Con la dignità delle minoranze orgogliose, fra gli uomini della prima Repubblica e prima Regione. Celestino Badas militante e Roberto Binaghi “prestato” ai repubblicani
di Gianfranco Murtas
Nostalgia di prima repubblica, si dice; nostalgia forse non di Craxi e De Mita, di Forlani e del misterioso (e inquietante) Andreotti e di molti, troppi gregari fatti generali d’improvviso per pacchetto di tessere congressuali… uomini forti della stagione già colpevolmente crepuscolare, no, non di loro, nostalgia dei padri della patria conosciuti o studiati, e non necessariamente avvertiti della propria parte, taluno anzi distante: Fanfani e Saragat, La Malfa e Nenni, De Martino e Malagodi, Berlinguer e Moro... Rimosso Pannella, sgangherato e inviso a tutti (perfino insopportabile) e pur tante volte profeta e testimone credente delle cause sante, erano comunque numerosi i leader ai quali era lecito guardare con rispetto. Anche fra i sardi, a partire da Crespellani e i due Corrias, Alfredo ed Efisio, fino a Giuseppe Masia e Giovanni Del Rio, Paolo Dettori e Pietro Soddu fra i democristiani per bene, e da Peppino Tocco e Anton Francesco Branca, Sebastiano Dessanay e Antonio Catte fra i socialisti, Armando Congiu e Umberto Cardia, Luigi Pirastu e Andrea Raggio fra i comunisti, Francesco Cocco Ortu e Rafaele Sanna Randaccio, Alessandro Ghinami e Salvatore Cottoni fra i liberali e i socialdemocratici, Josto Biggio nelle destre e Anselmo Contu e Giovanni Battista Melis, Giangiorgio Casu e Pietro e Mario Melis, Piero Soggiu ed Emilio Lussu – lui sempre fra Cagliari e Roma – fra i sardisti e/o i sardo-socialisti… nomi protagonisti della storia politica negli anni di esordio e rinforzo della autonomia speciale che ha rango costituzionale. Così anche nel sistema delle municipalità, fra i sindaci e i presidenti di provincia, così anche nella deputazione nazionale s’intende, naturalmente scremando, si pensi a Salvatore Mannironi e Pietro Mastino, a Luigi Oggiano e Antonio Segni, a Renzo Laconi e Antonio Maxia, a Mario Berlinguer e Francesco Murgia, a Velio Spano e Antonio Monni, a Gonario Pinna e Francesco Cossiga…
Io pure sento nostalgia di un’epoca conosciuta, almeno nelle prime coordinate ideali, già da piccolo e goloso lettore dei quotidiani in casa, poi da militante, pur discontinuo, fra i repubblicani che nel 1971 avevano accolto fra di loro i sardisti usciti dal proprio partito che s’avviava alla svolta nazionalitaria e indipendentista del ventennio successivo (per approdare, dopo ancora, al becero leghismo panpadano o pannazionale a seconda delle stagioni e nel rovesciamento dei convincimenti). Armando Corona era allora, con Peppino Puligheddu a Nuoro e Nino Ruju a Sassari, il leader elettorale del campo frazionista, e nientemeno che Pietro Mastino era l’ispiratore morale e il garante di un’operazione che covava un potenziale di altissima nobiltà politica (ma che non sempre, nel tempo avvenire, gli uomini chiamati a tradurlo in opere hanno saputo valutare e materializzare per il bene di tutti).
Ciò avveniva – mi riferisco alla confluenza dei sardisti in casa repubblicana che idealmente era la loro già dal 1921 e consolidata ancora nel 1924-25 in autodifesa dal montante fascismo, e polarizzata in Giustizia e libertà negli anni della dittatura, e rinnovata ancora nei turni elettorali ad iniziare da quelli per l’assemblea costituente e per il primo Consiglio regionale (1946 e 1949 rispettivamente) – in un momento in cui marciava la politica della Rinascita, invero più fra delusioni che fra soddisfazioni, e comunque all’interno di una elaborazione che la segreteria nazionale di Ugo La Malfa aveva proposto alla scena politica nazionale come originale contributo repubblicano: si trattava di combinare il regionalismo che nel 1970 aveva preso carne e sangue in ritardato adempimento del dettato costituzionale (quindici regioni a statuto ordinario da affiancare alle cinque storiche a statuto speciale) alla politica di programmazione economica volta a superare, in primis, gli squilibri territoriali fra nord e sud.
Era un pensare in grande, progettuale, combinando in armonia economia ed istituzioni. Il PRI sardo che pur poteva vantare di strettamente suo non più di 3-4mila voti (tanti se ne contarono alle politiche del 1948 e a quelle del 1953 e ancora nel 1958) veniva da ascendenze purissime: veniva dalla testimonianza di Efisio Tola, l’ufficiale sassarese freddato dai fucili Savoia perché complice della Giovine Italia, veniva dai lasciti culturali e politici di Giorgio Asproni, di Giovanni Battista Tuveri, di Pietro Paolo Siotto Elias, di Gavino Soro Pirino, insomma dagli anticipatori delle campagne democratiche in un’Italia che, nel postrisorgimento, si governava con gli strumenti di un liberalismo notabilare e autoritario: a questi ultimi la democrazia sarda, assolutamente minoritaria, opponeva i suoi giornali esposti ai puntuali censori sequestri della magistratura, opponeva le sue società operaie di mutuo soccorso che cercavano spazio in un tessuto legislativo ancora lontano dalle progettazioni dello stato sociale di diritto…
Quel pugno di mazziniani godevano della loro alterità morale e ideologica e ancora fino al secondo dopoguerra ed agli anni ’50 e ’60 si presentavano sparsi, giusto a macchie di leopardo, sul territorio regionale: in prevalenza a Sassari, riuniti attorno alla figura prestigiosa di Michele Saba (tre volte galeotto per antifascismo), o nell’Olbiese con i Bardanzellu od a La Maddalena nella corte affettiva e civile di Clelia Garibaldi, o ancora a Porto Torres ed Alghero e più giù magari nel Nuorese dove (perduto ormai Gonario Pinna) primeggiava l’arte di Giovanni Ciusa Romagna prestata ai manifesti dell’Edera affissi nella campagna referendaria, e anche nel bacino minerario di Iglesias e Carbonia, ed a Cagliari in uno strano cenacolo di anziani postbacareddiani mixati ad adolescenti di belle speranze, così come erano stati, prima della dittatura, 18-20enni, Silvio Mastio e Cesare Pintus…
Quando fra il 1965 ed il 1966, contestualmente al ritrovamento prodigioso, da parte di Bruno Josto Anedda giornalista e fidatissimo collaboratore della facoltà di Scienze Politiche di Cagliari, del monumentale inedito diario politico di Giorgio Asproni –coincidente con l’assunzione a Roma della segreteria politica da parte di Ugo La Malfa con tutti i suoi suggestivi e temuti rigori azionisti – da diversi fronti giungono al PRI alleato dei sardisti adesioni da fronti diversi, si comincia a pensare di emancipare il partito “prima tutto mazziniano” dandogli un profilo moderno di taglio riformatore. Consensi vengono da aree sindacali a Sassari e da aree scolastiche e professionali ad Olbia ed Alghero, così da sedi accademiche soprattutto a Cagliari… Per un lustro intero, nella seconda parte degli anni ’60 cioè, mentre prosegue ma poi entra in crisi il sodalizio con il Partito Sardo d’Azione (insidiato dal verbo nazionalitario intanto depositato da Antonio Simon Mossa), il PRI che passa dalla sua minorità ad una adolescenza e giovinezza che imposta il suo futuro s’affida in buona misura ad una nuova dirigenza che a Mazzini e Cattaneo, ad Asproni e Tuveri è giunta più per studi che per pregressa sequela. Il gusto maggiore è forse nelle sintesi che essa si propone di realizzare fra la spinta valoriale di quella certa storia e la responsabilità dell’oggi che richiede savio pragmatismo.
Sicché, combinandosi ovviamente con la dirigenza testimoniale dei vent’anni precedenti – quella degli Alberto Mario Saba e dei Lello Puddu – essa lavora per dotarsi di strumenti organizzativi idonei a configurare un nuovo soggetto sulla scena politica regionale, un soggetto che non sia più il “fratello minore” del Partito Sardo d’Azione, ma un protagonista fra protagonisti e per di più capace di associarsi, senza lasciarsene… fagocitare, a quella corrente che dal PSd’A sta fuoriuscendo forte di una sua consistenza elettorale valutata (invero troppo generosamente) intorno ai 15-20mila consensi.
Certamente uno strumento per dar corpo a questo suo progetto, la nuova dirigenza lo individua, già intorno al 1967-1968, nel periodico Tribuna della Sardegna, di cui è responsabile Bruno Josto Anedda, presto divenuto segretario regionale del PRI.
E’ una storia che diverse volte ho dettagliatamente ricostruito e che qui ho richiamato soltanto per collocarvi l’esordio di militanza di Celestino Badas, dell’ingegnere selargino che nei giorni scorsi abbiamo salutato, lui giunto alla sua ultima stazione di vita. Celestino gran galantuomo, gentile signore, modesto a dispetto della sua cultura e della sua esperienza.
Fu sindaco repubblicano appunto in quegli anni, fra il 1965 ed il 1967 nella sua Selargius e fu fra gli autori e ispiratori politici del piano regolare di cui il suo comune, a vent’anni ormai dalla riconquistata autonomia dalla municipalità di Cagliari, aveva inderogabile necessità.
Giustamente onorandone la memoria, un suo successore – Tonino Melis attualmente presidente del Consiglio comunale selargino – ha colto, della sua personalità, i tratti più salienti: «Uomo di cultura, riservato e molto concreto. Senza tanti giri di parole riusciva a dimostrare la sua competenza con i fatti, lo conferma la decisione di proporre il primo piano regolatore della città, una battaglia che creò divisioni e non poche contestazioni tanto che venne approvato poi nella consiliatura successiva. Ma di fatto è stato lui il padre di quel piano, il primo strumento di pianificazione urbanistica di Selargius».
E ancora: «Durante il suo mandato è stato costruito il palazzo comunale, la parte vecchia che dà su piazza Cellarium, sino ad allora venivano usate sedi in affitto…».
S’era laureato nell’anno accademico 1959-60 con una tesi sul “Calcolo di una struttura in cemento armato, con copertura a shed, per fabbricato industriale”. A solida preparazione aveva fatto seguito una professionalità … di largo mercato: al suo studio tecnico si ricorse, negli anni, non soltanto da Selargius o soltanto dall’hinterland, ma anche dal capoluogo e dall’intera provincia. Valeva il professionista e garantiva l’uomo.
