Come attori sulla scena (sociale e religiosa) sarda: i personaggi di Tonino Cabizzosu protagonisti del quinto volume delle sue “Ricerche”
di Gianfranco Murtas
All’indomani dell’addio alla cattedra di storia della Chiesa alla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, il lavoro di ricerca e scrittura di don Tonino Cabizzosu non cessa ma continua. Ed è bene così, così dovrà essere ancora nel tempo che verrà. Perché la ricerca e la scrittura sono, per questo nostro prete nato goceanino ma sardo tutto quanto, per residenze e relazioni, una missione di vita, e il dono migliore che può rendere al suo prossimo nello stretto ecclesiale e nel largo sociale.
E’ “forse” singolare, ma è “certamente” apprezzabile – da me condivisa in pieno – la tenacia con la quale egli persegue l’obiettivo di non disperdere nulla di quanto va producendo al di là delle monografie e dei corposi saggi che via via – così è da quasi quarant’anni! – sta consegnando agli editori regionali o continentali. Sicché, puntando sul titolo generale di Ricerche socio-religiose sulla Chiesa sarda tra ’800 e ’900, eccolo ogni qualche anno proporre – siamo adesso alla quinta uscita – l’ordinata raccolta dei… suoi fragmenta, occasionali articoli di stampa e puntuali interventi a convegni, e così presentazioni – orali e scritte – di libri di autori i più vari, ecc. insomma fragmenta apparsi evidentemente in una varia e vasta quantità di titoli e testate o forse soltanto accolti e rimasti nell’orecchio dei suoi ascoltatori e dunque bisognosi, per ciò stesso, di fare “sistema” dando prova delle coerenti articolazioni di uno stesso discorso, di una stessa ermeneutica sociale o storico-sociale comprensiva del fenomeno religioso. Che è poi la cifra dell’autore, cresciuto alla Gregoriana alla scuola di padre Giacomo Martina e nutrito degli insegnamenti, fissati in corposi volumi, che da studiosi come Giuseppe De Luca o dal più giovane Gabriele De Rosa e altri sono venuti, copiosi, negli anni: dal geniale ideatore, nei tristi anni di guerra, delle prestigiose Edizioni di Storia e Letteratura, fino a quel capitale 1962 che fu l’anno di apertura del Concilio e quello suo di morte – dico di De Luca –, dallo storico dell’Azione cattolica e del popolarismo italiano (fra giolittismo e fascismo, o antifascismo) fino a chiudere il secolo scorso – dico di De Rosa –, da altri di quella scuola che finalmente non esauriva lo studio della “missione” nei confini della pura dottrina o del puro ordinamento canonico, ma lo ampliava ed inquadrava verso le coordinate sociali, materiali ed economiche, culturali lato sensu e politiche.
La sua disciplina di studio ed insegnamento – storia della Chiesa e della Chiesa sarda – presenta, si sa, abbondanti specialissimi ed interessantissimi focus sugli ultimi due secoli, quelli che le riclassificazioni di sessant’anni fa, in particolare con i concorsi a cattedra banditi nel 1960 dall’Università italiana, chiamarono di “storia contemporanea” in estrazione dalla maggior voce della “storia moderna” (vale a dire quella del mezzo millennio successivo alla scoperta dell’America e per noi dell’Umanesimo e del Rinascimento). E non a caso la prima cattedra di Storia contemporanea fu vinta, a Firenze, dall’allora giovane Giovanni Spadolini, già incaricato di Storia moderna al Cesare Alfieri, lo storico che di più forse, fra quelli di scuola liberale, studiarono i movimenti politici e religiosi dell’Ottocento italiano e i rapporti Stato-Chiesa nei travagliati decenni del Risorgimento e postRisorgimento, partendo da Cavour e raggiungendo Giolitti, comprendendo – nell’oltreTevere – Pio IX, Leone XIII e Benedetto XV, fino ad arrivare ai patti del Laterano sottoscritti per la Santa Sede dal cardinale Gasparri in nome di papa Ratti. Intendo qui riferirmi all’autore di L’opposizione cattolica (da Porta Pia al ’98), Le due Rome, L’autunno del Risorgimento, Giolitti e i cattolici, Il cardinal Gasparri e la Questione Romana, La questione del Concordato, e naturalmente dei celebratissimi Il Papato socialista ed Il Tevere più largo nonché di qualche altra decina di testi portati al gran pubblico dei lettori colti ed a quello degli specialisti, da editori come Vallecchi, Le Monnier, Longanesi, ecc.
