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Gianfranco Murtas

Con Vito Biolchini trent’anni fa: frugando nell’emeroteca di guerra e dopoguerra e fra le narrazioni di Fancello azionista e antifascista, il cuore con Pintus e Parri

di Gianfranco Murtas

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Ci sarà – per fortuna! – chi non è d’accordo ma, per la conoscenza che ho della persona e delle sue cose, e dunque con molte ragioni, io considero Vito Biolchini – il Vito di trenta e trentacinque anni fa – un enfant prodige della scrittura giornalistica (scrittura… scritta, direi, e parlata, parlata già da allora). Dico: qui da noi, non mi allargo all’universo mondo. Qui a Cagliari e in Sardegna, che è quanto conosco. E trent’anni di professione nei giornali, negli uffici stampa (dalla Regione al Volontariato di Sardegna solidale), negli studi radiofonici e televisivi hanno ben misurato le proiezioni di quelle lontane premesse di un adolescente che era un ambulante laboratorio di idee e sperimentazioni. Una mano dalla penna facile che ben corrispondeva – ne sono stato fortunato testimone – ad una maturazione progressiva lesta del pensiero, del giudizio sulle cose del mondo – le cose teoriche e le cose pratiche –, che si modellava attorno a codici sempre più autonomi e perfino dialettici, per non dire educatamente conflittuali, con quelli derivati dalla sua educazione nella prima età tutta familiare e anche parrocchiale e anche scolastica. 

Io, Vito, l’ho conosciuto decenne, fra la quinta elementare e la prima media e undicenne, nel 1981, l’ho perfino avuto… zufolista a marcare, con un gradevole motivetto, lo stacco di un servizio dall’altro in una trasmissione (con sigla dei Banda Beni di Biggio e dei due Vespa) che mi fu dato di allestire per l’emittente La Voce Sarda, gli studi a palazzo Sanjust di via Canelles.

Una figura istintivamente simpatica, garbata, all’apparenza forse perfino timida, comunque capace di misurare i tempi di un’entrata in scena, lui già da piccolo amante l’arte musicale e quella teatrale. Vito è uno che parla dopo aver pensato, così si mostra oggi, così era allora, trenta e quarant’anni fa. Talentuoso certamente per dna di stirpe ma poi soprattutto per singolare capacità elaborativa delle esperienze che gli è toccato di macinare nelle stagioni a seguire, ora collaboratore di altri ora protagonista trascinatore lui di altri. Imprenditore della comunicazione, alla radio, per anni, partner di quel genio che è Elio Turno Arthemalle nella mitica Radio Press, poi a Radio X, ora in pianta stabile alla RAI, inventore di programmi ma anche autore teatrale (una decina sono i copioni da lui firmati e portati al pubblico su soggetti i più vari, Gigi Riva e il Poetto in capo a tutto) oltre che autore di diversi libri (il più caro a me I Medas, storia di una famiglia d’arte), notista accreditato in testate come Il Manifesto, Diario e l’Unità (volta a volta presente anche e perfino nelle pagine di L’Espresso e BellItalia), e TiscaliNotizie, e prima di tutto il resto firma della cronaca de La Nuova Sardegna (primi anni ’90, prima del servizio militare)… Non si è mai negato ad alcuna richiesta di partecipazione lui. Addetto stampa (e molto altro) per anni e anni della compagnia teatrale di Mario Faticoni, direttore di Godot nell’web, blogger in proprio – forte di una autonomia intellettuale spettacolare (al di là della condivisione o meno delle sue opinioni, s’intende), inventore con altri amici di Monumenti Aperti e, prima ancora, del volontariato organizzato di Ipogeo, partendo dalla grotta di Santa Restituta… Tutto questo a dover/voler riempire soltanto la metà della sua biografia, una valigia che vuol dire eclettismo e però anche linearità, sviluppo coerente, sempre credibilità.

Mi era stato facile, ancora negli anni della sua licenza liceale, catturarlo, meglio: catturare la sua capacità di fare, impegnarlo con altri suoi coetanei in quel certo gruppo di studio sull’antifascismo democratico – dove l’aggettivo ha il valore che aveva nel risorgimento, non socialista/collettivista e non liberale, ma rivolto alla riforma civile della società e delle sue istituzioni, oltre i vincoli di classe – che avrebbe prodotto molti libri nei primi anni ’90, tanto più in prossimità dell’associazione Cesare Pintus fondata da Salvatore Ghirra, Lello Puddu e Marcello Tuveri (modestamente anche da me). Per capire e documentare la partecipazione sarda alla costruzione della Repubblica, la natura lealista della nostra autonomia regionale. Scriveva già allora benissimo, Vito. Aveva una scrittura aperta e insieme ritmata nelle rappresentazioni oggetto della sua pagina, una scrittura che chiamava il lettore alla scena pennellata con molti sostantivi e pochi aggettivi. Che è quanto e quale abbiamo poi conosciuto ascoltandone i programmi radiofonici, nelle private come anche alla RAI, nell’inter-isolano mediterraneo, dando conferme, soltanto conferme.

Prima del servizio di leva e prima dunque di regalarlo al Crogiuolo di Faticoni, lo ebbi collaboratore prezioso con me, insieme con Massimiliano Rais – a lui gemello per molti versi – ed Elio Masala, con Maurizio Battelli ed Armando Serri, e altri ancora. Lavorammo attorno alla storia del sardoAzionismo, storia inedita per molti aspetti, con Lussu e contro Lussu (ma sempre amando Lussu), e lavorammo insieme a Sardegna Uno, in quel programma - Zibaldone il titolo – del quale ho scritto molte volte. Si provò allora anche con la televisione, Vito, e fu altrettanto bravo quanto con il foglio scritto o la pagina videata.

Ho l’orgoglio di poter adesso ripresentare alcuni degli scritti che egli donò, allora ventenne di belle speranze. Abile a riconoscere e rappresentare i nessi fra la storia municipale e quella della grande scena del mondo, dell’Italia prigioniera ancora della contingenza bellica, nell’imminenza della sua liberazione dai fascisti e dai burgundi, proiettata in un futuro repubblicano e di maggiore giustizia inclusiva.

Di tutt’altra materia è stata un’altra collaborazione che avemmo, Vito ed io, alla fine del 2010: io ospite suo, nel suo blog, per ricostruire le sgradevoli vicende da tutti conosciute come il “caso Cugusi”. Si trattava dell’autoritario intervento dell’arcivescovo Giuseppe Mani nella parrocchia cagliaritana di Sant’Eulalia, dalla quale fu allontanato, senza motivo (altro che per il dispetto verso le schiene dritte e con la copertura discreditata delle congregazioni vaticane), il parroco. Cito l’episodio per completezza informativa circa il rapporto personale con l’allora mio giovanissimo fratello e godo nel riflettere su questo avvicendamento di ruoli…

Nota conclusiva. Fra i primi contributi sul sardoAzionismo e quello offerto per il volume su Ferruccio Parri Vito Biolchini compilava e presentava il suo primo libro: Sardegna. Fatti e Persone 1993 (con block notes di Giovanni Maria Bellu). Bel ripasso d’un anno con quattrocento voci in quanto ai luoghi e ben milleduecento in quanto ai personaggi… Da allora ha continuato bene e sempre meglio.

Gli articoli che qui ripropongo sono i seguenti:

«Il nuovo “oggi” della città, il tempo di Cesare Pintus»

(in Cesare Pintus e l’Azionismo lussiano, 1990)

«"Brundu" scrittore dostoevskijano» 

(in Sardismo e Azionismo negli anni del CLN, 1990)

«Il film dei 156 giorni, il tempo di Ferruccio Parri» 

(in Ferruccio Parri sardista elettivo, 1994)


Vito Biolchini: «Il nuovo “oggi” della città, il tempo di Cesare Pintus»

Gli ultimi mesi del 1944 non sono clementi con i cagliaritani che hanno deciso di rimanere in città. La rigida temperatura favorisce l'arrivo della neve che per qualche giorno, tra dicembre e gennaio, riveste di una sottile ed effimera patina bianca Cagliari e le sue macerie. Qualcuno dalle colonne dell'Unione Sarda del 5 novembre lancia un appello affinché si distribuiscano alla popolazione le divise fasciste, così frettolosamente riposte in antiche cassepanche di famiglia, viste le mutate condizioni politiche. Il freddo non conosce schieramenti o ideologie: chissà quanti antifascisti riprendono a vestirsi d'orbace! Il 10 ottobre si è insediata in città la nuova Giunta Comunale presieduta dall'avvocato Cesare Pintus, col primo obiettivo di ricostruire il capoluogo dell'Isola per accogliere nel migliore dei modi i 35mila sfollati che ritorneranno dopo lunghi mesi di doloroso esilio. La guerra con i suoi bombardamenti ha lasciato il segno nella struttura urbana e negli animi dei suoi abitanti: sono 4.700 le abitazioni danneggiate, 2.000 circa i morti. Anche Cagliari ha pagato il suo tributo dl sangue alla follia umana.

