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Gianfranco Murtas

Cinquanta i sindaci massoni in Sardegna, dall’unità d’Italia ad oggi. Un altro libro li racconta

di Gianfranco Murtas

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E’ ancora fresco di stampa il terzo volume di Maestri per la città, la raccolta di schede biografiche che si presenta come una panoramica (larga, larghissima ma forse neppure completa) sui 326 sindaci che hanno guidato le più varie amministrazioni comunali nella penisola e nelle isole, dall’unità nazionale ad oggi, e tutti caratterizzati dalla appartenenza massonica, attuale o trascorsa: così dopo il primo volume riferito all’Ottocento e il secondo al Novecento – in copertina rispettivamente i volti di Andrea Costa (sindaco socialista di Imola) ed Ernesto Nathan (sindaco radical-repubblicano di Roma) – ecco il nuovo tomo che, proposto con l’immagine di Arturo Labriola (prosindaco socialista di Napoli all’indomani della grande guerra e dagli accidentati successivi percorsi politici), presenta nuove figure che al primo censimento non erano emerse ed ora rintracciate in un percorso all’indietro – risalendo cioè al periodo ante-risorgimentale e addirittura al 1771, il che significa anche ante-rivoluzione! – e ancora avanti, fino ad arrivare al 2019. 

Il curatore della monumentale trilogia – millecinquecento pagine in tutto –, il professor Giovanni Greco (già ordinario di storia all’università di Bologna) aveva mobilitato oltre una settantina di autori per la stesura delle brevi (e meno brevi) biografie, ed ha ora concluso la sua fatica di ricognitore paziente ed attento lumeggiando, in una nitidissima introduzione, ad un tempo eterogeneità e fil rouge fra quei primi cittadini che, con maggiore o minore coerenza con gli ideali professati, hanno servito le proprie comunità in epoche diverse, diversissime anzi. 

Gratificato dalla fiducia amica di Giovanni Greco ho partecipato anch’io al recupero, dalle pieghe della storia politico-amministrativa della Sardegna, dei nominativi d’interesse, non escludendo alcuni assurti allo scranno sindacale che, in verità, il nuovo tempo aveva intanto tradotto in… scranno podestarile. Infima minoranza questi ultimi, ma di cui dar conto comunque e che, a mio parere, potrebbero/dovrebbero suggerire ai competenti un filone di ricerca nuovo nel campo della storiografia massonica: sui comportamenti privati e pubblici dei Fratelli negli anni del regime totalitario che sequestrò le libere istituzioni, soppresse tutte le libertà civili, riempì le prigioni di oppositori (non soltanto comunisti bolscevichi, ma anche social-riformisti e democratici liberali e mazziniani, giellisti e repubblicani), fino a portare alle guerre imperiali d’Africa e Grecia, alle leggi razziali, all’alleanza bellica con i burgundi hitleriani. Un regime totalitario che per quattro anni si era fatto anticipare dai giannizzeri in camicia nera per assaltare e bruciare, così come le “case del popolo” socialiste e repubblicane, i Templi massonici e le annesse biblioteche, colpire fisicamente fino ad assassinarli militanti delle logge, tanto più in Toscana e in province dell’Italia centrale. La Sardegna entrò, fortunatamente senza risaputa violenza fisica, ma certamente subendo la quotidiana irrisione e poi la grave e greve persecuzione della stampa (in specie fasciomora, dopo che… popolare!) durata lungo tempo, fino alla chiusura, protrattasi per due lunghi decenni!, delle logge. L’accusa “ideologica”, sottesa a quella che nasceva da menti intimamente illiberali, era che la Massoneria costituiva, per il suo umanitarismo universalista, una società “antinazionale” e di permanente intelligenza… con il nemico.


Galantuomini certamente, quei massoni – o la maggioranza d’essi – che aderirono al fascismo fino a ricoprirne cariche gerarchiche o nelle amministrazioni, ma altrettanto certamente portatori di una sensibilità attenuata, talvolta azzerata, rispetto alle domande ineludibili del liberalismo e della democrazia (e ciò sia detto senza mettere qui i panni dell’incontrario, del Torquemada algido illuminista o furioso puritano cioè).   

