Cattolici e buddisti, la mappa delle religioni e della loro partecipazione alle mattanze vietnamite.
Il taccuino di don Angelo Pittau racconta… Di Gianfranco Murtas
Don Angelo Pittau giornalista freelance, dopo che prete fidei donum della sua diocesi sarda di Ales, docente di pastorale e latino nella Facoltà di teologia di Dalat, ma poi più missionario che professore, vive con un certo distacco la sua appartenenza religiosa: guarda alla diffusione delle fedi in quel Vietnam da lui vissuto ormai da quasi mille giorni, alla fine degli anni ’60, con spirito indipendente, osservando il fenomeno e i suoi portatori, vescovi e bonzi, preti e regolari d’ogni obbedienza. Ne scorge le pulsioni più profonde, quelle che ne muovono i passi nella gran confusione – ispida confusione – della guerra. Ne ricava un capitolo – “Religioni e politica” – del suo libro Vietnam: una pace difficile, pubblicato nel 1969 dalle Dehoniane di Bologna.
(In copertina, sulla destra, il richiamo grafico a due articoli a firma di don Angelo Pittau dal Vietnam, apparsi su Nuovo Cammino del marzo e del dicembre 1968).
Energia e vigore delle appartenenze, fra chiese e pagode
Il Vietnam conta 17 milioni di abitanti, forse di più: le cifre sono assai vaghe data l'impossibilità di un censimento. Di questi, circa due milioni sono cristiani.
Il caodaismo, una religione con meno di 50 anni di vita, miscuglio di ogni religione presente nel paese, condito abbondantemente di spiritismo, ha due milioni di aderenti. La setta Hòa-Hao, setta buddista di origine recente anch'essa ma che con il buddismo nazionale e soprattutto con i buddisti non ha niente a che fare, raggiunge anch'essa quasi i due milioni.
Il caodaismo e la setta Hòa-Hao hanno i loro aderenti soprattutto nell'estremo Sud, la Bình-Xuyén attorno a Saigon e a Saigon stessa; al tempo di Diém avevano una importante funzione politica. Adesso, avendo rinunciato costretti da Diém alle armi, hanno perso molta potenza politica: si accontentano di essere abbondantemente padroni della piastra. Si dividono con i cinesi il commercio, anche se è vero che in certe regioni hanno ripreso il potere: sono soprattutto anticomunisti.
I cinesi del Vietnam non sono buddisti ma confucianisti, anche un gruppo importante di vietnamiti sono confucianisti. I cinesi sono ottocentomila in Vietnam, i confucianisti raggiungono quindi almeno, con i vietnamiti, un milione e mezzo o due.
C'è poi un milione di aderenti ad altre religioni: 50 mila musulmani, gli aderenti alla setta Bahai, alle sette induiste, il gruppo religioso dei laotiani, il gruppo religioso buddista del Piccolo Veicolo di origine cambogiana forte di 600 mila aderenti.
Siamo circa a dodici o tredici milioni di abitanti. Il restante diciamoli buddisti del Grande Veicolo: poco meno di un terzo della popolazione.
Ma questi non sono un blocco unico: formano tre gruppi assai chiaramente distinti soprattutto politicamente, e in lotta tra di loro.
Il gruppo di Thich Tàm-Chàu in buon accordo con il governo ha la maggioranza nel Consiglio buddista nazionale con una Carta approvata dal governo. Non sono come numero dei fedeli la maggioranza e, per questo, sono combattuti dagli altri gruppi. Le ultime manifestazioni buddiste a Saigon datano ad ottobre del 1967 proprio per protestare contro questa Carta. Ma Thich Tàm-Chàu è solido nel suo governo.
Il gruppo Thich Tri-Quang è composto di buddisti del centro Vietnam. Antigovernativi con Diém, dopo Diém ed adesso, neutralisti e nazionalisti spinti. Il loro sogno è fare del Vietnam un paese neutrale, la cui religione nazionale sarà il buddismo e in cui i buddisti siano al potere magari con una dittatura come in Birmania, e con una discreta persecuzione dei cristiani.
