Da Alberti a Mani, da Miglio a Baturi, il “Notiziario Diocesano” è ora al suo 34° compleanno
di Gianfranco Murtas

Un ampio e pregevole inserto dal titolo “Voi, dunque, pregate così”, curato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Cagliari e dall’Ufficio Catechistico Diocesano e costituito da corpose schede per la catechesi sul “Padre nostro”, è compreso nell’ultimo numero del Notiziario Diocesano dell’archidiocesi di Cagliari, giunto ora al suo XXXIV anno di uscita. Il documento, anche per i rimandi alle fonti più autorevoli e anche forse più suggestive del primo cristianesimo (i “padri” Tertulliano, Cipriano, Origene) e naturalmente alle diverse ispirazioni vetero-e-neotestamentarie, nonché ai più recenti commenti magisteriali dei pontefici Benedetto XVI e Francesco, costituisce la “chicca” del fascicolo ora in distribuzione ed inviato agli abbonati: un fascicolo come sempre ricco sia sotto il profilo del puro “bollettino” informativo che sotto quello della produzione documentale, così come anche sotto quello del contributo saggistico, e certamente accattivante nella grafica e gradevole, oltreché utile (per la lettura e gli appunti personali di chi ne scorra le pagine), nella scansione dei capitoli tematici e dei supplementi. Lode meritata da una equipe redazionale di valore e palesemente volta a rendere sempre il migliore risultato.
Il “fidei donum”
Non passi trascurato, proprio in quest’ultimo numero che s’apre con il commosso necrologio di papa Bergoglio, anche un denso studio (di oltre ottanta pagine) di Cristiano Piseddu, beneficiato del Capitolo metropolitano e vice direttore del Notiziario stesso, sull’istituto ecclesiale del “Fidei donum” e la sua generosa attuazione sarda, e cagliaritana in specie, fra i meridiani e paralleli del mondo. Volano, eppure hanno tutti il passo pesante e responsabile della fatica quotidiana – e quanti fra Africa nera e tropicale e Brasile! –, i nomi del caro don Nino Onnis, di don Luigi Zuncheddu, del grandissimo don Giovanni Cara fattosi Piccolo Fratello di Charles de Foucauld, di don Guido Palmas (in ricambio o in associazione ad altri preti di altra diocesi sarda), di don Salvatore Scalas e don Gianni Sanna, di don Franco Crabu (vangelo e chitarra!), di don Salvatore Collu e don Luigi Grecu, di don Gabriele Casu e don Alessio Secci, di don Ennio Matta e di don Antonio Usai, di don Carlo Rotondo (vangelo e pallone!), di don Giuseppe Luigi Spiga serramannese ora promosso vescovo… e certamente di qualche altro che ora, nel ripasso mentale, non raggiungo ma a cui mi piace aggiungere, trovandola in Tanzania e citata nel saggio, la vergine consacrata Giada Melis… Personalità missionarie tutte di gran merito – taluna già in benedizione – che hanno onorato non soltanto la Chiesa universale, ma quella sarda in specie e la Sardegna, la loro e nostra terra d’origine, tout court. Un capolavoro della buona volontà sarda e cagliaritana, della quale Cristiano Piseddu riesce a tratteggiare con profluvio esplicativo e grande efficacia narrativa – anche con stralci da particolari testimonianze personali – gli aspetti tutti umani, intendo formativi, oltreché strettamente religiosi della prassi nell’ordinario quotidiano del servizio. Perché poi non mancano neppure i riferimenti alle diverse altre esperienze parallele, come quella dell’assistenza ai nostri lavoratori emigrati, tanto più in Germania ma anche nel Regno Unito e in Belgio, in quel Belgio che, mezzo secolo fa, fu tappa di vita anche del compianto don Tonio Pittau…
M’è parso doveroso indugiare sul punto perché ad emergere è stato quel certo “di più” della potenzialità (o effettiva capacità) comunionale diocesana che, a casa nostra, nel recinto locale cioè, bisogna dire la verità (o almeno questa è la mia, ma non soltanto la mia, percezione), si mostra assai assai carente, troppe volte cosa ridotta – sia detto con rispetto – a commedia di mestieranti stipendiati, ed attraversata da non poche ipocrisie ed ampie sviste dei vescovi.