Sono ben 50 i sindaci massoni sardi entrati nella rassegna, e le città o i paesi coinvolti nel censimento ben 28 (Tempio Pausania e Villasor, Oristano e Nuoro, Sassari e Cagliari, Alghero e La Maddalena, Gonnesa ed Iglesias, Lanusei e Guspini, Seneghe e Carloforte, Terralba ed Orani, Ghilarza e Terranova Pausania poi Olbia, Selargius e Gonnosnò, Magomadas e Tortolì, Masullas e Guasila, Quartucciu e Laerru e Urzulei). Interessante certamente il fenomeno storico dispiegatosi nell’arco di un secolo e mezzo – fra socialismo, liberal-cocchismo, mazzinianesimo, transigenza radicale ed autonomismo sardista – e spalmatosi sull’intero territorio regionale, associando tanti piccoli paesi rurali alle città più sviluppate, interessante per i risultati anche la rilevazione che ho potuto compiere nell’attualità bruciante che mi/ci coinvolge – dico degli anni già avanzati di questo secondo decennio del 2000: i sindaci progressisti in campo, o da poco tempo in quiescenza, si sono dichiarati tutti, orgogliosamente, per le idealità professate, gradendo anzi la scheda biografico-amministrativa ad nomen, mentre diversi fra quelli inquadrati nel centro-destra (da Forza Italia a Fratelli d’Italia al leghismo ineunte) si sono negati e infatti, per chiare ragioni di privacy e pretesa di riservatezza, non compaiono nella rassegna. Avrebbero portato – essi sei o sette, fra i ventiquattro d’analoga condotta registrati in toto dal prof. Greco – il numero complessivo ad una sessantina.

Anche questa evidenza pone, a mio avviso, un problema che varie volte (ma finora vanamente) ho prospettato, sotto un profilo puramente dialettico ed argomentativo, non certo per il concorso diretto o indiretto a gare elettorali o di vanagloriosa rappresentanza istituzionale, alla comunità massonica sarda e cittadina: su come cioè una “società di tradizione” quale è la Libera Muratoria, consapevole dei percorsi storici che l’Italia ha vissuto nel suo processo unitario e di consolidamento democratico – “risorgimento, resistenza, costituzione repubblicana” soleva ricordare sempre un presidente di grandissimo prestigio quale è stato Carlo Azeglio Ciampi, di formazione azionista e non a caso socio della Associazione Mazziniana Italiana – possa condividere la sua militanza, sul piano civile, con le “scatole vuote” offerte dal tempo corrente definito della “società liquida”, ultima figlia di quella deriva, chiamala modernista, iniziata o fotografata dal filosofo Vattimo trent’anni fa e nota come teoria del “pensiero debole”. Partiti politici tutti ostili, già nei precordi, ai succhi valoriali della Libera Muratoria “di tradizione”: partiti, quelli della corrente destra italiana, segnati dal (penoso) culto della personalità celebrato all’altare di chi aveva inventato per i vassalli e valvassini poltrone e sgabelli in cambio del prono servilismo utile a fare leggi partigiane e umiliare i pubblici ordinamenti; partiti recanti simboli di continuità con chi si costituì nel 1946 al fine dichiarato di riunire i fascisti di Salò e quelli monarchici del regime duumvirale; partiti già osannanti l’Italia sminuzzata con riserve padane ed onori al dio Po, nel dileggio del tricolore patrio e delle popolazioni meridionali senza eccezioni; partiti cadetti (in Sardegna!) fattisi nella prima ubriacatura perfino nazionalitari-indipendentisti e poi, per contrappasso del pari confuso, cedutisi agli archimandriti delle ampolle celtiche dell’ex Padania; partiti dell’improvvisazione e del semplicismo, delle frasi fatte e del malumore in permanente sfogo assurti a complessi e complicati ruoli di governo… 

Non può dimenticare, una “società di tradizione” e pur ecumenica com’è la Libera Muratoria, da chi essa stessa è stata innervata nell’Ottocento e nel secolo seguente, prima e dopo la dittatura. Fu un dibattito presente, questo, fra 1945 e 1946, nelle discussioni della loggia sassarese Gio.Maria Angioy, animata da uomini come Annibale Rovasio – il sardista-repubblicano infilzato dalla minacciosa e volgare polemica fascista nel 1923-24-25 e biografo di Lussu nel 1943, nella prima uscita democratica dopo l’armistizio – e di quella cagliaritana con il titolo distintivo Risorgimento, animata un radical-riformista come Alberto Silicani. Conoscevano, la loggia sassarese (che addirittura avrebbe voluto imporre il vincolo repubblicano alle iniziazioni) e quella cagliaritana, ma così anche quella bosana (che con Melchiorre Melis orgogliosamente faceva riferimento ad un regionalismo lealista nella Repubblica) e quella maddalenina (di immediato rimando garibaldino) il milieu democratico di antica storia sopra cui poteva poggiare la Massoneria rinnovata. Non s’era perduta la memoria dell’esilio in Francia degli organi apicali del Grande Oriente, non s’era perduta la memoria del lungo confino imposto (fin quasi alla sua morte accompagnata dalla cecità) all’ultimo gran maestro Domizio Torrigiani o del processo del 1927 contro i Fratelli Zaniboni e Capello – il Capello che era stato stimatissimo comandante militare in Sardegna alla vigilia della grande guerra –, non s’era perduta la memoria dell’adesione di molti massoni, inclusi i futuri gran maestri Guido Laj (di radici cagliaritane) e Umberto Cipollone, e di altri come i sardi Mario Berlinguer (in forza alla Gio.Maria Angioy) ed Ezio Mereu (in forza alla cagliaritana Sigismondo Arquer), al manifesto dell’Unione Nazionale di Giovanni Amendola, altro massone vittima della violenza fascista…