Hanno la loro pagoda principale a Hué chiamata Tù-Dàrn, ma hanno una pagoda assai importante anche a Saigon, An-Quang. A Hué e a Saigon la loro pagoda durante gli attacchi del Tét fu il quartiere generale dei vietcong. Ad ogni modo le pagode furono rispettate dai bombardamenti mentre in tutte le città chiese, scuole, ospedali, episcopi, seminari cattolici furono sistematicamente distrutti se vi era segnalata la presenza dei vietcong.
Thich Tri-Quang ha incominciato presto a far parlare di sé: il 1964 dinanzi al palazzo di Ginevra, dove si tenevano le conversazioni, fece uno sciopero della fame. Nel 1963 è lui che diresse il movimento buddista contro Diém, lui che aiutò gli americani a rovesciare il dittatore sotto la spinta religiosa. Ha un fratello bonzo nel Nord Vietnam dirigente dell'associazione buddista patriottica, comunista quindi.
Il gruppo di Mai-Tho-Truyén, che il governo di Huong ha come ministro, è il terzo gruppo del buddismo vietnamita. La sua pagoda principale è a Saigon: la Xa-Loi. E' famosa questa pagoda perché ci si bruciavano i bonzi al tempo di Diém, poi fu bruciata la pagoda! Adesso che i roghi sono passati di moda e la pagoda è stata ricostruita con abbondante cemento americano ha perso molto della sua importanza.
Mai-Tho-Truyén non è un bonzo, ma un intellettuale buddista laico. Gli aderenti a questo gruppo sono piuttosto gente che non pratica, intellettuali. Essi sono in contatto con gli altri movimenti di «rinnovazione» del buddismo in Asia. Truyén assume anche una posizione d'importanza politica: potrebbe essere anche un uomo di rincalzo dopo le conversazioni di Parigi.
Tutti e tre questi gruppi non sono seguiti che da una élite. La massa dei così detti buddisti ha una religione indefinita tra il buddismo e il confucianismo e lo stesso culto degli antenati e molta superstizione Per dichiarazioni dei buddisti stessi solo un terzo praticherebbe, ma oggi sono anche meno.
Limitata così la forza numerica dei buddisti resta da determinare la forza d'opinione pubblica che hanno sia in Vietnam sia nel mondo intero sulla questione vietnamita.
L'opinione pubblica mondiale ha semplificato per il Vietnam: cattolici e buddisti. A noi potrebbe non interessare se a torto o a ragione, ormai è un fatto e il fatto interessa soprattutto adesso che il Vietnam ha bisogno di vedere dentro dello stato stesso per sapere come presentarsi alle conversazioni con Hanoi. La forza del governo e della delegazione sarà la forza e le idee dell'opinione pubblica dominante: cattolici o buddisti. Non cattolici e buddisti, ma una sola delle due, perché hanno posizioni differenti e non riescono e non vogliono mettersi d'accordo. E' di pochi giorni la notizia, per fortuna non molto divulgata, che alcuni quartieri di Saigon hanno di nuovo un pesante coprifuoco perché le due parti stavano per incominciare una regolazione di conti sanguinosa.
La storia ha voluto che anche nel passato cattolici e buddisti abbiano sostenuto posizioni assai diverse, anzi siano entrati in pieno conflitto tra di loro e il loro conflitto ad un dato punto sia stato l'elemento predominante del comportamento americano, padrone del Vietnam, e dell'opinione pubblica mondiale che influenza gli americani. Niente di strano che gli americani anche adesso si servano di loro per imporre la propria linea.
I cattolici sembrano non avere una soluzione anche se sono l'unica forza capace di governare il paese e di resistere ai vietcong. I buddisti inseguono una soluzione ma forse utopismo, idealismo e forse malafede giocano su di loro. In più è piuttosto un gruppo di teste che sfrutta la religione per la politica: la loro posizione sarebbe giusta se avessero forza, se… i cattolici collaborassero con loro! Due cose impossibili.
Ad ogni modo si stanno mostrando coerenti lungo questi anni difficili. Hanno rischiato tutto per le loro idee: ad alcuni è arrivata la prigione, ad altri la libertà vigilata, ad altri ancora, forse per una posizione più moderata, un posto al governo. Ecco gli uomini principali del buddismo.
