Caso Bovio. La combriccola Kilwinning 1485 all’assalto di Quirinale e Montecitorio. E, di più, della decenza. Licet ed omertà, ancora Barabba e Ponzio Pilato, e Nicodemo (parte terza)
di Gianfranco Murtas
Dopo quindici mesi, cioè ormai quasi cinquecento giorni, metto fine – per quanto mi riguarda – alla sfiancante “vertenza” simbolizzata nel nome grande di Giovanni Bovio, e senza più salute lascio ad altri di insistere per il recupero di decoro nella Comunione sarda e cagliaritana di palazzo Sanjust. Dovevo difendere la istituzione presidente della Repubblica – non soltanto l’integrità personale dell’onorevole Sergio Mattarella –, la istituzione presidente emerito, la istituzione presidente della Camera, dovevo difendere la bella storia della democrazia italiana che la Sardegna migliore ha condiviso e per la quale si è variamente battuta nel risorgimento e dopo, nell’antifascismo attivo e testimoniale e alla fabbrica della Repubblica, dovevo difendere anche il pregio morale, altissimo, della ritualità hiramitica. L’ho fatto al meglio delle mie forze, senza risparmio. Ho presentato memorie alla polizia postale ed alla procura della Repubblica perché valutassero, secondo i criteri propri dell’ufficio, gli eventuali profili di sgarbo, se non di vilipendio, ai titolari del Palazzo del Quirinale, di Palazzo Giustiniani e di Palazzo Montecitorio. Anche sotto il profilo della cittadinanza credo di avere così compiuto il mio dovere. «Fai quel che devi, avvenga quel che potrà»: questo è stato il monito degli antichi pastori cristiani così come degli umanisti laici di forte sensibilità civile. Una lezione giuntami da uomini fra loro diversissimi ma entrambi fondamentali, per il loro vissuto e i loro libri, nella mia formazione: il cattolico liberale Arturo Carlo Jemolo e l’azionista repubblicano di radici ebraiche Leo Valiani. «Fai quel che devi», nelle grandi ma anche nelle piccole cose della quotidianità. Ed ora mi ritiro. Resta soltanto l’impegno… bacareddiano del prossimo dicembre, per la più generale fruizione dei cagliaritani: mi riferisco alla mostra fotografica degli orrori consumati a palazzo Sanjust da un gruppo di scriteriati coperti all’inverosimile dai gerarchi locali e da coloro che occupano i piani superiori. Ma quella è, come si dice, un’altra storia. Ed ogni storia ha il suo tempo.
Riflessioni e ricordi, la norma e lo spirito
Capisco da solo che questa prima parte del presente scritto – ultimo e definitivo –possa non interessare molti, intendo i non massoni, o i massoni di nome ma non di mente e di cuore, ma infine la si prenda con spirito di carità e cavalleria anche perché comunque incrocia riflessioni circa le idealità ad esperienze di vita pubblica che fin dal 1971, da mezzo secolo cioè, ho cercato di fissare, in termini di presenza, di parola e di scrittura, nelle sedi più diverse e tanto più nella carta dei giornali e poi anche nei video televisivi.
E dunque… lo ricordo bene il confronto di opinioni con il Gran Maestro Armando Corona che fra il 1984 ed il 1985 s’era impegnato, con gran fatica, alla riforma degli statuti (costituzione e regolamento generale) del Grande Oriente d’Italia, a distanza di meno di vent’anni dall’approvazione dei precedenti che, nel 1968 – col decreto n. 417 del 20 aprile –, avevano portato la firma di Giordano Gamberini. Numerose le modifiche nell’ordinamento interno ma taluna anche nei principi generali (“Principi, Finalità, Metodi”), tali da destare perplessità in quei tanti che alla tradizione anche formale tenevano particolarmente: cadde, ad esempio, il riferimento al monoteismo e la cosa, seppure spiegata (come concetto sussunto nella credenza del Grande Architetto dell’Universo, in cui ciascuno – giusto alla Kipling – poteva specchiare il proprio Dio), non convinse tutti ma non bloccò il processo riformatore e l’esito complessivo del lavoro della commissione costituita ad hoc, con la presenza anche di Fratelli giuristi sardi.
Recitava l’art. 3 della Costituzione: «La Comunione Italiana adotta Rituali in accordo con gli Antichi Doveri, usi e costumi dell’Ordine; osserva il monoteismo, apre il Libro della Legge Sacra sull’Ara del Tempio e vi sovrappone la squadra e il compasso, segue l’esoterismo nell’insegnamento ed il simbolismo nell’arte operativa; adotta la divisione della Massoneria simbolica nei tre gradi di Apprendista, Compagno e Maestro, insegna la leggenda del Terzo Grado, inizia solamente uomini, non è settaria né politica». Mentre il precedente art. 2 affermava: «La Comunione italiana, uniformandosi nei principi e nelle finalità a quanto la Massoneria Universale professa e si propone, propugna il principio democratico nell’ordine politico e sociale, si ispira al trinomio Libertà – Uguaglianza – Fratellanza e si raccoglie sotto il simbolo iniziatico AGDGADU».