Come avrebbe potuto la loggia Risorgimento impiantata da Alberto Silicani e Federico Canepa nella Cagliari disseminata dalle macerie dei bombardamenti del 1943, o la loggia Gio.Maria Angioy, o la loggia Salvatore Parpaglia, o la loggia Giuseppe Garibaldi, il circuito insomma delle compagini giustinianee della Sardegna negli anni di nuovo radicamento nella democrazia repubblicana, essere “neutrali” o mostrarsi estranee al campo civile e politico della loro Italia risorta? o mostrarsi acquiescenti alle sirene del qualunquismo che allora, di lato ad ampi settori democristiani e clericali, lanciavano i loro richiami nel nome dell’anticomunismo? Da allora e fino ai primi anni ’90 del secolo scorso, fino cioè al travolgimento del sistema politico-partitico per peccato di Tangentopoli, la variegata area democratica del filone socialista come del filone liberale o ancora di quello radicale-autonomista costituiva insieme il pendant culturale di riferimento della Istituzione liberomuratoria e l’ambito naturale del libero impegno pubblico della sua militanza, perfino nella rappresentanza parlamentare come in quella degli enti locali e regionali.

Al disfacimento delle formazioni di democrazia laica e riformatrice ben avrebbe potuto (e forse dovuto) supplire, sul piano valoriale, direi dell’intransigenza valoriale, la “società di tradizione” che Gramsci chiamò “partito della borghesia”, quel soggetto sì composito ma unitario nel riconoscimento dei fondamentali (la patria unita, l’ordinamento democratico, laico e di sentimento universalista, e già mazzinianamente europeista) che ovviamente nulla e nessuno avrebbe potuto confondere né col separatismo né con il sovranismo, né con alcun prepotente dirigismo.

Ma invece di porsi questo grande problema – di come cioè sostenere la Nazione nel suo travaglio epocale rilanciando i valori patriottici nel contesto delle alleanze atlantiche ed europee, ispirando ben altri caratteri alle nuove e “liquide” formazioni subentrate alle vecchie ormai incrostate – il sistema delle logge è parso – o almeno è parso a me – rinunciare ad un possibile suo protagonismo civile, spalmando in forme talvolta, per fortuna soltanto talvolta, di umiliante gregarismo politico la sua militanza. Giusto il contrario di quel che aveva ispirato nel 1859 e subito dopo il rilancio massonico di chiave cavouriana: dovevano essere opinion leader nei vari contesti territoriali i massoni, dovevano essere portatori di senso dello stato – dello stato liberale, chiamato a rigore sempre –,di modernità economica, di solidarietà sociale. Opinion leader, trascinatori di alte idealità e comportamenti patriottici, presenti nel dibattito pubblico non con una tesi confezionata, ma con la proposta di un autonomo ragionamento argomentato e di qualità, sempre…

Nell’ultimo volume della trilogia curata dal prof. Greco è compresa la cinquantesima scheda dei sindaci sardi, la conclusiva delle cinquanta che avevo approntato con l’intento di dar conto della partecipazione isolana al grande movimento umanista ed umanitario rappresentato in Italia, come nel resto del mondo, dalla Libera Muratoria fin dalla metà dell’Ottocento: riguarda, quest’ultima, l’ing. Ireneo Sanna, personalità eccellente della piccola imprenditoria sarda e, per me, anche amico caro e leale.

Eccone di seguito il testo.

Ireneo Sanna, Asuni – 1990/1993

Ireneo Sanna (Asuni 1959) è stato sindaco di Asuni – piccolo paese agricolo della Marmilla (una regione a mezza strada fra Cagliari ed Oristano, limitrofa al Mandrolisai e al Sarcidano) – dal 1990 al 1993, dopo aver maturato esperienza come consigliere comunale fin dal 1985; nella rappresentanza è rimasto anche dopo la cessazione dal servizio di capo della giunta, e cioè fino al completamento della consigliatura nel 1995. Negli stessi anni egli ha svolto altresì le funzioni di assessore della Comunità Montana di Ales Alta Marmilla, comprensivo di una ventina di comuni (oggi riuniti in una cosiddetta “unione dei comuni”). 

Impegnato politicamente da giovanissimo nell’area socialista, già rappresentante del Consiglio di Istituto, presso l’Istituto Tecnico per Geometri “Lorenzo Mossa” di Oristano, ove ha conseguito il diploma, ha frequentato l’università di Cagliari laureandosi in ingegneria nel 1986.

