.) alla sanità e all'assistenza, per esempio agli esposti, dalle strade alle scuole (i nuovi edifici, il "Satta" fra gli altri, lo sdoppiamento delle classi numerose), all'impianto di illuminazione a gas e quindi elettrica, ai giardini pubblici. Nel '98 è entrato in vigore il testo unico della legge comunale e provinciale che statuisce l'ordinamento e disciplina le competenze assegnate agli enti locali.
La fortuna di Bacaredda è stata di averla spuntata sull'Erario riguardo al riscatto preteso dal Comune - riconosciutogli infine come diritto - di certe imposizioni doganali che erano state soppresse. Sono così entrate nelle casse municipali molte centinaia di migliaia di lire (tremilioni e mezzo!) che Giunta e Consiglio - interpreti dell'indirizzo sindacale - hanno destinato al finanziamento di opere pubbliche, dopo che la crisi bancaria (che ha abbattuto la Cassa di Risparmio, il Credito Fondiario e il Credito Agricolo Industriale, le banche del Ghiani-Mameli cioè) ha impoverito molti e negato possibilità nuove di credito. Aiuterà la ripresa il Banco di Napoli, giunto in città nel 1890, ma ogni intervento deve essere preparato in tempi non brevi.
Se prima il Comune ha incoraggiato l'autocostruzione da parte dei privati e l'edificazione di mezzi rioni da parte di impresari che poi hanno affittato ad operai ed artigiani, ora sembra emergere la coscienza delle potenzialità di un ipotizzato istituto autonomo delle case popolari. Si aprono nuove opportunità e molto conterà in questo campo la pressione esercitata sulle prossime amministrazioni comunali dalla sinistra.
Le trasformazioni sono graduali, né può essere diversamente, e il nuovo si affianca all'antico che può ancora reggere, che Bacaredda rispetta e che è così caratteristico della Cagliari spagnola. La Cagliari de is prazzas per esempio - via Oristano o via San Lucifero prima di tutte, testa e pancia de s'arruga de is Argiolas ribattezzata Garibaldi, o in periferia, zona su Baroni (di Teulada) - immensi cortili "sociali", pluridomestici, teatro quotidiano di alterchi e invettive e di amori.
A seguire gli indirizzi del nuovo piano regolatore, più orientativo che cogente, è l'industria che impianta i propri stabilimenti ad est o ad ovest delle banchine portuali, press'a poco verso le vie Circonvallazione, Nuova e Bonaria (la "Costruzioni meccaniche", la "Continentale sarda", ecc.) e verso il viale San Pietro, presso il Carmine, all'opposto (la "Meccanica sarda" dei Doglio e poi dei Gioda e C. per esempio: ma i nomi e i luoghi si combinano fra loro variamente nel tempo).
Presso il Carmine ha pure messo radici, da quasi mezzo secolo, una straordinaria azienda nata carpentiera e divenuta società leader nel settore del commercio del legname: è la ditta Enrico Fadda, simbolo riconosciuto della Cagliari industriale e moderna. È questo il punto di confine estremo della città anni '50 e '60, parcheggio quotidiano dei carrettieri provenienti dall'interno isolano, affaticati in operazioni di carico e scarico e bisognosi, loro e le loro bestie, di riposo. È questa anche la zona delle più note osterias, da “su Passu” a “su Pesu” a “sa Spagnola” a “sa Rosa”, fra “su Brugu” e “su Conduttu”.
Così, da una parte e dall'altra del porto hanno preso posizione anche le due stazioni ferroviarie della città: quella delle Complementari ad est e quella delle Reali ad ovest. Esse smistano traffici differenti e sono terminali di tratte che coprono territori e distanze non concorrenti: lo scartamento ridotto delle prime serve l’hinterland, quello largo delle Reali collega il capoluogo con Iglesias e con Oristano, fino a Sassari....