A queste preliminari e libere considerazioni mi ha mosso anche la dedica che Cabizzosu ha posto in capo alle quasi 600 pagine del suo ultimo lavoro: «Ai numerosi alunni, interlocutori intelligenti e disponibili, incontrati nei trentacinque anni di docenza nella facoltà di Teologia e nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Cagliari, con amicizia e nostalgia». Parole che evidenziano come sia stata la missione docente, di fianco o strettamente connessa alla ricerca (d’archivio e di letteratura) compiuta in prima persona, quella intesa come qualificante del proprio sacerdozio evangelizzatore e, infine, della propria vita. Sul punto dovrò indugiare.
Quegli anni alla Gregoriana e la docenza come missione
In un altro suo libro, questo di carattere autobiografico, come un racconto di sé fatto agli amici (nel suo venticinquesimo di messa) e assolutamente delizioso nella fattura confidenziale che pur rispetta ogni altro canone di rigore documentario –, intendo Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo – Tonino Cabizzosu riferisce partitamente dell’avvio della sua esperienza di professore, dopo la specializzazione acquisita presso la facoltà di Storia della Chiesa della Gregoriana, l’Università centrale della Compagnia di Gesù (frequentata dal 1980 – dall’indomani cioè della partenza di padre Carlo Maria Martini per la sede episcopale di Milano – al 1984). Fu il preside della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, il padre Umberto Burroni, a cooptarlo ai primi del 1985 nel collegio docente cagliaritano, con l’assenso dell’ordinario di Ozieri don Giovanni Pisanu. E tutto cominciò, in quelle aule del moderno stabilimento ai piedi di Monte Urpinu, con un ruolo evidentemente da svolgersi… dall’altra parte del tavolo. Certo così, ma con una memoria ancora fresca dei sentimenti vissuti da studente, lui peraltro ancora pressoché coetaneo di molti dei suoi alunni, chierici avviati al presbiterato e laici magari interessati all’insegnamento scolastico pubblico della religione o della storia delle religioni.
Era lì, in primo luogo, la bella memoria dei doveri assolti con puntualità sui libri e nell’ascolto delle lezioni presso le aule romane: a conclusione del primo biennio di studio alla Gregoriana era venuta la licenza (con una tesi sulla storia della diocesi di Ozieri), alla fine del quarto anno il dottorato summa cum laude (con una tesi stavolta sulla provincia ecclesiastica turritana nel cinquantennio 1850-1900). La Sardegna con la sua minore storia ecclesiastica era entrata in quelle sale che respiravano il mondo. Dei diciotto iscritti nell’anno di immatricolazione, gli italiani erano soltanto tre; dopo il ritiro del suo diploma dottorale chi s’era iscritto per le successive discussioni furono un lussemburghese ed una argentina. La Sardegna giocava finalmente nell’universalità della Chiesa, la sua cultura e il suo costume entravano, considerati con le loro originalità, dentro gli orizzonti sociali dei continenti, dei meridiani e paralleli… Quel padre Giacomo Martina, maestro della nuova scuola storiografica attenta ai nessi fra storia della Chiesa e storia sociale o socio-economica e culturale del “contesto” geografico, quel padre Giacomo Martina già incontrato… per corrispondenza, nei suoi anni di esordio in parrocchia, dal giovanissimo illoraese viceparroco di Berchidda, doveva aver imparato anche lui allora, dal suo alunno, le singolarità isolane, al solito tese fra risorse ed opportunità, fedeltà, ritardi e conquiste. Fra i presenti alla discussione della tesi anche monsignor Ottorino Pietro Alberti, al tempo arcivescovo-vescovo di Spoleto e Norcia e già docente/decano alla Lateranense.
Sarebbe stato giusto monsignor Alberti, nuovo arcivescovo di Cagliari in sede dal gennaio 1988, ad offrire un giorno a don Cabizzosu, di lato alla cattedra della Teologica, la direzione dell’Archivio Storico Diocesano (oggi proprio ad Alberti intitolato). Sarebbe avvenuto dopo la morte di padre Vincenzo Mario Cannas ofm, che l’Archivio aveva reimpiantato trasferendolo nel 1980 dagli insani locali della curia castellana a quelli ariosi e soleggiati del seminario minore ai piedi del colle San Michele. Sicché ben a ragione sarebbero tornate utili, in quell’ufficio, le conoscenze maturate, a… rimorchio degli studi alla Gregoriana, ai corsi di Archivistica e di Biblioteconomia frequentati l’uno presso l’Archivio Segreto Vaticano (fra cento compagni anche lì provenienti da tutto il mondo) e l’altro presso la non meno preziosa Biblioteca Apostolica Vaticana.