Aveva iniziato la sua attività pubblica risiedendo a Cagliari, durante gli studi universitari, e non senza sacrificio a causa delle difficili condizioni che imponevano continui trasferimenti da e per il capoluogo. Il Comune di Asuni si trova in una delle zone economicamente più depresse della Sardegna e proprio il desiderio di essere utile ai suoi, mettendo a disposizione anche le sue competenze tecnico-professionali nel frattempo acquisite, lo avevano indotto ad un impegno in prima persona nella stessa amministrazione municipale. Ancora negli anni ’80, le strade che collegavano il paese natale con quelli circonvicini, non erano asfaltate, e l’isolamento dei circa 500 residenti era dunque ancora più accentuato da queste difficili condizioni viarie che costituivano, per essi, la maggiore penalizzazione e il problema con più urgente bisogno di soluzione. Durante il periodo in cui svolse l’attività di amministratore civico la viabilità esterna costituì pertanto la priorità assoluta della sua fatica, ottenendo risultati concreti e in una tempistica anche piuttosto rapida. Asuni, per unanime riconoscimento, prese la fisionomia di un “paese civilizzato”, ordinato e davvero accogliente. 

L’attività municipale si concentrò altresì sul tentativo di ridurre il tasso di disoccupazione soprattutto dei giovani, attraverso la realizzazione di opere di urbanizzazione e di salvaguardia ambientale, con lo strumento di cantieri in economia, che prevedevano l’assunzione di solo personale locale.  

Terminato anche il secondo mandato amministrativo, riprese in pieno la sua attività professionale dando anche vita, insieme con diversi suoi familiari, ad una piccola fabbrica di mobili, nello stesso comune di Asuni. La fabbrica (ancora in produzione) ha visto, nel momento di maggior sviluppo, l’occupazione di 15 dipendenti, rappresentando per parecchi anni l’attività economica più importante del piccolo comune.

Libero professionista a Cagliari, ma con interessi lavorativi in tutta l’Isola, il suo studio conta, fra i propri maggiori committenti, svariate amministrazioni pubbliche. 

Iniziato nel 1989 fra le Colonne della loggia Lando Conti n. 1056 all’Or. di Cagliari, Sanna ha partecipato alla fondazione della loggia Vittoria (che però ebbe vita breve) e, successivamente, della loggia Europa n. 1165 di cui, dopo esserne stato Dignitario, ha retto il Maglietto dal 2014 al 2016. Fra gli obiettivi del suo Venerabilato è da segnalare l’impegno solidaristico ad extra, evidenziato fra l’altro da varie collaborazioni dell’officina con la Croce Rossa e con la Casa della Fraterna Solidarietà, funzionante a Sassari da oltre un decennio.

Fra il 2002 ed il 2007, a lui è stata affidata, in quanto impresario, la direzione dei complessi lavori di ristrutturazione della prestigiosa Casa Massonica cagliaritana, nello storico quartiere di Castello.

Merita rilevare che durante il periodo in cui era ancora sindaco, vennero pubblicate da entrambi i quotidiani isolani le liste dei massoni iscritti alle logge sarde. Figurando il suo nome in tali elenchi, e considerando la nota diffidenza che spesso circonda la Libera Muratoria, egli ipotizzò potesse subirne i contraccolpi o in termini di critiche politiche o anche in termini di veri e propri danni economici per la propria professione. Sorprendentemente, invece, raccolse dai suoi paesani esclusivamente parole di elogio e conferma di apprezzamento sia personale che in quanto amministratore dedito, con piena trasparenza operativa, all’interesse generale. Una sola pubblica amministrazione ritirò un incarico professionale che gli era già stato assegnato. 

Fu egli stesso a commentare le ragioni profonde del rispetto che, nella circostanza, ebbe a cogliere nei giudizi verso l’Istituzione che pur molti, evidentemente, neppure conoscevano appieno sul piano della storia e delle idealità: esse erano da individuarsi nell’ottimo ricordo che l’ex Gran Maestro Armandino Corona aveva lasciato nel territorio marmillese: ad Asuni, infatti, ed in altri quattro comuni confinanti, questi aveva iniziato, nel lontano 1947 (protraendola per due decenni circa), la sua attività professionale di medico condotto. 


Se l’ing. Sanna è stato un sindaco dell’epoca più recente, certo si potrebbe ricostruire tutta una sequenza di primi cittadini protagonisti, all’interno delle rispettive comunità, di azioni amministrative significative e, insieme, attori di prove di testimonianza ideale delle quali potersi gloriare. Ecco qui di seguito altre quattro delle cinquanta schede consegnate alla trilogia Maestri per la città: riguardano – nella seconda metà dell’Ottocento – l’oristanese (ma bosano di nascita) Salvatore Parpaglia, e giusto un secolo dopo – il seneghese (ma teuladino di nascita) Ovidio Addis, il nuorese Annico Pau e il carlofortino Carlo Biggio: un liberale dunque, un sardista (dell’antica tradizione), un repubblicano, un socialdemocratico, tutti riconducibili alla scuola degli immutabili valori liberomuratori.  