Truyén era il delfino degli Stati Uniti quando preparavano la caduta di Diém, antico capo gabinetto sotto Diém, adesso e ministro del governo di Huong. Non fa molto parlare di sé, capo dell'associazione laica sembra essere anticomunista, gli americani cercano di non lasciarlo cadere.
Suu, capo dello stato dopo Diém, presidente dell'assemblea costituzionale durante la dittatura di Thiéu ('65-'67), sconfitto onorabilmente alle elezioni presidenziali è un buddista, non una personalità del buddismo, un uomo onesto ma forse non molto forte per una nazione come il Vietnam.
Dzu, adesso che è finito in prigione per le dichiarazioni a favore del neutralismo e di un riconoscimento del Fronte, potrebbe in un futuro avere un rilancio quasi di martire: i comunisti stessi lo accetterebbero. Anche se collaborò con Diém, ha avuto relazioni di lavoro assai strette con il presidente dell'FLN, Tho.
Huong onesto, buon primo ministro in questi ultimi mesi difficili si vede troppo stanco e malato; è fuori quindi delle possibilità di essere l'uomo della soluzione buddista in Vietnam.
E' Thich Tri-Quang a imporre la strategia però per questi ed altri uomini. Lui vuole il Vietnam neutrale, messo fuori dalle alleanze militari e dai blocchi. Il Vietnam deve essere riportato ad una ispirazione nazionale e cioè buddista per far faccia assolutamente alle ideologie straniere (cattolicesimo e comunismo) che hanno diviso la nazione. Ma questo atteggiamento è nazionalismo o buddismo, o meglio ancora comunismo? Giocare alla pace in tempo di guerra è favorire l'avversario. Se l'avversario vince lo deve anche ai «pacifisti». Thich-Tri-Quang, ieri militante del Vietminh, anche a non considerare la carica del fratello al Nord, lascia molti dubbi sul suo vero atteggiamento. E' comunista Tri-Quang?
O è possibile veramente che il buddismo in Vietnam si possa porre come terza forza tra i blocchi americano e comunista da poter governare il Vietnam del Sud, tenerlo nella democrazia ed indipendente come ha mostrato ormai da lunghi anni di volere?
Il buddismo nonostante il numero degli aderenti non è una forza, non è nemmeno una fonte d'autorità: e forza ed autorità sono necessari per governare una nazione così sconvolta, divisa. Non lo è perché il buddismo in se stesso non ha attività: può illuminare ma non governare. In questo senso è una illuminazione senz'altro positiva la sua vocazione alla pace e al neutralismo.
Il buddismo del resto non è nemmeno «Vietnam» anche se adesso ha una sete ardente di potere.
Il buddismo conta cinque o sei milioni di aderenti, di questi due milioni praticano: voler fare del Vietnam una nazione buddista è contro la storia. Il Vietnam, il vietnamita prima di tutto (anche prima di essere cattolico) è confucianista.
Il buddismo è una religione importata nel Vietnam dai dominatori politici del momento: la Cina. Si era verso il 600 dopo Cristo. Entrò anche, soprattutto nel Sud, attraverso il regno Chàm e la Cambogia.
A Hué il buddismo ha incominciato ad essere forte verso il mille. Ma per farsi accettare dovette introdurre il culto degli antenati. Ogni volta che il Vietnam era indipendente i bonzi erano anche i capi dell'amministrazione dell'impero e della corte. Tuttavia mai il buddismo è stato religione ufficiale dell'Impero.
I cinesi combattevano il buddismo per portare il confucianismo. E fu così che il buddismo prese un aspetto politico e nazionale e in questo senso ha ragione Thich-Tri-Quang. Eccetto che ad un'osservazione attenta della storia e anche dei fatti recenti sembra che quando si parla di nazionalismo buddista si deve anche aggiungere una vocazione al potere, una esigenza a chiamarsi religione di stato un po' come in Birmania. Sono ancora dichiarazioni di Tri-Quang sia il 1963 alla caduta di Diém, sia il 1965 durante i moti di Hué.
