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Gianfranco Murtas

Carlo Vespa, Cagliari ha perso un suo gioiello stampacino, creativo e disciplinato

di Gianfranco Murtas

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L’abbiamo perduto in molti, Carlo Vespa, e soltanto accidenti particolari e tutti personali, per malanni ancora insuperati, forse impediranno una folla ai suoi funerali, domani. Tutti, però, si riservano di poter, appena possibile, dargli pubblici onori, quelli che esige la sua cifra umana prima ancora che intellettuale e sociale, di artista naturale ed artista educato, per spirito stampacino, ad una resa avvertita empatica, rispondente, felice.

Nei suoi amori, con Anna Maria - conosciuta a Sant'Anna fra associazioni e canto - e Matteo ovviamente, e con la speciale affezione per Filippo, fratello e collega d’arte, era l’arte, erano la musica e il canto, era lo spettacolo scherzoso vissuto come creazione che è una sorprendente mischiata di talenti all’opera, surreale nella divertita, ironica e, da sardi, autoironica ripresentazione di modi e accenti tutti nostri. Dal 1971 – diciottenne – con Filippo e Mario a suonare negli Squali detti appunto 71, all’Oratorio San Paolo di piazza Giovanni (riaffaccio, dopo alcuni anni e qualche modifica, degli Squali cresciuti dai padri gesuiti di San Michele e della Congregazione Mariana), cinque anni dopo in sala di registrazione per Sa ballada de ziu Lillicu e Mama tua. Da lì i Banda Beni de La Strega record di Marcello Mazzella. Esibizioni ovunque, ovunque divertimento, sul palco e in platea, in platea e sul palco, e fatica naturalmente. Ma l’età era generosa e permetteva tutto. Le geniali rielaborazioni, in sardo o italiano più o meno sardizzato, dei grandi successi mondiali dei Beatles. Una pausa: un lutto familiare molto pesante in casa Vespa, il bisogno di concentrarsi per trovare lavoro da parte di ragazzi ormai diventati uomini, superati i venticinque, alle soglie quasi dei trenta. E da lì la ripresa, 1981, 1982… Segundu Banda Beni e gli onori grandi a John Lennon, ancora gli abiti di fustagno e in bocca – Carlo – la pipa, molti capelli e una coppola in testa, una chitarra fra le mani. Cambia la formazione fattasi ormai un po’ a fisarmonica, seppur l’anima resti quella dei tre, con Mario leader riconosciuto e Carlo e Filippo (musicista vero e professore di musica) come apostoli necessari. La televisione, quella sarda fra La Voce Sarda e Videolina, ma anche quella nazionale, e la radio – le tante radio libere del tempo – se la godono, prestano attenzione alla goliardia talentuosa di chi produce spettacolo e long playing, 45 giri e in ultimo anche CD, perfino con videoclip, secondo le corse della tecnologia. Prove diverse e un sotterraneo filo rosso di umanità presente e consapevole, poesia, preghiera e sentimento, il sentimento della “piccola patria” e delle paesane relazioni paesane di lavoro e vicinato, e il sentimento dei grandi princìpi universali che da uomo di sinistra senza partito Carlo aveva interiorizzato davvero a fondo.


Quarant’anni fa lo incontrai, Carlo. Avvenne negli studi di La Voce Sarda, l’emittente televisiva di Gianni Onorato governata da Antonio Costantino e popolata di giovani (e anche meno giovani: fra i molti anche Bachisio Zizi che allora lanciava il suo Ponte di Marreri, continuando poi con documentari a supporto dei suoi romanzi, Erthole dopo il Ponte, Santi di creta dopo Erthole…). Fra i molti nel via vai di quegli stanzoni di palazzo Sanjust – prima che quello storico edificio lo comprasse dagli eredi di tanta famiglia la Massoneria giustinianea con i bonifici generosi di Vincenzo Racugno – erano Paolo Latini, Gianluca Medas… nella redazione del telegiornale Alfredo Franchini, Giacomo Serreli, Sandra Agnesa… nello staff dei tecnici, allora ventenni poi professionisti di altissimo livello, Alessandro Fiori, Massimo Copez (purtroppo scomparso prematuramente), Piero Ghiglieri e quanti altri con loro.