Salvatore Parpaglia, Oristano – 1863/1867,1899/1901

Salvatore Parpaglia (Bosa 1831 – 1916) fu sindaco liberale di Oristano dal 1863 al 1867 e dal 1899 al 1901.

Di professione avvocato, fu deputato nazionale dal 1870 al 1897 (XI – XIX legislatura) sempre schierato con la sinistra (referente il Cocco-Ortu), e senatore del Regno dal 1897 alla morte.

Di lui si ricordano, alla Camera, due progetti di legge d’interesse regionale (1887: sull’aggregamento del comune di Putifigari al mandamento di Villanova Monteleone; 1895: sull’aggregamento dei comuni di Solarussa, Siamaggiore e Zerfaliu alla pretura di Simaxis) e 14 interventi e citazioni negli Atti. Speciale interesse egli pose alla questione ferroviaria e al vero e proprio dramma esistenziale dei ceti contadini isolani costretti alla precarietà dalle alternanze cicliche di alluvioni e siccità o infestioni di parassiti. Presiedette anche la commissione parlamentare che, dal 1906 al 1909 e poi ancora al 1913, indagò sulla condizione dei minatori sardi, in specie del Sulcis-Iglesiente; ancora negli anni trascorsi da senatore partecipò, fra l’altro, alle commissioni per l’esame dei disegni di legge relativi ai provvedimenti speciali previsti a favore delle province meridionali e delle maggiori isole, e per la riforma del codice di procedura penale (il codice Zanardelli). 

Importanti sembrano, a tal riguardo, le parole espresse, nella sua commemorazione a Palazzo Madama, nel 1916, dal sen. Fadda: «Fu sempre sulla breccia tutte le volte che era in questione un interesse isolano… Mai però egli fu affetto da predilezioni o sentimenti regionali. Sardo vero, rispecchiava l’anima sarda, italiana fieramente, energicamente, che non ha mai pensato a sé quando erano in gioco la patria e gli interessi generali». 

Consigliere provinciale di Cagliari dal 1864 al 1870, e ancora dal 1872 al 1898 e dal 1899 al 1913, eletto per i mandamenti di Milis, Oristano, Simaxis, Cabras e Solarussa, fu membro effettivo della Deputazione nel 1864, e nel 1867 regio commissario straordinario della disciolta Congregazione di carità ed amministratore dell’ospedale civile di Oristano.

Visse intensamente la vita sociale della sua città negli anni che prepararono e ancor più in quelli che seguirono l’unità d’Italia, intrattenendo rapporti significativi con tutta l’intellettualità locale, compresa quella d’area cattolica sulla quale fu fatta cadere la responsabilità dei cosiddetti “falsi d’Arborea”, vale a dire di quelle pergamene artefatte cui si volle attribuire antichità e veridicità in quanto alla descrizione della storia sarda nel passaggio dal dominio bizantino a quello giudicale. La mitologia eleonoriana si collocò in questo contesto, coinvolgendo in pieno anche la Massoneria isolana che promosse tutta una serie di comitati per la raccolta di fondi finalizzati alla erezione di una statua alla giudicessa da collocare nel centro del capoluogo di circondario (il che sarebbe avvenuto nel 1881): Parpaglia fu il segretario del comitato oristanese presieduto dal can. De Castro (il dotto ispiratore – si disse – delle false pergamene).

Gli anni della sua prima sindacatura coincisero con la fondazione della società operaia di mutuo soccorso che, in Oristano, raccolse da subito centinaia di adesioni e contribuì positivamente ad assorbire o almeno temperare le difficoltà di molti lavoratori esposti ai rischi della malattia o degli infortuni. D’altra parte, la promozione del mutualismo fu una delle costanti dell’impegno sociale della Libera Muratoria sul continente d’Italia come in Sardegna.

Dalle evidenze del Grande Oriente d’Italia Salvatore Parpaglia risulta incardinato nella loggia cagliaritana Vittoria, la prima della serie isolana, costituitasi nel 1861 secondo il rito simbolico (o francese dei tre gradi). Fra i documenti recentemente rinvenuti nei suoi archivi familiari risalta un rituale dei “Lavori di Terzo grado simbolico ossia del Maestro Libero Muratori”: stampato a Firenze nel 1867, un anno che associa l’impegno municipale a quello in loggia.