Venuti i francesi ancora una volta il buddismo perse la sua forza di comando (parlo dei bonzi di Hué), i francesi si servivano abbondantemente della religione per comandare. Sembra anche che le persecuzioni dei cristiani poco prima dell'arrivo dei francesi siano state motivate da fini politici piuttosto che religiosi: le persecuzioni contro la chiesa erano soprattutto nella corte principale Annamita dove cioè il buddismo era forte piuttosto che nelle corti feudatarie. Ad Hanoi, a Saigon (Gia-Dinh), e nel profondo Sud, nel delta del Mékong la religione è una cosa e la politica un'altra.
I francesi non perseguitarono il buddismo ma nemmeno si servirono di esso.
Con l'indipendenza, coincisa con il periodo di risveglio del buddismo asiatico, i bonzi di Hué cercano di riacquistare il potere con la colorazione nazionalista che avevano prima, ma il gioco dei bonzi di Hué non riuscì sia perché Hué è ormai una città di provincia (per questo creeranno un altro quartiere generale anche a Saigon nella pagoda An-Quang), sia perché ormai capo del Vietnam è un cattolico ex mandarino di Hué che non si faceva affatto illusioni delle richieste dei buddisti, e che aveva un conto da regolare con loro già dal 1936.
Il potere di Diém ad un certo punto per influenze familiari soprattutto e di uomini servili, per influenza anche dei cattolici del Nord che nel Sud avevano trovato la loro terra promessa (potere e lentamente anche benessere), degenerò e i buddisti, esasperati e sapientemente guidati in una serie di coincidenze politiche, furono i principali fautori della sua caduta. Non interessa se così facendo affossarono l'unico uomo che dava veramente segno di nazionalismo e se fecero il gioco proprio di una potenza straniera imperialista: l'America.
I bonzi hanno avuto sempre l'appoggio americano sia quando servono per far dimostrazioni contro il governo nazionale in carica se qualche volta usa dire di no ai loro desideri. Ieri questo e oggi.
Dal 1966 (moti di Dà-Nang) non si parlava più di buddismo in Vietnam e nel mondo. Adesso se ne parla di nuovo, le relazioni tra America e Sud non sono più buone! Il buddismo con il suo programma di cessazione dei combattimenti, con il desiderio di neutralità, con il chiedere il riconoscimento dell'FLN coincide ancora con il programma americano e si trova contro il governo.
Nei mesi che seguiranno così la piazza potrà ancora molto sulle conversazioni di Parigi. Al governo è un cattolico, sarà ancora una volta una questione apparentemente religiosa ma la realtà è un'altra. Per questo il vicepresidente Ky partendo a Parigi chiedeva «unità» all'interno del paese.
Gli americani si serviranno ancora una volta dei buddisti per premere sul governo, per imporre, la loro volontà? Si sono lasciati certo la porta aperta per un dialogo con loro. Nella offensiva del Tét 1968 mentre nessuna opera cattolica, fosse scuola, chiesa o ospedale, è stata rispettata dai bombardamenti americani, si è notato che le uniche pagode che hanno avuto danno sono state quelle secondarie di Dalat. A Hué nella pagoda di Tù-Dàm, a Saigon nella pagoda di An-Quang c'era il quartiere generale vietcong: le pagode non sono state toccate. A Nha-Trang i vietcong avevano messo i loro tiratori dietro la pagoda principale, dentro il grande Budda avevano nascosto le armi: la pagoda non è stata toccata.
C'era una cura particolare per risparmiarle: basta vedere come le case di fianco alle pagode sono state distrutte. Per le chiese e gli ospedali cattolici non fu la stessa cosa.
Ci si prepara insomma a una posizione netta dei buddisti per le conversazioni, per la pace, per il governo con il Fronte di Liberazione Nazionale.
Thich-Tri-Quang è sotto sorveglianza, il governo sembra avere in mano la situazione. L'aver resistito all'attacco dei Tét gli ha dato forza interna. Ma il ritorno di Minh è un'incognita.
Le masse dei giovani buddisti di Saigon sono per la neutralità. I buddisti hanno la capacità di mobilizzare folle enormi di buddisti o no a Saigon, hanno la capacità di convincere molta stampa estera anche se in questo punto hanno perso alcuni vantaggi con la dimostrazione di novembre.
