Cento anni fa nasceva Vittorino Fiori, professore di bella scrittura all’Unione. Quell’intervista alla Merlin
di Gianfranco Murtas
Poco più d’un anno fa, ad iniziativa della benemerita associazione Raichinas e Chimas si tenne a Dorgali (Cala Gonone) un importante convegno sulla figura di Lina Merlin che nei primi anni della dittatura fascista fu inviata, dal suo Veneto, al confino in Sardegna: e per quattro anni fu da noi a Dorgali appunto, Nuoro ed Orune.
Gran parte delle relazioni e comunicazioni e anche del dibattito – e tutto fu contenuto nella santa data del 2 giugno festa della Repubblica (e anche anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi a Caprera) – riguardò naturalmente il profilo di democratica della senatrice socialista, che quando venne in Sardegna costrettavi quella prima volta era una giovane insegnante rifiutatasi di giurare fedeltà al regime. Con i sardi ebbe buoni rapporti anche negli anni del ritorno in continente e, dopo il 1946, nel corso del suo mandato politico e parlamentare svoltosi per più d’un decennio, dapprima alla Assemblea costituente, quindi per due legislature a Palazzo Madama.
Assai marginalmente s’affacciò, al convegno, la materia per la quale maggiormente era (ed è) conosciuto il nome della Merlin – invero promotrice di molte e molte benemerite iniziative di alta civiltà –, vale a dire la legge del 1958 che stabilì la chiusura delle case di tolleranza. A questo obiettivo – inteso come risanatore di una piaga sociale quale era ritenuta la prostituzione a benestare statale – si giunse dopo una battaglia decennale della parlamentare che un primo progetto di legge aveva presentato al Senato della Repubblica già nell’agosto 1948.
Capitò poi che negli ultimi mesi del 1949 l’articolato entrasse finalmente (ma infelicemente) nella discussione finale dell’aula e la cosa, temporalmente, coincise con un altro evento di natura evidentemente assai diversa e risonanza soltanto isolana: la confluenza del Partito Sardo d’Azione socialista, a guida di Emilio Lussu (che l’aveva promosso un anno e mezzo prima), nel Partito Socialista Italiano. Venne dunque a Cagliari, a celebrare il congresso appunto di confluenza, con Pietro Nenni anche Lina Merlin.
Fu purtroppo una “toccata e fuga”, dato lo stringente calendario parlamentare, ma l’occasione fu colta allora dal giovane cronista de L’Unione Sarda Vittorino Fiori che ebbe modo di avvicinare e brevemente intervistare la Merlin, dandone conto in un bell’articolo uscito sul quotidiano di Cagliari il 24 novembre 1949.
Lo dico subito: Fiori – allora 25enne già apprezzato redattore capace di una scrittura chiarissima e sempre elegante – era piuttosto perplesso circa la causa sostenuta dalla senatrice socialista, e anzi direi ostile ad essa, ma correttamente non mancò nel suo articolo (“Non prevarrà col voto segreto ma chiederà un pronunciamento aperto” e occhiello “A colloquio con la senatrice Merlin, nemica delle case chiuse”) di riportare le buone ragioni di chi, implicitamente, prospettava altra qualità nella vita civile dell’Italia allora da poco uscita dalle rovine della guerra.
La prostituzione ha offerto soggetti a infinite pagine di letteratura e pubblicistica, anche in Sardegna ed ancora – sul piano dello studio – in tempi recenti. Si tratta di una materia complessa e bisognosa sempre di una disamina discreta ed attenta alle mille sue sfaccettature, e qui comunque non mi sono dato la missione di occuparmene specificamente.
Tutto invece ho creduto di richiamare in questo breve scritto per dare onore certamente alla celebrata Lina Merlin ed alla sua santa battaglia (nella quale mi riconosco), ma con lei a quel giornalista critico che l’avvicinò in quel certo giorno di novembre del 1949: Vittorino Fiori del quale, giusto qualche settimana, fa ho ricordato agli amici, con i quali periodicamente mi incontro per raccontare… a puntate la storia molto più che centenaria de L’Unione Sarda, il centenario giusto della nascita (23 giugno 1924 – 14 luglio 2009): la nascita di un grande giornalista. Che fu a lungo capocronista nella redazione di Terrapieno, responsabile della pagina culturale, vice direttore e anche direttore responsabile per molti anni de L’Informatore del lunedì. (Curiosamente egli ebbe – in vigenza di servizio al quotidiano di Cagliari – una breve collaborazione anche con la testata giornalistica concorrente, intendo La Nuova Sardegna di Sassari: una parentesi di vita professionale che, per galantomismo dei Sorcinelli così come di Arnaldo Satta Branca, meriterà riprendere e approfondire).