Ovidio Addis, Seneghe – 1964-1966

Ovidio Addis (Teulada 1908 – Cagliari 1966) fu sindaco sardista di Seneghe dal 1964 al 1966.

Dottore in lettere, svolse con passione e creatività didattica la sua attività di insegnante elementare a Seneghe, il paese (nel Montiferru, a nord di Oristano) che lo aveva adottato all’inizio della sua carriera e dove, nel 1940, aveva fatto famiglia. 

Qui allestì anche una biblioteca che, pur essendo allogata nella sua abitazione, ebbe di fatto una pubblica fruizione, favorendo le ricerche anche di molti studiosi e specialisti, nonché il completamento degli studi di numerosi laureandi tanto più delle facoltà umanistiche dell’Università di Cagliari. Quella biblioteca (donata dagli eredi all’Archivio di Stato di Cagliari) divenne un vero e proprio “centro studi” e da Seneghe contribuì ad animare il ricco flusso di originali iniziative di dibattito e di ricerche storiche, archeologiche ed anche demologiche promosse dal Centro Studi Arborense che per lunghi anni fu, con mostre e impegnativi cicli di conferenze, uno dei polmoni culturali della Sardegna. 

Specializzatosi in archivistica e archeologia cristiana a Roma, Addis dette corso ad almeno due campagne di scavo a Cornus, antico municipio romano e poi sede, nell’alto medioevo, di una delle prime diocesi sarde, ivi rinvenendo importantissime vestigie basilicali e cimiteriali risalenti al III e IV sec. Sul piano prettamente storico orientò i suoi interessi principali al periodo giudicale ed in particolare alle vicende della casata d’Arborea, pubblicando l’esito delle sue ricerche (così come per la parte archeologica) in autorevoli riviste scientifiche come “Archivio Storico Sardo”. Collaborando con i giornali periodici e quotidiani (soprattutto “La Nuova Sardegna” di Sassari) presentò, da lui finemente rielaborate, una serie di antiche suggestive leggende della tradizione sia teuladina che seneghese.

Personalità assolutamente eclettica, partecipò, nei primissimi anni ’60, ad alcune trasmissioni-quiz nazionali della RAI, rispondendo a quesiti di storia sarda, e inventò un rimedio chimico antitarmico per difendere i documenti d’archivio a rischio di infestione (rinunciando egli ai possibili lucrosi ricavi della brevettazione). 

Militante per vent’anni del Partito Sardo d’Azione, non condividendo però l’impostazione che verso la metà degli anni ’60 gli si volle dare in chiave tendenzialmente indipendentista, fu più volte candidato alle elezioni politiche e regionali, raccogliendo sempre migliaia di consensi; a Seneghe fu lungamente consigliere comunale e, al rinnovo del 1964, la sua lista “Quattro Mori” ebbe la maggioranza ed egli la sindacatura. Impegnato nella gestione dei maggiori servizi pubblici correnti, tanto più nella difesa dell’ambiente anche dai ripetuti e incombenti rischi degli incendi boschivi, puntò a promuovere formative attività culturali della gioventù ed a rafforzare nella popolazione quello spirito comunitario necessario a sostenere responsabilità ed impegno civico e democratico.

Un tumore ne infiacchì progressivamente la fibra, costringendolo a ripetuti ricoveri e interventi chirurgici. In ultimo diresse un Consiglio comunale, via telefono, dalla sua stanza d’ospedale. L’immagine vale come testimonianza del suo sapere e volere rispondere sempre alla legge del dovere. 

In Massoneria visse le sorti tribolate della sua loggia Libertà e Lavoro n. 451 all’Or. di Oristano, che aveva avviato la sua attività nel 1949, riprendendo il titolo distintivo della locale officina prefascista. Qui egli fu iniziato nel 1952; alla sospensione dei lavori (in realtà da leggersi come un vero e proprio abbattimento delle Colonne a metà degli anni ’50) il suo nome, come quello di altri artieri, venne assunto dal piedilista della sassarese Gio.Maria Angioy n. 355 che nel 1964, maturandosene le condizioni, rilasciò gli exeat per la ricostituzione della loggia. Avuta la promozione a Maestro, Ovidio Addis svolse, tanto nelle tornate rituali quanto negli incontri informali e conviviali della rinnovata Libertà e Lavoro, un compito di vero e proprio collante tra i Fratelli, spendendo anche in questo campo, così come in politica e nell’amministrazione (oltreché ovviamente nella scuola), le sue migliori energie.

Una loggia – la prima delle quattro oggi operanti nell’Oriente oristanese, dopo che nel 1968 la “rinnovata” n. 451 dovette abbattere nuovamente le Colonne – fu intitolata a lui con il numero d’ordine 769. Avvenne nel 1972. Nel trentennale della fondazione, con cerimonie pubbliche in municipio e speciali televisivi regionali, il nome e l’esperienza di vita di Ovidio Addis sono stati positivamente evocati entrando così anche nella conoscenza delle giovani generazioni che non l’avevano conosciuto.