La riformulazione dei testi impegnava specialmente i nuovi artt. 2, 4 e 5: «Il Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani – è storicamente la prima Comunione Massonica Italiana, dotata di regolarità di origine, essendo stata fondata nel 1805 da un corpo massonico debitamente riconosciuto; essa è indipendente e sovrana; presta la dovuta obbedienza ed osserva scrupolosamente la Carta Costituzionale dello stato democratico italiano e le leggi che ad essa si ispirino. Si raccoglie sotto il simbolo iniziatico del GADU e rappresenta la sola fonte legittima di autorità massonica nel territorio italiano e nei confronti delle Comunioni Massoniche Estere […]
«Il Grande Oriente d’Italia, fatti propri gli Antichi Doveri, persegue la ricerca della verità ed il perfezionamento dell’Uomo e dell’Umana Famiglia; opera per estendere a tutti gli uomini i legami d’amore che uniscono i Fratelli; propugna la tolleranza, il rispetto di sé e degli altri, la libertà di coscienza e di pensiero. Presta la dovuta obbedienza e la scrupolosa osservanza alla Carta Costituzionale dello Stato democratico italiano ed alle Leggi che ad essa si ispirano.
«Il Grande Oriente d’Italia lavora alla Gloria del grande Architetto dell’Universo, osserva gli Antichi Doveri, usi e costumi dell’Ordine, adotta i rituali conformi alla Tradizione muratoria, apre il libro della Sacra Legge sull’Ara del Tempio e vi sovrappone la Squadra ed il Compasso, segue il simbolismo nell’insegnamento e l’esoterismo nell’Arte Reale, applica la distinzione della Massoneria nei tre Gradi di Apprendista, Compagno e Maestro, insegna la leggenda del Terzo Grado, non tratta questioni di politica e di religione, inizia solamente uomini che siano liberi e di buoni costumi, senza distinzione di origine, cittadinanza, censo, opinioni politiche o religiose, si ispira al Trinomio Libertà – Uguaglianza – Fratellanza»).
La questione del giuramento
Dopo la grave, gravissima vicenda P2 la granmaestranza Corona si caratterizzò, almeno programmaticamente, nel distanziamento da ogni sistema di potere detto "profano" e, nel novero, dai partiti politici e dal groviglio dei loro interessi sottostanti, e, specularmente, nell’affinamento invece della relazione con le istituzioni dello Stato, qui direi della Repubblica, di cui per certi versi – intendo come titolo – poteva recuperarsi il tratto che era stato nella memoria della granmaestranza Lemmi: la Massoneria come “partito dello Stato”, della sua continuità liberale. Non per niente, nei lunghi passaggi dell’età umbertina e giolittiana, fu così largo il proselitismo fra le forze armate dell’esercito e della marina così come fra gli organici della scuola media ed elementare: bisognava formare il cittadino – il cittadino italiano che doveva affrancarsi dalle chiusure localiste –, bisognava rinforzare le pubbliche istituzioni garanti della libertà e del benessere di tutti.
Di qui, da parte del Gran Maestro Corona, i frequenti contatti con il presidente Cossiga, al Quirinale, e con i presidenti delle due Camere, con Giovanni Spadolini in particolare a Palazzo Madama. Non tutto fu facile anche in questo campo – ve n’è traccia anche nelle collezioni del periodico Hiram di quegli anni, oltreché ovviamente negli archivi –, ma pure si procedette nello sforzo quanto meno di eliminare i malintesi, gli equivoci depistanti. Fra essi era la parola “giuramento” che lasciava intendere un valore assoluto e cogente dell’impegno di lealtà, ma si dovrebbe dire di soldatesca obbedienza, alla Fratellanza ed ai suoi dignitari, a dispetto dei doveri – teoricamente (e solo teoricamente) contrari – verso la legge e l’amministrazione pubblica di possibile riferimento (per militari, insegnanti, burocrati dei più diversi rami). Come si trattasse di una replica infinita (qui teorica e pratica) dei casi che l’antimassoneria di Leo Taxil ed altri di matrice clericale o mestatrice aveva via via contemplato in Italia e fuori.
La verità è che questo – per quanto ne sappia io, o ne sapessi allora – non era altro che una libera e azzardata e sbagliata valutazione che gli ambienti cosiddetti “profani” ed ostili, così spesso tentati dalla dietrologia e dalla complottologia, profilavano per contrastare una libera associazione di peculiare conformazione e pratica operativa, estranea ai circuiti di prevalente radicamento nazionale. Intendo il sistema delle quarantamila parrocchie e delle migliaia di confraternite d’ogni ispirazione o vocazione, intendo anche il sistema delle “cellule” di partito – riferendomi in particolare al massimalismo socialista ed al comunismo di dopo – e delle camere sindacali, ecc. Ne avemmo prove anche nell’Isola, così nel secondo dopoguerra come già all’inizio del Novecento (si pensi ai contrasti nel PSI cagliaritano del 1914 e alla coraggiosa presa di posizione di Alberto Silicani allora ventenne segretario della Camera del lavoro, e di Antonio Giunta con lui).
Il giuramento – quello sì vero ed intenso – di ossequio alla norma pubblica, alla Costituzione ed alla legge ordinaria dello Stato inserito da sempre nei titoli statutari e derivante dagli stessi Antichi Doveri – la magna charta morale tre volte secolare della Libera Muratoria – superava con tutta chiarezza, da sempre, ogni altra obbligazione etico-disciplinare della militanza quotizzante. Ma Corona volle far semplici le cose, e impose che il lessico stesso mutasse e ancor più stornasse i malintesi: non più “giuramento” ma “promessa solenne”, ecco la formula individuata per uscire dalle acque stagnanti degli equivoci.