Manca l'acqua in questo inverno 1944-1945. Le condutture gravemente danneggiate e i bacini quasi all'asciutto consentono l'erogazione del prezioso liquido per sole 3 ore al giorno (dalle 6,30 alle 8, dalle 16 alle 18,30) e reale diventa il pericolo dello scoppio di qualche epidemia. La penuria di generi di prima necessità porta poi ad una recrudescenza dei fenomeni criminali e, per certi versi, ad una sorta di curiosa specializzazione in furti di biancheria che si susseguiranno per molti mesi, interessando tutte le zone della città. In varie abitazioni della Via Garibaldi, in circostanze "fantomatiche", spariscono asciugamani, lenzuola e camicie. Autori dei numerosi furti sono alcune combriccole di gattixeddas che si ritrovano in una delle tante osterias della zona. In un'abitazione di Piazza Yenne audaci ladri rubano diversi capi di vestiario della padrona di casa che nel frattempo sta impartendo una lezione di musica. Ma non si ruba solo biancheria, si ruba di tutto e in tutti i modi possibili e immaginabili. Non è certo per innalzare i suoi pensieri all'eternità che Zuddas Giovanni - 65 anni e nessun timor di Dio - frequenta la Chiesa di San Michele in Via Ospedale! In perenne esercizio, egli non sa trattenersi dalle sue inclinazioni neppure durante le funzioni religiose. Ed è proprio durante un rito all'altare che egli, discreto, mette a segno un colpo in sagrestia: ma quel tappeto rosso damascato che finisce nel suo sacco si fa immediato pretesto per le guardie per far finire lui in gattabuia! Per la sottrazione di cinque camicie Frau Umberto e Murinu Giovanni vengono condannati a 2 mesi di reclusione e a 500 lire di multa. Sei mesi di galera e 500 lire di multa toccano a Piras Pietro, accusato di furto di 20 chili di zucchero a danno del Comando Alleato. Con i furti la ricettazione: costa caro a Colarossi Nunzio - esattamente 1 anno di reclusione e 2.000 lire di multa - un "affare" di 8 pezzi di sapone... Le ruberie si susseguono anche negli esercizi già riaperti in città. Con una operazione durata quasi 3 ore, ladri temerari riescono a penetrare nel negozio "Costamarras" nel Largo Carlo Felice e a sottrarre filati per alcune centinaia di migliaia di lire. E mentre i soliti ignoti lavorano indisturbati, gli ingegnosi loro complici distolgono i passanti con un apparato che va dai lazzi di gente pseudo-ubriaca al pianto di un bambino... La cattura di Angius Ignazio - 41 anni e il nomignolo allusivo di "Fogazzedda" - trova spazio nella cronaca cittadina del 3 marzo 1945. Qualificato come «lestofante specializzato in truffe cli ogni genere» questo scaltro personaggio si rende protagonista di alcuni colpi veramente fantasiosi: c'è per esempio la truffa ai danni di due commercianti monserratini, i quali - per il modico prezzo di... 240niila lire - comprano da lui, tutto intabarrato in una uniforme da colonnello e protetto da un palo di occhialoni affumicati, un grosso barile di soda caustica, salvo ricevere nient'altro che calce e terriccio! E c'è quello sfortunato tentativo di imbrogliare una fruttivendola cagliaritana, che gli ordina soda, zucchero e sapone dandogli per caparra 8.000 lire, e che, per non aver ricevuto la merce, sguinzaglia i carabinieri e spedisce infine davanti al giudice il suo frodatore. Fogazzedda come prototipo di ladro furbo ma non malvagio: Cagliari pullula di questi personaggi-picari. Altri sono i veri ladri in questa città che affanna a ridarsi una normalità di vita. Una donnetta scrive all'Unione Sarda chiedendosi come mai si sia arrestato, e giustamente, Fogazzedda e si lascino invece in libertà certi "pani di semola" che truffano ugualmente il prossimo, sia pure in veste di onesti commercianti. Il signor R.P. informa che in Via Lamarmora «esiste una latteria che ti ammannisce il latte... della più bell'acqua» e che questa non è la sola rivendita che fornisca ai clienti più acqua che latte. In città è totalmente assente un controllo serio e assoluto su tutti i fattori che concorrono alla formazione dei prezzi. Le cosiddette "martinicche" vivono disonestamente sulle tante, inutili e dannose fasi di scambio. Cagliari non può però fare a meno della sua borsa nera e quella degli approvvigionamenti sarà un'emergenza che cesserà solo alla fine degli anni '40.

Il 14 gennaio 1945 il Ministro dell'Interno fa sapere che, date le condizioni di generale disagio, sono vietati i balli ed i trattenimenti danzanti. In mancanza d'altro, quindi, non resta che la festa di Sant'Efisio unica occasione che permetta alla città di riscoprire la sua vocazione bigotta e festaiola. Il 15 gennaio una eccezionale folla di fedeli, oranti e non, si ritrova, infatti, nelle strade del centro per onorare il Patrono. È una grande festa popolare, simbolo di una ritrovata gioia di vivere che lentamente si impossessa di tutti i cagliaritani.

Da una festa religiosa all'altra. 23 marzo 1945, Giovedì Santo. Alle ore 13 il Crocifisso di San Giovanni esce dalla sua chiesetta e accompagnato dall'Arciconfraternita della Solitudine e dalla Società del Cristo raggiunge la Cattedrale tra due ali di folla e di macerie. Dopo una sospensione di 5 anni, per il divieto delle processioni imposto dalle autorità, il ripristino di questa tradizione cagliaritana, vero momento centrale delle celebrazioni della Settimana Santa, restituisce alla città la certezza del suo ritorno ai quieti, provinciali ritmi dell'ante-guerra. A riempire le stradine di Villanova e Castello son tornate finalmente le voci di sempre: quelle dei candidi cantores e quelle delle austere consorelle...

Dal sacro al profano. Cagliari pare essersi consacrata alla decima musa, quella del cinema. Come per dire: se non c'è panem, che almeno abbondino i circenses! Le quattro sale cinematografiche presenti in città ("Olympia", "Eden", "Odeon" e "Manifatture") non riescono tuttavia a soddisfare i reali bisogni della gente che «è costretta - a quanto riferisce L'Unione Sarda del 20 marzo 1945 - a combattere una lotta a coltello per penetrare in detti locali specialmente nei giorni festivi, dopo un'attesa di ore». Mentre il "Nuovo Odeon" è ancora occupato dagli Alleati, sicché gli appassionati di Via San Giovanni e di Via Garibaldi sono costretti ad arrivare in Via Roma per gustarsi una pellicola, è già in costruzione il nuovo Cine-Teatro di Viale Trento, capace di 800 posti in balconata e 1.600 in platea: non molto tempo separa dall'inaugurazione di quello che, attraverso un referendum, prenderà il nome di "Massimo". Il cinema rappresenta veramente (insieme al calcio e al teatro) una delle poche occasioni di svago offerte dalla città.

Beniamino del pubblico cagliaritano è ovviamente Amedeo Nazzari. Suoi film come "Giorni felici" o "Quelli della montagna" richiamano in sala numerosissimi spettatori, certamente orgogliosi di vedere un loro concittadino lavorare a fianco delle più grandi attrici dell'epoca. È anche il periodo delle grandi rivisitazioni storiche. Non passa settimana senza che pellicole del tipo "Golgota - Il più grande dramma dell'umanità nel più grandioso film" o "Gli ultimi giorni di Pompei - Gigantesca ricostruzione storico-drammatica" non siano presenti nei grandi schermi cagliaritani.