Annico Pau, Nuoro – 1981/1983

Annico Pau (Nuoro 1943) è stato sindaco repubblicano di Nuoro dal 1981 al 1983, a capo di una giunta laica e di sinistra. 

Dottore agronomo laureatosi all’università di Sassari, libero professionista a Nuoro nonché docente di materie economiche del locale Istituto Agrario, compì la sua formazione politica, accompagnata sempre da una assidua presenza sulla stampa quotidiana e periodica isolana, nel movimento giovanile del Partito Sardo d’Azione al tempo alleato (per la comune matrice democratica, autonomistica e mazziniana) del Partito Repubblicano Italiano. Fra il 1966 e il 1967 dette vita con altri alla corrente “Nuovo Azionismo” esprimendo le proprie posizioni (fieramente antiseparatiste intanto propugnate dal PSd’A) su un giornale recante la stessa denominazione, e con quel gruppo confluì quindi nel 1968 nel PRI. Qui fu poi raggiunto da numerosi altri militanti ex sardisti, tanto da dar vita ad un partito politico organizzato che avrebbe avuto, negli anni ‘70 e ’80, un crescente peso politico i Sardegna, tanto negli enti locali quanto nelle maggiori istituzioni dell’autonomia speciale.

Dirigente cittadino e provinciale dell’Edera repubblicana e ripetutamente, dal 1980, consigliere comunale, assumendo quindi la carica di vice sindaco, assessore all’urbanistica e ai lavori pubblici, e successivamente, diventò sindaco. (Merita rilevare la coincidenza temporale di tali incarichi “periferici” con la presidenza del Consiglio dei ministri assunta dal sen. Giovanni Spadolini, anch’egli primo leader non democristiano chiamato alla guida di un esecutivo politico: a maggioranza di pentapartito a Roma, di alternativa progressista a Nuoro).

Come sindaco del capoluogo barbaricino diede impulso all’ammodernamento della città attraverso la messa in cantiere di importanti infrastrutture comunali quali il centro polifunzionale; avviò le trattative per l’acquisto dello storico cine-teatro Eliseo; mise in uso le piscine comunali e il locale mattatoio.

Con l’apertura della rinnovata Biblioteca “Sebastiano Satta” diede vita ad un vasto programma culturale, fatto di musica e teatro, sfociato poi nella creazione della scuola civica musicale. 

Presidente del Consorzio Industriale di Prato Sardo nel capoluogo barbaricino, nel 1991 Pau entrò in Consiglio regionale, subentrando a un collega passato ad un ruolo di giunta, e vi restò sino alla fine di quella X legislatura.

Eletto segretario regionale dei repubblicani, dovette malinconicamente ammainare la bandiera dopo il cambio delle leggi elettorali nazionale e regionale e il passaggio alla cosiddetta “seconda Repubblica” (e “seconda Regione”), tentando uno sfortunato concorso nelle liste di Alleanza Democratica, personalmente mantenendo comunque le posizioni ideali proprie del repubblicanesimo autonomista e libertario.

Parallelamente all’impegno politico, ha continuato a svolgere quell’intensa attività pubblicistica avviata da giovanissimo, collaborando con varie testate. Autore di “Pastoritudine”, di recente ha curato “Canti perduti”, un importante saggio sugli inediti del poeta nuorese Sebastiano Satta.

In Massoneria fu iniziato nel 1978 nel Tempio della loggia Giuseppe Garibaldi n. 731 all’Or. di Nuoro. Negli anni successivi gli furono conferiti gli altri due gradi simbolici. 

La pressione esercitata su tutti gli esponenti della rappresentanza politica, tanto a livello regionale quanto a livello cittadino, in particolare negli anni ’90 (quand’egli era membro del Consiglio regionale), suggerì un prudenziale ritiro, onde non offrire nuove e strumentali occasioni di polemica agli avversari delle estreme.

Peraltro, in occasione delle manifestazioni mazziniane, garibaldine e del XX Settembre, egli ha continuato a partecipare in prima fila: la sua è stata sempre una presenza attiva e qualificata, sovente espressasi in discorsi di approfondita riflessione storico-politica e talvolta perfino nella offerta dei risultati di alcune sue originali ricerche storiche sulla democrazia “asproniana”, laica e progressista, della Sardegna e di Nuoro nel passato. 

Carlo Biggio, Carloforte – 1960/1998 (con varie interruzioni)

Carlo Biggio (Carloforte 1923 – 2017) fu sindaco carolino espresso dalla socialdemocrazia a più riprese lungo un arco quasi quarantennale: dal 1960 al 1962, dal 1966 al 1971, dal 1980 al 1981, nel 1984 e fra il 1994 e il 1998.