Già con quelle caratteristiche, poco più che trentenne gli capitò, appunto all’inizio del 1965, la sindacatura del suo paese, ed egli onorò l’ufficio al suo meglio.
Qualcosa di quella stagione amministrativa la rievocò egli stesso riproponendo, ora come testimone ora come attore principale, le vicende paesane in occasione del conferimento della onorificenza “città di Selargius 1997” alla memoria dell’avv. Lazzaro Gallus, primo sindaco dell’autonomia amministrativa nel 1947. (Dirò sul punto che ricordo io stesso un lungo incontro personale con l’avv. Gallus, il quale volle dirmi di come e quando egli, socialista, ebbe la ventura di assumere la guida comunale e di come e quando seppe conciliare quella esperienza, che lo vedeva giovanissimo, con l’altra d’ordine professionale – quella forense cui esordì proprio allora, di ritorno dalla guerra, e l’altra ancora, di natura associativa, di artiere della loggia massonica di rito scozzese intitolata Mazzini Garibaldi, con sede in Cagliari nella via Macomer).
Ecco dunque le parole pronunciate da Celestino Badas in consiglio comunale il 22 dicembre 1997:
Con la mia testimonianza vorrei ripercorrere le vicende che hanno caratterizzato il percorso dell'Amministrazione che ho avuto l'onore di guidare, osservando, prima di tutto, che la competizione elettorale tra i cittadini del Comune di Selargius, per quanto mi è dato di conoscere, già dalla seconda metà del secolo scorso e soprattutto dopo la riconquistata autonomia del 1947 è stata sempre molto agguerrita. Alle elezioni comunali dell'autunno 1964 oltre alle tradizionali forze politiche, che nei diciassette anni precedenti si erano contese la supremazia per la direzione del governo del paese, Democrazia Cristiana e i Partiti della Sinistra, si presentò un nuovo raggruppamento denominato Concentrazione Democratica. La lista di Concentrazione Democratica, nel cui simbolo erano sintetizzate le origini di appartenenza della maggior parte dei candidati, scaturì dall'accordo di quattro Partiti di ispirazione laica: il Partito Socialista Italiano, il Partito Socialista Democratico Italiano, il Partito Sardo d'Azione ed il Partito Repubblicano Italiano con lo scopo di avviare a soluzione i problemi del paese che le Amministrazioni precedenti non avevano risolto. Un gruppo di giovani, in sintonia con i redattori del periodico locale "La voce", si fece carico di elaborare il programma da presentare ai cittadini. Esso sinteticamente comprendeva:
1. l'approvazione immediata del Piano Regolatore generale;
2. il completamento degli edifici scolastici e la creazione di adeguate strutture sportive;
3. l'impegno, nel quadro della programmazione economica regionale e nazionale, a favorire l'accorpamento dei fondi agricoli;
4. la revisione della imposte di famiglia per ottenere una ripartizione più equa del carico fiscale sui cittadini;
5. la realizzazione di una Biblioteca Comunale;
6. la costituzione della Consulta Giovanile;
7. la creazione di altre attività intese a sollecitare una più fattiva partecipazione della cittadinanza alla vita pubblica;
Intorno a questo programma, completato con le proposte del partito Comunista Italiano, del Partito Socialista di Unità Proletaria, di partecipare con le Amministrazioni interessate alla pubblicizzazione dei trasporti tranviari, filotranviari; di potenziare gli interventi assistenziali attraverso l'Ente Comunale di Assistenza e di procedere al risanamento igienico del centro abitato, si coagulò una Maggioranza per quei tempi anomala data la sua composizione, che il 17 gennaio 1965, in Consiglio Comunale, votò a favore dell'elezione del Sindaco e della Giunta. L'esecutivo, composto dal Sindaco Repubblicano eletto nella lista di Concentrazione Democratica e degli Assessori del Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista di Unità Proletaria, nonostante la dura opposizione della Democrazia Cristiana, il 19 agosto 1965, dopo sette mesi di insediamento, portò in Consiglio Comunale il progetto del Piano Regolatore Generale. Il Piano fu adottato il 25 settembre 1965, circa cento anni dopo la redazione del Piano Regolatore del Villaggio di Selargius, che fu approvato negli anni immediatamente successivi all'Unità d'Italia, dal Consiglio Comunale di cui era Sindaco Serafino Caput. Devo dire che questo Piano Regolatore del Villaggio di Selargius fu uno dei primi in Italia ad essere approvato, così come il Piano di Selargius fu uno dei primi in Sardegna dopo l'autonomia ad essere approvato e questo mi fa dire che Selargius ha un'antica e radicata tradizione urbanistica. Di quel Piano, del Villaggio di Selargius, resta solo un frammento grafico essendo sparite dall'Archivio Comunale in questi anni, la delibera di approvazione ed il regolamento di attuazione. L'approvazione del Piano Regolatore Generale del 1965 fu un atto fondamentale per la tutela ed il governo del nostro Comune che avrebbe potuto avere uno sviluppo più equilibrato se il Piano avesse mantenuto nel tempo l'impostazione originaria. La Giunta Municipale, nonostante i contrasti sorti con gli alleati del PSIUP, per merito della competenza, del lavoro appassionato e disinteressato degli Assessori e dei Consiglieri della maggioranza, negli oltre tre anni in cui rimase in carica, non solo realizzò gran parte del programma approvato del Consiglio, ma si adoperò per dare un assetto organico ai servizi comunali. Predispose diversi regolamenti e tra questi quello per il commercio, localizzò i piani per edilizia economico-popolare e stabilì corretti rapporti di collaborazione tra le Amministrazioni dei Comuni contermini. Per il Sindaco fu un lavoro gravoso ma appagante nella consapevolezza di aver reso un servizio al proprio paese e ai suoi cittadini.
Fu pochi anni dopo la conclusione di quella esperienza, e dunque nei primi anni ’70 che trovai Celestino costantemente presente negli organi direttivi cittadini (di Cagliari, in difetto ancora della sezione selargina) del Partito Repubblicano Italiano, allora con sede in via Sonnino 128. Mi pare fu anche ripetutamente segretario politico della sezione. Ne fui, io ancora ragazzo, affascinato dalla compostezza e signorilità dei modi e della parola, dalla distanza che gli era naturale da ogni esagerazione ed autoreferenzialità, fui colpito dall’interesse e dalla simpatia di evidente sincerità verso il nostro gruppo di giovani – di quei dieci-quindici che quasi ogni sera, dopo la scuola o dopo lo studio a casa, si vedevano per scambiare idee ora mirate ora in libertà ed organizzare attività politica, fra ciclostilati (ordini del giorno e mozioni) e incontri e dibattiti…
Doveva naturalmente calibrare il suo impegno politico sul carico di lavoro professionale che doveva svolgere nel suo studio tecnico selargino, Celestino Badas, e ancora negli anni ’80 si rese più volte disponibile per assumere incarichi di direzione di partito, stavolta a livello regionale. Fu nel 1981 e ancora nel 1984, quando il PRI dal… “pieno” di Corona leader passò alla presa di distanza proprio da chi, giusto in quel lasso temporale, aveva maturato la propria decisione di lasciare l’impegno politico diretto per privilegiare quello massonico, come gran maestro di Palazzo Giustiniani.
In un lungo lavoro che è ancora per gran parte inedito ho ricostruito quei passaggi che propongo qui (sia pure per limitati stralci temporali e senza note) anche come omaggio ideale all’amico Celestino perduto alla umana consuetudine, ma presente sempre nel mio mondo morale. Omaggio alla sua memoria e omaggio anche alla memoria del Partito Repubblicano Italiano che, pur fra tante cadute di uomini negli anni in cui… troppo emancipandosi dall’antica minorità non ha saputo gestire la sua conquistata opulenza, non ha comunque mai soffocato del tutto la sua necessaria originalità. E certo sarebbe necessario che noi, che siamo i superstiti di una lontana stagione di vita pubblica, mettessimo insieme quanto abbiamo raccolto nei nostri archivi personali, così da costituire un centro unitario di documentazione: da Mazzini a La Malfa a Spadolini.
Pagine di storia repubblicana sarda, 1981
Inizialmente fissato per la fine di marzo 1981 e slittato, per la complessità del momento politico, fino all’11 e 12 aprile, il congresso si concentra sulle rilevanti novità intervenute nel quadro regionale: le dimissioni di Armando Corona dalla presidenza del Consiglio regionale, il subentro nella carica da parte dell’on. Ghinami, ex presidente della giunta DC-PSI-PSDI che ha aperto la legislatura (e fino al cambio di maggioranza che ha confinato la DC, per la prima volta, all’opposizione). Ad esso partecipa anche il segretario nazionale Spadolini, accolto con un’ovazione nella sala dell’albergo CAMA: per lui si tratta di una più intensa immersione non soltanto all’interno della “questione sarda” per come è vissuta e trattata dalla militanza regionale ma anche della umanità, sensibilità sociale e politica dei repubblicani dell’Isola.
I delegati si riuniscono ad Oristano e tiene la relazione politica il segretario Nino Ruju. Si tratta di una relazione di grande respiro, culturale e politico insieme, che rivendica le ascendenze ideali repubblicane sarde riportate ad Asproni e Tuveri e allo stesso Garibaldi deputato ozierese e cittadino di Caprera. Non a caso il titolo assegnato al congresso è stavolta “Il movimento repubblicano in Sardegna dal Risorgimento, per una nuova stagione dell’Autonomia”.
Ruju cerca di strappare la questione identitaria dalle polemiche contingenti e insieme dalle fumisterie dottrinarie che paiono confonderne il profilo: «Il tema della lingua sarda affrontato in termini di bilinguismo rimane il confine inaccettabile, per quanti come noi ritengono inadeguato ed improprio il mezzo “lingua” al conseguimento di quella pari dignità politica con il resto del paese che è il vero nocciolo della questione sarda… Poiché l’art. 6 della Costituzione tutela le minoranze linguistiche, tale norma deve essere applicata alla Sardegna. Del resto alcune regioni anche a statuto ordinario, prevedono specificamente la tutela delle minoranze etnico-linguistiche. Si tratta quindi di adeguare la legislazione ordinaria alle disposizioni della Costituzione. Ciò è altra cosa da un regime di bilinguismo totale che nella pratica oltretutto non è realizzabile data la mancanza di una lingua sarda standard. Sono invece da realizzarsi iniziative per l’utilizzo delle varietà sarde nelle scuole elementari con l’intento di un ampliamento delle conoscenze linguistiche dei bambini. Così come deve essere garantito a tutti i cittadini di esprimersi nel modo per loro più semplice nei rapporti non scritti con la pubblica amministrazione».