Questa premessa mi è sembrata utile per inquadrare le dinamiche concettuali che mossero, ora con piena convinzione ora con qualche dubbio in alcuno, la riforma costituzionale e regolamentare del Grande Oriente d’Italia alla metà degli anni ’80 del secolo scorso (decreto promulgativo n. 86 del 18 novembre 1984, decreto esecutivo n. 1 del 31 marzo 1985; a seguire andranno altri decreti di promulgazione ed esecuzione relativi a varie deliberazioni di Gran Loggia a firma ancora di Corona e successivamente di Virgilio Gaito e Gustavo Raffi, in ultimo anche di Stefano Bisi).
In questo medesimo contesto si collocò la decisione – formalizzata nell’art. 49 del Regolamento – di giustapporre l’ “anno amministrativo massonico” (che sul modello di quello scolastico o accademico ma anche diffusamente associativo, andava da settembre a giugno successivo, o virtualmente da luglio a giugno) a quello solare. Non si trattava di formalità senza significato sostanziale. La cosa significava infatti la derubricazione della data del 20 settembre da incipit dell’anno di nuovi lavori fraternali, a semplice “ripresa” delle attività dopo la sosta feriale (e “solennità” ex art. 85 R.).
Ebbi modo di discuterne con il Gran Maestro, convinto come ero e come sono che la sana enfatizzazione della memoria della breccia di Porta Pia fosse, per la Libera Muratoria italiana, quasi un dovere ineludibile. E d’altra parte il Gran Maestro Giuseppe Mazzoni – uno dei triumviri del governo rivoluzionario toscano del 1849 – non aveva introdotto dal 1873, nel calendario della Massoneria italiana, la data del 10 marzo come evocatrice della memoria mazziniana, sicché è da allora che le logge riservano tornate speciali per onorare le figure comunionali migrate all’Oriente Eterno? Per quanto chiamata ad un respiro universale ogni Comunione nazionale dovrebbe ben poter sottolineare una particolarità chiamala… evenemenziale che l’ha toccata in particolare e così di fatto è avvenuto ed avviene. Non per nulla negli stessi titoli distintivi delle logge compaiono questi riferimenti sia nei nomi personali che, appunto, nelle date del calendario di richiamo ora locale ora nazionale ed oltre: VIII Agosto, 11 Settembre, XI Settembre 1860, XI Maggio 1860, IV Novembre, ancora e ancora 11 Settembre… Da Bologna a Campoformido, da Pesaro a Marsala, da Campiglia Marittima a Città di Castello… per non dire appunto del santo XX Settembre 1870, evocato nei titoli di Amantea e di Roma naturalmente, di Savona e Milano… quante volte! e di Montegranaro e Firenze, di Montepulciano e Piombino… V’era negli anni ’50 del Novecento, una loggia neoferana (dilla AALLAAMM) XX Settembre anche in Sardegna. Essa fu regolarizzata nel GOI nel 1958 con il numero 575 della serie storica, e poi assorbita dalla Cavour – regolarizzatasi anch’essa in parallelo e divenuta, per ulteriori necessità, Nuova Cavour… La Nuova Cavour oggi decana del circuito giustinianeo cagliaritano.
Nell’Isola, come invero in tutt’Italia e così fino alle soglie del fascismo che con i Patti del Laterano del 1929 avrebbe rinnegato in pieno i significati alti della storica breccia, il 20 (XX) Settembre fu occasione puntuale di manifestazioni pubbliche di segno insieme istituzionale e popolare. Mai mancò, a Cagliari come a Sassari e altrove, il manifesto del Grande Oriente d’Italia. Una lapide solennizzò, nel capoluogo sardo, il 25° dello storico evento e fu affissa nell’atrio del Palazzo di Città, ed ancora è visibile a tutti. (Spero di poterla presentare, fotograficamente, nella mostra cui ho fatto sopra riferimento).
La portata universale, non soltanto italiana, del XX Settembre
Mi resi conto che dai consulenti e collaboratori di primo cerchio il Gran Maestro Corona raccoglieva, a Villa il Vascello (stava avviandosi proprio allora il complesso trasloco da Palazzo Giustiniani e sì che… Villa Medici del Vascello tante memorie risorgimentali richiamava, della profetica Repubblica Romana in particolare), la prevalente opinione di doversi come attenuare quel richiamo storico – evidentemente rivissuto (e perciò respinto) con i codici quasi giacobini dell’anticlericalismo – per valorizzare invece il tema chiamalo pure esoterico dell’equinozio autunnale.
Così fu. Obiettai, con la cortesia doverosa, che in tal modo si potesse indebolire fra le innumerevoli Colonne muratorie d’Italia quel sentimento civile che riportava alla storia faticata dalle passate generazioni per arrivare infine ai risultati da noi goduti: la patria unita, la patria libera e democratica e sociale, laica negli ordinamenti ma sempre sperata, con Jemolo, religiosa nel suo animus più profondo, motivata nel respiro europeo, impegnata in una promozione umanitaria senza frontiere. Quanta fatica, appunto, per raggiungere questi approdi, impensabili senza il successo del XX Settembre, di quel 20 settembre in cui cadde, trentenne, un bersagliere sardo: Andrea Leoni al quale i massoni tempiesi intitolarono nel 1905 la loro loggia.