Così sarebbero andate le cose: sedici anni, fino al 2014 (all’indomani dell’arrivo dell’arcivescovo Miglio), all’Archivio Storico – e qui fondatore fra il molto altro dei Notiziari ADSCA e promotore di convegni e collane editoriali – in parallelo ai trentacinque di cattedra, arrivati fino al 2020, alla PFT di via Sanjust.
Con la cattedra cagliaritana, l’ufficio all’Archivio
Di quegli anni ormai lontani riferisce, con educata discrezione, ma pure con limpida franchezza, il suo protagonista nel richiamato Percorsi di fede (2008): «nel febbraio 1985 iniziai la mia docenza con il corso di storia antica, che tenni anche l’anno successivo. Non essendo questa la mia specializzazione, i primi due anni furono non facili per cui feci presente al Preside che intendevo insegnare storia contemporanea, secondo il piano di studio che avevo sviluppato e secondo la mia sensibilità. La richiesta fu accolta e all’inizio del terzo anno di insegnamento mi occupai del periodo contemporaneo […]. Vivendo prima a Ozieri e poi a Bottida, ero costretto a viaggiare dal lunedì sera al mercoledì sera; a Cagliari venivo ospitato dai Padri Gesuiti. Debbo riconoscere che nei primi dieci anni (1985-1995) i rapporti con loro furono corretti, in seguito lo furono meno per due motivi: io fui sempre più indipendente nelle mie numerose iniziative culturali e ciò non piaceva ai Padri, che avrebbero voluto che io stessi sempre sotto le loro ali. Senza alcuna velleità di polemica, sospinto solo dalla passione che mi divora dentro, con non poco sacrificio, ho inteso dare un piccolo stimolo alla Chiesa sarda: è possibile che il clero isolano sia artefice di un cammino proprio, senza tutele. Sono del parere, infatti, che la Compagnia di Gesù abbia dei grandi meriti per quanto ha fatto verso il clero sardo nel Novecento, a Cuglieri e a Cagliari; ora è il tempo di cambiare rotta, in quanto il clero isolano è all’altezza di prendere in mano la facoltà teologica, come si fa in altre regioni d’Italia, vedi ad esempio Sicilia e Puglia. […] su quarantacinque docenti trentacinque non sono gesuiti, prevalentemente diocesani, con titoli adeguati. L’unico, grave problema riguarda i vescovi che sono assai lontani dalle problematiche della facoltà.
«Poiché io insegno con passione, il rapporto con gli alunni è stato sempre felice. Dopo i primi anni in cui sono maturato nel metodo e nel contenuto, sono stato sempre più creativo apportando, durante le lezioni, riflessioni mie personali, sia nella metodologia come nel pensiero. Ho stimolato gli alunni a fare propria una sensibilità verso la Storia della Chiesa universale e isolana in particolare. L’amore alle radici e alla propria identità è uno degli obiettivi essenziali nella mia ricerca scientifica e nella docenza universitaria. Sia nell’insegnamento di Storia della Chiesa contemporanea come in quello di archivistica ecclesiastica, nei corsi e nei seminari, ho trasmesso e trasmetto una passione per le due discipline, che gli alunni percepiscono con sufficiente chiarezza, coinvolgendoli in maniera unitaria.
«La mia personale passione, unita ad impegno etico nel trasmetterla, mi ha dato buone soddisfazioni. Sono ormai centinaia i sacerdoti da me formati in questi anni di docenza. Sono parroci in tutta l’isola: ho sviluppato con loro intensa amicizia, che coltivo con cura, perché ritengo essere uno dei valori essenziali della mia esistenza. Ho dato loro, con semplicità e passione, contenuti di pensiero, metodologia e testimonianza gioiosa del mio sacerdozio. La schiera dei miei alunni mi ha sempre ripagato e mi ripaga tuttora con stima ed amicizia».
E’ in questa logica – anche se poi… non è tutto oro quel che luccica (e bisognerebbe fare qui adesso precisazioni su certo clero giovane sardo che raggiunge la pastorale ampiamente, paurosamente inadeguato, inconsapevole prigioniero di contagiose suggestioni tardotridentine!) – che si situa la dedica ultima del quinto volume delle Ricerche.