Entrando nelle questioni istituzioni tratta, il segretario, del cosiddetto “governo dei tecnici” da molti «messo alla gogna» (anche se poi – dice polemicamente – «che di governo non si riesca a farne, che se fatti non governino, o se governano discriminino, ai padri della democrazia non interessa») e lo ipotizza nella Regione atteso che lo Statuto ne darebbe la possibilità. Tratta quindi, con ampiezza e profondità, della riforma della specialità dell’autonomia sarda: «la mia proposta – afferma – è che venga rivendicato a cominciare dal partito in Sardegna una maggiore autonomia. Maggiore autonomia nelle decisioni politiche, ma anche maggiore autonomia nei suoi modelli organizzativi interni, e maggiore peso sul versante delle decisioni del partito a livello nazionale». Intrecciando una rettifica delle modalità della rappresentanza di partito con quella trasformazione da delineare nelle architetture della specialità regionale, egli sembra voler marcare la responsabilità pubblica lì dei dirigenti verso il servizio della politica, qui della istituzione dell’autonomia verso l’interesse generale della patria comune, che tutti include e nessuno aggiunge.
Naturalmente la parte principale della lunga relazione di Ruju riguarda l’economia e il lavoro, di cui cerca di individuare i punti critici e qualche linea d’attacco. Trattando della occupazione (e, con essa, della formazione professionale) e dei settori trainanti o suscettivi di maggior sviluppo, come il turismo, ma altresì degli spazi della intermediazione bancaria, guarda all’intero sistema e alle sue dinamiche. Dice fra l’altro: «concordo pienamente con le tesi del prof. Savona che propongono un’economia sarda “destinazione export” con tutto ciò che ne consegue, convinto che l’agro-alimentare legato alla esportazione interna e cioè al turismo sarà la nuova frontiera per l’agricoltura sarda». Da questo punto di vista, importanza di primo piano riveste il comparto energetico: «Convinti d’essere esportatori di energia verso la terraferma, ci siamo scoperti di recente importatori e per buona parte dipendenti dagli autoproduttori di aziende in crisi. Certa moda ecologica dopo aver, se non sconfitto, certamente arrestato la marcia dell’elettronucleare pesta i calli al carbone, dopo aver ritardato con la vicenda della centrale di Fiumesanto l’entrata in funzione di un produttore a combustibile tradizionale. L’asse portante della politica energetica è vero dovrà essere il carbone, ma a condizione che si faccia presto e non sembra ciò sia possibile. Si ha l’impressione che anche per il carbone non mancheranno gli oppositori anche perché non manca inquinamento in questi processi. Non vorremmo dare per acquisito che prima viene la protesta e poi la ragione per la quale essa si manifesta. Attenti, quindi, a non assecondare all’infinito i sofisticati giochi di molti attori in cerca di proscenio. La preferenza per il nucleare da parte degli industriali sardi va visto come un grido d’allarme responsabile che deve trovare comunque risposta. Ma è chiaro che bisognerà impegnare la Sardegna nelle energie cosiddette rinnovabili: vento, sole, biomasse ecc. il tutto prima di ogni cosa con la predisposizione del piano energico regionale e quindi la partecipazione puntuale e determinata alla definizione del piano energetico nazionale, proponendo la Sardegna come un vero e proprio laboratorio per studi ed esperimenti in questo campo e quindi con il varo di una legislazione che favorisca effettivamente la nascita e la diffusione di una cultura cosiddetta del risparmio energetico all’interno della quale l’utilizzazione delle fonti naturali vanno a collocarsi».
Non meno approfondita è la parte riguardante la relazione istituzionale fra politica e azione sindacale, e in essa gli spazi professionali rivendicati dai quadri intermedi, dei quali i repubblicani amano farsi, in qualche modo, rappresentanti. Idem la parte istituzionale riguardante il riordino delle autonomie infraregionali (l’ente intermedio) e, naturalmente, le relazioni del PRI con l’intero schieramento parlamentare, a cominciare dalle forze elettoralmente più rappresentative. Nel novero anche i sardisti, per i quali è alle viste un rilancio destinato però a rivelarsi passeggero (compiendosi tutto all’interno di un decennio) e programmaticamente deludente.
Il dibattito (cui intervengono ben 38 delegati, fra i quali, particolarmente applaudito, è Bruno Fadda che ha molto insistito sulla bontà di una legislazione pro-bilinguismo) colloca l’ampia maggioranza dei votanti fra i sostenitori della linea del segretario (ora battezzata linea Corona-Ruju), e la minoranza attorno alle tesi Puddu-Fadda. Peraltro entrambe le mozioni andate ai voti presentano un giudizio di riserva sulla giunta uscente, la prima a presidenza Rais, che appare irresoluta nell’affrontare i più spinosi problemi dell’Isola ed entrambe, ancorché con accentuazioni diverse, sollecitano una larga intesa fra le forze politiche in chiave emergenziale.
La mozione vincitrice (che raccoglie 3.105 voti contro i 392 di quella alternativa) afferma: «Il PRI rivendica una linea di assoluta autonomia rispetto alla Giunta regionale. Tale autonomia si eserciterà nel costante confronto su problemi e programmi. Il PRI conferma di essere disponibile a far parte di una maggioranza che esprima una giunta di unità autonomistica e, nel caso che essa non sia immediatamente realizzabile, per decisione di uno o più partiti, di una maggioranza che dia vita ad una giunta che abbia un programma ed una composizione tali da dare solide garanzie di muoversi nel quadro dell’unità autonomistica e di operare per rendere possibile al più presto la formazione di una giunta di unità autonomistica. A maggior ragione il PRI è contrario a formule di governo regionale che operino comunque una discriminazione verso uno o più partiti autonomistici, in considerazione sia dell’accentuarsi della crisi, sia degli effettivi rapporti di forza esistenti nel Consiglio regionale». (L’intervento di Spadolini non entra particolarmente nelle questioni di più immediato interesse del partito nell’Isola ma traccia un quadro della evoluzione politica nazionale. Ancora due mesi ed egli sarà chiamato dal presidente Pertini a guidare il governo. Ritornerà in Sardegna, con il presidente della Repubblica, il 2 giugno 1982 per celebrare il centenario garibaldino).
Questi gli eletti alla direzione: Armando Corona, Nino Ruju – confermato alla segreteria –, Marcello Tuveri, Giuseppe Puligheddu, Salvatore Ghirra, Salvator Angelo Razzu, Antonio Masia, Tonino Uras, Mario Pinna, Giovanni Merella, Giannetto Massaiu, Anna Bonfiglio Berri, Gianni Scampuddu, Sebastiano Maccioni, Gabriella Martignetti, Salvatore Piras, Mario Usai, Annico Pau, Ignazio Pau, Edoardo Mallus, Pietro Tronci, Boricheddu Trogu, Ignazio Podda, Nino Mannoni, Bruno Porcu, Roberto Pianta ed Ettore Marletta. Nonché, per la minoranza, Raffaello Puddu, Bruno Fadda e Marco Marini. Anche Celestino Badas è della partita, eletto con la maggioranza,
La rinuncia di Corona alla presidenza del Consiglio regionale riporterà, nel giro di pochi mesi, Nino Ruju, segretario uscente, a Sassari. Saranno allora gli impegni amministrativi in capo alla municipalità ad avere la priorità fra le sue scelte (gli verranno assegnate le funzioni di vice sindaco e di assessore allo sviluppo economico). La proroga della sua segreteria politica mostra affaticamenti imprevisti e crescenti. Il 6 giugno egli presenta le dimissioni dalla carica. Alla origine della sua decisione si dice sia anche una crescente divaricazione politica da Armando Corona (non per caso egli è stato sostituito nella delegazione che tratta per la risoluzione della crisi, a seguito delle dimissioni della giunta Rais di alternativa di sinistra). Accetta infine, aderendo alle fortissime pressioni della direzione (riunitasi ad Oristano il 6 giugno), di soprassedere e così sarà fino al gennaio 1982.
Così nel 1984
Il XVIII congresso regionale si svolge a Quartu, nei saloni dell’hotel Diran, il 3 e 4 marzo 1984, all’insegna di “I repubblicani partito della democrazia partito dell’autonomia”. Le assemblee sezionali hanno appassionato, ma anche logorato, i militanti, appiattendoli inevitabilmente nella conta di una parte – quella di Ghirra e della grande maggioranza della dirigenza uscente, che politicamente vorrebbe caratterizzare il PRI svincolandolo dall’abbraccio di DC o PCI – o dell’altra – quella di Corona e dei suoi amici (informale corrente di “Nuova Autonomia” nella quale si riconoscono, fra gli altri, il segretario provinciale Benito Orgiana e l’economista Gianfranco Sabattini). Alla vigilia dei lavori si profila su una posizione mediana, ancorché largamente minoritaria, l’area che fa riferimento a Bruno Fadda, già consigliere regionale e segretario della sezione di Cagliari.
Una lettura dello stato vitale del partito la offre, alla vigilia dello svolgimento congressuale, il periodico Sassari Sera, fattosi sempre più, in un’apparente terzietà, voce effettiva dell’ala coroniana. Le ragioni profonde dello scontro interno al partito sono ravvisate dal giornale di Pino Careddu nella permanenza di distinzioni fra i portatori di un’istanza autonomista, giunta ad arricchire il partito che era stato di Ugo La Malfa, e i repubblicani definiti, con linguaggio favolistico, «preistorici». Dopo la confluenza del 1971 – a parere di Sassari Sera – «il PRI si è proposto come il referente più autorevole di una tematica che ha difeso la centralità dello statuto speciale come fattore determinante della programmazione e della rinascita economica attraverso la comune direzione politica di tutte le forze operanti nel consiglio regionale. Il fallimento della proposta di una giunta unitaria autonomistica e l’avvento della giunta laica di sinistra, l’uscita dalla scena di Armando Corona e la morte prematura di un teorico di prestigio come Nino Ruiu, ha sconvolto la vita interna del PRI che, per una serie di vicende personali incredibili, ha indotto il partito ad appiattirsi sulle posizioni “metropolitane” dei nuovi leaders alla Spadolini, - questo scrive maliziosamente il periodico sassarese – facendo riaffiorare il rancore rimosso di chi non aveva sopportato un arricchimento del pensiero di La Malfa con quello dei padri fondatori dell’autonomismo sardo».