L'arrivo di nuove pellicole dagli Stati Uniti scatena l'entusiasmo degli appassionati. Meno propensi ad applaudire sono i critici professionali, per i quali si tratta solamente di cinema-propaganda. Così il recensore dell'Unione Sarda, che il 2 agosto 1945 si chiede se la «programmazione di certi film rientri in qualche articolo delle clausole dell'armistizio. Forse sotto questo titolo - soggiunge - ci spieghiamo il perdurare sugli schermi di film del genere di questo "Due nella tempesta", infarcito di propaganda fino alle midolla».

8 maggio 1945. Tutta Cagliari scende in piazza per festeggiare la tanto desiderata fine della guerra. In Via Roma nel pomeriggio si svolge una rivista militare. Nel palco eretto dinanzi al Largo Carlo Felice prendono posto l'Alto Commissario per la Sardegna Generale Pinna, il Prefetto Sacchetti, l'Arcivescovo Piovella, il Sindaco Pintus, il Rettore dell'Università Puxeddu e i rappresentanti dei partiti antifascisti. La manifestazione si apre col discorso del Comandante Colonnello Alberi, rappresentante delle Forze Armate americane che viene salutato da vivissimi applausi. La parola passa poi al rappresentante delle Forze Armate inglesi ed infine al Generale Maccario, mentre la banda, che ha già proposto l'inno inglese e quello russo, intona le note del "Piave". Inizia quindi la sfilata, aperta dai Carabinieri a cavallo. Passa la bandiera stellata degli USA, seguita da un reparto americano in armi. La popolazione entusiasta, assiepata numerosissima nel Largo, applaude calorosamente le truppe. Passa la gloriosa bandiera reggimentale, tocca poi agli uomini della Benemerita (a piedi), ai reparti del 590 Reggimento Fanteria, alle Guardie di Finanza, ai marinai e agli avieri, mentre un idrovolante italiano sorvola a bassa quota e a più riprese la Via Roma. A conclusione della manifestazione, si rendono nuovamente gli onori alle bandiere alleate e nazionale. Intanto, mentre le sirene delle navi da guerra e dei mercantili ormeggiati nel porto salutano la fine delle ostilità, la folla si riversa in massa verso la Piazza Yenne dove alle 19 si svolge un comizio organizzato dai partiti della Concentrazione antifascista. Inframezzati da calorosi applausi, i discorsi sottolineano tutti la necessità di conservare l'unità tra le forze democratiche per ricostruire la Patria che il fascismo ha distrutto. Vari cortei percorrono quindi le vie della città inneggiando agli eserciti alleati ed a quello russo, «artefici della vittoria della libertà e della civiltà sulla barbarie nazista». Una grande fiaccolata conclude la giornata.

Cagliari saluta così la fine della guerra. Inizia ora la difficile opera di rifondazione della società civile. La svalutazione della lira impedisce la ripresa della economia nazionale che decide di affidarsi all'emissione di Buoni quinquennali del Tesoro per risollevare le proprie sorti dallo sfacelo post-bellico. Dalle colonne dell'Unione Sarda l'avvocato Venturino Castaldi risponde alle domande dei risparmiatori. «Io sono furbo e a me non "mi fregano" - scrive un lettore. - I prezzi in continente sono assai più alti e la lira continuerà a deprezzarsi. Io non sottoscrivo e mi tengo i miei soldi». Rapida ed esauriente la risposta del leader democristiano: «Bravo! Tu credi di essere furbo e invece sei molto più ignorante del contadino che sottoscrive alla buona, come ti dimostro subito...». 

Con il ritorno dei reduci dal fronte nascono le prime pericolose tensioni all'interno della nuova società: si denunciano incapacità, discriminazioni e clientelismi. Un reduce scrive all'Unione Sarda proponendo che siano sostituiti dai posti di lavoro «tutti quei giovani che sono stati assunti dopo il 1939, che hanno occupato i posti nel periodo che noi eravamo in guerra», e lamentando come sprechino «lo stipendio così malamente guadagnato, questi giovani che sono i più assidui frequentatori delle sale cinematografiche, delle sale da ballo e delle facili donnine», mentre essi, i reduci, «dopo aver sofferto per tanti anni non abbiano di che sfamarsi o per sfamarsi debbano rubare». Dalle accuse non si salvano neppure le rappresentanti del gentil sesso: «solo le donne che lavorano per vivere hanno il diritto di lavorare. Le altre farebbero meglio a starsene a casa, specie quelle che hanno il marito che lavora», e meno che meno quegli «appartenenti alle ex-forze repubblichine già internati in campi di concentramento e poi discriminati», i quali « appena rientrati hanno trovato subito dei posti che ai reduci erano stati rifiutati poche ore prima».




A fine giugno si svolgono gli esami di ammissione alle varie classi della scuola media inferiore. Sono numerosi i ragazzi che tornano a casa inseguiti dalle grida e dagli insulti di taluni professori: insulti che vanno dal più abusato "cretino" al più tradizionale "asino" fino a raggiungere il più fantasioso "gaglioffo". Metodi pedagogici antichi che daranno poi i loro frutti a scrutini ultimati, quando il 90 per cento degli studenti si accorgerà di essere stato bocciato. 

Primordiali palloni fatti di stracci animano le giornate dei ragazzini cagliaritani. Ogni piazzetta, larga o angusta che sia, viene trasformata in campo da gioco. Nel popoloso quartiere di Stampace le partite si susseguono in permanenza in Piazzetta Santa Restituta, di fronte alla Chiesa di San Michele e a quella di Sant' Efisio. I poveri mortali che abitano nei pressi sanno bene, purtroppo, che i giovani calciatori non "smontano" nemmeno nelle ore piccole, perché nel profondo silenzio della notte risuonano improvvisamente delle voci che ancora gridano: «goal, corner, fallo...». Alle partite non manca nessuno: undici contro undici più arbitro e un folto gruppo di tifosi chiassosi e appassionati. Ma non c'è solo il pallone a riempire le giornate dei giovani cagliaritani. "Martino" è un lungo listello di legno sulla cui estremità i monelli picchiano con un bastone e lo fanno saltare con violenza, accompagnando il balzo con altissime grida: «Salta Martino!», salta il più lontano possibile e non disdegnar di andar addosso ai passanti, come è capitato il giorno in cui sei volato sulla nuca di una giovane signorina che usciva tutta felice e contenta dalla Chiesa cli San Mauro dopo aver assistito ai solenni vespri! C'è da credere che a nulla varranno le raccomandazioni del cronista affinché i vigili urbani reprimano energicamente «i giochi di codesti giovincelli, contravvenzionando i genitori, non solo di calciatori in erba e di "Salta Martini" ma anche di ex-balilla che, dai bastioni, dai muraglioni, non dimenticano il fatidico gesto e spesso rompono teste "innocenti"».

Intanto i calciatori, quelli veri, richiamano al campo di Via Pola migliaia di spettatori, in prevalenza militari. Non sono rari gli incontri che vedono la compagine cagliaritana di fronte a rappresentative delle Forze Armate italiane o alleate. Il pubblico, un po' troppo esuberante, non di rado invade il campo con il conseguente fuggi-fuggi di arbitri e guardialinee. Non mancano neanche gli scontri tra tifosi ma tutto si risolve in sane scazzottate che lasciano il tempo che trovano. La squadra del Cagliari nel 1945 partecipa al campionato regionale di prima divisione a cui prendono parte 19 formazioni distribuite in tre gironi. I rossoblù dominano il torneo e si aggiudicano il titolo di campioni sardi.

A Cagliari un inverno freddo è spesso anticipatore di una caldissima estate Così il 1° luglio 1945 il termometro segna 42 gradi all'ombra e 48 al sole. La popolazione alla ricerca di un po' di refrigerio prende d'assalto i tram che dalla città portano al Poetto. I passeggeri occupano i posti a sedere e quelli in piedi, mentre i ritardatari se ne stanno a cavalcioni sui finestrini e c'è anche chi si "accomoda" sui respingenti, tra vagone e vagone. Agli stabilimenti balneari ("Il Lido") il costo di una cabina per l'intera stagione oscilla tra le 8 e le 15mila lire. La spiaggia sembra essere tornata quell'enorme salotto che era stata prima della guerra. Alcune "attività" si trasferiscono in blocco dalla città alla spiaggia. Decine e decine di signorine che fanno il bagno «nelle stesse condizioni dei giovanotti della Darsena» richiamano l'attenzione della Forza pubblica. All'operazione di rastrellamento, svolta in perfetto stile militare, partecipa anche la polizia inglese. L'arenile viene circondato a ventaglio, chiudendo nelle sue braccia tutte le allegre donnine che vi si trovano. Molte vengono rimpatriate, altre avviate al carcere, alcune ricoverate. Diverse denunce per oltraggio al pudore vengono spiccate nei riguardi di molti giovani, rei di aver indossato costumi eccessivamente succinti; si sa infatti che «la spiaggia deve essere un luogo di onesto divertimento e sana ricreazione e non deve servire ad aumentare il vizio e la corruzione».