Sono stati di certo un buon servizio reso alla conoscenza generale degli indirizzi di studio (storico) della Teologica sarda i prospetti che lo stesso Cabizzosu ha offerto con il dettaglio dei corsi – per programma e bibliografie – da lui tenuti negli anni accademici dal 1985-86 al 2007-08 (cioè alla data di stampa del suo Percorsi). Meriterebbe insistervi (completando l’excursus del ciclo temporale, sempre che ciò non sia stato già fatto da qualche parte a me ignota, così da arrivare al 2019-20): apprezzando lo sforzo fin qui prodotto, credo sia necessario e centrale, nella formazione del giovane clero, lo studio della storia lei soltanto sa rendere quel tanto di relativo e di tutto umano evidente nel chiaroscuro esistenziale alla riflessione degli uomini di Chiesa troppo spesso falsamente liberati dal loro prosaico tran tran di «impiegati del sacro» con incongrue esplosioni dottrinarie: tutte, appunto, declinate sul piano dell’assoluto e perciò dell’astorico. Sicché l’“accompagnamento” fiduciario ed esemplare ai propri fratelli e sorelle di comunità, che dovrebbe essere l’espressione pratica del mestiere/missione del prete, diventa tanto o troppo spesso, per questi sacerdoti/non presbiteri che «impiegati del sacro» rimangono di fatto, docenza superfetante e ingannevole perché irrealisticamente manichea sul piano valoriale ed estranea ad ogni sensibilità e misura della storia come fabbrica sociale.
Riporto queste mie considerazioni anche ad alcuni contenuti particolari delle Ricerche che mi appresto a segnalare, ed in particolare ai contributi da Cabizzosu forniti “in mortem” di due maestri: il già richiamato padre Martina ed il professor Pietro Borzomati, che del Nostro presentò i tre volumi pubblicati da Rubettino editore: nel 1997 Contemplazione ed azione in Felice Prinetti, nel 1998 Salvatore Vico nel contesto sociale e religioso del Novecento sardo, nel 2007 “Ti voglio amare fino alla follia”. Diario spirituale di Bianca Pirisino (1935-1939), e tutti però aveva anticipato – addirittura nel 1993 – donando all’autore oltreché, ovviamente, ai suoi lettori alcune illuminanti pagine introduttive a Un contemplativo in azione nella Sardegna del primo Novecento, uscito per i tipi della nuorese Studiostampa per celebrare il vincenziano (prete della Missione) signor Giovanni Battista Manzella.
Martina e Borzomati e Alberti i maestri
Né, d’altra parte, s’era negato al compito lo stesso padre Martina «severo nella ricerca scientifica, ma prodigo di attenzioni e consigli», firmando la prefazione a Chiesa e Società nella Sardegna Centro Settentrionale (1850-1900), titolo già sopra menzionato e costituente, di fatto, la tesi di dottorato di Cabizzosu alla Gregoriana e dunque quello di avvio della sua produzione scientifica.
Da queste pagine del professore-gesuita recupero qui almeno le ultime righe che sono insieme un riconoscimento di quanto fatto e un mandato ancora a fare, cioè a ricercare, a studiare, a meditare: «Questo lavoro costituisce un punto di partenza, piuttosto che di arrivo. Molti problemi andranno certamente approfonditi. Esso rimarrà comunque a lungo un punto di riferimento obbligatorio, per chiunque vorrà conoscere meglio la presenza della Chiesa in Sardegna: una presenza riservata, silenziosa, ma viva, efficace, partecipe delle sofferenze e delle ricchezze umane e cristiane di queste terre».
Nel febbraio del 2012 e nel settembre del 2014 i due amici e maestri – Martina e Borzomati – lasciarono il campo. Mi vien da collocare nel loro mezzo un altro triste evento di lutto del nostro mondo insieme di Chiesa e di scienza: mi riferisco alla morte di monsignor Ottorino Pietro Alberti, nel luglio 2012, a nove anni dal suo avvicendamento sulla cattedra episcopale cagliaritana (avvenuta con il “terribile” e non rimpianto monsignor Mani) dunque dal suo ritiro nella… dinamica pace domestica nuorese.