Si tratta di una lettura delle vicende interne al PRI palesemente partigiana e pregiudiziale perché non tiene conto che la parte prevalente dell’area autonomistica confluita nel 1971 è del tutto coinvolta nella linea ufficiale del partito, che anzi essa gestisce, in prima persona, da anni. La sofferenza repubblicana alla metà degli anni ’80 sembra nascere piuttosto dalla incapacità della dirigenza di proporre un quadro generale di riforme tali da definire il profilo della Regione ad autonomia speciale in rapporto ad uno Stato che, con le sue sedi ed i suoi meccanismi di spesa, merita anch’esso una revisione profonda nella logica di una programmazione perdutasi ormai da tempo in negoziazioni parziali e non coordinate sul vasto territorio nazionale ed affidate oltretutto ad un sistema di Partecipazioni Statali burocratico, inefficiente e in parte perfino corrotto. Insomma, ai ritardi e alla debolezza della politica nazionale, travolta dalle emergenze degli anni ’70 e dei primi anni del decennio successivo – dalle tempeste sia economiche che terroristiche sulla scena mondiale e dalle crescenti problematiche interne (inflazione a due cifre, disoccupazione di massa, obsolescenza industriale, perdite di quote di mercato nell’export, ecc. e, sul fronte dell’ordine pubblico, lo stragismo e il brigatismo) – ha corrisposto una certa episodicità della politica regionale e il PRI non ha saputo esserne la “controtendenza”. In altre parole, la crescente omologazione del pensare e fare politica dei repubblicani sardi (sia di quelli chiamati “preistorici” che di quelli confluiti nel 1971 e di quegli altri accostatisi al partito negli ultimi tre lustri per simpatia verso personalità del valore di Ugo La Malfa o Giovanni Spadolini ed entrati perfino negli organi dirigenti e datisi anche alle candidature amministrative e politiche) non ha offerto al PRI uno spazio di rappresentanza, di analisi e di proposta effettivamente nuovo ed efficace per le necessità sociali dell’Isola. Tale omologazione ha via via interessato anche le modalità della vita interna del partito, retrocedendo questo a schemi anche organizzativi consunti e rinnegando di fatto quella ipotesi di “partito aperto” che era stata lanciata alla fine degli anni ’60 dalle segreterie Anedda e Satta.
Autentica sovrastruttura politica contingente, ad interrogare e schierare i rappresentanti dei circa tremila iscritti sono le pressioni vere o presunte che dall’esterno il vecchio leader Corona (ora Gran Maestro della Massoneria giustinianea) esercita sul partito e, anche per suo tramite, sulla politica isolana. In questo senso sembra eclatante la riforma della legge elettorale penalizzante le formazioni minori che, portata in aula nottetempo e celata in articolati di legge afferenti altre materie, è stata votata allo scadere della VIII legislatura, quasi come… vendetta postuma – si sostiene da più parti – dello stesso Corona con la copertura trasversale dei partiti maggiori, interessati a divorare le spoglie dei minori a rischio.
Sono 250 i delegati chiamati al confronto dialettico e si mischiano fra loro tanti cronisti quanti non se ne sono mai visti alle assemblee repubblicane. I giornali insistono, con strilli e commenti in prima pagina e nella foliazione interna, sulla drammaticità dello scontro. Anche perché si sa che le forze numeriche si equivalgono. Evidentemente, ad interessare la stampa è la singolarità di una situazione che vede un partito squassato – così viene (impropriamente) presentato – dall’intervento della Massoneria.
Incaricato dalla segreteria nazionale, partecipa ai lavori il deputato Antonio Del Pennino, che a Roma dirige proprio l’ufficio degli affari interni del partito. Presenti gli esponenti di pressoché tutti gli altri partiti, dal comunista Alberto Palmas al socialista Marco Cabras, dal democristiano Pinuccio Serra al socialdemocratico Umberto Genovesi. Ognuno vuole capire se il PRI possa essere ancora interlocutore e, in ipotesi, alleato del proprio partito nel prossimo futuro. Ma le atmosfere sembrano prevalere, al congresso, sul merito del confronto tanto programmatico quanto politico lato sensu, circa le coalizioni cui prendere parte, e ciò rimbalza puntualmente anche nei resoconti della cronaca l’indomani. E’ la partita che si gioca soprattutto, nel marzo 1984, con due partiti interni avversari, ciascuno dei quali pensa di poter sussumere la complessità del repubblicanesimo isolano nella propria frazione.
Ghirra, in quanto a scenario generale, prende atto della impossibilità di procedere verso l’obiettivo della unità autonomistica e non si vincola però ad alcuna formula succedanea: valgano i programmi, in linea di massima il PRI potrebbe aderire ad una coalizione di centro-sinistra o pentapartitica, così come ad uno schieramento laico e di sinistra affrancato da dottrinarismi: «Alla DC diciamo che non possiamo fare sempre il pentapartito, anche se è la nostra scelta preferenziale. Non accettiamo gabbie. E lo stesso discorso facciamo al PCI che propone l’alternativa democratica: è un’altra gabbia. Non abbiamo alcuna pregiudiziale, il confronto avverrà sui programmi. Cercheremo di rilanciare il ruolo delle forze laiche e socialiste».
Circa le scelte programmatiche centrale rimane la riforma, avviata e mai conclusa, dell’Amministrazione regionale, un restyling dei suoi organi parlamentari e di governo (anche con la riduzione del numero dei consiglieri), la revisione della spesa in chiave di razionalizzazione, con l’eliminazione dei tanti inutili comitati e la riduzione drastica di USL e comprensori. E riguardo agli enti strumentali indica, il segretario repubblicano, la scelta di amministratori guidata da probità e competenza insieme, fuori da stretti criteri spartitori, ipotizzando anche un comitato di garanti costituito da magistrati ed esponenti degli ordini professionali. Fra le urgenze realizzative indica poi il nuovo piano sanitario regionale, un piano triennale per l’occupazione (tanto più quella giovanile), provvedimenti a sostegno di centri rieducativi e terapeutici impegnati nel recupero dal disagio psichico e dalla droga.
In appoggio al segretario, Marcello Tuveri tratta specificamente della riforma efficientista della Regione e di tutta la rete dell’autonomia territoriale, auspicando un rilancio qualitativo della legislazione contro ogni deriva indipendentista, mentre da Bruno Fadda ed Angelo Rundine vengono riserve, pur diversamente motivate, verso la linea politica del partito che sembrerebbe delegittimata da una insufficiente consultazione della militanza.
A favore della linea Corona, o più ancora ad evidenziare i meriti di una leadership storica, sono Gian Carlo Lucchi, Marco Rombi ed altri. Disagio crescente si avverte fra i delegati, che pur hanno dei mandati già orientati se non vincolati. Rivelano fastidio per lo stato di cose, invitando a una ricomposizione però sulla base di scelte unificanti Franco De Franceschi, Pietro Pischedda, Massimo Deiana esponente della FGR, che non esclude la presentazione di una terza mozione elaborata proprio dai giovani del partito. Per essi parlano anche, nella seconda giornata dei lavori, Franco Turco e Sergio Segneri; nel mezzo di una ventina di altri interventi, fra i quali quelli di Puligheddu, Pau, Sabattini, Bulla, Massaiu («Il leader non l’abbiamo cacciato, se n’è andato per libera scelta, lasciando il partito in una situazione difficile. Ma morto un leader il partito non muore»), ed ancora Puddu, Tarquini, Maccioni che indugia nel rifare la storia delle sofferenze attuali: «Nessun personalismo. Quando abbiamo parlato del caso Corona in direzione era per questioni politiche: il partito voleva recuperare quel seggio del consiglio regionale che Corona non voleva occupare più da quando era diventato gran maestro. Ben due volte gli abbiamo chiesto di rappresentare ugualmente i repubblicani sardi, ha detto di no. Allora gli abbiamo chiesto di lasciare quel mandato a disposizione del partito. Ha rifiutato e la sua risposta ci ha indignato».
L’invito di Del Pennino a calmare le acque, con uno sforzo collettivo di maturità democratica e riportando il senso delle tensioni presenti entro le coordinate politiche nazionali, che vedono il PRI come fattore di stabilità e di promozione programmatica, e le battute conclusive di Salvatore Ghirra, volte ad esortare tutti a non esaurire la carica ideale e politica della militanza in una lotta fronte contro fronte, ripartendo tutti insieme per obiettivi condivisi e d’interesse generale («Qualunque sia il risultato finale la polemica che ci divide deve finire qui») stemperano effettivamente qualche polemica. Si va quindi alla conta. La mozione Ghirra raccoglie il 50,27 per cento dei voti congressuali – fra i quali sono dichiarati quelli della Federazione Giovanile –, mentre quella di “Nuova Autonomia” ne raccoglie il 42. Circa l’8 per cento dei consensi lo cattura la terza mozione presentata dalla sezione di Alghero che forse ha accarezzato l’ambizione di diventare l’ago della bilancia fra le due maggiori correnti.
Positive le reazioni soprattutto degli sconfitti: «Ha vinto il PRI» (Bulla), «Ci siamo scontrati democraticamente, ora pensiamo al partito, che è quello che conta» (Fadda). Ghirra, in una dichiarazione a La Nuova Sardegna commenta: «Da oggi stesso occorre riprendere un’azione unitaria. Anche in questo congresso siamo stati diversi dagli altri, dando un segnale di civiltà e maturità discutendo apertamente dei nostri problemi interni. Quale altro partito è in grado di farlo?». Aggiungendo: «Il PRI non ha rifiutato un capo per trovarne un altro. Ha vinto il partito e saranno i suoi organi a decidere chi dovrà guidarlo. Il congresso ha dimostrato che siamo cresciuti e il dibattito è stato all’altezza del compito. E’ stata tracciata una linea politico-programmatica che cercheremo di approfondire e sviluppare prima delle elezioni. Perché non siamo un partito di schieramento ma di contenuti e dobbiamo presentarci al confronto con le altre forze politiche con un programma ben definito. Il nostro impegno politico è l’omogeneizzazione con la linea nazionale, che attualmente è quella del pentapartito. Ma non accettiamo gabbie E se si pongono esigenze di nuovi equilibri, se il nostro programma si dovesse avvicinare ad un altro schieramento, prenderemmo in seria considerazione anche l’ipotesi di un’alleanza con il PCI».