E d’altra parte, animosità anticlericali – di certo vieto anticlericalismo in risposta a certo altrettanto vieto clericalismo che avevano, e l’uno e l’altro, segnato i tempi lontani – non v’era quasi più traccia nei Templi giustinianei. L’orgoglio e il sentimento della laicità sì, sempre, doverosamente, ma nessuna avversione, anzi pulsioni d’incontro con le centrali e le periferie del buon volere religioso sì, certamente sì (le intese con le comunità di Mondo X Sardegna del padre Morittu lo confermavano). Non aveva evocato, con toccante delicatezza, San Francesco d’Assisi e il suo Cantico delle creature l’Oratore dell’interloggia cagliaritana Matteo Savatta quella volta, nel Tempio di palazzo Chapelle, proprio in occasione di una tornata celebrativa del XX Settembre? (Conservo nel mio Archivio storico generale tale testo).
Dovevo riferirmi a tanto perché siamo a un nuovo XX Settembre che anch’io celebrai su L’Unione Sarda quando il direttore Crivelli – il caro, carissimo direttore Fabio Maria Crivelli – mi cedette il suo spazio, sulla prima del giornale. I legami di studio oltreché di idealità politiche con Giovanni Spadolini – lo storico dei rapporti Stato-Chiesa, autore di tanti saggi sulla materia – avevano alimentato, prima e ancora dopo quel fondo, la mia sensibilità insieme patriottica e civile per i significati di quella breccia, della quale sempre ed ovunque ho peraltro cercato di evidenziare la portata universale, non soltanto italiana. Il papato privato del suo principato terreno, il papato riportato alla sua dimensione evangelica di testimonianza ed insegnamento, il papato conquistato dalla santa febbre ecumenica, così come lo erano state le logge romane popolate di cattolici ed ebrei ed anglicani e luterani e perciò costrette al nascondimento, negli anni in cui i tribunali e la ghigliottina asseveravano, nella città eterna, il giusto e l’ingiusto, il lecito e l’illecito… Quale avanzamento storico!
Mai dunque avrei immaginato che proprio nell’occasione di un XX Settembre, uno dei miei ultimi, dovessi scrivere, per i contemporanei ma soprattutto per lo storico di domani, delle omissioni gravissime di un Gran Maestro del Grande Oriente giustinianeo circa i doveri di rigorosa tutela della onorabilità della Tradizione liberomuratoria, ripetutamente e sprezzantemente offesa da menti malate riunite in combriccola qui nell’Isola nostra, e di tutela anche della onorabilità delle maggiori cariche della Repubblica, anch’esse svillaneggiate senza alcun pudore da graduati di una pseudologgia esperta di schifezze per l’onnivoro pubblico di facebook.
Da due anni – almeno da due anni – al suo ufficio di Villa il Vascello sono giunte, anche da me firmate (20 agosto 2020), anche dal presidente della associazione Cesare Pintus firmate (20 luglio 2020), anche dalla presidenza nazionale dell’Associazione Mazziniana Italiana affidata all’avv. Michele Finelli portate come ambasciatore dal Fratello Renzo Brunetti già vicepresidente vicario (cf. email a me 30 luglio 2020), non soltanto dunque da gruppi di pressione interna al GOI (che partirono, da come s’è letto, ripetutamente dal maggio 2020) – segnalazioni importanti e documentate delle offese alle cariche istituzionali della Repubblica, alla Tradizione storica e rituale massonica, alla figura eccellente di Giovanni Bovio, tutte mosse da uomini interni agli spazi propri del Grande Oriente d’Italia. Non nicodemico, il Gran Maestro, Pilato in persona. O connivente addirittura.
E mi è stato chiesto: ma perché il Gran Maestro d’oggi odia con tanto visibile sprezzo la Sardegna (tanto da volerla vedere affogare nella vergogna d’una dirigenza inetta ed opaca)? la Sardegna di Asproni e Francesco Ciusa, di Armando Businco e Mario Berlinguer? la Sardegna di Armando Corona? la Sardegna che ai mille iniziati dopo l’unità d’Italia e fino al diktat fascista del 1925 ha sommato altri duemila iniziati dal 1944-45 ad oggi? Innumerevoli parole alate, sempre, leggere e paternaliste, ma sotto l’imbroglio: il disprezzo sostanziale. Come a dire per il vero: affogatevi da soli, io tengo gli occhi chiusi, se poi sarà scandalo generale allora mi mostrerò severo moralizzatore io… novello Bovio! Ma egli non sa di quale colpa e discredito stia oggi segnando la sua granmaestranza né di come lo storico municipale del futuro e l’analista/annalista esploratore della Massoneria sarda caricherà il suo nome associandolo a quello sgradevole di un Ponzio Pilato teso sempre fra Caifa e la piazza di Barabba, lui in cerca sempre di una comoda via d’uscita dagli imbarazzi del momento.
Viaggiando per rapide biografie: Nathan “il sardo”, Torrigiani…
Ebbe esperienze professionali ed imprenditoriali in Sardegna Ernesto Nathan, il Gran Maestro giustinianeo dell’ottennio 1896-1904 con bis sul finire della grande guerra, dal 1917 al 1919. Ma se conobbe l’Isola – l’Isola isolata di quel tempo, anche culturalmente lontana, altro che nelle maggiori città, dai territori metropolitani! – da imprenditore negli anni della giovinezza o sua primissima maturità, egli vi tornò da Magister Maximus, si sa, e nel giugno 1900 molto viaggiò in lungo e in largo fra le due province, da Cagliari a Sassari, da Carloforte fino a Caprera naturalmente. Si godette, da noi, l’ospitalità della Scala di Ferro, che anni dopo – quando in ricambio venne Torrigiani – avrebbe accolto David H. Lawrence. Con sessanta coperti l’albergo gli offrì anche un’agape fraterna di cui si volle dar notizia pubblica per il prestigio della personalità accolta, tra i cofondatori della Società nazionale Dante Alighieri di cui proprio il Venerabile cagliaritano era stato il vero promotore della sezione in città. Ebbe anche modo di incontrare, Nathan, i dignitari che gli anticiparono la formazione di una nuova loggia, nel capoluogo, di lato e per gemmazione della Sigismondo Arquer: la Nuovo Secolo che per qualche tempo avrebbe vissuto molto dello speciale carisma del Fratello Giorgio Asproni jr., il patron delle miniere di Seddas Moddizzis e di cento altre cose.