Padre Martina Cabizzosu lo ricordò sul Bollettino della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna (“In morte di Giacomo Martina: un maestro, un padre, un amico”, n. 20 novembre 2013), Borzomati su Voce del Logudoro (“In morte di Pietro Borzomati: spiritualità e santità motori della storia”, nn. 12 e 19 ottobre 2014). Entrambi i medaglioni (e anche quello di Alberti) ritornano – carichi del loro peso affettivo oltreché segnati dalle misure del debito che il Nostro stesso ma tutta l’accademia e la ricerca storica avevano contratto con loro – nelle pagine della silloge saggistica oggi all’esame, e precisamente in quella sezione titolata “Pastori d’anime e maestri di spirito” che include anche Luigi Amat ed Emanuele Marongiu Nurra, Salvator Angelo De Martis e Luca Canepa, Ernesto Maria Piovella, appunto Ottorino Pietro Alberti ed i vescovi sardi al Concilio Vaticano II, per dire di quadri storici diversi e distanti. L’inserimento dei contributi biografici dei due storici in questa sezione assume, a mio modesto avviso, un sapore come di certificazione d’una Chiesa che è tutta figlia del tempo e missionaria, se riesce ad esserlo, nella varietà delle stagioni secolari. Se ne potrebbe dire.
Davvero se ne potrebbe dire, anche se il rischio è sempre quello di divagare… Ma certo il nome di Ottorino Pietro Alberti nella galleria dei vescovi che è anche quella degli storici ne dà materia da godere, perché in esso sembrano singolarmente associarsi l’una identità e l’altra, aggiungendo anche ulteriori suggestioni data la produzione scientifica del presule: collega per sede canonica dei cagliaritani Marongiu Nurra e Piovella come per radice di nascita (sua nuorese) di De Martis e Canepa residenziali a Santa Maria della Neve, Alberti è anticipatore del Cabizzosu ricostruttivo della presenza sarda al Vaticano II, lui biografo di De Martis, Zunnui Casula e Montixi partecipanti all’assise ecumenica piina del 1869-70. In un gustosissimo impasto di ieri e di oggi, o in felici rimandi temporali e di autentici protagonismi della scena ecclesiale (e non solo), l’autore/curatore di questo quinto volume delle Ricerche ci riporta, forse senza neppure volerlo, alle logiche delle continuità ed a quelle dei superamenti: forse in Sardegna soprattutto delle continuità per le note lentezze o inerzie e anche timori d’innovazione che sono sembrati una costante del ceto episcopale, tardi nel loro clericalismo – si pensi, per restare a tempi recenti, al già citato don Giuseppe Mani con il suo paternalismo insincero ed a don Ignazio Sanna il miope censore illiberale – a fronte di cambi dello scenario sociale e del costume piuttosto marcati.
Cabizzosu dichiara il suo debito, e ben lo si comprende, verso i maestri padre Martina e prof. Borzomati, ed egli stesso però non nasconde una certa propensione – che capisco e anche condivido – alla biografia dei vertici ecclesiali, anche in cerca di riequilibrio con le ampie trattazioni degli scenari sociali in cui il ministero episcopale o presbiterale, quello religioso in generale, si situa e diffonde.
Si pensi alle collane di studi da lui (talvolta anche con Francesco Atzeni) promosse: agli atti episcopali della CES (le famose lettere collettive) in mix con quelli a firma dei singoli presuli per il loro popolo diocesano: Piovella dopo Rossi, Rossi dopo Balestra, lettere e circolari dai primissimi del Novecento e lungo quasi mezzo secolo nella diocesi metropolitana di Cagliari. Ma nel novero metterei i volumi con le schede biografiche dell’episcopato isolano dei secoli lontani – sono usciti quelli relativi al Settecento ed all’Ottocento (e so pronto da anni quello riguardante il Seicento) -, e metterei anche lo studio sulle Provvidenze di monsignor Serafino Corrias vescovo di Bisarcio, sul quasi quarantennale servizio apostolico di monsignor Francesco Cogoni anch’egli vescovo di Ozieri e già bisarchiensis, oltreché naturalmente i numerosi articoli e saggi brevi su quasi tutti i vescovi della sua diocesi, da Giovanni Antioco Azzei a Filippo Bacciu, e sui più significativi pastori delle altre Chiese locali, da Oristano a Cagliari, da Sassari a Tempio ed Ampurias e Nuoro… così Bua e Berchialla, Cadello e Balestra, Morera e Carta, Sisternes de Oblites e Rossi e Piovella, Piras perfino, da Cagliari (o dalla sua Quartucciu) partito generoso alla volta dell’Abruzzo e deceduto alla vigilia del suo passaggio da Atri e Penne a L’Aquila, L’Aquila di Celestino V!