Dei 31 seggi della direzione regionale, sono 19 (con premio di maggioranza) quelli appannaggio della lista Ghirra. Li conquistano, con lo stesso Ghirra, Celestino Badas – eccolo nuovamente il nostro! –, Anna Bonfiglio Berri, Sebastiano Maccioni, Giannetto Massaiu, Giovanni Merella, Gonario Murgia, Germano Nurchis, Annico Pau (il più votato con 2.564 preferenze), Mario Pinna, Raffaello Puddu, Salvator Angelo Razzu, Angelo Rundine, Alberto Mario Saba, Paolo Sardo, Sergio Segneri, Achille Tarquini, Franco Turco e Marcello Tuveri.
In rappresentanza della minoranza entrano in direzione Sergio Baldussi, Pietro Bulla, Bruno Fadda, Luigi Greco, Gian Carlo Lucchi, Benito Orgiana, Ignazio Podda, Giovanni Scampuddu, Alberto Siddi, Pietro Tronci, Liliana Zara. Solo eletto della terza lista è Dario Angius.
A chiusura del congresso Ghirra e Puddu rilasciano qualche dichiarazione a La Nuova Sardegna: «Sì, il congresso è stata una svolta per il Partito repubblicano in Sardegna. Non è improprio parlare di rifondazione: ora chiusa una fase tormentata, bisogna guardare avanti e correggere quello che c’era di sbagliato» (Ghirra). «Abbiamo superato un ostacolo ingombrante, un vero sbarramento e il partito ha da oggi una nuova immagine, anche per il modo con cui abbiamo discusso i nostri problemi: no alla logica di lavare i panni sporchi in casa, ma con un confronto pubblico, senza reticenze. E’ un fatto importante che la gente ha appezzato. Se lo facessero tutti i partiti la democrazia se ne avvantaggerebbe». «Dobbiamo trovare il mondo, proseguendo il confronto, per raggiungere l’unità sostanziale. Le reazioni dell’altra lista sono state responsabili e positive e fiducia mi danno i giovani la cui preparazione politica è stata premiata al congresso» (Puddu).
Dell’ingegnere Binaghi assessore tecnico
La storia professionale di Roberto Binaghi è fin troppo nota per essere riesposta qui. Opportunamente la stampa ne ha ricordato, recentemente, celebrandolo nella triste occasione della scomparsa, anche il profilo sportivo e tutto, bisognerebbe dire così, è tornato ad onore di un cagliaritano che ha amato la sua terra offrendo quanto di meglio la sua competenza umana e tecnica poteva indirizzare allo sviluppo pubblico, tanto più in campo di savia amministrazione delle infrastrutture.
Io lo conobbi nel quadro delle ricerche biografiche sulla sua famiglia (fra il nonno Roberto – nel novero dei fondatori del Partito Radicale a Cagliari nel 1904, esponente di spicco della loggia Sigismondo Arquer nei primi vent’anni del Novecento, preside di Medicina e per sedici anni rettore dell’università, il chirurgo che assisté nel suo ultimo tratto di vita il sindaco Ottone Bacaredda – ed il padre Angelo, ingegnere, e lo zio Giulio cardiologo e caposcuola nella sanità pubblica per lunghi anni dal secondo dopoguerra). Famiglia affascinante che veniva da Tomaso, un garibaldino originario del Varesotto il quale aveva sposato nell’Isola una Nobilioni ed assunto alcune gestioni esattoriali. Morì giovane, Tomaso, nel 1880, lasciando con la vedova quattro figli, di cui Roberto, adolescente, era il maggiore. Se ne potrebbe fare un film della saga dei Binaghi sardi…
Da una intervista di Roberto jr. rilasciata a Giuseppe Marci per La Nuova Sardegna dell’aprile 1987 traggo questa battuta:
Vorrei ricordare il ruolo che nella nostra formazione hanno avuto le donne della famiglia, mia madre (Ida Leone) in primo luogo. Il fatto che la loro esistenza sia per lo più trascorsa tra le mura domestiche non deve farci sottovalutare il contributo che hanno dato alla nostra crescita.
Da Tomaso quattro figli, dal maggiore di questi – Roberto chirurgo, professore e rettore – quattro a sua volta, dal secondo di questi – Angelo ingegnere libero professionista e docente di disegno nella facoltà di Ingegneria (autore del progetto della legione dei Carabinieri e del palazzo delle Scienze fra il molto altro) – altri cinque: di essi è Roberto jr. il maggiore, classe 1929, ingegnere anche lui, una bella carriera nell’Ente Autonomo del Flumendosa fino all’ufficio di direttore generale.
Tale era, Roberto, quando nel 1975 assunse la presidenza dell’Ente il repubblicano Lello Puddu. L’intesa collaborativa fra i due fu perfetta e quando, un decennio dopo – lasciata ormai da tempo la presidenza Puddu, e pensionatosi Binaghi andato alla libera professione –, il PRI chiese all’ingegnere di poterlo indicare al presidente della Regione Mario Melis, che nell’estate 1985 stava formando la sua seconda giunta a maggioranza di sinistra, come assessore tecnico in quota repubblicana, la risposta fu affermativa.
Dirà, l’ingegnere, essersi trattato di una esperienza assai positiva, quella alla guida dell’assessorato ai Lavori Pubblici. Una esperienza durata giusto due anni, fino all’agosto 1987.
Fu proprio sul finire di quel mandato che, rispondendo ad una domanda di Marci, egli così commentò l’inaspettata avventura toccatagli e da lui affrontata con spirito di servizio:
Ho avuto la possibilità di lavorare nella penisola e all’estero, ma l’amore per la Sardegna ha sempre prevalso… Quando ho accettato di fare l’assessore, molti si sono chiesti quanto avrei resistito. In realtà è stata un’esperienza molto interessante e credo abbastanza proficua grazie ai rapporti estremamente cordiali con il Presidente e con i colleghi di giunta e grazie alla professionalità dei funzionari… Circola una visione distorta che calca l’accento sugli aspetti meno brillanti e positivi dell’uomo politico: in realtà il politico è solo più esposto, più facilmente criticabile…
I tormenti del PRI isolano al tempo della seconda giunta Melis
Ecco a seguire la ricostruzione che ho cercato di compiere delle vicende repubblicane in Sardegna al tempo in cui, dopo la vittoria elettorale del PSd’A (sì indipendentista, ma… raffreddato nei suoi antistorici furori dogmatici dalla sapienza politica di Mario Melis), i partiti laici e della sinistra tentarono un accordo per la guida della Regione. Dimessosi il primo esecutivo a forte caratura tecnica presieduto dallo stesso on. Melis, in vista del varo della nuova giunta venne coinvolto anche il Partito Repubblicano, peraltro piuttosto perplesso circa la consistenza e coerenza del nuovo quadro politico…
Svoltosi il 9 e 10 giugno il referendum sul taglio dei punti di scala mobile e riportata sui binari dell’ordinario la dialettica politica, la direzione regionale del partito, convocata il 14 dello stesso giugno ad Oristano, formalizza la disponibilità del partito a partecipare all’allargamento della maggioranza politica alla Regione. Si precisa peraltro che l’on. Melis potrebbe presiedere una «nuova giunta», libera però da ipoteche di parte (la cosiddetta «centralità sardista») ed impegnata a dare maggior concretezza ad una attività che è sembrata finora più dichiarata che provata. Il giudizio dei repubblicani verso la prima giunta Melis resta infatti di grave perplessità, ma pur si scorgono i margini per un recupero di fattività, evitando lo spreco della legislatura.
I propositi della direzione regionale, pur se manifestati in forma assolutamente prudente, incontrano però riserve da parte della segreteria Spadolini tesa a difendere il quadro nazionale del pentapartito, e comunque a non esporre il PRI ad accuse di incoerenza con gli impegni assunti anche con la Democrazia Cristiana, che pur rimane il partito di maggioranza relativa. La Voce Repubblicana si esprime in termini inequivoci: «Siamo nettamente contrari all’ingresso delle forze laiche e, per quanto ci riguarda, dei repubblicani nella Giunta regionale di Melis, entrata in crisi di rinnovata gestione».
Le intervenute dimissioni dell’esecutivo, a dieci mesi dal suo varo, impongono tempi rapidi di soluzione della crisi ed il PRI non può essere un elemento “ritardante”. Il capogruppo Catte giudica «incauta ed inopportuna» la nota del giornale del partito, affermando che i repubblicani decideranno autonomamente cosa fare. A decidere sarà la direzione regionale già convocata per il 26 luglio, «ci muoveremo – aggiunge – pur rispettando le esigenze nazionali del partito, sulla base degli interessi della Sardegna».
Il dibattito all’interno della direzione si rivela, al dunque, assai complesso, dovendosi bilanciare esigenze diverse e talora opposte. Il segretario Ghirra si esprime favorevolmente all’ingresso in maggioranza, ma non anche nell’esecutivo; altri sostengono, per ragioni di coerenza, la scelta di campo piena a favore di una partecipazione responsabile con funzioni di amministrazione. Un punto di mediazione si trova infine lasciando in una indeterminatezza la modalità della partecipazione, mentre si insiste sulla necessità di una preventiva piena concordanza programmatica. Dice il documento: «nella trattativa sono maturati elementi di convergenza politica e programmatica tali da consentire al PRI di valutare positivamente il lavoro svolto; permane tuttavia l’esigenza di ulteriori approfondimenti sul terreno delle iniziative straordinarie per l’occupazione e la ripresa economica, la riforma della Regione, il riassetto degli enti strumentali al di fuori di ogni prospettiva spartitoria, il superamento dell’attuale legge elettorale, iniqua e antidemocratica, la pari dignità delle forze politiche che concorrono alla formazione della maggioranza. Garantito su questi irrinunciabili aspetti di linea politica e di programma, il PRI è pronto ad assicurare il suo sostegno aperto e leale alla costituenda coalizione e ad assumere eventuali responsabilità di governo.
L’intesa programmatica, grazie agli approfondimenti cui tutti i partiti concorrono, viene trovata tranne che, almeno per la tempistica, circa la riforma della legge elettorale, ed il PRI si lega a questo specifico punto per non darsi ad una partecipazione, altro che con un tecnico di fiducia ed a termine, alla giunta. Si ipotizza così per il PRI l’assessorato ai Lavori Pubblici o, in alternativa, quello degli Enti locali. Naturalmente, trattandosi di tecnici, anche il nominativo del possibile assessore è condizionato al “posizionamento” che il PRI sceglierà per sé d’intesa con il presidente Melis. Opzionando il PCI l’assessorato agli Enti locali, al PRI viene riservato quello dei Lavori Pubblici. Di qui la scelta concordata da Ghirra, dall’esecutivo del partito e dal gruppo consiliare a favore dell’ing. Roberto Binaghi. Entro cinque-sei mesi il Consiglio dovrebbe poter votare una nuova legge elettorale, tale da consentire il recupero dei resti nella distribuzione dei seggi, evitando la emarginazione delle formazioni minori: allora, sussistendo ancora le altre condizioni politiche e di programma, i repubblicani potranno entrare a titolo pieno nella giunta.