Contestando la senatrice, apprezzandone però le intenzioni
Una trentina di donne recluse in neanche dieci case dalle persiane sbarrate non possono porre in Sardegna le premesse per una discussione che vada più in là delle formulazioni di principio. In altro senso all’infuori di questo, il problema, almeno da noi, non esiste. Ma forse, per quanto lo si vada agitando con un certo clamore, non esiste nemmeno altrove (altrimenti che sotto un profilo di dignità umana di fronte al quale il numero non conta) se è vero che in tutta Italia tremila appena sono le recluse volontarie – o ritenute tali – del cui destino si va occupando attivamente la senatrice Angelina Merlin.
Merlin chi è costei? Non se lo chiede più nessuno dacché la sua proposta di legge per la chiusura delle case equivoche l’ha fatta diventare una delle figure più popolari di Palazzo Madama.
La signora Merlin è una simpatica anziana signora di taglia robusta e non del tutto grigia di capelli che cita magari Marx a sostegno delle sue convinzioni politiche ma non trascura per questo Dior, che anzi disapprova l’ostentata mise proletaria di qualche esponente del suo partito che ama affidare alla barba incolta ed al colletto slacciato la sua sigla ideologica. Viene da una solida famiglia di industriali e per quanto abbia dimostrato coi fatti che la sua adesione alle teorie socialiste non si è mai ispirata a quella posa letteraria che porta spesso gli intellettuali a militare nei partiti di sinistra, conserva tuttavia tutte le caratteristiche di una brava signora borghese pronta a occuparsi di beneficenza o di cucina così come di letteratura e di musica. Un solido buon senso regola le sue convinzioni.
Storiella istruttiva
Ora di questo molto si discute, da quando ha chiarito il suo punto di vista su un problema che in definitiva tocca gli uomini assai più che non le donne.
Non è certo il caso di scomodare S. Agostino o altre firme illustri per dar conto del “male necessario” sulla cui necessità insistono a spada tratta gli oppositori in Parlamento. Ma Marino Moretti sì, lo si può scomodare, per un suo garbato elzeviro che la signora Melin definisce, piccata, « assai poco intelligente, assai di cattivo gusto » . Marino Moretti s’occupò trasparentemente della questione delle case chiuse in un apologo (“La senatrice”) la cui protagonista, una volitiva signora dedita alla assistenza sociale, si dà molto da fare per una disinfestazione totale della città dai pidocchi. La lotta è dura ma vittoriosa. Nessun bambino porta più pidocchi in testa. La signora è soddisfatta. Ma… C’è un “ma” paradossale: la signora si ammala di una strana malattia che i medici non riescono a diagnosticare. Medicinali a vuoto, pozioni inutili. La signora dimagrisce, se ne va giorno per giorno. E interviene la vecchia cameriera: « Ho una formula infallibile, ma non saprei se consigliarla » . « Parla, dunque! » . « Ecco: basterebbe ingoiare un bicchiere d’acqua con dentro cinque o sei pidocchi! » .
La signora inorridisce, si sente venire il voltastomaco. Ma intuisce che già la morte bussa alla sua porta. « Sei sicura che guarirò con la tua formula? » , chiede. E già è decisa a farne uso. Una parola! Dove trovare i pidocchi nella città disinfestata? Si fanno ricerche, si battono casa per casa tutti i quartieri, nulla. Poi si apprende che al ghetto i pidocchi ci sono ancora. Ci sono ma non è possibile averli.
Il prezzo dei pidocchi
Gli abitanti del ghetto nicchiano, fanno i difficili. « Sa, obiettano: non è che i pidocchi si possono più trovare per la strada… » . La signora “sa”. Chiede il prezzo. Venticinquemila lire cinque pidocchi, venticinquemila!
Così Marino Moretti commentò a modo suo la situazione. La senatrice Merlin lesse a Parigi l’elzeviro e tornando dai suoi seppe che questi volevano rispondere, querelare, far qualcosa. Ci mise invece una pietra sopra ma in cuor suo non perdonò. Non foss’altro perché la “senatrice” di Marino Moretti è una donna molto superficiale ed incolta mentre lei è un’insegnante di solida preparazione.
Ma del resto, a volersela proprio prendere, non è che manchi la letteratura d’opposizione: una letteratura che sconfina spesso nel libello e che turbina in un vortice di boutades fra i giornali umoristici ed i fogli di seria informazione.
La senatrice Merlin è la bibliotecaria di tutta questa letteratura giornalistica: cita articoli e firme, precisa atteggiamenti e indirizzi, chiarisce in ampie visuali con netti profili gli inquadramenti di tutta la stampa nazionale e non soltanto nazionale.