Un libro in cinque sezioni
Questo quinto volume delle Ricerche è dunque articolato in cinque sezioni per complessivi 54 contributi. Qualche competente potrebbe, meglio di me, fornire appropriate valutazioni di sintesi di ciascuna delle parti che Cabizzosu ha ben organizzato sotto i titoli, in sequenza, di “Ricerche di storia religiosa e civile della Sardegna”, “Chiesa e società nell’azione del clero”, “Pastori d’anime e maestri di spirito”, “Santità e servizio agli ultimi nell’opera dei religiosi/e”, “Prefazioni, presentazioni, interviste”. Mi prendo il compito di un rapido ripasso dei temi più significativi (o per me interessanti) che l’autore propone alla conoscenza ed all’apprezzamento dei suoi lettori attuali come già un tempo fece con quelli approssimatisi alle pagine ora di Voce del Logudoro ora di L’Ogliastra, o del volumetto S’Iscravamentu. Passione de Zesu Cristu secundu Zuanne in limba sarda goceanina – riportante il testo predicato fra il 1993 ed i tempi quaresimali più recenti in una quindicina di centri, da Bottida a Lotzorai, da Ozieri ad Ardara, da Ittireddu a Buddusò, da Nule a Monti, da Senis ad Abbasanta, da Benetutti a Narbolia, da Olbia San Paolo ad altrove ancora, fra il Sassarese e l’Oristanese – o delle introduzioni o degli apporti vari forniti a testi come Il seminario Arcivescovile di Oristano (curato da Ignazio Sanna) oppure Fare teologia in Sardegna (Per i 90 anni della facoltà teologica della Sardegna 1927-2017), o Il lavoro dell’uomo tra creazione e redenzione (Saggi in occasione della 48.a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia) o La tavolozza del Maestro di Ozieri. Storia, scienza, tecnica: nuove scoperte, o Una Chiesa che dona la gioia del Vangelo (Guida alla Visita Pastorale del Vescovo Corrado, riferita al tracciato novembre 2018-febbraio 2020).
In parallelo a quella che sviluppa gli aspetti personali e pastorali del ceto vescovile sardo fra Otto e Novecento è quell’altro che punta invece tutto sui presbiteri. Rielenco qui soltanto i nomi chiamati all’appello: monsignor Francesco Amadu per i logudoresi, don Priamo Spano per gli ogliastrini, il canonico Giuseppe Littarru (l’amico di papa Giovanni XXIII!) per gli oristanesi… desulesi, padre Salvatore Vico per i galluresi, don Renato Iori, biblista, parroco e poeta in quel di Olbia, Monti e Berchideddu, che di Cabizzosu fu anche amico. E ancora: monsignor Luigi Cherchi e monsignor Antonino Ledda, campidanese di San Sperate il primo, ozierese il secondo (entrato amatissimo nella vita degli illoraesi, e dunque anche del nostro don Cabizzosu giovanissimo seminarista).
Le pagine dedicate a ciascuno di questi preti multivocazionali – direi proprio così, multivocazionali – sono fra le più belle di tutta la raccolta di articoli e saggi. Per fatto personale, o di frequentazione o di studio, confesso di avvertire speciale trasporto per don Cherchi, che nella mia infanzia era rettore della cagliaritana chiesa del Santo Sepolcro e che… festeggiai il giorno in cui un decreto canonico gli consentì le calze rosse e il titolo di monsignore… Caro don Cherchi che mi ospitò a casa sua regalandomi una minestra e mi portò con la sua 600 Fiat a San Nicolò Gerrei ad ascoltare il panegirico che aveva preparato per il patrono… doveva essere il 1964.
Ma poi anche can. Littarru del quale potei acquisire, dalla famiglia e/o dal card. Capovilla, bel materiale per il mio studio sui rapporti di papa Roncalli con la Sardegna… Sono passati ormai vent’anni da quella fatica editoriale! E certamente fra il molto altro sempre m’è rimasto nella memoria e nella emozione quel ch’egli ormai più che ottantenne scriveva al pontefice ormai moribondo: delle trasmissioni di messaggio, dei colloqui nella “parlata intuitiva” fra gli angeli protettori suoi, ad Oristano, e quelli protettori del papa, nella stanza vaticana, per un transito sereno...
Vescovi e preti, ma preti speciali…
Sono testi inediti quelli dedicati da Tonino Cabizzosu a monsignor Cherchi, al canonico Littarru, a don Antonino Ledda, all’arcivescovo Piovella. Gli altri, come ho già accennato, fanno riferimento a manifestazioni di presentazione delle opere biografiche, a prefazioni, a convegni in memoriam (come per don Iori a Su Canale di Monti). Altri ancora sono apparsi negli Annali Historica e Philologica in onore di padre Raimondo Turtas, o magari nei testi curati dalla Martorelli come “studi in ricordo di Roberto Coroneo” Itinerando senza confini dalla preistoria ad oggi.