Il 7 agosto Mario Melis presenta il suo esecutivo pentapartito di sinistra, con PSd’A, PCI, PSI, PSDI e PRI (sia pure attraverso la persona di un tecnico). Il 9 l’Assemblea vota la fiducia.
Cagliaritano 56enne, laureato in ingegneria civile e idraulica a Roma nel 1952 il neoassessore repubblicano ha svolto l’intera sua carriera tecnica e di dirigente all’Ente Autonomo del Flumendosa; nel 1974 è stato nominato direttore generale e nel 1976 e fino al 1979 commissario dell’Ente acquedotti. Dal 1981 è in pensione e svolge la libera professione.
In una dichiarazione a L’Unione Sarda egli, richiesto dei suoi propositi operativi, così si esprime: «Due saranno gli impegni prioritari: creare le premesse per rendere funzionanti gli acquedotti, evitare cioè che la Sardegna muoia di sete e poi rilanciare l’edilizia abitativa. Se questi programmi vanno avanti si può davvero combattere questo mostro dalle mille teste che è la disoccupazione, si può rilanciare il lavoro artigianale, creare un indotto notevole. E poi mettere ordine nel caos burocratico, sistemando in modo più organico i vari uffici del Genio Civile e quelli del servizio idrografico. Se queste cose si fanno va avanti almeno la ordinaria amministrazione, e di questi tempi non è poco. E’ importante rilanciare le opere pubbliche anche perché la crisi della Cassa per il Mezzogiorno frena lo sviluppo».
Ad ottobre Salvatore Ghirra si dimette dalla segreteria del partito. In una intervista al quotidiano di Cagliari egli conferma il leale appoggio alla seconda giunta Melis, che peraltro incalza per l’attuazione del programma concordato «chiedendo la spesa dei miliardi giacenti nelle banche e la moralizzazione degli enti». Smentisce ogni ragione di tensione o polemica con il gruppo consiliare che premerebbe per porre fine alla esperienza dell’assessore tecnico per assumere in proprio la responsabilità di giunta, ma che, presentandosi alla riunione di direzione convocata ad Oristano, si dice prospetti soluzioni non univoche.
In vista di individuare la figura che potrebbe, con altrettanta efficacia, subentrare a Ghirra la direzione, nella sua tornata di lavori del 24 ottobre, elegge tre “saggi” nelle persone di Marcello Tuveri, Salvator Angelo Razzu e Sebastiano Maccioni, in rappresentanza delle tre maggiori aree territoriali isolane.
Non può mancare la direzione di esaminare anche alcune situazioni locali in cui il PRI ha concordato giunte con democristiani e/o comunisti e sardisti, escludendo i socialisti – a Quartu, La Maddalena, Alghero ecc. – il che avrebbe compromesso i buoni rapporti col PSI, fattisi particolarmente tesi nel Nuorese. Lo sforzo è di ridimensionare la portata politica di quelle intese, piuttosto rispondenti a esigenze locali e localmente valutate. E invece si riprende il tema della riforma elettorale, su cui il PRI chiede il rispetto della tempistica concordata per l’approvazione da parte del Consiglio regionale.
Il mandato dei “saggi” si compie nell’arco di due settimane accertando che, al di là di ogni distinguo, da ogni settore si chiede che Ghirra receda dal suo proposito e accetti di riprendere, con rinnovata autorevolezza, la sua segreteria politica. Sembra importante, da questo punto di vista, che tale invito venga unanime anche dal gruppo consiliare. Così il 29 novembre la direzione nuovamente tratta la materia in un’apposita riunione convocata, com’è prassi, ad Oristano. Ancora resistono differenze di approccio e proposte di soluzione alle questioni, che per certi aspetti si fanno “brucianti”, della partecipazione a talune amministrazioni locali e del ricambio in giunta all’assessore Binaghi e, non pienamente convinto di essere garantito dalla convergenza delle opinioni degli amici, Ghirra guadagna altro tempo per accettare. Lo fa infine, sia pure con riserva, il 13 dicembre.
La crisi interna al PRI pare risolta definitivamente in occasione della nuova direzione che l’11 gennaio 1986 che formalizzando l’elezione (rinnovata) del segretario conferma anche l’esecutivo chiamato ad assisterlo. Si tratta di Sebastiano Maccioni, Benito Orgiana, Mario Pinna, Salvator Angelo Razzu, Sergio Segneri e Marcello Tuveri.
Una generale insoddisfazione viene espressa circa il rispetto della tempistica concordata con gli altri partiti e il presidente Melis in ordine ad alcuni punti di programma, soprattutto in materia economica e per la riforma della legge elettorale. Per quanto riguarda il rinnovo dei vertici negli enti regionali si conferma la volontà di rispettare le competenze istituzionali della giunta, cui spetta procedere alle nomine, mentre i partiti debbono soltanto verificare che le scelte dell’esecutivo rispettino gli identikit di professionalità già definiti. Piena fiducia viene infine ribadita all’assessore Binaghi, pregato di restare al suo posto fino a che non si creino le condizioni per una presenza diretta del partito nella giunta.
Ma è soprattutto la modalità che giunta e partiti vanno seguendo, nel concreto, nelle “spartizioni” dei posti nei consigli d’amministrazione degli enti strumentali e delle banche regionali che, una volta ancora, inquieta i repubblicani. In particolare preoccupa l’insistenza con cui si prospettano gli “assalti” alla presidenza del CIS, per la quale la conferma del professor Paolo Savona sembra al PRI un dovere. Così nello stesso gennaio, nel corso di una conferenza stampa, Ghirra dichiara: «La Regione si è qualificata in un solo momento: quando sono stati sanciti i criteri per l’assegnazione degli enti sulla base della competenza e della professionalità, senza degradanti spartizioni di potere. I repubblicani hanno dimostrato la loro logica trasparente con la designazione di un tecnico di provate capacità come l’ingegner Binaghi per un incarico in Giunta. E con la stessa linearità hanno aderito alla maggioranza ponendo precisi traguardi: riforme istituzionali, legge elettorale da riportare alla proporzionale pura, sviluppo produttivo per combattere il fenomeno della dilagante disoccupazione. Ma abbiamo più d’un motivo di insoddisfazione, ma nonostante tutto il nostro appoggio all’esecutivo regionale è stato leale e qualificato. La nostra adesione alla coalizione di maggioranza è stata priva di pregiudiziali e mira esclusivamente ai programmi. Dopo incertezze e ritardi attualmente si nota una volontà di procedere e ne abbiamo preso atto. Ed è proprio per questo che confermiamo, al di là delle preoccupazioni espresse, la nostra collaborazione».
Nel novero delle nomine non di giunta ma di Consiglio sono quelle ai due comitati: quello del servizio radiotelevisivo e quello della programmazione. I repubblicani segnalano i due consiglieri nazionali: rispettivamente Lello Puddu e Bruno Fadda.
In un lungo articolo che Salvatore Ghirra firma per L’Unione Sarda all’indomani del congresso sardista che ha ribadito la linea indipendentista (o indipendentista-federalista) del partito, il segretario repubblicano ripete le ragioni di delusione che il PRI ne ha tratto: per la pochezza della proposta programmatica emersa dall’assise del PSd’A e per l’irrealtà della prospettiva costituzionale: «I repubblicani respingono fermamente la scelta indipendentista e restano fedeli sostenitori della Costituzione repubblicana e dello Statuto sardo che riconosce la specialità dell’autonomia dell’Isola nel quadro della unità statuale. Il vero problema – aggiunge – è un altro: come sono stati esercitati i poteri autonomistici attribuiti alla Regione e quali nuove e diverse competenze rivendicare per potenziare l’autonomia regionale. Ma non meno importante è oggi sapere quale capacità operativa e concreta la Regione è in grado di esprimere per l’avvio a soluzione dei problemi della occupazione e per favorire la ripresa economica. Per passare da una fase superata di sviluppo distorto ad un’altra di sviluppo programmato».
E più oltre: «Con senso di responsabilità verso la Sardegna, i repubblicani, superando pregiudiziali di schieramento, considerate secondarie anche se non ininfluenti, partecipano, con pari dignità, all’attuale maggioranza e sono presenti in Giunta. Hanno aderito alla coalizione laica, sardista e di sinistra dopo una rigorosa ricerca e discussione sui contenuti programmatici per i quali sono state indicate anche le priorità e fissate le opportune verifiche di attuazione. Elemento centrale dell’azione di governo è la predisposizione di un programma straordinario, quindi di emergenza, capace di arrestare il grave fenomeno della disoccupazione, specie giovanile e delle zone interne… La Sardegna in questi anni, pur ricevendo flussi importanti esterni che hanno portato ad un apprezzabile incremento del reddito pro capite non è stata tuttavia capace di realizzare il passaggio dalla condizione di arretratezza e di sottosviluppo allo sviluppo, e se la situazione ancora oggi è grave ma non drammatica è dovuto agli interventi esterni statali e in parte regionali che hanno agito da ammortizzatori sociali…». L’imminente approvazione del bilancio dovrà aprire – sostiene in conclusione Ghirra – una nuova fase caratterizzata da maggior speditezza e incisività dell’azione amministrativa. «Per quanto ci riguarda non faremo nulla per turbare ulteriormente i rapporti all’interno della maggioranza; voteremo il bilancio chiediamo alle altre forze politiche di votarlo senza stravolgerlo. Siamo disponibili a sopportare dei sacrifici purché di questi se ne avvantaggino i sardi. Oltre non possiamo andare».