Laureato a Ca Foscari di Venezia e professore di lingua e letteratura straniere nelle scuole pubbliche superiori divise la sua vita, a parte gli affetti familiari, fra la scuola, la politica (anche istituzionale, alla Regione e alla Provincia) e gli interessi municipali.

Esponente di punta del PSDI nel Sulcis-Iglesiente ed in particolare a Carloforte – 6mila abitanti circa nell’isola di San Pietro –, sua terra d’origine, venne eletto in Consiglio regionale nel 1969 e nel 1974, con gran messe di preferenze personali (quattromila la prima volta, quasi settemila la seconda). Qui fu a lungo questore (sotto le presidenze Contu e Raggio); per un breve periodo, nel 1979, fu anche assessore all’Industria della giunta Soddu-Corona.

Fu anche consigliere provinciale e assessore alla Pubblica Istruzione della stessa Amministrazione provinciale (al tempo la Provincia di Cagliari ricomprendeva anche i territori dell’Oristanese).

Fra gli incarichi politici dovrebbe potersi includere anche quello di consigliere d’amministrazione della Saremar, la compagnia di navigazione delle isole minori della Sardegna (incarico che l’assessore ai Trasporti delegava in alternanza ai sindaci delle isole sulcitane e dell’arcipelago maddalenino).

In Comune la sua esperienza iniziò nel 1960 con una felice candidatura da civico/indipendente progressista (ne derivò la giunta delle cosiddette “mani giunte”); rotti poi gli accordi con le altre forze della sinistra, egli stesso venne incaricato, prima del rinnovo elettorale, della gestione commissariale; dal 1966 e per cinque anni presiedette un esecutivo PSDI-DC piuttosto saldo nei numeri di maggioranza e marcato dalla sua energica personalità (era portatore di una fruttuosa carica empatica): aveva allora più che decuplicato le dimensioni del suo partito giunto a raccogliere fino a circa il 40 per cento dei suffragi espressi. Le convergenti ostilità sollevatesi nel tempo contro di lui da parte delle maggiori forze del centro-sinistra (democristiani e socialisti) e dell’opposizione comunista che vedevano erodersi la propria area di consenso, si tradussero in un’operazione di accerchiamento detto figurativamente “anticarlismo” e nella messa in minoranza, per alcuni anni, del leader e del suo gruppo consiliare. 

Fra gli elementi causali dell’apprezzamento popolare della politica di Biggio (e della speculare avversione dei concorrenti politici) fu senz’altro l’esser riuscito egli a soddisfare un’atavica aspirazione dei ceti più umili dell’isola di San Pietro: svincolare le tonnare dal padronato esterno e promuovere una cooperativa di tonnarotti la quale, avvalendosi di una legge regionale sulle acque interne e fruendo dei relativi contributi, acquisì la proprietà della tonnara di Portopaglia.

Forse anche in superamento di taluni pregiudizi nella città politica, la stella “carlista” tornò a brillare, riconquistando l’amministrazione comunale, tanto nei primi anni ’80 quanto un decennio più tardi, per ulteriori complessivi nove anni. Fra i risultati più significativi di questa politica fatta di concretezza furono il primo lotto del nuovo porto e la condotta d’acqua sottomarina che, partendo da Calasetta, nell’isola di Sant’Antioco, raggiungeva Carloforte, mettendola al riparo dai rischi della siccità.

Nel 2002, ormai più che settantenne e dopo una lunga pausa dagli impegni pubblici, Biggio tentò l’ultima volta di conquistare il governo cittadino: rieletto consigliere con oltre il 12 per cento dei voti raccolti dalla sua lista civica, non poté però raggiungere l’obiettivo per l’ormai completa trasformazione del panorama partitico locale, così come avvenuto in campo regionale e nazionale.

In Massoneria egli fu ammesso nel 1969: venne iniziato una settimana prima del futuro Gran Maestro Armando Corona, fra le Colonne della loggia Giovanni Mori n. 533 all’Or. di Carbonia e visse la sua prima tornata “piena” proprio in occasione dell’iniziazione del Fratello Corona. Alla stessa officina mantenne nel tempo la sua fedeltà, non mancando anche di partecipare ad iniziative laterali, come fu nei primi anni ’70 la costituzione del sodalizio “Gli Amici della Costa”, espressione associativo/profana della Fratellanza sulcitana. Nel 1972 entrò anche nel direttivo locale della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo. Nel 1981 prese parte alla fondazione, insieme con i Fratelli Salvadori, Cornacchini e Rosso, di un Triangolo  carlofortino, dipendente dalla più anziana loggia carboniese e simbolica riproposta, giusto novant’anni dopo, delle glorie della loggia Cuore e Carattere.




Fonte: Gianfranco Murtas
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