Uno spazio a sé è quello riservato agli scritti sulle famiglie religiose sarde e su alcune personalità di spicco emerse fra i regolari, come i cappuccini Ignazio da Laconi e Nicola da Gesturi – già elevato (giusto da settant’anni) agli onori degli altari il primo, riconosciuto beato (nel 1999) e prossimo alla canonizzazione il secondo –, o il lazzarista Giovanni Battista Manzella – più volte protagonista di studi che il Nostro ha portato alle stampe fin dai primi anni ’90 del Novecento, nel 1991 e nel 1993 precisamente – o ancora il laico consacrato Evaristo Madeddu – anch’egli biografato, attraverso la proposta dei suoi carteggi (cf. Evaristo Madeddu. Epistolario di un uomo singolare, 1924-1934, uscito per Zonza editori nel 2005) e le suore madri Giuseppina Nicoli e Anna Figus, vincenziana (figlia della Carità) di nascita pavese e beata dal 2008 la prima, fondatrice delle suore della Redenzione la seconda, serva di Dio cagliaritana.
Si tratta anche qui di testi per lo più conosciuti, nel senso che sono già usciti in volumi collettanei o di atti di convegni, con l’eccezione di quello su fra Nicola da Gesturi che – recuperando la relazione tenuta al secondo convegno sul Beato svoltosi a Cagliari nel giugno 2008 – si riallaccia idealmente a quella da Cabizzosu stesso svolta otto anni prima (cf. Nicola da Gesturi e le povertà della società sarda del primo Novecento) i cui atti furono pubblicati nel 2001, con curatela condivisa col compianto padre Beppe Pireddu, dall’Istituto storico dei cappuccini. Il titolo del contributo di Cabizzosu fu allora “La Chiesa cagliaritana dal 1920 al 1950”, quello del più recente “Fra Nicola e la città di Cagliari” e quello del convegno “Dio vi paghi la carità. L’eredità di Fra Nicola a cinquant’anni dalla morte”.
Da sempre, fin dalle sue prime ricerche, il variegato mondo degli ordini religiosi, delle congregazioni maschili e femminili, si è associato a quello della Chiesa diocesana, governata dagli ordinamenti canonici strutturati ormai da duemila anni con le gerarchie di potere associate ai carismi ministeriali (forza storica e forse debolezza corrente).
Frugando fra le carte delle famiglie religiose
Importante per i dati prodotti, ancorché in una essenziale brevità forse anticipatrice – oggi come canovaccio – di mature ed articolate elaborazioni, la relazione “La situazione dei religiosi sardi nei secoli XVIII e XIX” posta in capo alla quarta sezione delle Ricerche che anche comprende, sulla sua scia, la presentazione dell’opera storica di padre Leonardo Pisanu: “I frati minori di Sardegna. La provincia di S. Saturnino martire in Cagliari dal 1639 al 1866”. Uno spaccato più che bisecolare che nella grande storia come in quella regionale sembra accogliere i momenti di miglior sviluppo e risultato – in quanto a radicamenti territoriali ed in quanto ad efficacia della pastorale illuminata anche dalla testimonianza di vita di molti “fratelli” – ed i momenti di insuccesso e perfino di privazioni capitali da parte della legislazione laica ormai affermatasi in capo allo stato nazionale liberale.
La carrellata tematica proposta da padre Pisanu nei suoi lavori e ben colta da Cabizzosu recensore (in una conferenza tenuta a Sindia nel 2013) della sua fatica – sono stati 3 volumi e quattro tomi quelli di specifica segnalazione ma complessivamente la produzione dello storico francescano è articolata in ben 13 volumi e 14 tomi – entra anch’essa nella sezione “Santità e servizio agli ultimi nell’opera dei religiosi/e”. Né basta questo a dire adesso delle attenzioni del Nostro sul mondo dei religiosi: ché anche nella successiva sezione “Prefazioni, presentazioni, interviste” uomini e donne di carisma congregazionale sono proposti traendone lo spunto dalle occasioni più varie: per madre Placida Oggiano, missionaria figlia di Gesù Crocifisso (la congregazione fondata da padre Salvatore Vico), dalle circolari del sessennio 2007-2013 riunite in volume; per madre Adèle Garnier, fondatrice delle Adoratrici del Sacro Cuore di Gesù di Montmatre, dal volume biografico preparato da don Gianmario Piga sulla base di ben 1.500 unità dell’epistolario della religiosa.