Promossa dal Centro Vivaldiano di Roma e dall'Istituzione concerti del Conservatorio Musicale di Cagliari il 2 agosto si apre la stagione lirica estiva. Al teatro "Giardino" è di scena la "Madama Butterfly". Al capolavoro pucciniano seguono il "Rigoletto", la "Tosca", la "Bohème" e la "Fedora". In cartellone anche due grandi concerti sinfonici eseguiti da una orchestra di 70 elementi. La platea è sempre affollatissima, complici anche i prezzi abbordabili da qualsiasi borsellino; gli abbonamenti vanno infatti dalle 650 alle 1.300 lire. La stagione si conclude il 2 settembre con un'indimenticabile trionfale "Tosca" interpretata da Beniamino Gigli. Ma il fervore culturale del capoluogo non si manifesta soltanto nei teatri attraverso un pubblico competente e raffinato. Il giovane sodalizio degli "Amici del Libro", fondato e presieduto dal professor Nicola Valle, è infatti ormai al centro della vita intellettuale cagliaritana ed è seguito da un gruppo che si fa tutti i giorni più folto e rappresenta quanto di meglio conta la città nel campo culturale. Seguitissime sono soprattutto le conferenze del Giovedì, tenute generalmente nella Biblioteca Universitaria ma non meno frequentati sono i corsi domenicali tenuti nella sala dell'Università. Francesco Zedda intrattiene il pubblico parlando dei poeti russi rivoluzionari; Carlo Maxia si diffonde ad illustrare, a puntate, le differenziazioni dei sessi; Francesco Alziator inizia un ciclo di conferenze sulle tradizioni popolari della Sardegna; mentre artisti come Aurelio Galleppini, Ignazio Zara, i fratelli Thermes, eccetera, alternano le loro mostre alle lezioni degli illustri cattedratici.

Il 23 Dicembre, dopo un ventennio di "oscuramento" ritorna la Festa delle matricole universitarie. Il programma, allestito dalla LAUC, prevede nel pomeriggio una gara di carrettini che si sfideranno in una pazza corsa tutta in discesa che li vedrà partire da Piazza Arsenale, affrontare il Viale Regina Elena per arrivare poi in Piazza Martiri dove essi imboccheranno a tutta velocità Via Manno e infine il Largo in cui è posto il traguardo. I carrettini, le cui ruote sono state ricavate da carrozzine per bambini, scendono dal Castello fino alla Marina evitando con abili sterzate le traversine del tram. Per gli equipaggi è obbligatorio il casco, ad evitare inopportuni "incontri" con l'edicola che guarda a Via Manno. Dino Chicca ed Antonio Agnesa, matricole di Ingegneria, precedono gli altri 20 equipaggi e si aggiudicano l'ambito trofeo costruito con barattoli di conserva americana. La coppia, nascosta sotto i solidi elmi american-teutonici, raggiunge il traguardo in soli tre minuti e otto secondi; la vittoria è senza dubbio frutto di lunghi ed avventurosi allenamenti notturni. Al duo Pili-Miglior va invece la coppa per il miglior carretto. In serata una fiaccolata parte da Via Università, scende fino a Via Roma per risalire poi per il Viale Regina Margherita e raggiungere la Piazza Costituzione dove viene bruciato un fantoccio rappresentante la matricola. Durante il rogo un gruppo di anziani studenti danza rumorosamente una sorta di ballo indiano, guidato da uno stregone che dichiara l' "apertura della caccia" agli spaesati e rassegnati esordienti dell'Università che vengono acciuffati e costretti a pagare inviti. Il giorno seguente un grande corteo raggiunge un apposito palco eretto nel Largo. La processione è aperta dai paggi coi costumi del '700, dai trombettieri e dai banditori. Seguono tre moschettieri ed il gonfalone portato da un altro paggio; quindi un asino che traina il carro sul quale troneggia il pontefice, circondato da quattro dottori, da due vecchi in toga, dal boia e dal valletto. Chiudono la sfilata i carri allegorici con gli studenti delle diverse facoltà. Appena il corteo giunge di fronte al palco, un anziano dichiara aperta la cerimonia dell'imberrettazione. Il banditore legge l'apposito proclama in latino e in dialetto. Successivamente il pontefice declama l'orazione in latino maccheronico, sottolineata da larghe risate. La parola tocca poi al boia, che impone la relativa pena alle matricole a seconda delle risposte che esse hanno dato alle domande del pontifex. Dopo la rituale benedizione il corteo si ricompone ed attraversa tra i canti le vie della città. Nella palestra ex-GIL, di sera, il gran veglione conclude i festeggiamenti.

A fine gennaio 1946 Radio Sardegna abbandona i vecchi e oramai inadeguati capannoni di Is Mirrionis, che la videro crescere e affermarsi come una delle prime emittenti nell'Italia libera, per trasferirsi in Viale Bonaria. L'adozione di una nuova lunghezza d'onda rende la radio ascoltabile in ogni parte dell'isola e grazie alle nuove strutture i programmi migliorano ulteriormente. Le trasmissioni più seguite sono sicuramente quelle musicali, grazie anche alla presenza negli studi di una orchestra ritmica e di una da camera. Apprezzate dagli ascoltatori anche le trasmissioni di rivista nonché le interpretazioni di drammi e commedie da parte della Compagnia Drammatica di Radio Sardegna.

Il 1946 è anche l'anno delle prime consultazioni amministrative del dopoguerra. A Cagliari gli iscritti al voto sono 66.413 per eleggere 50 consiglieri scegliendoli tra sei liste diverse: Social-comunisti, Partito Sardo d'Azione, Democrazia Cristiana, Partito Democratico del Lavoro, Uomo Qualunque e Partito Liberale. È il 17 marzo 1946. In 41.894 si recano alle urne distribuite nelle 52 sezioni cittadine e nelle 20 delle frazioni. La popolazione riassapora dopo 26 anni il gusto della libera scelta, anche se non è semplice dimenticare quello dell'olio di ricino o delle bastonate. Nell'aria si respira un'atmosfera particolare: è la voglia di ricostruire una città martoriata dalle bombe, di rifondare una nazione distrutta dal fascismo, a creare questa tensione morale e politica. Sono giorni di grandi scontri fra i partiti, di grandi confronti ideologici, di grandi speranze. Dalle urne esce una classe politica che ha il compito di ricostruire Cagliari e restituirla ai suoi abitanti. Il futuro della città, nel bene o nel male, sarà comunque nella democrazia.


Vito Biolchini: «"Brundu" scrittore dostoevskijano»

Francesco Fancello è uno dei tanti desaparecidos della letteratura sarda. Pretendente deluso, letto ma subito dimenticato. La sua produzione si risolve in due romanzi pubblicati nella seconda metà degli anni '40, nonché in alcune novelle ed una commedia ancora inedite. 

Esordisce nel 1945 - utilizzando Io pseudonimo di Francesco Brundu (il cognome della madre) - con il romanzo Il diavolo fra i pastori, edito da Mondadori. È la storia di Antonio Silano il quale, dopo aver scontato ingiustamente vent'anni di carcere per un omicidio mai commesso, ritorna al suo paese trovando ospitalità dalla sorella. Nonostante la libertà riacquistata, egli non è però un uomo felice: la donna che avrebbe dovuto sposarlo, Mariantonia Crobu, è infatti ora moglie del suo più acerrimo nemico, Mariano Boille. Il tradimento brucia ancora e ad esso si aggiungono i ricordi angosciosi della vita carceraria: vent'anni passati a fantasticare, ignorando il tempo e la solitudine.

