Congedo dai maestri, l’operaio Pittau rientra in Italia
di Gianfranco Murtas
Lo spirito è forte seppure il corpo sia debole, potrebbe dirsi; le bronchiti ormai permanenti in lui impongono ad Angelo Pittau di metter fine alla esperienza operaia in Francia ed a trasportarla in Italia, a Torino. Con minori disagi e strapazzi, non con minori risultati anche e soprattutto di maturazione umana e religiosa, nella bella conversione cui i poveri sanno invitare la Chiesa, o gli uomini di Chiesa. Maturazione umana e religiosa, e politica bisognerebbe aggiungere. Sempre fra immigrati: oltrAlpe immigrati del mondo povero latino, slavo ed africano, in Piemonte immigrati provenienti dalle regioni del meridione italiano e dalle isole, anche dalla Sardegna.
Si congeda dai suoi, don Angelo operaio – operaio-prete più che prete-operaio, se la formula significa che è l’esperienza, cioè la vita, che ti modella più dei libri –, conclude tutto con una messa nella casa di Manuel, un compagno di lavoro portoghese. Con Manuel Abilio e sua moglie, ed i loro cinque bambini. Prima di cena, nell’intimità e nella comunione.
Fissa sulla carta alcuni versi, altri versi, che sono il suo modo di affidare alla memoria documentata i suoi passaggi d’esistenza. Potranno rileggersi cinquant’anni dopo – e cento anni dopo – e saranno prova di un percorso umano raggiante di sofferenza, tutto semina e tutto raccolto, o annuncio di raccolto. Portano le date, giusto nel passaggio d’anno, fra 1969 e 1970, del 2 e 20 novembre, del 24 dicembre, del 21 gennaio (omesse nella stampa sono registrate nel dattiloscritto).
Ecco qui le pagine conclusive del “diario ritrovato” di don Angelo presbitero villacidrese, portatore di mondialità fra i suoi. Un prete con i calli alle mani e la cravatta e la giacca di una sobria eleganza che racconta uno stile, un modo di essere prete non fuori o sopra le categorie sociali, ma dentro la pasta sociale, lui tutto lievito.
Pane per il deserto di questo giorno
Ho riletto le poesie che ho scritto in questi mesi. A parte i giudizi che potrebbero dare eventuali lettori soprattutto per il contenuto così violento e triste, per il loro linguaggio così poco poetico e poco «ecclesiastico» mi sembra che sono proprio le pagine più autentiche del mio diario. E leggerle l'una dopo l'altra mi danno la vera linea di progresso in questi mesi.
Prima
Il gelo di questa notte
per fare cadere altre foglie
uccidere altre erbe
intirizzire i pochi uccelli
rendere più silenzioso questo sentiero di campagna
dove ogni giorno
(ormai da tre mesi)
passo primo la mattina
In questo mattino di gelo
la luna splendeva alta
gli astronauti le giravano attorno
io
guardando le stelle e la luna e il cielo
ho visto
(o mi è sembrato di vedere)
una stella filante
certo so che la notte continua ancora
ed io vorrei saper
cos'è la lotta di questa notte,
nelle tenebre dense
nel freddo del ghiaccio morsa
Secunda
andare in bicicletta
essere raggiunti da una macchina
improvvisamente
sentire la voglia di svoltare a sinistra
e farla finita
perché si ha paura della morte
si ha paura di vivere
e di avere paura al momento della morte
le siepi si allungano
rovi alti sempre più neri nella strada che
avanza
e penetra la notte
le foglie, le canne di mais al di là delle siepi
ridono, gracchiano, gracchiano sarcastiche
anche per questo freddo d'autunno avanzato
per questo gelo della notte che scende ormai
per loro
per loro non c'è che la falce il fuoco
ma ridono per me o per loro?
Tertia
io non so
e come potrei saperlo?
perché se tu che ritorni
o Katy
vecchierella sarda
questa sera d'attesa
dell'attesa di una nascita
noi due senza figli
io vorrei saper che attendiamo
forse tu, attendi la morte - vita
forse io attendo la morte
non faccio che distruggermi, distruggere
in questi mesi tunnel
di fronte ho una parete
oggi mi sembra di aver una storia
da raccontare
la mia storia
sentila Katy
sentivo la linfa e il sangue
allargarsi e farmi
e il mio respiro
al ritmo dello spirito
inebriarmi
che alla porta di casa mia si bussasse
io non lo sentivo
io sentivo il pulsare del mio sangue
ed è passato qualcuno a bussare
- forse - una notte
ed io non aprii
non sentii
poi bussarono alla porta
non era uno, erano mille
erano un miliardo, erano tutti
entrarono e invasero la mia casa
mi tolsero dal letto
e il ritmo del mio respiro e del mio sangue
lo sentivo come una ferita
su di me picchiavano, correvano correvano
Katy
questa è una storia
potrebbe essere una parafrasi
del Cantico dei Cantici
sento tutti che passano su di me
ma sento nostalgia
di quel primo battito
che allora non ascoltai
che vorrei sentire adesso
e non sento
o cerco e non lo ritrovo
è passato
Katy
io non ho più anni
non ho più date
non ho più casa
io ho quel battito da ritrovare
nei sentieri difficili del mondo
capisci!