A Sassari La Nuova Sardegna – giornale di taglio repubblicano – ricordò, di Nathan, la stretta parentela ideale con Mazzini, il Mazzini esule a Londra: «La Sardegna ha bisogno di amici che la conoscano e la amino, di amici che la liberino dai pregiudizi e dai preconcetti, che con l’esempio ravvivino la sua fede delle libertà, nel lavoro, negli onesti propositi, il suo odio contro tutto ciò che è reazione, microcrazia, ecc.».
Si disse, ed a ragione, che in quella missione sarda del 1900 egli respirasse nuovamente l’aria che era stata sua quasi quarant’anni prima, quando – proprio nel Sassarese – conobbe Gavino Soro Pirino, repubblicano e massone che era stato o sarebbe stato in amichevole corrispondenza con Mazzini stesso, quel Mazzini che tanto s'era battuto per evitare nel 1860 il passaggio dell'Isola alla Francia. Giovane ventenne, ma con molte esperienze, intellettuali e sociali, già maturate negli anni della residenza londinese condivisa con Mazzini esule, s’occupò – come ben ricorda Nadia Ciani nel suo Da Mazzini al Campidoglio. Vita di Ernesto Nathan, Roma, Ediesse, 2007 – di una società che, oltre alla coltivazione del cotone, era impegnata nella vendita sul continente dei prodotti isolani.
Quella «vita all’aria aperta e a contatto con la natura» gli restò dentro ed echeggiò, sentimentalmente, ogni volta che incontrava – del suo largo giro mazziniano – un sardo, che poteva essere una volta Vincenzo Brusco Onnis e un’altra Giuseppe Giordano –, ma anche chi, come Gustavo Canti – Gran Segretario con Ferrari Gran Maestro, e poi lui stesso Gran Maestro aggiunto –, a Cagliari aveva vissuto per anni alla presidenza dell’Istituto Tecnico e qui aveva seminato pagine di letteratura e di impegno civile. Ricordava le gite di campagna e quelle devozionali a Caprera…
Valga una breve digressione. Poche settimane dopo, assassinato il re Umberto I, non mancò il Gran Maestro Nathan di esprimere tutto il dolore dell’intera Comunione massonica, certamente compresa la parte di fede repubblicana, per il delitto, rinnovandolo quando, nell’agosto seguente, le spoglie del sovrano furono tumulate al Pantheon. Allora anche le maggiori città isolane, e Cagliari e Sassari, esposero alle cantonate delle loro strade il suo manifesto: «Qui, come in ogni città, in ogni centro ove lavorano Loggie massoniche, intento al nostro compito patriottico ed educativo, i fratelli unendosi al lutto dei concittadini, creato dal pervertimento di malvagia degenerazione, affermano come al di sopra delle lotte politiche regna e domina la coscienza nazionale, la fede nei principii che vietano al delitto di partecipare alle lotte per il civile progresso».
(Sorge spontanea la suggestiva domanda di come avrebbe reagito Ernesto Nathan alle offese rozze e volgari reiteratamente recate da uno o dieci – dieci, con i like anche cinquanta! – massoni/nonmassoni di periferia alla più alta istituzione dello Stato, di quello Stato che pur era monarchico e inviso, o almeno dispiacente, a molti… La società liquida e disvaloriale colpisce oggi in basso ma evidentemente, s’è visto, anche in alto).
E vien proprio da considerare quanto in uomini come lui – dico Nathan – e Bovio e Ballori e Ferrari, ecc. contasse l’affermazione di una identità massonica capace di trascendere le singole e legittime appartenenze. Non fu un caso che Ettore Ferrari, eletto Gran Maestro aggiunto alla Costituente del 1896 – quella stessa che aveva portato alla più alta dignità dell’Obbedienza Ernesto Nathan –, rifiutasse la carica: repubblicano Nathan, repubblicano io, non pare giusto “monopolizzare” il vertice del Grande Oriente d’Italia, disse press’a poco. E fu conseguente.
Certamente, e va sottolineato, tutte le appartenenze politiche, fossero piene (di militanza organizzata cioè) o soltanto ideali, e dalla destra liberale arrivassero alla sinistra repubblicana o federalista o socialista, passando per le sensibilità centriste o degli intermedi, trovavano una base comune nello spirito patrio nazionale che voleva poi dire ordinamenti liberali e sociali, fortemente laici. Furono allora parole alte quelle consegnate dal nuovo Gran Maestro alla sua prima circolare diffusa fra le logge: «L’alto, sereno concetto politico nostro si svolge al di sopra delle scuole che si contendono gli intelletti e dei partiti che si contrastano il potere. Anzitutto e soprattutto siamo italiani; la patria, leva per cui operiamo nell’umanità, è in cima ad ogni nostro pensiero». Di qui anche l’impegno formidabile per la moralizzazione della vita pubblica.