Il paese, che da sempre conosce l'innocenza di Antonio, ora gli è ostile perché egli si è unito a Celestina Sapa, una maliarda ritenuta da tutti responsabile di una serie di sciagure che si abbattono sulla comunità.

È in una Sardegna ancora scossa dalla grande guerra appena conclusa che l'autore ambienta questo romanzo di chiara impronta deleddiana nel quale il vero protagonista - un paese della Barbagia e le sue stratificazioni sociali - non riesce a prendere coscienza della nuova realtà scaturita dall'esperienza bellica così come non riesce ad accettare il ritorno di Antonio e la sua scelta sentimentale.

La trama del romanzo si snoda fra tradimenti, congiure e tragedie. Antonio si riavvicina all'antico amore, scoprendo la sua profonda infelicità. La donna continua ad amarlo, ma egli ancora non sa dare una risposta a quel terribile tradimento. Sarà Celestina a svelargli il segreto: furono il padre di Mariantonia e Pietro Silano - il fratello che, per sfuggire alla cattura, ha preferito emigrare - a commettere quell'omicidio di cui egli fu accusato. La madre di Antonio, dopo aver favorito la fuga di Pietro, il figlio prediletto, acconsentì al matrimonio di Mariantonia, lasciando il figlio innocente nelle mani della giustizia. La verità sconvolge la vita di Antonio, il quale, dopo essere sfuggito miracolosamente ad un agguato orditogli da Mariano Boille e dopo aver rotto ogni relazione con la maliarda, abbandona per sempre il paese.

Il romanzo - che è recensito, fra gli altri, da Michele Saba ne L'Isola del 22 luglio 1945 - non è privo di spunti lirici anche se risulta molto distante non solo dai gusti dei lettori di oggi ma pure dalle correnti letterarie dell'epoca. (Nel 1945 esce il primo numero del Politecnico, che fornisce un grande contributo alla cultura e alla letteratura italiana del dopoguerra). Bisogna però riconoscere che Fancello fa tesoro del proprio vissuto che rivive nel libro attraverso le vicende dei personaggi. Numerosi sono gli spunti chiaramente autobiografici: non a caso interi capitoli sono dedicati alla vita in carcere e alle sue asprezze. Tuttavia il romanzo, che appare troppo schematico e di lettura non certo agevole, complice anche il lessico ancora ottocentesco, regala momenti di intense emozioni e di vera letteratura. Oltre all'episodio del "Passero della prigione", riprodotto nella rivista Il Ponte, la storia di Baldassarre Codrongianu, di sua moglie e del figlio emigrato è degna di una qualsiasi antologia.




Di taglio e di contenuto diverso è il secondo romanzo, dal bizzarro titolo de Il salto delle pecore matte, edito dal romano De Carlo, nel 1949. Questa volta il protagonista è Pancrazio Porcu Sulas, un adolescente nuorese che, affascinato dalla descrizione che un forestiero fa della capitale e oppresso dalla vita barbaricina, decide di fuggire alla volta di Roma. Animato da una infantile quanto folle convinzione (egli crede che la tanca paterna nasconda un immenso giacimento argentifero che si estende, secondo i suoi calcoli, fino al salto delle pecore matte), il ragazzo comincia a frequentare un gruppo di sardi che si ritrova ogni sera nella trattoria di zia Filomena. La grande guerra è appena finita e nei giovani isolani è ancora viva l'esperienza bellica, così come il ricordo della loro terra.

Pancrazio, frattanto, si iscrive al Liceo, ma per lui l'anno scolastico inizia male. Oggetto di scherzi da parte dei compagni, egli sperimenta il peso della propria differente identità culturale: figlio di un pastore, non viene accettato dal mondo della borghesia e dell'aristocrazia romana. Tuttavia, dopo mesi di umiliazioni, egli vede crescere vertiginosamente il proprio rendimento scolastico, riuscendo così a riconquistare la fiducia dei professori e dei compagni. Coloro che una volta lo evitavano, chiamandolo "Brigata Sassari", ora cercano la sua amicizia. Per Pancrazio è un momento felice: nonostante le differenze sociali instaura un rapporto privilegiato con il coetaneo marchesino Lodovico De Savelli e la sua famiglia. Fancello-Brundu - che conosce Roma per averci vissuto a lungo - ha così l'opportunità di offrirci uno spaccato, seppur parziale, dell'ambiente sostanzialmente corrotto della nobiltà romana.

Il romanzo si conclude, dopo alterne vicende, con il ritorno a Nuoro di Pancrazio, per i funerali del padre, che in punto di morte gli ha perdonato la fuga consentendogli di continuare gli studi in continente.

Il salto delle pecore matte è privo di quegli spunti poetici che avevano caratterizzato l'esordio letterario di Fancello. La lettura ne è quindi agevolata attraverso una prosa scorrevole e talvolta piacevole (in una recensione apparsa il 19 aprile 1950 La Nuova Sardegna definisce il romanzo addirittura «un grande capolavoro» con «pagine che ricordano i grandi russi»). L' autore analizza la realtà dei sardi emigrati nella penisola, la loro incapacità di imporsi, i loro desideri e le loro frustrazioni, ricostruendo il tormentato percorso della Sardegna tra l'unità e la prima guerra mondiale che essi hanno combattuto al fronte e che ritorna puntuale in ogni loro discussione: «Chiedi a Baingiu il discorso che si fece fra noi sullo Zebio, la sera prima dell'attacco. Ti ricordi Baingiu? Lui diceva appunto: il mondo è diventato un macello, ci facciamo scannare come pecore. Lo sapete che cosa gli ho risposto? Gli ho risposto: Sì, ci son quelli che si fan scannare come pecore, ma ci son quelli che muoiono da uomini. Col nostro sangue paghiamo il riscatto per i nostri contadini e i nostri pastori. Per questo riscatto siamo uomini [...]. Prima ognuno era solo. Invece ora abbiamo stretto un patto davanti alla morte e lottiamo insieme per la giustizia».

La raggiunta maturità politica consente ora altri obiettivi: «Sì - confermò Efisio Manca - gli ex combattenti vogliono l'Autonomia, ma per spezzare le loro catene, non per ribadirle. I nostri ras finora ci han tenuto a colonia, e alla guerra ci han portato come ascari. Ricordate? Triste la guerra per tutti, ma più triste per contadini e pastori. Sono questi che devono affrancare la Sardegna. L'Autonomia non può stringere insieme sfruttatori e sfruttati [...]. Si fermò per un istante poi prese ad intonare la vecchia cantilena: "Procurad'e moderare / Barones sa tirannia..."».

Ora tutti ascoltano intenti, ma alla prima pausa interviene il meccanico Bucci: «Bisogna cantare l'inno dei lavoratori».

C'è fu una sollevazione generale. «Cosa c'entra?... La Sardegna deve fare per conto suo... Viva i combattenti!». Spetta anche questa volta a Efisio Manca di mettere pace: «Sicuro, canteremo anche l'inno dei lavoratori; a patto che gli operai si ricordino che i contadini sono i loro fratelli. Noi vogliamo unirci a tutti gli uomini del lavoro, ma debbono essere tutti uguali. In alta Italia non l'hanno ancora capito. Senza uguaglianza non c'è socialismo».

«Inutile, c'è il mare» dice con accento amaro Baingiu.

«Il ponte lo faremo noi - lo confortò Efisio Manca -. Noi contadini, pastori, artigiani, minatori e anche intellettuali. Ve l'ho detto: abbiamo stretto un patto davanti alla morte. L'Autonomia non è l'isolamento ma il risveglio. Guai ai soli, guai ai soli!».

Un passo, questo, in cui emerge con assoluta limpidezza anche il più recente impegno teorico e politico di Fancello, azionista lussiano che tende a collegare l'antico partito regionale fondato dai combattenti con la nuovissima formazione scaturita da Giustizia e Libertà, il movimento dei "nuovi combattenti", i combattenti dell'antifascismo.

Sono questi i tratti più interessanti del romanzo che, purtroppo, si sviluppa, prevalentemente, su un piano tematico che, in verità, si rivela poi sterile e inconcludente, quello del rapporto tra il mondo tradizionale incarnato da Pancrazio e il mondo dissoluto rappresentato da Lodovico e da sua madre.

