Commentando l’articolo “A dieci anni dalla morte di Mons. Alberti”, a firma di Lorenzo Sanna
di Gianfranco Murtas
Ha scritto Lorenzo Sanna (@Lorenzsanna su Giornalia) che il nostro arcivescovo era «capace di ricordare ogni viso e di associare ad esso una storia ed un episodio di vita familiare da rievocare con lo stile amabile e lievemente ironico che caratterizzava ogni conversazione con lui». Il riferimento, dato l’autore della nota, è senz’altro al mondo nuorese, e a me pare di trovarne conferma in molti spicchi delle lunghe conversazioni con monsignore. La sua nuoresità, arricchita peraltro dagli innesti casentini delle ascendenze paterne e da quelli delle consolidate esperienze via via maturate ora a Pisa ora Roma – per tre lustri docente alla Lateranense – ora fra Spoleto e Norcia – altri tre lustri, dal 1973 a tutto il 1987, avviati dopo il biennio di tremendo rettorato al seminario regionale trasferito da Cuglieri a Cagliari fra le complicazioni d’ogni genere –, era una nuoresità che la famiglia dei Costa e la scuola (dalle elementari al liceo intitolato al nostro Asproni), la parrocchia (che era quella della cattedrale di Santa Maria della Neve: «la chiesa più bella del mondo» scrisse una volta Vindice Satta) e i gruppi scout avevano alimentato nell’ordinario quotidiano nei lunghi anni della formazione, appunto fino al salto ad Agraria in quel di Pisa – per soddisfare il padre e teoricamente sviluppare la tradizione che partiva, nel servizio competente alla terra, almeno dal nonno – e agli studi di teologia a Roma, fino all’ordinazione presbiterale con straripante affetto curata, nel 1956, da monsignor Giuseppe Melas.
Che storia! L’insegnamento universitario e le funzioni anche amministrative dell’ateneo storicamente detto “del romano pontefice”, la saggistica allora – lungo tutti gli anni ’60 e ’70 – esitata e preziosa anche nei suoi titoli più controversi, come ebbi occasione di qualificarli parlandone con lui stesso, in particolare I vescovi sardi al Concilio Vaticano I, che andava per tesi assertive per me inaccettabili da tutti punti di vista per il sotteso antiRisorgimento. Ma titolo prezioso, necessario, anch’esso, sì troppo piegato al piismo o ,come l’autore stesso onestamente riconosceva, alla… committenza vaticana, nell’anno che peraltro era ancora quasi di esordio della nuova vicenda conciliare, ora sotto papa Paolo, che si apriva a dichiarazioni tanto spesso rovesciate rispetto a quelle del 1869-1870, fra collegialità, ecumenismo e “gaudium et spes”… ma che gusto parlarne!
La prossimità a cardinali e monsignori della mastodontica e collosa Curia vaticana in tutti quegli anni che avevano preceduto e ancora accompagnavano lo sviluppo dei dibattiti in San Pietro, il radicamento formativo nel costume anche culturale oltreché nella prassi canonica della Chiesa pregiovannea, la Chiesa di Pio XII cioè che per tanta radicalità di posizioni dogmatiche esprimeva (in concrete traduzioni pratiche e precettistiche nel vissuto del popolo obbediente e privato dello spirito libero e critico), un certo anche suo personale carattere propenso a trovare collocazioni e conferme nel perenne della storia e delle istituzioni, non potevano dare che i risultati fissati nei centocinquanta articoli dati alle stampe in collaborazioni con testate varie (da L’Osservatore Romano a Palestra del Clero e Amico del Clero) e nei contributi offerti, ancora lungo gli anni ’50 e ’60, ad opere collettive (almeno duecento), od ancora rifluiti, nella distensione dell’elaborato, in una decina di monografie edite dalla Libreria Editrice della Lateranense o dalle Paoline…
Indubbio lo studio, ma non soltanto lo studio, anche la profondità d’esso, e il giudizio che ne derivava e ne deriva, al di là della condivisione di molte conclusioni, era ed è, nel lettore, di piena ammirazione. Sicché è proprio la consapevolezza di questo spessore di dottrina e di cultura a riconoscergli merito: dottrina e cultura, entrando nel fare pubblico di don Ottorino, marcava nei suoi anni attivi, esaltandolo per il (necessario?) contrasto, quel tratto di semplicità e bontà che richiamava, sorprendendocene e ancor più inducendoci ad apprezzarlo ed ammirarlo, il dono naturale dell’empatia di cui egli mai avareggiò. Ripeto: anche nelle distanze ideologiche e politiche, della politica ecclesiastica e di quella civile.
Credo che in lui, nei suoi tempi di preghiera – che sono tempi mistici per tutti quelli che vi s’inoltrano –, fosse convocato sempre il mondo sociale e quello nuorese in specie, l’inovviabile nuorese e costante negli accompagnamenti ora romani ora umbri ora cagliaritani -, mitigando la teologia con l’umanità, o sussumendo questa in quella. Sicché fra i momenti più belli, di riossigenazione domestica, della sua vita di emigrato – per settant’anni emigrato – siano stati i ritorni a Valverde che Lorenzo Sanna richiama giustamente, così come quelle inerpicate sull’Ortobene, sulla montagna del Redentore, a presiedere l’eucarestia popolare, che Lorenzo Sanna pure richiama implicitamente dando onore al vescovo Giovanni Melis Fois che ebbe sempre la generosità di cedere il suo pastorale al fratello che dall’Umbria o da Cagliari doveva/voleva mischiare nel bosco tanto amato, sulla pietra dell’altare, cielo e terra.
Bravo Sanna – giovane e valoroso intellettuale (e professionista) della Nuoro che era stata la centrale dei migliori sardi – a cogliere e rilanciare, nella sobrietà della sua evocazione, quei due tratti di sapientia cordis che, con altri di cui – dopo tanto battagliare con lui, e nel segreto della relazione con lui – l’arcivescovo Alberti mi dette prova eclatante, possono dirsi tessere del mosaico di una personalità d’eccellenza per il vero. Grazie dunque a Lorenzo Sanna “minatore”, scopritore di questa infinita galleria di perle… Egli ha frequentato da piccolo il nostro arcivescovo nei passeggi nuoresi, è stato ancor più intensamente vicino a monsignor vicario Pietro Maria Marcello che nella sua lunga vita ha rappresentato e insegnato, a Nuoro, virtù e cultura. Nei tempi della sua adolescenza, ora sono già quasi vent’anni – molti e pochi insieme –, ha collaborato, Sanna, a un progetto di rinnovamento della politica che portasse nel pubblico dibattito e nelle istituzioni rappresentative il meglio della sensibilità di un certo laicato cattolico attento ai “segni dei tempi” e franco da ogni pur remoto condizionamento clericale. Per questo, o anche per questo, mi è parso bello ora associare il vecchio seminatore, anzi i vecchi seminatori, e il giovane mietitore (o dillo mietitore-minatore).
***
Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).
Fonte: Gianfranco Murtas
Autore:
Gianfranco Murtas
ARTICOLO GRATUITO
RIPRODUZIONE RISERVATA ©
Devi accedere per poter commentare.