« Ha letto quei giornali francesi che parlano di un progetto di legge per la riapertura (se è possibile dirlo) delle maisons closes in Francia? » le chiediamo. « Si li ho letti!, risponde. Li ho letti e riletti e sono convinta che siano ispirati da quel trust internazionale di trafficanti e tenutari di case equivoche i quali hanno sentito un duro colpo con la chiusura delle case che li ha votati alla clandestinità ed ha tolto loro il controllo diretto di molte disgraziate vittime » .
La tratta delle bianche
Qui il romanzaccio si fa strada. C’è di mezzo la tratta delle bianche. La senatrice Merlin non la tace. Anzi fa una “rivelazione” che ci passa come inedita. « È vera anche la storia delle donne che partivano imprigionate in gabbie per l’America » , ci dice, e la conferma anche se Pieraccini ha ritenuto di tagliar la testa al toro chiedendo a Boggiano Pico di documentare il fatto in Senato. Ma – e qui è l’inedito – debbo dire che più che infinite sono le vie per la tratta delle bianche, infinite e sorrette da mille accorgimenti. Ricordo che, a pranzo dal ministro Berio a Berna appresi dall’addetto militare come alla frontiera svizzera le lavoratrici emiliane ingaggiate per lavori stagionali venissero denunciate con il pretesto di una visita medica e, così vagliate, circuite poi con mille allettamenti. Ne parlai con un deputato socialista svizzero e questi mi confermò la cosa per quel che riguardava la frontiera sulla Germania, e mi promise di promuovere una attenta sorveglianza sulla frontiera italiana così come l’aveva attivata sulla frontiera tedesca. Ad una mia denuncia del fatto, mai ebbi una smentita».
Non si può dire che l’argomentazione porti acqua al mulino della Merlin, per quella che è la sua campagna contro [recte: per] la chiusura delle case equivoche. Si può anzi rilevare che se Svizzera e America (forse la Svizzera come ponte verso l’America) sono campo d’azione dei promotori della “tratta delle bianche”, il fatto stesso che quelle nazioni non lamentano le deprecatissime “case” conferma le teorie degli oppositori i quali sono lontani dal ritenere che la chiusura di queste risolva anche minimamente il problema e avanzano, per contro, argomenti non sottovalutabili circa i riflessi igienici di una cessazione del controllo medico oggi in atto nelle “case”.
Controllo impossibile
« Controllo? » obietta la senatrice Merlin. « Quale controllo se i contatti sono tanti in una sola giornata da rendere inefficace non dico la visita medica bisettimanale ma anche una eventuale visita giornaliera? » .
La Merlin si è documentata. Ha visitato “case” d’ogni categoria qua e là per l’Italia, ha visitato cliniche dermoceltiche, ha tenuto corrispondenza attiva con tante vittime della prostituzione. Si dovrebbe insomma esser convinta dell’impossibilità di arginare questa dilagante turpitudine regolata oggi con l’intervento diretto dello Stato. Al contrario, invece, si è convinta di una sola cosa: che occorre spezzare la “legalità” sulla cui base, protetti dalle stesse leggi dello stato, i tenutari di “case” tessono la loro azione di adescamento delle « povere donne vinte più spesso dalla prospettiva di guadagni assai al di sopra di ogni loro possibilità che non da una congenita minorazione psichica » .
La senatrice Merlin sa bene che l’80 per cento delle tremila “prigioniere di Priapo” provengono da una condizione di umili domestiche. Sa che, di fronte al loro tribolatissimo tran tran di donne oneste, le prospettive di un facile guadagno creano quasi la convinzione di una elevazione più che di un abbrutimento. Ma vede più lontano e chiede cosa faranno queste povere donne quando lo sfacelo fisico le avrà buttate sulla strada a trenta, trentacinque anni, reiette in un mondo che le disprezza.
Una suora che da anni si è dedicata ad una nobile opera di risanamento morale delle donne perdute le ha detto chiaro e tondo di temere assai l’improvvisa e indiscriminata liberazione di donne ormai incancrenite nel vizio. « Spargeranno il cattivo seme, daranno esempio di scandalo » , ha rilevato. « E forse – ha risposto la Merlin – non dovranno uscire un giorno dalla loro reclusione? Forse non escono oggi, quando scese giù sino alle case d’infimo ordine, nessuno più le vuole ed esse debbono reinserirsi nel mondo, senza danaro poiché sono prodighe per natura, corrotte sino al midollo, spesso schiave di stupefacenti? » .