Purtroppo Fancello, per mancanza di quel mestiere che gli avrebbe consentito il salto di qualità e l'ingresso a pieno titolo nel mondo letterario italiano, non riscuote come scrittore il successo sperato, quello che, per esempio, arride al suo caro amico Emilio Lussu, la cui figura emerge con tratti leggendari in brevi episodi che più di tante parole sono capaci di rendere lo spessore del mito dell'antico capitano della "Sassari".

«Al mio paese - disse Barore Pais - siamo andati a votare in ordine chiuso come alle manovre: una meravigliosa manifestazioni di forza. La vigilia lui era intervenuto a un grande comizio. Successo senza precedenti [...]».

«Da noi - disse un altro - non volevano farlo entrare in paese. Il partito del Governo aveva addirittura schierato all'entrata i barracelli. Ma lui ha avuto un colpo di genio. Capìto a volo, scende dall'auto e fa col cipiglio più serio: - Chi comanda qui? - Io - risponde con sussiego il più anziano che era sergente della Sassari. - Bravo! Bei soldati - fa lui. - Ma le pare che siano bene allineati? Tu fatti più avanti, e anche tu. Ora sì. E questo fucile? Puliamo meglio le armi, ragazzi, sempre in gamba e scattare. Proviamo un po'. Attenti! Riposo! Attenti! - E così è entrato in paese con tutti gli onori».


Vito Biolchini: «Il film dei 156 giorni, il tempo di Ferruccio Parri»

Giovedì 20 giugno 1945. La lunga crisi politica apertasi con le dimissioni del secondo Governo Bonomi finalmente si risolve con l'attribuzione a Ferruccio Parri della leadership del nuovo Ministero. E intanto altre province della penisola tornano sotto la bandiera italiana, affrancandosi dall' amministrazione alleata.

Ma la guerra, conclusa in Europa, continua altrove, lontano, nel Pacifico. In tre milioni abbandonano il vecchio continente per stringere d'assedio l'ultimo bastione dell'illusione nazista. Sono le fasi finali del conflitto, forse per questo più drammatiche. I giornali italiani, e quelli sardi fra essi, ormai liberi pure loro, le seguono con estremo interesse. Svaniscono gli ultimi tentativi tedeschi di conquista dell'Inghilterra, abortiscono le minacce dei cannoni lunghi 130 metri e del nuovo missile V3.

Per il mondo sono giorni veramente intensi. I quotidiani regionali - L'isola di Sassari e L'Unione Sarda di Cagliari - debbono concentrare un'autentica messe di notizie in due sole pagine, magari rimpicciolendo i caratteri. Informano del battesimo dell'ONU a San Francisco e dell'imminente distribuzione a Cagliari di indumenti da parte dell'ENDSI. I giapponesi cominciano a temere lo sbarco alleato, in Sardegna si apre la questione dello zolfo.

23 giugno: Parri si insedia al Viminale. La stampa riferisce dell'arresto in Francia dei probabili assassini (cinque) dei fratelli Rosselli. Ad Okinawa centomila soldati nipponici muoiono difendendo l'onore del loro Imperatore. La Germania tiene ancora banco: che fine ha fatto il Fuhrer? Tutti se lo chiedono. Il Governo italiano fissa il suo programma, mentre dagli USA arrivano 47 vagoni di pneumatici e ad Udine, durante una commossa cerimonia, 8.500 partigiani consegnano le armi. Un decreto ministeriale elimina il titolo di "eccellenza".

Se il mese si chiude con un appello di Einaudi ai risparmiatori, quello nuovo si apre con un'intervista del presidente del Consiglio al Manchester Guardian. La nuova realtà italiana intriga molto gli inglesi, da sempre popolo amico nonostante gli anatemi di Affelius: in uno slancio profetico arrivano pure a criticare decisamente l'ordinamento monarchico italiano...

Governo nuovo, banconote nuove: si decide a luglio il cambio dei biglietti di banca. Ogni giorno rimpatriano 1.500 profughi ed è anche per questo che Parri, in un appello radiofonico, chiede al Paese di dar prova di spirito di sacrificio e di disciplina nazionale. La società civile e quella militare sono in pieno sconvolgimento, le epurazioni nell'Amministrazione statale sono massicce e il Paese ne esce frastornato. In Sardegna si profila lo spettro della fame mentre nella penisola si fanno quotidiane le dimostrazioni dei disoccupati. I generi di prima necessità distribuiti con la tessera sono insufficienti e di dubbia qualità. Cresce il malcontento popolare, molti arrivano ad insinuare che si stava meglio quando si stava peggio. Ma questa vita ormai ha assunto un ritmo frenetico ed il futuro è un'incognita da risolvere subito.

Nell'isola la Consulta regionale prosegue i propri lavori mentre Parri riceve il 5 luglio una delegazione sardista comprendente anche il ministro Lussu, che è appena stato sfidato a duello dal generale Pugliese per alcune affermazioni contenute in Marcia su Roma e dintorni. L'eroe rimanda a casa i padrini dell'alto ufficiale offeso e dichiara alla stampa che se dovesse accettare la sfida di tutte le persone citate nel libro sarebbe costretto ad occuparsi per vent'anni di pistole e di duelli. «Che il generale metta per iscritto le sue lagnanze e le affidi ad un giornale, aprendo un dibattito serio e costruttivo».

Qualcuno contabilizza i costi di quasi sei anni di guerra: 670 miliardi di dollari. Gli inglesi vanno alle urne mentre i francesi - che hanno recuperato per il Louvre la Venere di Milo saccheggiata dai nazisti - arrivano a Berlino.

Il 15 luglio l'Italia dichiara guerra al Giappone. Non mancano i sussurri circa l'intenzione della Germania di preparare un'altra guerra. Si dice anche che Hitler, sbarcato in Argentina da un sommergibile con la croce uncinata, si sarebbe rifugiato in Patagonia insieme ad Eva Braun e mediterebbe, come Napoleone, il "gran ritorno". Nel vecchio continente però i venti della democrazia soffiano impetuosi. In Italia si discute di calendari elettorali, mentre i tribunali cominciano a giudicare i più efferati delitti commessi dalla dittatura fascista. Tornano i fuoriusciti e tra essi c'è il vecchio Francesco Saverio Nitti che rimpatria dopo vent'anni di esilio negli Stati Uniti.

La ricostruzione industriale avanza lenta ma costante, grazie anche all'aiuto degli Alleati che riforniscono l'Italia delle materie prime di cui necessita. A metà luglio, 24.000 tonnellate di carbone vengono inviate alle fabbriche del nord. Anche i prigionieri tedeschi danno il loro… contributo, bonificando i terreni infestati dalle mine. Crolla il mito Petain: il vecchio generale francese, eroe della prima guerra mondiale e traditore e collaborazionista nella seconda, ascolta con sguardo assente la richiesta della pena di morte formulata dal pubblico ministero.

Mentre i tre grandi del mondo si incontrano a Postdam, in Italia si discute ancora della morte di Mussolini: le versioni si accavallano, i dubbi ed i misteri si infittiscono. La Sardegna, priva di collegamenti con il continente (la lista d'attesa per i passeggeri sfiora i tre mesi), vive intensamente la stagione balneare. E la riscoperta di una dimensione quasi ludica della vita, dopo anni di angosce e di patimenti. Le spiagge tornano ad essere il salotto estivo della gente, luogo di incontro e, perché no, di scandalo. È un gioco di specchi e di illusioni: si fugge nel futuro, con 30 lire è lecito sperare in uno dei 306 premi della lotteria Italia.

Il 20 luglio terminano le elezioni inglesi. A giorni si saprà che il vecchio "Winny" Churchill - l'uomo che aveva promesso al suo popolo solo «sangue sudore e lacrime» - non ce l'ha fatta. In seguito alla disfatta rifiuterà - unico caso in 600 anni - la commenda della giarrettiera. Il laburista Clement Attlee è il trionfatore delle urne; il suo primo impegno è a Postdam. Per una democrazia che vive, una che muore: in Ungheria viene abolita la libertà radiofonica. Tutti gli apparecchi vengono requisiti e sostituiti con altri che possono captare solo le frequenze dei programmi governativi. Per la Germania intanto è tempo di espiare: dopo il ritrovamento del corpo di Goebbels si apre a Londra il primo processo contro i capi nazisti. Uno dopo l'altro si scoprono i campi di sterminio: Ribbentrop, Goering e altri loro pari sono costretti ad una tragica proiezione dell'inferno in terra, di fosse comuni, di scheletri viventi, come li hanno filmati a Buchenwald alcuni soldati americani. Fra breve in Slesia saranno ritrovati i corpi di 80.000 prigionieri, in prevalenza russi e polacchi.