Il buddismo pur nel suo slancio pacifista così rischia di fare il gioco dei comunisti. Non ha la forza in un governo di coalizione di restare autonomo, di resistere come forza indipendente. Mobilizzare una folla è facile; difficile è avere capi per sfruttare la forza della folla.
Thich-Tri-Quang fa dubitare del suo nazionalismo e del suo neutralismo; forse è già comunista. E questo aspetto cambia di molto ogni giudizio di previsione.
Se i numeri hanno un valore ed aiutano a capire una realtà, la chiesa del Vietnam del Sud la si potrebbe riassumere con questo piccolo grafico:
Diocesi n. 14
Sacerdoti diocesani n. 1.600
Sacerdoti religiosi n. 290
Membri ordini relig. Maschili n. 1.063
Membri ordini relig. femmin. n. 4.068
Seminaristi maggiori n. 640
Seminaristi minori n. 2.428
Università cattoliche n. 1 con 2.600 alunni
Scuole cattoliche n. 1.037 con 264.801 alunni
Ospedali n. 46 con 6.567 letti
Lebbrosari n. 8
Dispensari n. 286
Orfanotrofi n. 50
Asili n. 17
Cattolici n. 2.000.000
Emigrati dal Nord e loro figli n. 2.000.000 circa
Anni di evangelizz. n. 459
Si aggiunga poi che il capo dello stato è cattolico, 27 senatori su 60 sono cattolici, 37 deputati su 137 sono cattolici e così anche parecchi generali, colonnelli, ufficiali, buona parte dei capi provincia.
Questo primo colpo d'occhio sulla chiesa vietnamita ci aiuta a capire il suo ruolo in questi ultimi anni nella vita della nazione e soprattutto a capire la sua posizione in questo momento decisivo in cui si discutono veramente le sorti della nazione e di essa libertà o persecuzione, pace o ancora lutti e sofferenza.
Il primo vero periodo di pace la chiesa vietnamita lo ebbe solo con l'arrivo dei francesi in Vietnam, meglio con la loro presa di potere. Gli anni della conquista francese furono pagati anche con 45 mila teste di cristiani.
Ma ecco che con il 1945 i quattro vescovi vietnamiti che contava tutto il Vietnam firmano una lettera pastorale a favore dell'indipendenza. La chiesa del luogo fa la sua scelta. Nel movimento di liberazione ci sono non pochi cattolici, preti e laici, si collabora con Hò-Chi-Minh. Ancora non c'era la psicosi comunista, il pericolo giallo non si era ancora delineato e rivelato. Il mondo occidentale aveva paura soprattutto della Russia e la Russia era lontana dal Vietnam: è nel 1945 che gli americani forniscono le armi per i 35 mila soldati di Giap, il capo militare del movimento di Hò-Chi-Minh.
Ed ecco che i francesi pensano di riconquistare l'Indocina: è una vera guerra contro il nazionalismo. Il nazionalismo sempre ha trovato appoggio nei comunisti: anche qui fu così. La guerra allora per trovare una giustificazione più valida diventò una guerra contro i comunisti. Si costrinsero così i nazionalisti non solo a chiedere l'aiuto comunista ma a diventare comunisti.
Gli americani all'inizio non volevano aiutare i francesi nella guerra d'Indocina, si decideranno troppo tardi, quando la guerra sarà già persa e non sarà più una guerra contro i nazionalisti ma contro i comunisti diventati ormai veramente padroni di tutta la lotta d'indipendenza. I cattolici abbandonarono il movimento d'indipendenza presi anche loro dalla psicosi comunista. Il piccolo esercito della diocesi di Phat-Diém scese nel Sud, si condannarono quei pochi preti che erano ingaggiati nel movimento d'indipendenza (alcuni furono uccisi dai rossi), la scelta dei cattolici era fatta: contro il comunismo. Hò-Chi-Minh vistosi un po' più libero liquidò altre resistenze interne, diventò veramente l'unico a combattere contro i francesi. E il suo movimento di indipendenza diventò completamente comunista.