Anche Domizio Torrigiani fu nell’Isola. Qui giunse nel cruciale 1921, alla vigilia del rinnovo parlamentare, ancora con il proporzionale sperimentato due anni prima: riunì a Cagliari – nella sede “boviana” di via Barcellona – i sessanta Fratelli del capoluogo e gli altri quotizzanti di Iglesias ed Oristano, replicando a Sassari prima di raggiungere anche lui Caprera. Aveva da mettere ordine, per quanto possibile, in una corporazione dai prevalenti tratti consortili circa le appartenenze politiche, ché il dopoguerra aveva inciso profondamente nel corpo sociale, con la massiva smobilitazione e il malcontento popolare per i livelli del carovita e della disoccupazione, anche con un certo accresciuto radicalismo di eco bolscevica nelle rivendicazioni proletarie e le prime aggressive manifestazioni fasciste… Per questo osò allora di cercare un punto di equilibrio fra liberal-conservatori e progressisti puntando sulla candidatura di Mauro Angioni, dignitario scozzese e deputato uscente (eletto nel 1919 nella lista dell’Elmetto degli ex-combattenti ed ora neosardista).
Pochi anni dopo, a Lipari, Torrigiani – lui che all’inizio aveva sottovalutato il pericolo insito nella destra reazionaria fascista – fu al confino con Emilio Lussu. Importanti le pagine dedicate a quella sua amara esperienza di vita dal nostro Giuseppe Fiori.
Fu a Sassari, nel luglio 1947, il Gran Maestro Guido Laj Miglior (Canessa per parte di madre) di ascendenze tutte cagliaritane e cagliaritano di studi liceali e di giovanili collaborazioni giornalistiche. Venne accompagnato dal Luogotenente (prossimo Sovrano) scozzese Giovanni Mori, al quale qualche anno dopo sarebbe stata meritoriamente intitolata la nuova loggia di Carbonia. Alberto Silicani e Annibale Rovasio con Michelino Conti furono i grandi organizzatori dell’evento che pur misurava, con la generosità degli animi, l’esiguità delle forze, a meno di tre anni dalla ripresa dei lavori nei due capoluoghi.
E poi fu tempo (1959) del Gran Maestro Cipollone – uno dei firmatari, con Guido Laj stesso e Mario Berlinguer!, del manifesto antifascista dell’UDN di Giovanni Amendola del 1924. La sua visita suggellò la grande operazione dell’anno precedente – la confluenza e regolarizzazione degli ex brancacciani cioè. Toccò quindi a Giordano Gamberini e Lino Salvini i quali ogni due-tre anni assicurarono una presenza nell’Isola, che allora – anni ’60 e anni ’70 – continuava ad esprimere una rete militante piuttosto debole, con i suoi 250/300 quotizzanti fra i capoluoghi provinciali, cui s’aggiunsero progressivamente gli Orienti di Oristano e Carbonia, e poi anche Arzachena, com’era stato per qualche tempo, fra 1946 e 1956, anche di La Maddalena e Bosa.
Fu quello il tempo delle regolarizzazioni individuali, tanto più a Cagliari – fra i molti regolarizzati valga citare soltanto il nome di Franco d’Aspro 33. –, il tempo della acquisizione di nuove e più funzionali sedi (a Cagliari palazzo Chapelle e quindi via Zagabria, dopo via Portoscalas, a Sassari viale Umberto…), il tempo anche delle prime pubblicazioni editoriali (si pensi alle Tavole di Filippo Pasquini in capo alla loggia Hiram saldamente affidata al Maglietto di uomini del valore di Mario Giglio, Sabino Iusco, Marcello Tuveri) e delle nuove strutture regolamentari (il Collegio circoscrizionale operativo dalla fine del 1967), dei tentativi (subito abortiti) delle Fratellanze professionali, dell’associazionismo parentale (si pensi alla LIDU), dei nuovi Riti convenzionati (si pensi all’Arco Reale), delle militanze femminili inquadrate nell’Ordine della Stella d’Oriente. Al tempo della granmaestranza Battelli venne anche l’eccellente iniziativa della So.Crem, di larghissima e meritoria ricaduta civica, e ancora si proseguì sotto la granmaestranza Corona…
Le esperienze sarde dei Grandi Dignitari
Ma, l’ho ricordato altre volte e in cento e più pagine ho raccolto e riordinato le esperienze di ciascuno, consistente fu il rapporto degli apripista, di altri Grandi Dignitari apicali della Massoneria nazionale con la Sardegna: da Alessandro Tedeschi (direttore di gabinetto di Anatomia Patologica e titolare della cattedra che era stata di Luigi Zanda e lo sarebbe stata di Armando Businco, per dire di Fratelli) che a Cagliari insegnò prima di partirsene per l’Argentina dove impostò il sistema sanitario pubblico, a Gustavo Canti, da Ferdinando Ghersi – primo Sovrano Gran Commendatore della serie postrisorgimentale (alla fondazione del Regno d’Italia in evoluzione del Regno di Sardegna) – a Leonardo Ricciardi. Per non dire di nuovo di Guido Laj naturalmente…
Dalla fondazione della sezione della Dante Alighieri agli scritti letterari, metti di Gustavo Canti Venerabile, consegnati ai periodici locali del tempo (fra gli altri alla Piccola Rivista di Ranieri Ugo, che fu casa anche di Grazia Deledda! e alle stesse corrispondenze di Guido (Gian Guido, come si firmava) Laj diciassette-diciottenne finite sulla prima pagina de L’Unione Sarda…), alla docenza nel nostro ateneo, alla presidenza di scuole d’istruzione superiore, ecc. sì, quei Grandi Dignitari, o prossimi tali, macinarono umanità, intelligenza, cultura nella regione.