Paese sconfitto, umiliato e frustrato. L'Italia conosce l'esplodere di pericolose tensioni civili: a Livorno le forze dell'ordine salvano dal linciaggio un sergente repubblichino. Episodi simili si ripetono ovunque. Falsi partigiani vengono arrestati a Roma: ormai non c'è più posto sul carro dei vincitori. «In nome di Dio» Alcide De Gasperi dichiara aperti i lavori del Consiglio Nazionale democristiano, incentrato sulla nascitura Assemblea Costituente mentre socialisti e comunisti discutono animatamente sul loro patto di unità d'azione. L'isolamento economico attanaglia l'Italia che, dopo vent'anni di autarchia e in attesa di un trattato di pace che le consenta l'ingresso nelle Nazioni Unite, invia delegazioni presso le maggiori capitali dell'Est europeo (Praga, Varsavia, Mosca) per la stipula di nuovi trattati commerciali.

Dopo una breve spaccatura che fa temere il peggio, a Postdam, Attlee, Truman e Stalin, arrivano ad un compromesso: il Reich dovrà ridursi alle dimensioni di un paese prevalentemente agricolo ma, attraverso un'accorta politica di import-export, autosufficiente. I russi continuano a dare la caccia al Fuhrer: in una zona di 325mila Kmq. (un'area pari a tutta l'Italia) operano gli uomini del colonnello generale Alexander Gorbatov che, oltre all'ipotesi del rifugio argentino di Hitler, ventilano anche quella austriaca, né escludono però il suicidio del pazzo.

Sei agosto. Il presidente Truman annuncia al mondo intero «una grande scoperta scientifica»: dopo anni di ricerche i laboratori americani sono riusciti a produrre la prima bomba atomica che è stata appena lanciata sulla città giapponese di Hiroshima. L'esplosione ha formato una curiosa colonna di fumo e di detriti a forma di fungo. Le reazioni alla "scoperta" sono contrastanti: se da una parte si tessono le lodi dei prodigi della bomba atomica, dall' altra essa suscita sgomento in Vaticano («un ulteriore passo verso l'impiego indiscriminato dei mezzi di distruzione») e negli ambienti vicini all'arcivescovo di Canterbury che laconicamente afferma: «Sono grato a Dio che la scoperta sia stata fatta soltanto adesso che il mondo è stanco della guerra». Per accelerare la fine del conflitto e rinsaldare la collaborazione fra le Nazioni Unite dopo la comune vittoria, anche l'URSS dichiara guerra al Giappone. Il 10 un'altra bomba viene sganciata su Nagasaki. L'impero nipponico accetta la resa incondizionata. Il nazismo dei samurai è finito per sempre: prostrato e umiliato di fronte alla potenza tecnologica americana, il colosso chiede ora pietà. Feriti nell'onore, numerosi gerarchi del "Sol Levante" si suicidano davanti al palazzo imperiale. Secondo alcune voci anche Hiro Hito, il "Figlio del sole", per sfuggire alla cattura avrebbe fatto harahiri. Diciassette divisioni USA sono già pronte a sbarcare nell'arcipelago: l'ordine tassativo è di non fraternizzare. 

Il 12 agosto ricorre in Italia il primo anniversario della liberazione di Firenze. Durante una solenne cerimonia, il presidente Parri consegna alla città la medaglia d'oro al valor militare. In piazza della Signoria migliaia di fiorentini acclamano "Maurizio", l'anziano comandante partigiano il cui discorso è una vera e propria lezione di democrazia: «Questa vecchia Italia la vogliamo e la dobbiamo rinnovare sinceramente e profondamente: la democrazia non è per noi una parola: deve essere e deve diventare un istinto». Il presidente-nocchiero dirige la nave Italia tra le secche della disoccupazione: non bastano 6 miliardi di stanziamento per evitare i 4 milioni di senza lavoro del prossimo inverno. Nonostante gli aiuti internazionali (il 19 arrivano 91.000 tonnellate di cotone), i sonni del Governo sono turbati dalla complessa lotta contro il banditismo, i movimenti separatisti e le rivendicazioni internazionali a danno dell'Italia. Il maresciallo Tito chiede nuovamente Trieste, il litorale sloveno, la Venezia Giulia, l'Istria, Fiume, Zara, Lagosta e Pelagosa, mentre l'URSS sollecita riparazioni per 380 milioni di dollari.

Passa Ferragosto. A Sassari sfilano, secondo tradizione, i Candelieri: dalla chiesa del Rosario il corteo giunge in municipio dove il sindaco consegna solennemente il gonfalone al nuovo obriere del Gremio degli Agricoltori. La lunga estate sarda - che regala incendi un po' in tutta l'isola - scorre con i suoi riti sacri o profani.

A Roma il presidente Parri ed il comandante Stone celebrano solennemente al Campidoglio la fine della guerra. Il 29 agosto le prime unità della flotta alleata entrano nella baia di Tokio. Il Giappone esce in ginocchio dal conflitto: 44 città con popolazione superiore a 100.000 abitanti sono state rase al suolo. Nella capitale la popolazione è scesa da quasi 9 milioni ad un milione e mezzo di abitanti. La cerimonia ufficiale della resa si svolge il 2 settembre a bordo della "Missouri", enorme macchina di guerra trasformata in un altare di pace.

La Francia in primo piano: dopo aver abolito la censura il governo di Parigi libera tutti i prigionieri italiani. Il 26 settembre per la prima volta le donne si siedono a Montecitorio. E il debutto della Consulta Nazionale. Dice Parri: «Vedo tra voi gli anziani della lotta clandestina ed i giovani dell'insurrezione. Non vi abbiamo chiesto un giuramento che abbiamo ritenuto formale e perciò superfluo. Il giuramento sia nel vostro spirito, di servire lealmente il popolo italiano. Giuriamolo alla memoria dei nostri caduti per la libertà».

È una strana Italia quella che sta nascendo. Ai gravi tumulti ed ai disordini che colpiscono il meridione, ed alla precaria situazione sanitaria che farà registrare persino dei casi di peste in Puglia, si affiancano il transitorio e precario equilibrio istituzionale, il gravissimo debito pubblico che ormai ha sfondato il tetto dei 850 miliardi e una paura irrazionale verso un'improbabile restaurazione fascista. A fine settembre i giornali smentiscono categoricamente la notizia, apparsa pochi giorni prima, che denunciava la scoperta di un complotto terroristico che avrebbe dovuto culminare in una nuova "marcia su Roma". E non bastano gli ulteriori 6 milioni di libbre, comprendenti scarpe, latte e strumenti chirurgici, che gli USA inviano in Italia per scacciare questi spettri e queste tentazioni. A Cagliari si rafforza la Giunta Pintus, che alla credibilità dei suoi uomini associa la fattività dei risultati. Che ancora non bastano. La città resta macerie e bisogno, nonostante le evasioni dell'estate che è passata.

Harry Truman è il nuovo presidente degli Stati Uniti. La sua è una politica a tutto campo: si dichiara fermamente favorevole alla pubblicazione e alla revisione dell'armistizio con l'Italia; il 14 ottobre celebra insieme a Parri ed a Orlando la "Giornata di Colombo"; chiede l'istituzione di una commissione per lo studio dell'atomica per fini specifici. A Tokio intanto il generale McArthur concorda con Hiro Hito la formazione di un nuovo governo. Già si vocifera che il segreto dell'atomica stia per essere scoperto dai russi.

Nel Guinness dei primati entrano il maggiore sovietico Romanyuko che, lanciatosi col paracadute dall'altezza di 13.108 metri, tocca terra dopo 2 minuti e 47 secondi, e l'apparecchio quadrimotore americano "Skymaster" che, con 9 passeggeri e 5 membri d'equipaggio, ha compiuto il giro del mondo in 151 ore.