Nel 1954 dinanzi ai francesi c'erano solo i comunisti. Solo i comunisti si fecero sentire a Ginevra. Il Nord Vietnam fu bollato di comunista, separato dal Centro e dal Sud.
A Ginevra seguì l'esodo volontario di 900 mila persone: 600 mila cattolici, gli altri buddisti e altre religioni. L'esodo fu volontario, ma allo stesso tempo fu anche condizionato dalla propaganda francese e della chiesa. L'anticomunismo della chiesa universale del periodo della guerra fredda e la paura propria di persecuzione della chiesa vietnamita giocarono come fattori principali in questo atteggiamento che la psicologia delle folle chiamerebbe «un mito». Non dico che il pericolo comunista non fosse reale anche se dubito che Hò-Chi-Minh all'inizio pensasse ad un comunismo rigido. Ma 900 mila persone in meno tra i contrari fecero il suo gioco, gli diedero più sicurezza. Al Nord dell'oltre un milione di cattolici restavano meno della metà. (Oggi sono di nuovo quasi un milione: in 14 anni di comunismo sono aumentati del 100% mentre al Sud i cattolici in 14 anni sono aumentati solo del 50%. Al Nord ci sono dieci diocesi, i vescovi hanno i movimenti limitati, non ci sono missionari esteri, non ci sono missionari ma i cattolici aumentano).
Nel Sud i cattolici rifugiati trovarono un cattolico al potere, la sicurezza della non persecuzione e ancora qualcosa di più: era come se fossero loro al potere.
Presto questi rifugiati riuscirono a condizionare la politica, tutta la politica del Sud: diventarono capi dell'esercito, delle amministrazioni, riuscirono a imporsi nel commercio.
Il Centro e il Sud dinanzi ai rifugiati passarono secondari: l'esodo diventò quasi una conquista. La confusione tra chiesa e politica, amministrazione, famiglia regnava e non certo per volontà di Diém. Presto i cattolici lo condizionarono, questi cattolici che chiedevano la rivincita, il ritorno vittorioso a casa. E se nel villaggio di rifugiati comandava il prete rifugiato con i parrocchiani più che un funzionario statale, non è detto che non si fece altrettanto a livello di ministri, di banche, di aiuti internazionali e di capo dello stato.
Il 1956 passò senza che le elezioni chieste da Ginevra si svolgessero, ma al Sud nessuno se ne accorse anche perché l'economia progrediva, i capitali francesi ritornavano in Vietnam, l'aiuto americano cominciava a farsi sensibile, la simpatia di alcune nazioni occidentali si faceva sempre più presente. Soprattutto Diém stava riuscendo ad ottenere un certo concetto di nazione: le sette armate, caodaisti, Hòa-Hao e gli aderenti alla setta brigantesca di Binh Xuyén, furono costrette a cedere le armi o furono distrutte. Corruzione, dittatura ma lo stato pian piano si affermava, riusciva a vivere, anche a progredire.
Il Nord non poteva stare a guardare, lui il vincitore di Ginevra si trovava in una situazione economica disastrosa, aveva assolutamente bisogno delle ricche risaie del Sud per equilibrare la sua economia industriale e il tasso di natalità aveva bisogno di far dimenticare il paragone tra i due Vietnam. Il mito dell'unità del Vietnam e della lotta alla dittatura di Diém, alla corruzione del Sud fu un buon pretesto per la creazione del Fronte di Liberazione Nazionale: siano al 20 dicembre 1960. Subito al Fronte di Liberazione Nazionale si unirono molti gruppi antidiemisti che con il comunismo non avevano niente da vedere.
Ogni reazione a Diém fu bollata ancora una volta come comunista e i cattolici si gettarono nella «guerra santa». Fu lo sbaglio iniziale anche se diversamente non si poteva fare: la collusione tra potere, politica e religione stava diventando totale.
Il Vietnam non è stato mai una nazione unita. La divisione tra Tonchino, Annam, Conchicina e Altipiani non era solo nell'amministrazione francese ma una realtà storica. Il Vietnam completamente unito lo fu solo per una decina d'anni poco prima della conquista dei francesi. I vietnamiti del Nord però hanno avuto una spinta millenaria per riversarsi verso il Sud: prima erano all'estremo della Cina, poi nel Tonchino, poi il Centro, poi i Cham, poi una parte dell'impero della Cambogia.