La costante di tutto, il filo rosso che attraversò la Fratellanza massonica sarda lungo un secolo e mezzo, prima e dopo la dittatura che ingoiò molti opportunisti ma anche poveri Fratelli incapaci di adeguato spirito critico ed incapaci di resistere, ma che pure esaltò la fermezza democratica di uomini come Pasquale Scuderi e Annibale Rovasio, come Alberto Silicani e Francesco Sitzia e Pietro Branca, ecc., fu l’affezione ideale e sentimentale alla patria italiana. Le partecipazioni delle logge sarde di prima e dopo la dittatura, alle iniziative umanitarie e sociali proposte da soggetti diversi e le testimonianze pubbliche venute a pro della democrazia vissuta in Italia e fuori sono state innumerevoli. Così nel settantennio che dall’unità giunse alla nota perquisizione dei questurini fascisti nella sede cagliaritana di via Barcellona e all’…arresto di Giovanni Bovio (e credibilmente anche di Garibaldi e Carducci che lo accompagnavano), e in quest’altro più recente settantennio (sfrondato di qualcosa purtroppo). Una ricognizione riterrei completa la presentai in occasione della mia conversazione a palazzo Sanjust il 1° marzo 2018.
Mancò quella presenza nel ventennio fascista. Il fascismo fu contro la patria, il fascismo mandò al macello la patria.
Quel messaggio a futura memoria, di Laj al Gran Maestro del 2020-2021
Era da un anno e qualche mese pro-sindaco di Roma – come sindaco lo era stato Nathan dal 1907 al 1913 – il nostro cagliaritano Guido Laj Miglior quando fu eletto Gran Maestro dell’Ordine massonico. Il 19 novembre 1945, insediandosi nel suo nuovo ufficio, ricordò all’Assemblea nazionale, che in quel posto lo aveva voluto, il passato recente: «Non tutti mi è dato oggi nominare: ma valga per tutti il nome del nostro amatissimo Domizio Torrigiani che, travolto da eventi a cui tutti eravamo impreparati, ha saputo, col suo nobile contegno culminato nel sacrificio della vita, riscattare la molta viltà di cui tanti altri della nostra Famiglia hanno dato prova. Perché – bisogna avere il coraggio di dire la verità – accanto ai fulgidi esempi di fede, molti, troppi sono stati gli esempi di debolezza, di accomodamento, di tradimento; e da questa constatazione noi dobbiamo trarre non tanto l’incitamento a maledire ed a condannare, quanto l’ammonimento a perfezionare noi stessi, per farci più preparati alle prove avvenire di quel che non fummo in passato, ad allontanare dalle nostre Officine, se ve ne sono, quanti per il contegno nel passato ventennio o per lo spirito di cui sono tuttavia permeati, non danno affidamento di sicura fede massonica, a precludere le porte del Tempio a coloro che vengono a noi non pervasi da spirito di sacrificio ma da desiderio di appoggio, di favore. Non dobbiamo trovarci ancora, se verranno i tempi grossi – e verranno – con un esercito numeroso ma imbelle, che non sappia affrontare un pericolo, che non abbia la forza di sacrificare alcuna delle sue necessità, e neanche delle sue aspirazioni, per mantener fede al giuramento: se saremo in pochi, non importa; ma se la Massoneria non è e non riesce ad essere un corpo di eletti, eletti non per ricchezza o per sapere o per potere, ma per altezza e purità morale, essa manca alla sua missione: è meglio che non esista».
Quanto è successo in questo ultimi anni a Cagliari e forse altrove, quanto è ancora provato sotto gli occhi di tutti, insieme con la plateale inerzia e anzi complicità degli organi collegiali, invera lo scenario che il Gran Maestro Laj paventava come ancora possibile.
I semifascisti o parafascisti – uomini rozzi, non violenti ma dal pensiero corto e arrogante (che considerano «zavorra» i nomi di Silicani e d’Aspro, di Addis e Rovasio e di tanti altri) –, i semifascisti o parafascisti che sgomitano per la conquista di un grembiule di cartone – mai simbolo del lavoro! – e ancora confondono i nomi di Mazzini e Nathan con quelli di certi sovranisti dell’outlet di quartiere 2021 che occhieggiano a Putin e Lukashenko come a Bolsonaro e già a Trump, stanno cambiando la natura delle logge. Attenzione. Lo ripeto: il pericolo è presente, è fra le Colonne, è perfino alle cattedre delle Luci di governo e negli uffici di controllo e giustizia. La perdita dei riferimenti ideali che il presidente Ciampi ci ha proposto fino all’ultimo – «risorgimento – resistenza – costituzione» – rischia di fare della Libera Muratoria italiana, e di quella sarda e cagliaritana, una cosa altra dalla sua vocazione storica. «Risorgimento – resistenza – costituzione» debbono restare, elementi fra loro coerenti, la traccia del percorso che, ricollegando il presente al passato, il passato al presente – e tanto più in una società di Tradizione come è la Massoneria –, rivela il senso stesso della missione libertaria ed umanitaria delle logge.
Non ci si immagini le camicie nere di nuova stiratura pronte alle nuove marce, seppure la condiscendenza con il portato di certi vocianti no-vax di piazza e l’acquisto di stock interi di formule semplificatorie che riducono a nulla le complessità del bene sociale parlino da soli.