E sono anni che lo ricerco
non faccio che questo
perché forse bussò nella mia preistoria
prima che nascessi
e sono stanco
Quarta
Non ho pensieri né dialoghi
nemmeno dialoghi effimeri che riempiono
un istante la bocca mia e degli altri
non ho un nome da mettere sotto qualcosa
un firmare
nemmeno firmare cambiali
non ho denaro né molto né poco
non ne ho ecco
non ho abiti, un povero abito sdrucito
non è un abito
e mi piacciono gli abiti ben portati
non ho una casa dove fermarmi, una strada
dove camminare sicuro
ho le strade del mondo, certo, ma mi fanno
paura
percorrerle così nulla e nessuno
ho un povero corpo dalle ossa indolenzite
i muscoli stirati
il ventre semivuoto
la pelle intirizzita
e una tosse, una tosse, ho Dio che tosse!
so contare i minuti che passano lunghi
le ore per sapere la fine delle ore del giorno
i giorni non li so contare
inutile
porto paioli d'impasto,
tutte le qualità d'impasto
preparati da me
ogni paiolo almeno quindici colpi di pala
sei paioli di sabbia vogliono
un sacco di cemento
porto a giorni anche cento paioli d'impasto
sulla spalla salendo una ripida e lunga scala
tirando una fune sempre troppo ruvida
non porto guanti, non ne ho
i paioli sono troppo pesanti per me
e fa freddo
soffia il vento del nord e porta la pioggia
noi lavoriamo sotto la pioggia
soffia il vento del sud e gela
la terra è dura come roccia
l'aria come acciaio
tutto triste come la testa canuta
di una vecchia sporca
noi lavoriamo anche se gela
-c’è l’anti gelo per l'impasto, -per noi niente
piccoli uomini dalla pelle troppo fine
le nostre parole sono come spade, e
se parliamo il freddo moltiplica il suono
e ci assorda
come mi assordava ieri l'impastatrice
continuamente alimentata da me
ghiaia, cemento e acqua
ghiaia cemento e acqua
e la pala su e giù sempre più in fretta
sempre più in fretta
ieri l'impastatrice, l’altro ieri la mitragliatrice
a non tacere mai
non ho nemmeno preghiera
ho questo povero corpo
da trascinare dinanzi a te
quest'ora
come milioni di altri corpi
per darmi in pane quotidiano,
il pane che desti al profeta
per finire il deserto di questo giorno
e incominciare quello di domani.
A Nazareth per ricostruire l'uomo
La mia esperienza in Francia sta per terminare. È bastata una visita radiologica, questa tosse insistente che non ha rimedi, la febbriciattola ogni sera, le due bronchiti a finire tutto almeno esteriormente anche se mi sembra di aver acquisito qualcosa di irreversibile, una categoria, ma cosa posso dire adesso? ... tutto è troppo vicino ma l'amore all'uomo, alla verità e alla libertà ormai è solido.
Comincio a dirlo agli amici coi quali resterò legato sempre perché anch'essi hanno aiutato a farmi uomo. È triste separarci, loro non sapranno scrivermi ed io non saprò più comprendere eppure il dialogo continuerà e l'amore.
Siamo sempre più assieme, parliamo di più, mi confidano tanti dei loro segreti come se facessero in fretta per liberarsene adesso che hanno il tempo.
Ieri ho detto messa a casa di Manuel dopo il lavoro, con gli abiti di lavoro: a tavola lui, la moglie e i bambini ed io. Pane e vino: quello che abbiamo mangiato e bevuto assieme tante volte. I bambini sono un po' inquieti, Manuel è troppo commosso e quindi goffo, la moglie invece è molto serena. Io inizio e i bambini sgranano gli occhi, Manuel mi guarda in modo diverso. E la prima volta che mi vede dir Messa. Al Vangelo dico alcune parole, «Come mi avete dato la cosa principale e più bella che avete aprendomi la porta di casa vostra, introducendomi nella vostra famiglia, considerandomi uno di voi, dandomi il cibo. Anch'io voglio darvi ciò che ho di più bello: la Messa, mangiare il corpo di Cristo, bere il suo sangue assieme».
Eravamo commossi e tutto si è formato così bene, così mistico, così sacro che ho sentito Dio intensamente. E dopo, a cena, eravamo contenti, proprio contenti e felici anche se l'ombra della malinconia fiaccava i nostri discorsi.
Il mio periodo in Francia si chiuse proprio con questa messa, in questa malinconia di amici che lascio e nella tristezza che forse avevo trovato un equilibrio che rischiavo d perdere. Ero al di là dei problemi e non perché non ne avessi ma il lavoro li sedimentava, ero vivo. Pian piano incominciavo al accettare i miei limiti di uomo, cominciavo a rassegnarmi ad essere vinto come tanti altri. Tutto adesso è di nuovo in discussione: eppure so che nella vita dell'operaio è l'equilibrio, la moderazione, il senso dell'attesa, del Cristo a Nazareth; è più facile a Nazareth ricostruire l'uomo, il paradiso terrestre, la Gerusalemme celeste che a Roma.
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