L'unificazione del Vietnam è un concetto occidentale come occidentale è il concetto di nazione. Ginevra divise e si urlò allo scandalo ma era giusto dividere perché larghi strati di popolazione non volevano essere con il Nord anche se non fosse stato comunista. Eccetto che doveva dividere meglio. Per esempio era necessario anche uno stato magari sotto l'egida dell'ONU per i montagnardi che adesso sono diventati i paria dei vietnamiti: sfruttati vanno perdendo le loro terre. E' vero che la storia e il realismo politico non è adesso per i piccoli stati, oggi che si impone una riunificazione a base continentale per salvare la libertà. Ma qui siamo in Asia dove il concetto di patria è ancora debole.
Mancò questo realismo politico nel Sud, e fu presente la malafede netta nel Nord. La guerra iniziò, prima debole poi sempre più forte. Con la guerra la paura del governo aumentò gli sbagli, la dittatura diventò crudele, altri gruppi non comunisti protestarono (i buddisti). Gli americani capirono veramente che l'attacco del Nord era un attacco comunista (soprattutto con la loro presenza lo fecero diventare comunista), ci si impegnarono sino al collo. Solo che per avere le mani libere, forse anche per il calcolo di attirarsi l'amicizia dei buddisti, per allontanare la dittatura è placare l'opinione «democratica» occidentale eliminarono Diém e fu il loro più grande errore dopo Diém il caos.
La generalizzazione della guerra, i ridicoli generali, la scalata americana al Sud come al Nord, l'occupazione quasi con il corpo di spedizione più grande che la storia abbia mai visto trasportare da un continente all'altro. Con la scalata i bombardamenti, il napalm, le bombe chimiche, i campi di concentramento, la distruzione dei villaggi, dell'economia del Sud Vietnam, la distruzione di tutto ciò che Diém e i francesi negli ultimi anni avevano cercato di fare, la libertà ancora più limitata che sotto Diém, le prigioni, la tortura e le esecuzioni dei comunisti e su tutto questo anche i crimini dell'FLN, nei villaggi e nella campagna, l'insicurezza dei viaggi, ogni relazione tagliata, il terrorismo. Solo nel 1967 ci fu una schiarita con le elezioni di settembre, con un tornare in certo qual modo alla democrazia.
Oggi il Vietnam del Sud combatte per la sua indipendenza, ha combattuto sempre per l'indipendenza ma gli sbagli e le colpe sono pesanti. Il giusto motivo si è offuscato almeno agli sguardi degli osservatori mentre i veri motivi della guerra del Nord si nascondono sotto motivi falsi ma che ormai sono quasi veri: di liberazione dagli americani, di unità del Vietnam, di liberazione dalla corruzione di Saigon.
Il mondo si è mosso per questa guerra, vaste correnti di opinione pubblica si chiedono quali sono le posizioni, quali le responsabilità. Soprattutto si chiedono in un mondo che aspira alla pace quale posizione hanno preso i cattolici del Sud.
I cattolici sono legati a tutto il presente e a tutto il passato: anche agli sbagli, alla corruzione, al favoritismo, al non impegno nazionale: alla dittatura di Diém e al carro americano. Legati a tal punto con il passato e con il presente che non hanno un futuro. Hanno scelto un po' da manichei una volta la parte buona. Il loro è stato poi un atteggiamento ancora manicheo; hanno diviso il mondo in due parti: comunisti (quelli che non sono con loro) e anticomunisti (i loro amici), i comunisti sono i cattivi, gli anticomunisti sono i buoni. Ormai sono quasi impossibilitati a uscire da questa divisione. Quanto sia falsa sappiamo.
Oggi siamo dinanzi a conversazioni per la pace. Sono terrorizzati di ogni soluzione. Gli americani non abbandoneranno il Vietnam del Sud al Nord o ai vietcong? Forse il Sud sarà obbligato ad accettare un governo neutro, o di coalizione. Tutto questo è fuori dei calcoli dei cattolici sud vietnamiti: coalizione, neutralità è perdere, è cedere ai comunisti, già trattare è perdere. Come si può trattare con ciò che è cattivo, con i cattivi?