Che vespaio! Nella casistica degli episodi minuti si perde la documentazione. E per grandi rami vegetano sulla pianta del “male necessario” i luoghi comuni, le opinioni inveterate, le idee cristallizzate in irremovibili posizioni mentali. La Merlin è convinta che sulla base di tremila donne non si può costruire nulla di conclusivo in materia di lotta contro la prostituzione. Ma prospetta intanto una questione di dignità umana che nessuno francamente può superare se non documentando i mali che deriverebbero alla collettività della chiusura delle “case”.
Gallia docet
Abbiamo in materia un esempio illustre. Gallia docet. Ma che insegna in definitiva questa benedetta Francia? « Il prof. Cavaillon, capo dell’Ufficio statistiche al Ministero della Sanità, mi conferma con i dati che le malattie innominabili sono in continua diminuzione » , sostiene la senatrice. La chiusura delle “case” non avrebbe dunque dato luogo agli effetti deleteri che si temono per l’Italia? Questo non sono in molti a crederlo, nonostante il parere del prof. Cavaillon. E i primi a non crederlo sono gli stessi giornali francesi Ma già: « è stampa pagata » insinua la Merlin.
Il danaro circolerebbe per larghi rivoli nelle vene di tutte le elaborate documentazioni che combattono la tesi della senatrice. Oh, mondo corrotto! Persino i medici sarebbero interessati a tenere in piedi l’istituzione delle case chiuse, dice la Merlin nipote vedova e sorella di medico. Ma non disarma. È come fanatizzata dalle sue convinzioni delle quali risponde alla Alleanza Femminile Internazionale da cui ebbe il mandato di combattere la “case chiuse” e che sulle mosse oggi di scrivere un fiero telegramma di protesta contro il discorso del medico senatore Gaetano Pieraccini, noto come autore di numerose monografie in tema di medicina interna e sociale, il quale parlando a Palazzo Madama contro il progetto Merlin ha usato nei giorni scorsi « un linguaggio non scientifico (parere della Merlin), trattando di cose volgarissime e riferendo episodi osceni » .
Ma in sostanza come potranno andare le cose? La senatrice fa i conti con la matita e dice: « tanti voti dai compagni e dagli alleati di partito, tanti dai democristiani e, tirate le somme, il progetto al Senato passa. Poi la Camera non potrà pronunciarsi diversamente » .
Ritorna in Sardegna
Questo in fondo è un parere come un altro. C’è chi pensa in modo diverso e dice: a scrutinio segreto chi lo controlla il pensiero genuino dei signori cui si affida il vaglio della opportunità dell’abolizione delle “case”? La Merlin obietta: « È necessario che si voti a viso aperto. Al Senato debbono essere in venti almeno a chiedere il voto segreto. Se una tale richiesta sarà fatta sapranno almeno (e di essi si potrà dire che avranno votato a viso aperto contro il mio progetto) chi avrà voluto lo scrutino segreto » .
Ora la cosa è in discussione a Palazzo Madama. Discorsi su discorsi. Argomentazioni su argomentazioni. Orecchianti e medici, filosofi e letterati, cinici e ingenui, vissuti e no, tessono a parole il romanzone d’appendice che nelle “case” seguono di pari passo con i romanzi a fumetti che sono il pane letterario delle recluse.
La Merlin ha fatto un salto in Sardegna per il congresso di unificazione socialista ed è subito rientrata a Roma per condurre la sua battaglia. È venuta così alla svelta, tutta presa dai suoi impegni, che non ha potuto neanche andare a Dorgali, a Nuoro e a Orune dove era stata per lunghi anni, tra il ’26 e il ’30 come confinata politica. Qui a Cagliari ha trovato però una famiglia amica che l’ospitò a Dorgali, ed ha avuto così modo di rivangare i suoi ricordi di Sardegna.
« Lei conosceva dunque la Sardegna, senatrice, le abbiamo chiesto?: ha avuto presente anche la situazione locale, nel documentare la sua tesi? » No. La senatrice non ci aveva pensato. Peccato: avrebbe potuto ben dire che a Nuoro ed anche in altri grossi centri, per esempio, non esistono “case” autorizzate e che ci si adatta, né più né meno che come in Francia, alla situazione; avrebbe potuto riferire di certi fenomeni da trattato di medicina legale o da letteratura esistenzialista che si verificano talvolta tra la gente spersa nei piccoli centri o per i monti, avrebbe potuto… Forse avrebbe potuto ripensarci.
Ma per ora ha una gran daffare la senatrice. C’è Germi, quello de “In nome delle legge” che vuol girare un film sulle recluse e che ha chiesto la consulenza della signora Merlin. Essa ha accettato. Documenterà sulla celluloide la sua tesi. E se il Parlamento boccerà la sua proposta, manderà egualmente avanti la battaglia. Ma per ora è convinta che il Parlamento le darà ragione.
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