Sedici ottobre: viene giustiziato Laval, ex primo ministro della Repubblica di Vichy. Lo stesso giorno, a Cagliari, vengono arrestati gli assassini di Efisio Melis, il giovane sardista caduto per mano fascista nel 1922. Un piano per stroncare la malaria è già stato approntato e diverrà presto operativo. Un altro segnale di rinascita arriva da Cagliari dove, dopo un concorso durato alcuni mesi, viene battezzato il nuovo teatro di viale Trento: il nome "Massimo", avallato da 1.399 schede, è preferito di gran lunga a quello di "De Candia" (375 voti), "Mediterraneo" (371), "Palazzo" (263), e ad altri duecento nomi circa riportanti ciascuno meno di 200 voti. Mascagni - scomparso ai primi di agosto - è suffragato pure lui: sono in 305 a dargli la preferenza. La signorina Maria Giovanna Sanna - una dei 2.500 votanti - è scelta quale madrina del teatro. Certo, Cagliari non è Stalingrado (ricostruita rapidamente con uno stanziamento record di un miliardo e 145 milioni di rubli), ma bisogna dar atto al sindaco Pintus di aver raggiunto dei risultati straordinari in meno di un anno di mandato. Tuttavia, se l'emergenza, alloggi viene, seppur lentamente, superata consentendo il graduale rientro degli sfollati il problema annonario rimane la spina nel fianco dell'Amministrazione comunale. L'arrivo nell'isola di un milione di quintali di grano non impedisce l'aumento ulteriore del prezzo della frutta della carne e degli ortaggi. Di fronte a questa situazione ognuno si arrangia come può. A Milano per esempio si e costituito il partito della Democrazia Rurale, a Cagliari (ma non solo qui) ci si rivolge più sbrigativamente alla borsa nera.

In questa Europa minacciata dalla fame e dalle epidemie si delineano i nuovi equilibri, e le nuove realtà. Strumenti bellici come il radar e l'atomica hanno trasformato il concetto stesso di guerra. In un dibattito alla Camera dei Comuni a Londra, tutti gli oratori (di destra e di sinistra) avvertono che un nuovo conflitto porterebbe alla distruzione della civiltà. Ma la corsa agli armamenti è appena iniziata, gli americani mettono a punto nuovi aerei capaci di volare ad un'altezza di 13.000 metri ed alla velocità di 960 km/h. Gli USA istituiscono ora anche la leva obbligatoria mentre in Italia, in attesa del nuovo trattato di pace, si ignora ancora se il nuovo esercito sarà formato da professionisti o da giovani coscritti.

Novembre. Stalin, in perfetta salute checché se ne dica in giro, suggerisce al primo ministro rumeno Groza di conservare il sistema dell'impresa e della proprietà privata: «Non affrettate le cose e non esercitate pressioni. Lasciate che le aziende vengano collettivizzate soltanto da chi lo desidera». Lui, però, non dà l'esempio. Il 4, Andrea Finocchiaro-Aprile, capo indiscusso del MIS (Movimento Indipendentista Siciliano), viene arrestato ed inviato ai confino. La sua organizzazione, supportata da un cospicuo numero di uomini armati inquadrati in un estemporaneo esercito volontario separatista, verrà progressivamente isolata nella scena politica fino a perdere ogni consistenza. Il sogno di una libera Repubblica di Sicilia, o di uno stato federato agli USA, svanisce miseramente: se nel caos seguito all'otto settembre il MIS era riuscito ad imporsi come forza emergente nell'isola ora, con l'affermazione di un certo equilibrio istituzionale, esso si sgretola sotto i colpi dei partiti. L'unità d'Italia non è in discussione.

Il 6, discorsi ovunque dei maggiori leader politici. Il giorno dopo, con titoli a tutta pagina sui giornali, vengono pubblicate le condizioni dell'armistizio. Per qualche tempo l'argomento catalizza l'attenzione degli italiani insieme alle prime voci di crisi ministeriale

Il 20 il magnifico rettore Ernesto Puxeddu inaugura a Cagliari l'anno accademico. Ma il bilancio finanziario è disastrosamente deficitario e l'ateneo è quasi al collasso; gli studenti sono 2.500 e tra essi purtroppo non sono più Renzo Cherchi, Antonino Cadeddu, Gianfranco Desogus, Alfredo Gallistru e Quintino Pitza… Ma ciò che in giornata fa più notizia è l'apertura a Norimberga del processo contro i criminali di guerra nazisti.

L' Italia chiede di mantenere la sua sovranità sulla Tripolitania e sull’Eritrea, intanto però minacciose nuvole si addensano sopra il Viminale. La crisi ormai inevitabile, dopo settimane di tensioni, scoppia il 25, due giorni dopo le dimissioni in blocco dei ministri liberali dal Governo. La corsa di Parri finisce qui. Per 156 giorni ha portato il testimone della democrazia verso le prime elezioni libere del dopoguerra (che si svolgeranno a marzo per Comuni e Province). Ancora due settimane ed inizierà l'era De Gasperi. 

Il Partito d'Azione si prepara al suo congresso di Roma, il primo nazionale, che si svolgerà a febbraio. E intanto, in Sardegna e nel vasto mondo, il 1945 corre verso il nuovo anno. 

«Offrite corredini ai bambini poveri»: l’ONMI lancia un appello ai cagliaritani: troppe ancora le creature che soffrono in questa città in via dl ricostruzione. I drammi si ripetono tristemente: In una grotta di via Milano gli uomini dell'Arma ritrovano il corpo di Maria, una bimba di tre mesi. Le ricerche condurranno alla madre, la diciottenne Maria Nina Loi, che tra le lacrime confessa l'infanticidio.

Scena capovolta a Chiaiano vicino a Napoli dove un anonimo sommergibilista, scomparso da lungo tempo, crea ricomparendo un certo imbarazzo alla moglie, appena andata in sposa a suo fratello. Complicazione ulteriore: la famiglia una-e-bina sta poi per essere allietata da un nuovo… figlio-nipote.

Sull'Unione Sarda monofoglio, questo è il messaggio al fermoposta: «Fronte Uomo Qualunque. Rivolgersi modalità organizzative e programmatiche. Casella Postale 83, Nuoro».

Grande appuntamento al cinema "Olympia" di Cagliari, dove si proietta in prima visione "Roma città aperta", «il film che ha battuto il record del successo». Allungati i termini dell'epurazione, in città si provvede al cambio dei nomi di strade, piazze e scuole: lo scientifico "Carlo Sanna" viene intitolato ad Antonio Pacinotti: meglio un fisico che un generale (peraltro anche presidente del Tribunale Speciale fascista).

Centomila tonnellate di grano argentino solcano l'oceano per sbarcare sulle mense affamate degli italiani, costretti ad ogni espediente pur di rimediare un pasto caldo. Desiderosi di uno spuntino ottimo, abbondante e gratis, due giovanotti cagliaritani si autoinvitano alla trattoria "da Lorenzo", nel corso Vittorio Emanuele. Salderanno in cella.

Cortei mascherati ed inni goliardici alla festa delle matricole.

 Il 28 dicembre muore a Sassari Pietro Moro, uno dei fondatori della Nuova Sardegna. Si chiude un'epoca. Il capodanno 1946 l'intero territorio nazionale, con l'esclusione di Udine e della Venezia Giulia, viene restituito all'Amministrazione italiana. De Gasperi parla alla Consulta: «Con 51.321 morti fra le forze regolari e 30.000 fra i partigiani il nostro Paese ha espiato le colpe della guerra». A Roma s'è chiuso il congresso nazionale del PCI, a Catanzaro una manifestazione di reduci e di disoccupati s'è conclusa con l'assalto alla Prefettura, a Bari è scoppiato il vaiolo.

Continua la "beneficiata" alimentare e annonaria in genere: il piano di distribuzione di cinque milioni di paia di scarpe ai lavoratori dell'Italia centro-meridionale presenta qualche problema: cattiva la qualità, alto il prezzo. A Cagliari 270 famiglie residenti ad Is Mirrionis ricevono pacchi-viveri colmi di carne, pasta, pane, olio, estratto di pomodoro; arrivano anche 600 fiale di penicillina. Viene annunciata l'imminente apertura dell'Ospedale Marino.

Il generale Pinna, Alto Commissario per la Sardegna, viene ricevuto al presidente del Consiglio. La prossima Assemblea Costituente dovrà dare alla Sardegna uno statuto d'autonomia e lui, convintosi della necessità d'un assetto regionalista dell'Italia, sarà ben felice di cedere il posto alle rappresentanze...


Fonte: Gianfranco Murtas
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