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Franco Meloni

Contus de Stampaxi. Sa conca tostada de Mussolini

Quando Mussolini perse il controllo del triciclo

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Nome e cognome non li ho mai saputi, in quartiere lo chiamavamo tutti Mussolini per l’impressionante somiglianza al duce, ma solo per il faccione, piantato sul collo taurino di un sottodimensionato corpo tozzo e nerboruto. Contrariamente al defunto originale che gli stampacini non amavano più da quando era finito male*, il nostro era rispettato e ben voluto, perché persona seria e servizievole più che un gran lavoratore. Il suo mestiere all’epoca del nostro racconto? Fattorino fac totum e soprattutto distributore di bombole di gas a domicilio presso un negozio di via Santa Margherita (parleremo dopo della proprietaria) che vendeva anche cucine, mobili e materassi in gomma-piuma. Di questi ultimi, a dire il vero, ben pochi, perché gli stampacini si ostinavano a preferire quelli di crine, che un abile “mantalaferi” rifaceva come nuovi dietro modesto compenso. Ma torniamo a Mussolini e al suo lavoro di consegna delle bombole che trasportava su un apposito triciclo.  Al rientro dalla consegna quando questa riguardava la parte alta del quartiere era solito lanciare il triciclo a gran velocità sulle sue ripide discese. Era molto abile, in particolare ad affrontare la curva che da via Ospedale immette in via Azuni, spettacolarmente, su sole due ruote del triciclo: quella posteriore e una delle due anteriori. “Sin ci ammollàda” accompagnando la corsa con urla del tipo: “Spostaìsi! Pistaaaa!”. Ma una volta la spericolata impresa gli andò male: si ricorda ancora un memorabile “incidente sul lavoro” quando nell’affrontare detta curva, il triciclo si piantò e Mussolini schizzò come una razzo andando a finire “de conca” sullo spigolo dell’edificio situato sulla parte alta della via Azuni, precisamente dove oggi (o forse anche ieri) si trova il negozio di Incerpi. Mussolini rovinò pesantemente per terra, mentre il triciclo proseguiva la sua corsa come un cavallo scosso del Palio di Siena. Scansando i sopraggiunti soccorritori che lo credevano morto, si alzò dicendo “No mi seu fattu nudda” e corse a ricuperare il triciclo la cui corsa s’era arrestata a valle in piazza Jenne. Effettivamente nessun danno di rilievo, salvo una sbrecciatura al muro su cui aveva impattato il testone duro di Mussolini.

Poté quindi tornare alle sue occupazioni e, tra queste, quella preferita che consisteva nel “contemplare” la sua vistosa padrona: una bella e prosperosa donna, bionda e di chiarissima carnagione. Nonostante lo comandasse a bacchetta, nutriva per lei un sentimento forse distante da appetiti sessuali, più di “difesa e protezione”. In questo invidiando il fidanzato della signora: un biondino 40enne in stile James Dean, che dicevano essere un ufficiale dell’Areonautica, proprietario di una Giulietta spider, rossa fiammante, che, questa sì, faceva invidia a molti, sicuramente a noi ragazzi poveri del quartiere. A rompere la sacralità dei sentimenti di Mussolini nei confronti della sua padrona s’insinuava la benevola maldicenza diffusa in quartiere: “O Mussolini, sa meri tua a mengianu bendi lettus e su notti du s’imperada”. “O Mussolini, la tua padrona, di giorno vende i letti e di notte li usa” …in tutta evidenza non solo per dormirci!

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la foto è tratta dal sito web SardegnaSoprattutto 

* Dicevano in quartiere commentando la fine del capo del fascismo. “Lui aveva detto: Se avanzo seguitemi; se indietreggio, uccidetemi! E aicci est stettiu!”

Fonte: Aladinpensiero online
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