La Massoneria sarda ha rivelato in questa situazione recente un deficit drammatico di ceto magistrale. Il mio maestro politico Ugo La Malfa sosteneva che la classe dirigente si qualifica per il saper anticipare i problemi, non per inseguirli. La terra bruciata che mi si fece quindici mesi fa da parte di piccoli uomini perché lo “scandalo Bovio” fosse assorbito dal silenzio – altra cenere sotto il tappeto – venne imposta, con supponenza padronale, da chi, abilissimo professionista, mancava del quid morale che Ugo La Malfa attribuiva alla vera classe dirigente. Che fosse nel Parlamento o nell’organo collegiale d’una scuola o in quello d’un interloggia non faceva differenza. Le volgarità collettive della Kilwinning alla fine abbiamo visto che non sono soltanto della Kilwinning. Il male è diffuso, la piazza di Barabba è affollata e i nascondigli dei nicodemici sono stipatissimi anch'essi.
Conclusioni per davvero
Qui finisco. Idealità, valori e sentimenti si fondono insieme. E confido che, pur paradossalmente suscitati (in negativo) dalle sgangherate spupazzate di Bovio trasformato in un impossibile generale golpista ed in un impossibile Caino politico per l’obiettivo cretino di facebook (così in casa massonica e sotto l’occhio algido dell’attuale Gran Maestro ritratto al muro e dall'arcivernice materializzato e sparso nella rete con questa esaltante ambientazione), alcuni almeno dei cinquanta scritti che ho riversato per la stretta difesa della causa, abbiano raggiunto menti e cuori. Non m’importa il numero. M’importa la sincerità dell’accoglienza. E mi metto a leggere, per me stesso, e dedicandole proprio a Giovanni Bovio, le poesie cilene che il Fratello Agostino Castelli ci donò all’indomani dei tormentati giorni di Santiago del Cile.
Circa le sarcastiche insolenze vomitate nei confronti delle autorità della Repubblica, e fatte salve dall’inerzia degli organi circoscrizionali del GOI – dall’Oratore in specie, che pure aveva un potere-dovere di iniziativa disciplinare (e che non ha trovato nulla da dire neppure sulle novantanove prove d’addebito contenute nella Tavola d’accusa presentata lo scorso anno, e inopinatamente poi ritirata) – aggiungo poco. Ho estrapolato dalle cronache delle Gran Logge degli ultimi anni pubblicate da Erasmo Notizie gli scambi di saluto del Gran Maestro con il presidente della Repubblica. Leggo purtroppo oggi, nei messaggi in partenza da Villa il Vascello, ipocrisia pura. Ne sono avvilito.
Ho scritto più volte che, a mio avviso, sarebbe utile – direi necessario – che nella “promessa solenne” (il cui testo è allegato alla Costituzione e al Regolamento generale del GOI ed è anche postato in internet) si facesse riferimento preciso alla Repubblica “storica” nella quale la militanza liberomuratoria italiana deve svolgersi. Segnalo nuovamente la proposta, marcando in neretto l’elemento che riterrei potesse/dovesse includersi ad evitare quegli incongrui sconfinamenti nella/della destra parafascista (ripeto: intimamente rozza e volgare) che sono divenuti purtroppo dato di fatto: «solennemente prometto… di rispettare scrupolosamente la Carta Costituzionale della Repubblica nata dallo spirito patriottico e nazionale dell’antifascismo e le leggi che alla stessa si conformino».
Mi dà sconforto anche una… bella notizia trasmessami da Lucca: l’impegno morale e materiale della loggia Francesco Burlamacchi n. 1113 per il restauro della statua del proprio titolare «primo martire dell’unità italiana». Un monumento realizzato nel 1863 da Ulisse Cambi, quello stesso artista cui si deve la nostra Eleonora d’Arborea in Oristano, inaugurata nel 1881 e per la quale i massoni sardi s’erano impegnati in complesse e prolungate questue sociali, oltre che in accademie letterarie, a partire dal 1865…
A Lucca il sentimento della storia, il culto della democrazia risorgimentale, a Lucca l’amore corale della Libera Muratoria per i migliori testimoni delle nobili cause patriottiche. A Cagliari i capolavori della combriccola Kilwinning con le coperture invereconde d’una dirigenza di cartone. E l’umiliazione che accompagnerà, né sarà per breve tempo, la città e tutti – tutti – gli organici delle logge giustinianee che non hanno saputo e anzi voluto, né ieri né oggi, reagire allo scandalo.
La statuaria è espressione sempre di un’arte pedagogica ed ha una spontanea ricaduta nel sentimento di chi s’approssima ai suoi manufatti. A Gonnosfanadiga, ancora poche settimane fa, venne imbrattata l’effigie di Santa Bernadette custodita dal 2018 nella grotta consacrata alla Vergine di Lourdes. L’indignazione fu pubblica, il rimedio immediato. A Cagliari il peggiore presidente circoscrizionale di una serie ormai cinquantennale s’è infischiato degli sbertucciamenti recati a un busto storico ricevuto in dono dalla casa massonica, così come si è infischiato – colpa ancora più grave – dello sfregio alla onorabilità delle cariche dello Stato. Egli stesso – il presidente circoscrizionale (con la compagnia silenziosa dei Maestri Venerabili, dei consiglieri dell’Ordine e del corpo ispettivo) – è stato coperto dai dignitari sovraordinati. Un mondo rovesciato, un mondo rovesciato. Il pianto supera la rabbia. Per questo, impari per forze psicofisiche, mi ritiro.
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