Non ricordo con quale mediazione, forse di Costantino, dai Banda Beni – da Carlo e Filippo Vespa e Mario Biggio cioè – ebbi la sigla, bellissima, di una trasmissione che curai in tredici puntate e uno speciale andato nel palinsesto trimestrale ottobre-dicembre (1981) di La Voce Sarda. Titolo del programma e titolo della sigla che contò allora sulle immagini montate da Giorgio Ghiglieri, anche lui visionario con i semplici mattoni della cronaca, era Vagabondo


Artista ma anche uomo di studi

Era riuscito, Carlo, tra i migliori al concorso bandito dal Banco di Napoli e cui partecipò nel 1980 e, da impiegato finalmente assunto, venne assegnato alla importante filiale di San Gavino Monreale. Fu tra i migliori veramente, mi pare sesto su mille: pur proveniente da studi classici trattò benissimo, negli scritti e all’interrogazione, discipline come diritto privato e bancario, scienza delle finanze, statistica, ecc. Le materie che, peraltro, aveva incrociato nei corsi di Scienze politiche, facoltà da pochi anni emancipata da quella di Giurisprudenza e utilmente collocata nello stabilimento dell’ex Infanzia abbandonata. Le lezioni di fior di professori, allora: di economia politica Antonio Sassu, di statistica Giuseppe Puggioni, di diritto pubblico e regionale Giuseppe Contini, di diritto privato Angelo Luminoso… e anche di Storia moderna Carlino Sole, di Storia della Sardegna Tito Orrù, di lingua inglese Laura Jottini, di lingua francese Leo Neppi Modona, ecc. Il suo riferimento maggiore era Michelangelo Pira, docente di Antropologia culturale, con il quale aveva concordato la tesi… Il professore morì però nel 1980 e tutto s’interruppe… Ci pensò a lungo poi, Carlo, di finire in gloria – ma gloria vera – concordando una nuova tesi con il professor Orrù ed ebbi il piacere enorme di restituirgli la collaborazione donatami a suo tempo mettendogli a disposizione il materiale dei miei archivi Sardoa: così per Il credito in Sardegna dal 1890 al 1920. La formazione e l’attività degli istituti regionali e nazionali.


In questi ultimi anni, a compensare quasi i danni e i patimenti di una malattia che ha affrontato con il carattere – verrebbe da dire il coraggio e anche l’eroismo – che gli si riconosceva, sono stati i riconoscimenti venuti a Matteo, suo figlio, per orgogliosi meriti di studio e di relazioni accademiche di vasto raggio e piuttosto straordinari. Di lui, di suo figlio mi parlava tutti i giorni, così è stato per anni, quando avemmo la possibilità della vicinanza. Grazie ai racconti divertiti e ammirati di un padre sempre positivo, mi sembrò allora di vedere questo alberello crescere giorno dopo giorno, intelligente, intelligente e sempre anche lui con lo spirito versatile del padre, e la costruttiva e disciplinata umiltà del padre: esigente con se stesso, impegnato negli studi poi liceali e universitari, anche lui a Scienze politiche, e all’Alma Mater di Bologna, attivo nei circuiti studenteschi internazionali, fra Europa e Stati Uniti, impegnato nelle battaglie civili (quelle connesse alla verità processuale della strage di Bologna fra le altre), e un libro recente, prezioso risultato di approfondimenti sul campo: Europa e India, partiti a confronto.

Se il sentimento può aggiungere una parola uscendo dallo stretto recinto dei ricordi, aggiunge questa che è previsione certa: che Matteo saprà onorare la memoria del padre, e tenerla fra noi sempre fresca e abbondante e preziosa, con il suo talento all’opera per il bene della nostra Sardegna e dei valori di democrazia che tutti ci uniscono.



DAL SITO DEI BANDA BENI   


Fonte: Gianfranco Murtas
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