Il 21 marzo Giovanni Spadolini è in Sardegna. Viene in veste di ministro della Difesa, per incontri istituzionali ma non manca, come sempre, di ritagliarsi uno spazio per abboccamenti politici con la dirigenza del partito e la stessa militanza. All’hotel Mediterraneo tiene un discorso in cui parla di politica estera per poi arrivare alle questioni sarde che conosce benissimo. Ricorda il suo amico Francesco Cossiga, parla della storia del sardismo e della attualità dell’alleanza di sinistra che coinvolge, non senza riserve o cautele, il PRI accanto al PSd’A e ad altre forze progressiste. Dice della stima che ha per il presidente Melis e del grande apprezzamento per l’opera dell’assessore Binaghi. Naturalmente non mancano le frecciate che insaporiscono ogni suo discorso: «Riconosciamo a una Regione come la Sardegna tutti i diritti democratici che la Costituzione repubblicana le riconosce. Ma due diritti devono essere indiscutibili: la politica estera è patrimonio della Repubblica ed è patrimonio della Repubblica la politica della Difesa». Evidente il riferimento alle ricorrenti tentazioni indipendentiste e alle polemiche sulle servitù militari, per le quali peraltro si impegna ad una revisione nell’interesse di entrambe le parti: il territorio vincolato e la Difesa.
Il discorso è lungo e naturalmente ricco di spumeggianti riferimenti e trova spazio nelle cronache sia de L’Unione Sarda che de La Voce Repubblicana. Al giornale cagliaritano, da poche settimane tornato alla direzione di Fabio Maria Crivelli, rende una visita, legge il bozzone di stampa, gusta le vignette di Putzolu, risponde alle domande dei giornalisti.
L’indomani incontra l’intera giunta Melis in viale Trento e successivamente le altre autorità del Consiglio regionale. Raggiunge quindi la base militare di La Maddalena, visita l’arsenale, l’Ammiragliato, improvvisa un discorso ad ufficiali e truppa, incontra gli amministratori comunali nell’aula consiliare. Quindi è a Sassari: visita la redazione de La Nuova Sardegna, risponde anche qui alla raffica di domande dei giornalisti, infine è trascinato dagli amici repubblicani – in testa Merella e Razzu – ad una assemblea conviviale.
L’esecutivo repubblicano, riunitosi insieme con il gruppo consiliare il 7 aprile in vista della nuova tornata di direzione e poi la direzione stessa (il 12 ad Oristano) valutano con qualche permanente delusione quanto nel concreto va emergendo dall’attività della giunta. Quello che costituisce motivo di rammarico e frustrazione è la incapacità che si ravvisa nella generalità del lavoro degli assessorati di tradurre in cosa le ipotesi operative giudicate perfino «eccellenti».
Presente l’on. Giorgio La Malfa, vice segretario nazionale, il 3 e 4 maggio si svolge al Diran Hotel di Quartu l’attesa conferenza programmatica dei repubblicani. Impostata su relazioni e tavole rotonde aperte a esponenti di tutti i partiti, dei sindacati e delle organizzazioni datoriali, la due giorni si apre con un lungo intervento preparato da Paolo Savona (assente per indisposizione, e letto dunque dal professor Sabattini) su “La Sardegna nel passaggio dal sottosviluppo allo sviluppo”. Alla tavola rotonda che segue, coordinata da Puddu, partecipano Romando Mambrini, Manlio Sechi, Adreano Madeddu, Nino Carrus, Giorgio Macciotta e Franco Mannoni. Seguono alcune comunicazioni di Franco Farina sul credito, Riccardo Gallo sull’industria pubblica, Gianfranco Sabattini sulla zona franca e Ilio Salvadori sull’industria mineraria.
La seconda giornata si articola in due sessioni coordinate rispettivamente da Antonio Catte e Achille Tarquini. La prima vede la partecipazione di Franco Turco sulla questione giovanile, Romano Giulianetti sull’energia, Roberto Binaghi sul piano delle acque, Mario Pinna sul turismo, Antonio Catte stesso sui trasporti, Agostino Puggioni sull’artigianato, Raniero Massoli Novelli sull’ambiente, Vallj Paris Giulianetti sui beni culturali e architettonici, Alberto Tasca sulla formazione professionale e Roberto De Santis sui problemi della chimica. Conclude Giorgio La Malfa.
Nel pomeriggio, dopo una relazione di Giovanni Merella sui problemi e le prospettive dell’agricoltura, una tavola rotonda mette a confronto Giancarlo Rossi, Antonio Pinna, Gesuino Muledda, Giovanni Nonne e Pietro Soddu; seguono tre comunicazioni: rispettivamente di Francesco Nucara sulla nuova legislazione per il Mezzogiorno, Marcello Tuveri sulla riforma della Regione e Mario Del Vecchio sull’intervento straordinario nel Sud.
La stampa da grande rilievo all’evento, che rappresenta indubbiamente la dimostrazione che, se si vuole, un partito politico può “pensare in grande” aprendosi agli apporti delle competenze, che poi molto spesso sono interne agli stessi partiti ma non sono colte come dovrebbe essere dalle varie dirigenze. Sotto il profilo puramente politico vengono raccolti dai cronisti alcuni passaggi dell’intervento di La Malfa, perché danno il tono dello stile con il quale il PRI intende collaborare alla alleanza che sostiene la giunta Melis: «Da parte della Regione ci vorrebbero meno rivendicazioni autonomistiche e più capacità di programmare in autonomia. Capisco una parte dell’ostilità che il Meridione e la Sardegna hanno nei confronti dello Stato, ma non dev’essere un alibi per Melis Va bene chiedere il sostegno del governo, ma bisogna anche mettersi nelle condizioni di utilizzare le risorse».
Appena un mese dopo si replica. Un incontro-dibattito sulla riforma della Regione all’insegna di “La Regione degli anni Novanta: modernizzazione efficienza produttività” è organizzato ancora a Quartu dalla segreteria del partito per il 7 giugno. La relazione di base tenuta da Marcello Tuveri (“Una nuova Regione per una nuova autonomia”); ad essa seguono due comunicazioni, la prima di Alberto Siddi su “Gli enti locali tra partecipazione ed efficienza”, la seconda di Angelo Sannia su “L’innovazione tecnologica tra privato e pubblico”. Un ampio dibattito fra addetti ai lavori – sia amministrativi che politici – impegna tutta la mattinata.
«Il decentramento, la programmazione, la partecipazione sono altrettanti obiettivi mancati, così come sono mancati i tentativi di sperimentazione. Di qui la disgregazione del corpo burocratico, mentre non si è mai affermata l’esigenza di analizzare i livelli produttivi», sostiene, aprendo la sua relazione, Tuveri. E’ necessario, egli afferma, «che l’Amministrazione regionale si riorganizzi in forma aziendale e manageriale, rivendendo l’organizzazione interna a tutti i livelli, anche negli enti strumentali e non soltanto nella dirigenza. Tale processo di ristrutturazione deve coinvolgere anche il tradizionale rapporto/confronto con lo Stato», evitando lo sterile e deresponsabilizzante rivendicazionismo: il generale processo di riorganizzazione deve avvenire nell’ambito dei poteri sanciti dallo statuto speciale.
Nel suo intervento l’on. Catte sostiene che «lo slogan delle leggi poche ma buone è sempre valido soprattutto perché l’attività giuridica va improntata alla tutela della democrazia collettiva e non degli interessi spiccioli e di parte». Sulla stessa linea anche Giovanni Merella che si sofferma soprattutto sulla riforma del Consiglio regionale.
I temi dell’economia rimangono centrali nella riflessione pubblica ed i repubblicani non mancano di contribuire con apporti originali. Avviene ancora il 4 luglio a Sassari, nel corso di un convegno organizzato dal Banco di Sardegna e dall’Università sul tema generale “L’Italia al bivio. Ristagno o sviluppo”. Con Giorgio La Malfa partecipa anche il professor Paolo Savona.
A luglio l’ingegner Binaghi fa sapere che gradirebbe essere avvicendato, secondo gli accordi con lui presi allorché dette la disponibilità a guidare l’assessorato ai Lavori Pubblici; non pone peraltro termini di calendario netti, intendendo concludere il suo mandato con la presentazione del “piano per l’utilizzazione delle acque in Sardegna”. Certo comprensibili e anche previste, tali dimissioni imbarazzano però i repubblicani che ancora ritengono non essersi realizzate le condizioni per la loro partecipazione piena all’esecutivo Melis, tanto più per il ritardo registratosi nella formulazione e nella discussione e votazione di una nuova legge elettorale correttiva delle distorsioni introdotte nella primavera 1984, forse proprio per togliere dalla scena il PRI. Riunitasi a metà luglio a Nuoro la direzione regionale diffonde, al riguardo, un duro comunicato: «Di fronte all’inadempienza di questo impegno il gruppo consiliare repubblicano presenterà in Consiglio regionale una proposta di legge sulla quale dovranno pronunciarsi le forze politiche presenti nell’assemblea… Sull’iter della sua proposta al Consiglio regionale, il PRI chiederà l’applicazione integrale del regolamento della assemblea».
Circa il più generale andamento dell’azione svolta dalla giunta sembrano riassorbiti i ritardi altre volte denunciati. Tanto la direzione quanto le quattro assemblee provinciali svoltesi di recente giudicano positivamente «gli ultimi atti della giunta: il rispetto dei tempi nella presentazione dei programmi per l’intervento nel Mezzogiorno e dei piani integrati mediterranei, e la designazione dei nuovi amministratori degli enti strumentali».
Una ulteriore pressione il PRIl’ esercita in agosto con l’invio ai vertici dei partiti di maggioranza di una bozza di articolato concordato dal gruppo consiliare con lo stesso segretario Ghirra circa la riforma della legge elettorale. Nel testo si prevede la fissazione ad ottanta del numero massimo dei consiglieri, la riduzione delle preferenze, la modifica del quorum che consente di usufruire del recupero dei resti, la limitazione alla sola giornata di domenica dell’apertura delle urne.
A dicembre la direzione, con una maggioranza di 17 contro tre astensioni (e contro l’opinione del segretario Ghirra), decide di aderire alla richiesta dell’assessore Binaghi di essere avvicendato (al sedicesimo mese di un mandato che avrebbe dovuto concludersi in cinque mesi soltanto) e accogliere le sollecitazioni provenienti dal gruppo consiliare di affidare ad uno dei propri membri l’incarico in giunta. Il prescelto è il capogruppo Catte, chiamato ad reggere interinalmente, in veste “istituzionale”, l’assessorato di Binaghi, con riserva di concordare con il presidente i termini del rimpasto a dopo l’approvazione del bilancio 1987.
La stampa rileva il crearsi di nuove fratture interne al partito, tanto più da parte di quell’area che si riconosce nel consigliere Merella, assente alla riunione della direzione ma, secondo taluni, interessato a coprire lui il seggio assessoriale.