Un vescovo mi diceva: «Tutto è nel vago, noi stessi non ci comprendiamo niente. Quando abbiamo scritto la lettera sulla pace all'inizio dell'anno l'abbiamo fatto per un certo disagio che sentiamo ma non per dare una soluzione: sappiamo che essa ci sfugge. Forse l'abbiamo fatto soprattutto per ripetere le parole del papa». Anche lui respinge la soluzione della neutralità.
Anche adesso i cattolici non vogliono sedere al tavolo dei negoziati, far sentire la loro voce, che poi è la voce della grande maggioranza dei sudvietnamiti. Del resto anche se il Sud siede tavolo della pace i suoi pareri a Parigi pesano poco.
I vescovi consultati dagli americani attraverso visite non ufficiali di segretari d'ambasciata si sono pronunziati contro la neutralità e il governo di coalizione. Esiste è vero un piccolo sparuto gruppo di cattolici fatto soprattutto di giovani che pensa a tenersi disponibile per una soluzione di coalizione e di neutralità. Ma non si mostra e non è seguito dalla massa. Più successo potrebbe avere il partito di una nuova costituzione Nhon Xa soprattutto se otterrà l'appoggio degli ex diemisti, cosa molto probabile. Ma il partito avrà tale realismo da superare le posizioni cattoliche che sinora sono state statiche, senza soluzioni? In alcuni dirigenti è già entrata l’idea delle elezioni e della loro indispensabilità: questo sarebbe un punto da cedere al Fronte. Ma le elezioni dovrebbero essere preparate già da adesso per impedire che i vietcong condizionino, come hanno già incominciato a fare, la popolazione.
I cattolici hanno ragione a dire che se ci sarà un governo di coalizione e una neutralità, i comunisti che parteciperanno al governo subito, otterranno subito tutto il potere. Hanoi poi non rispetterà la neutralità e farà come il Laos. Ma questo si potrebbe impedire se potenze internazionali garantissero veramente la neutralità del Sud, se ci saranno relazioni culturali ed economiche con il Nord, relazioni quasi di fratellanza. Si potrà impedire soprattutto se il governo che seguirà non cederà ai comunisti, non farà volta faccia, se non si lascerà ai comunisti tutto il campo libero per dimostrare che solo loro lavorano per il bene del popolo, degli operai, dei contadini.
La guerra non ha dato vincitori, la pace darà vincitori: saranno quelli che si sapranno conquistare il popolo .
L'onestà, la riforma sociale e terriera, la libertà dei sindacati, paghe giuste, una vita di austerità, una lotta totale alla corruzione, al peculato pubblico, agli interessi privati di parte o di famiglia, una coscienza sociale per le responsabilità verso lo stato permetteranno di salvare il Vietnam che uscirà dal tavolo delle conversazioni di Parigi.
In tutto questo il ruolo dei cattolici potrebbe essere determinante anche se sono abituati a considerate lo stato come «parte loro», ad ottenere privilegi, fondi speciali, esenzioni, anche se sono indeboliti moralmente dal dollaro americano, dal lusso, dalla facilità di guadagno.
La guerra non si può continuare: le conversazioni non faranno rientrare tutti i comunisti al Nord, qualcosa si deve cedere.
La salvezza è nell'onestà e nella coscienza nazionale, in un governo voluto per il bene comune e non per la propria salvezza. Se i cattolici sapranno agire saranno lavati dalle colpe vere o false che a loro si sono attribuite in questi anni.
Cedano i privilegi che hanno, l'aria di trionfalismo, il considerarsi i primi, i più ricchi e i meglio organizzati, perdano l'aria di superiorità, si sentano vietnamiti come gli altri non uno stato nello stato. Non gridino alla persecuzione se devono cedere privilegi, se forse subiranno anche ingiustizie. Ma nell'unità trovino una linea comune con altre forze valide anticomuniste e soprattutto di democrazia e di giustizia, e lavorino per liberare il Vietnam dalla guerra e dalle conseguenze della guerra.
Non l'hanno mai fatto. Che incomincino una buona volta.
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