Le fabbriche di laterizi hanno invece scelto la periferia e le frazioni. Queste ultime in realtà sono comuni autonomi, in continua espansione, separati dal centro da distese enormi di orti e vigneti che i Pernis, i Pani, i Leonardi, i Zedda, ecc., hanno posto alla base di enopoli super-redditizi che affidano il prodotto a commerci a tutto campo, compreso quello estero, e sono direttamente collegate al porto mediante linee tramviarie aziendali.
Ai mercati nazionali guarda Luigi Merello - esempio di imprenditore-holding - che ha impiantato il suo mulino all'Annunziata, fra Palabanda e Sant’Avendrace, e che arriva a produrre fino a centomila quintali di farina l'anno, favorendo la panificazione a grano tenero in città e la diversificazione delle coltivazioni cerealicole nell'isola. Sta anche per interessarsi alla S.E.M., colosso nazionale del settore molitorio, che inaugurerà nel 1905 il suo stabilimento alla Plaja, nuovo arrivato fra gli impianti Balletto, Costa, Faggioli, Lotti-Magrini, ecc., tutti addensati - come le concerie: quella Spissu, quella Gavaudo, ecc. - fra Stampace basso e Sant'Avendrace con baricentro nel viale San Pietro.
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Grazia Deledda vive in una casa ospitale che è quasi in campagna, fra le vie Nuova e San Lucifero, a un passo da sa Butanica. Dalle finestre esplora e si riempie di creative suggestioni ed ispirazioni beandosi della pineta di Monte Urpinu o delle lucide tavole marine, stagni o spiagge o porto... Grazia Deledda cagliaritana, frequentatrice della messa domenicale alla chiesa dei Genovesi, in via Manno, assidua alla passeggiata serale al Corso, interessata spettatrice delle opere liriche al Politeama...
«È cominciata già la primavera / in questa terra, e noi spesso vaghiamo I nei campi. Una pineta ci seduce. / ... / Fioriscon gl'iris di velluto sotto / gli svelti pini e i giunchi e i narcisi / profuman l'aria; stendonsi i viali / verdi deserti e in lontananza i rami / ricamano gli sfondi rosei. In alto / s'apron prati d'asfodelo in fiore, / e bianche rocce guardan sugli stagni / di madreperla, solcati dal lento / volo dei fenicotteri e sul mare / d'argento fosco. / ... / Il luogo e l'ora / e il nostro amore e tutto pare un sogno», scrive di Cagliari che, quando partirà alla volta di Roma per la definitiva residenza, chiamerà «bella città del mare».
Cagliari 1899-1900, una città quasi orientale. Così la fotografa la scrittrice per la rivista Natura ed Arte: «Fra le case giallastre ergonsi i rosei, i grigi palazzi dai balconi fioriti, e arrivando dall'interno dell'isola [...] o guardando Cagliari dalle pinete, nei tramonti stupendi, sembra di vedere una città orientale, rosea tra rosei vapori... Castello conserva ancora intatta la sua fisionomia medievale: vicoli stretti, salienti, alti palazzi scuri, grandi porte dagli sfondi bui; grandezza, oscurità, mistero. Nei vani delle antiche finestre si scorgono ancora delicati e pallidi profili di damigelle dagli occhi pensosi, e che hanno ancora, col nome, la fierezza spagnola... Un viale detto del Terrapieno conduce al giardino pubblico, un po' solitario, d'una dolcezza melanconica, e i melanconici paesaggi del Campidano, seminati di villaggi, con le pianure tristi, lo stagno, il mare, il cielo vaporoso, le montagne all'orizzonte, chiamano a un vago sogno di cose lontane chi attraversa il Terrapieno o i viali romantici del giardino. Altri bei viali, come quello del Buoncammino o quello conducente al santuario di Bonaria, arricchiscono la città: pini marittimi, olmi, acacie, pioppi ombreggiano queste passeggiate ove è dolce vagare nei meravigliosi tramonti cagliaritani, quando l'occidente è tutto un incendio, il mare sanguinante ha luminose scie d'oro, e gli stagni sembrano di madreperla; par di essere fra cielo e terra, in un bagno di luce, e di percorrere una di quelle vie d'oro del mare che conducono verso l'ignoto oriente...».
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