Ma più ancora clamorosa della messa in minoranza di Ghirra, il quale ha ottenuto da Binaghi la disponibilità a procrastinare di un altro mese o due la formalizzazione delle proprie dimissioni, è la reazione che viene dal presidente Melis, che non accetta di anticipare il rimpasto di giunta prima del voto dell’Aula sul bilancio, ancora in discussione nella competente commissione consiliare. Una accelerazione nel senso a lui prospettato (ma non condiviso) da Ghirra – e cioè la surroga provvisoria e “istituzionale” di Binaghi da parte di Catte –, determinando inevitabili ritardi nel voto della legge finanziaria, comporterebbe la crisi politica, di cui i repubblicani avrebbero la piena responsabilità.
Ghirra raccoglie le osservazioni non negoziabili del presidente annunciando di portarle all’attenzione degli organi del partito: «Chiederò di attendere, per non creare ostacoli al varo di un provvedimento fondamentale per l’economia e la società sarda. Se questa non passerà, annuncio sin d’ora che lascerò la segreteria. E’ importante il proprio orgoglio di partito, ma ancor di più l’interesse generale».
La nettezza della presa di posizione del presidente Melis e dello stesso segretario repubblicano induce gli esponenti pronunciatisi per l’immediata sostituzione assessoriale (e successivamente l’esecutivo del partito) ad aderire alla tesi di soprassedere ad essa, rinviando ogni decisione a dopo le scadenze indicate come assolutamente prioritarie per il Consiglio e la giunta. Anche il consigliere Giovanni Merella – indicato sempre più come l’“uomo forte” che punta ad entrare in giunta con l’incarico di assessore all’Agricoltura e foreste – tende a moderare, con dichiarazioni distensive, la frettolosità di qualche suo amico. Per parte sua Catte accompagna il segretario del partito in un giro di incontri con gli esponenti degli altri partiti di maggioranza, nel tentativo di tranquillizzare tutti sulla volontà del PRI di non creare difficoltà al quadro politico ed alla giunta. Si sa: Binaghi ha scritto a Ghirra, rappresentando la sua urgenza di lasciare l’incarico di giunta, il 25 novembre 1986. Ha poi accolto l’invito a temporeggiare altri due mesi, onde consentire al Consiglio di procedere senza rinvii o complicazioni alle votazioni del bilancio.
Di fatto la vicenda “sostituzione” si protrarrà per lunghi mesi, ben oltre la scadenza del voto consiliare sul bilancio 1987. Ciò a causa dei contrasti interni al partito che, attraverso varie vie, porterà ad una sua crisi strutturale, perfino al suo cambio di pelle che, negli anni di Tangentopoli, significherà omologazione piena al peggior sistema partitocratico ed estinzione.
Approvato il documento finanziario, l’ing. Binaghi consegna al presidente Melis le sue annunciate dimissioni che le accoglie e si riserva di decidere sull’avvicendamento, nelle more della verifica ormai imminente fra i partiti della maggioranza. Per intanto comunque l’assessore continua nella sua attività di giunta (così sarà fino a metà aprile). Ghirra riconosce all’on. Melis la piena competenza a decidere se surrogare il titolare dei Lavori Pubblici con il capogruppo Catte o assumere lui stesso l’interim («è un fatto istituzionale che deve essere risolto dal presidente»).
Gli incontri che ai primi di febbraio si svolgono fra i partiti per dettagliare la prossima agenda di lavoro della maggioranza – modifiche alla legge 33 sulla programmazione e della legge n. 1 sull’organizzazione burocratica, con le deleghe agli enti locali, la riduzione delle USL e lo scorporo degli ospedali di interesse regionale – paiono soddisfare i repubblicani che vi si sono impegnati, che ancora insistono per la presentazione del bilancio triennale.
Il 2 febbraio 1987 l’esecutivo repubblicano concorda con il gruppo consiliare ed i segretari provinciali di interloquire con il presidente Melis senza imporgli tempi e modi di rimedio. All’inizio di aprile però Catte lascia la guida del gruppo, forse per nuove incomprensioni con il segretario a proposito della firma all’emendamento democristiano che ha inserito i forestali nella pianta organica della Regione, provocando la messa in minoranza della giunta. Nonostante gli sforzi di contenerne le manifestazioni pubbliche, il malessere coinvolge ormai tutti i vari segmenti del partito, sia a livello territoriale che di rappresentanze.
A maggio, mentre anche il PSd’A prepara l’avvicendamento dell’assessore Sanna con il consigliere Giorgio Ladu, non avendo ancora formalizzato il PRI il nominativo del successore di Binaghi, il presidente Melis affida l’interim dei Lavori Pubblici all’assessore socialista Emidio Casula. Ciò nel contesto di un ricambio di ben sei consiglieri, conseguente alle dimissioni di colleghi che hanno voluto candidarsi alle elezioni politiche.
Dopo aver tanto tergiversato, sono adesso loro – i repubblicani – a metter fretta ed esigere l’ingresso di Giovanni Merella in giunta. In una dichiarazione all’Agenzia Italia Ghirra sostiene che «i repubblicani sono rimasti fortemente e negativamente impressionati dal fatto che il presidente della Regione, nel procedere all’assegnazione dell’interim dell’assessorato ai Lavori Pubblici non abbia sentito il dovere di consultare preventivamente il segretario regionale. Sul piano più squisitamente politico, la coalizione di maggioranza è nata sul principio della pari dignità di tutte le forze politiche che la formano. Ecco perché è indispensabile provvedere, in tempi assolutamente brevi e compatibilmente con le condizioni di salute del presidente, all’inserimento in giunta del consigliere Giovanni Merella. In caso contrario, considereremo rotto il principio della pari dignità e quindi i repubblicani sarebbero costretti a convocare i loro organismi dirigenti per valutare la portata politica di questo atteggiamento che appare assolutamente inaccettabile».
Una nuova polemica si apre all’interno della maggioranza. Il presidente Melis, ancora costretto da un ricovero a Roma, spiega le ragioni del suo operato: «Le proteste avanzate dal segretario del PRI appaiono del tutto ingiustificate: la mancata sostituzione di Binaghi non è dipesa da motivazioni politiche ma dall’improvvisa quanto imprevedibile infermità che mi ha costretto e costringe sospendere qualsivoglia attività istituzionale». E’ impossibile procedere ad un rimpasto in assenza del presidente, ciò per strette ragioni giuridico-statutarie, data «la peculiarità e straordinarietà di un’iniziativa che appartiene in modo specifico al presidente. E comunque emergono motivazioni politiche circa l’assoluta inopportunità di procedere alla modificazione nella composizione della giunta in assenza del presidente. E’ di tutta evidenza che il problema sarà superato nei tempi strettamente indispensabili, che si presumono piuttosto brevi non appena sarà consentito al presidente di riprendere il proprio lavoro».
E più direttamente richiamando la polemica personale contro di lui scatenata dal PRI, il presidente obietta: «Se la proposta di designazione ed elezioni del nuovo assessore non è stata fatta in contestuale concomitanza con la rinunzia del dimissionario Binaghi, ciò è dipeso da una scelta, rivelatasi poi affrettata, dal PRI, e non da cause che, sopravvenute, non sono attribuibili alla preordinata volontà di alcuno».
A tali dichiarazioni l’on. Melis fa seguito con una lettera al segretario Ghirra, nella quale con tono più diplomatico ribadisce le ragioni, certamente non ostili, che lo hanno indotto a non procedere al rimpasto ma ad affidare l’interim dei Lavori Pubblici ad un collega socialista. Ma è bonaccia breve. Perché altre battute polemiche contro Melis che, rientrato in sede e presente nella campagna elettorale del suo partito, ben potrebbe andare – a detta di Ghirra che ne parla con i giornalisti – al rimpasto, ma ad esso pare rinunciare. Sennonché, essendo la politica regionale nel pieno della “bagarre” per il rinnovo parlamentare, non sembra opportuno – ribatte in rimbalzo il presidente – intervenire con atti rilevanti come è la modifica nella composizione della giunta, che esige anche una discussione consiliare.
Così di settimana in settimana scivola l’atteso rimpasto. Il 1° luglio infine la giunta si dimette e si avviano i negoziati per la formazione di un nuovo esecutivo che finalmente si costituisce, al volgere del mese, confermando la formula politica e la presidenza, ed associando, in rappresentanza del PRI, l’assessore Merella cui destinato l’assessorato agli Enti locali, finanze ed urbanistica. (E peraltro tutto si compirà con nuova lentezza, causa il turno elettorale di giugno per il rinnovo parlamentare).
Al solito, fra comizi e polemiche, la campagna elettorale coinvolge anche la dirigenza nazionale del partito. Nuovamente si immagina nelle potenzialità del partito di riuscire ad eleggere, per la prima volta nella storia dell’Italia post 1946, un deputato. I nomi “forti” sono quelli del segretario politico Salvatore Ghirra e del segretario provinciale di Sassari Salvator Angelo Razzu. La lista presentata al giudizio elettorale pare combattiva, con una certa dose di innovazione rispetto a quelle degli ultimi turni sia regionali che politici e si offre ad Adolfo Battaglia la capolistura (dopo che è tramontata la ipotesi Susanna Agnelli).
Per quanto riguarda il Senato nuovamente si gioca la carta dell’alleanza laica estesa questa volta però anche ai socialisti e ai radicali: sono candidati a Cagliari ed a Nuoro i penalisti Luigi Concas e Aldo Marongiu, non iscritti al PRI di certamente di area laica –, ad Iglesias, Sassari e Tempio i socialisti Paolo Fogu, Nino Castellaccio e Ottavio Spano, ad Oristano il socialdemocratico Sandro Ghinami.
Giovanni Spadolini si fa presente con una lettera agli elettori sardi, in cui riepiloga le ragioni tanto della storia quanto della cronaca per cui una forza come il PRI meriterebbe il suffragio, e questo messaggio si associa, nella campagna elettorale, alle numerose interviste rilasciate dai maggiori candidati, a partire da Adolfo Battaglia, alla stampa isolana ed ai discorsi che essi tengono qua e là.
I risultati sono, un’altra volta ancora, deludenti. I 23.550 voti raccolti dalla lista Edera, pari al 2,30 per cento delle schede scrutinate, sono ben seimila in meno di quelli raccolti nel 1983. Scarso l’apprezzamento dell’elettorato anche alle candidature presentate per il Senato: appena 84.872 voti, pari al 10,1 per cento, quasi la metà di quanto le varie forze che hanno concorso al polo laico e socialista hanno raccolto nel turno politico precedente.
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Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).
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