Dal novero non vorrei però omettere anche il contributo di consenso offerto ad una breve ma deliziosa biografia scritta tutta con “intelletto d’amore” dal francescano padre Giuseppe Simula di fra Piero Casu, «amabile figura» di fratello laico dei minori conventuali, che ebbe ad Oristano ed Iglesias il più delle sue relazioni religiose e morì prematuramente, neppure cinquantenne, negli anni ’90 del Novecento. Al di là – ed è certamente sempre il più – della virtù personale del religioso laico – o del laico religioso? – mi piace rilevare qui, dalle righe dedicategli da Cabizzosu, il parallelo con uno dei miei “eroi” (e credo “eroe” anche di Cabizzosu), vale a dire il can. Tommaso Muzzetto. Alzò fra Piero il tricolore ad Oristano nel 1974, allorché quel territorio divenne provincia, come aveva alzato il tricolore nel 1870 – in quel santo 20 Settembre 1870 – il canonico tempiese, che già aveva subito i fulmini della pagana curia romana…
Impossibile segnalare tutto, ma certamente – a gusto di chi scrive – una menzione meritano ancora gli interventi di presentazione o prefatori di almeno due altri libri dell’alta pila delle novità che hai costruito nella tua biblioteca: per Preghiere di un cappellano militare in Afghanistan, dello stesso don Piga sopra citato, e per I semi della pace nel cielo della poesia, a firma doppia Pinuccio Sciola e Massimiliano Messina.
Concludo. Ricerche socio-religiose sulla Chiesa sarda tra ’800 e ’900, pubblicato da Carlo Delfino nel giugno di questo stesso 2021, vale, con la cinquantina dei suoi paragrafi testuali, un breviario: una lettura al giorno è la santa posologia, la misura quotidiana dell’investimento. Due mesi volano in fretta. E però, se lo avrai letto tutto questo volumone, dalla prima pagina alla 589.a che è l’ultima, ti accorgerai di aver fatto una bella immersione certo nei fatti, certo nei territori, certo nei tempi, ma più ancora nell’anima profonda di chi, precorrendo tempi e territori, ci ha anticipato nei nostri percorsi di vita, nella nostra ricerca, nei nostri provvisori approdi. Ed è cosa assolutamente consolante: hai sposato la Sardegna sociale, quella storica, ai valori universali – oltre i paralleli e oltre i meridiani – della fede e della umanità. E troverai un posto anche per te nel grande e composito mosaico ideale e comunitario.
Rileggendo (per la correzione delle bozze) questo mio articolo interrogo me stesso circa le conclusioni che ho formulato. E mi viene in mente, e nel cuore, una conclusione diversa, forse opposta… Confesso il travaglio della mia coscienza. Mi vien però da mettere nero su bianco anche queste altre considerazioni, che vanno in strana dialettica con le precedenti.
Sostengo questo anche con qualche fatica, avvertendo come, per una sempre più larga quota di società civile, la Chiesa istituzionale, quella del clero e dei sacramenti, stia perdendo sempre più senso, significato ed attrattiva. Sempre più presente, e con formule nuove, nella prossimità sociale con la sua benemerita Caritas (odiabile peraltro per i suoi spot televisivi assolutamente da commedia sconcia), la Chiesa cattolica pare scontare, nella testarda inconsapevolezza dei suoi vescovi – almeno di quelli italiani e certamente di quelli sardi – e di troppi dei suoi presbiteri, un crescente silenziosissimo scisma. Lo vedi plasticamente nella sempre più smunta partecipazione alle liturgie festive e feriali, o in quella dei bambini ai gioiosi corsi del catechismo settimanale. L’evoluzione e perfino il rovesciamento dei paradigmi valoriali – metti in materia di etica familiare e sessuale, metti circa il fine vita, metti circa le domande che la genetica come pure la fisica astronomica va ponendo alla dottrina religiosa assertiva e mitologica – sta separando il popolo, o chiamala opinione civile, dai suoi preti. E il “racconto” quale emerge dalle perfette Ricerche offerteci da Tonino Cabizzosu, seppure sembri illuminare – attraverso l’esperienza di chi, nobilissimo, ci ha preceduto – una strada esistenziale che è quella che noi stiamo ancora percorrendo, pare altresì presentare un mondo che, con i suoi apostoli e le sue virtù, sta esaurendosi, per gran parte è già finito. Lasciando noi nel campo grande delle domande nuove prive di risposta.
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