A questo punto mi parrebbe doveroso ricordare, dello stesso saggista così bene impegnatosi nell’esplorazione del “fidei donum” (e che mi ha toccato anche per alcuni trascorsi rapporti personali ed anche per la mia cinquantennale intimità con un “fidei donum” alerese e di capitali avventure vietnamite, dico di don Angelo Pittau professore e missionario!), altre importanti produzioni, risultato di pazientissimi ricacci delle innumerevoli tessere e conseguente loro sistematizzazione, produzioni accolte negli ultimi anni dalla rivista e prezioso semilavorato per chi ami cimentarsi nella ricerca sulla storia della Chiesa sarda: dalle cronotassi episcopali – tanto dei residenziali cagliaritani e/o isolani quanto dei titolari e/o ausiliari, o magari degli ordinari nostri conterranei assegnati qua e là in Italia e nel mondo, nunzi inclusi ed inclusi altresì i prefetti o sottoprefetti romani (“Cives Calaritanus sum”, “Natione sardus”, “In partibus Sardiniae”) – a quelle degli istituti di centrale dell’archidiocesi – dalla curia al Capitolo al seminario (cancellieri, decani, penitenzieri, rettori e animatori…). E così ancora le cronotassi dei responsabili delle parrocchie diocesane e delle vicarie urbane e foranee – eccellenti documenti pure esse per la storia locale, non soltanto religiosa! – ed anche, “sub anulo piscatoris”, e con affondi perfino nei secoli, dei prelati o dignitari rossi, insomma quelli inquadrati nei ranghi del cardinalato e dell’alta gerarchia…
Certamente gustosa – tanto più per chi ama il genere, e anche per chi (pur non travolto in alcun modo da banali voglie lefebvriane ed inimico delle ampollose ritualità ben poco evengeliche che non mancano neppure nell’Isola nostra: ai limiti della farsa una recitazione in latino presso la cattedrale a Cagliari – vescovo presente – neppure molto tempo fa!) conosce l’importanza dei simboli – la rassegna araldica, dì pure l’armoriale dei presuli, dei cardinali e degli arcivescovi e vescovi di nascita sarda… oltre duecento quelli via via menzionati e protagonisti ciascuno di un pezzo del bimillennio ora trascorso o adesso all’estinzione. Temi – tanto più quelli biografici – che ritornano con elaborazioni sempre più e meglio approfondite, come ad esempio quelle riguardanti la presenza sarda nei concistori cardinalizi (dovrei ripetermi: materia su cui è occorso anche a me di occuparmi in varie e già remote circostanze non nella logica della conta o collezione degli onori di vil materia narcisistica, ma semmai in quella della scoperta dell’autentica comunionalità declinata oggi in collegialità o sinodalità, propriamente cattolica, fra periferia e centro, che è proprio ciò su cui s’impernia l’istituto del cardinalato: ripenso adesso alle antiche mie ricerche sul Pipia seneghese, ai rapporti con il compianto card. Luigi De Magistris ed i suoi più cari ed anche a quanto possa avermi legato al card. Artime, cagliaritano d’onore ormai da undici anni, dacché era rettor maggiore della famiglia salesiana e ci raggiunse per celebrare insieme il centenario della presenza sarda dei figli di don Bosco).
Di don Cristiano Piseddu – che, giovane, porta un cognome che commuove inducendoci a ripensare al nostro don Antioco, parroco e poi vescovo di aperto e convinto spirito conciliare da noi perduto soltanto da poche settimane – piace qui richiamare anche altri impegnativi contributi (anche biografici) offerti al Notiziario in questi ultimi anni: mi riferisco ai medaglioni del gesuita padre Eliodoro Piccardi, degli arcivescovi e vescovi monsignor Paolo Carta (sepolto nella nativa Serdiana in faccia al suo predecessore turritano monsignor Agostino Saba) e monsignor Antonio Angioni, presule anch’egli, come Carta, conciliare… e mi riferisco anche, in punto di diritto canonico, ad un dotto (e… sfizioso) saggio sulla stabilità dei parroci nell’ufficio della particolare cura animarum, nonché, allargando al devozionale il campo indagato, ad un originale articolo sull’origine del culto cagliaritano per San Giuseppe…
Dal Monitore al Notiziario passando per il Bollettino
Commesso alla direzione responsabile del cancelliere della curia, don Ottavio Utzeri, ed ai redattori Fabio Figus, Desise Scano, Piero Tintis e Massimo Pettinau – quest’ultimo ormai decano del giornalismo cattolico e forte di una pluridecennale feconda esperienza di docente liceale – è appunto soprattutto alle cure di don Cristiano Piseddu che il quadrimestrale è affidato ormai dai primi del 2020, dunque ormai già più di un lustro, con gli esiti di contenuto oltreché tipografici direi d’eccellenza.
Piace segnalare tutto questo ad un pubblico che potenzialmente dovrebbe potersi ampliare in dimensioni che fin’oggi le circostanze non hanno consentito, poiché dire del Notiziario significa dire di una pubblicazione che veramente si presenta di largo spettro e di importanti analisi, tanto da potersene concludere che le sue dimensioni materiali – l’ultimo numero arriva alle 380 pagine! – pareggiano bene, e meritatamente, quelle immateriali di cultura ecclesiale (inclusa l’informazione corrente) offerta, come accennato, in distinte ed ordinate sezioni che ne facilitano l’interessata esplorazione.
È chiaro che non è nella missione ordinaria del Notiziario la diffusa trattazione di temi teologici o speciali inoltri argomentativi in una pastorale intesa sul piano della pedagogia spirituale. Neppure dovrebbe pretendersi dal periodico, e non si pretende infatti, altro che quello esso ha inteso essere e dare, così come nel programma originario definito dal fondatore, intendo l’arcivescovo Alberti il quale, con formula nuova, puntava a recuperare quanto la pubblicistica d’inizio Novecento con il Monitore Ufficiale aveva saputo esprimere, con regolari uscite, fino agli anni della seconda guerra mondiale, e anzi fino ai primi anni '50. Si ricorderà infatti che i Bollettini lanciati in surroga da monsignor Paolo Botto, arcivescovo di Cagliari ma (con padre Mazzotti) di autorevolezza regionale, coprirono soltanto un breve tempo e soltanto dal passaggio di decennio ’50-’60, press’a poco coincidendosi con la preparazione e l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Per un lungo tempo, passando per le fatiche direzionali di don Pier Giuliano Tiddia, ma anche dell’ozierese don Tonino Cabizzosu e del nuorese don Giovanni Carta, e di altri ancora, uscì invero, e diffusione limitata soltanto al range dei campanili, il Bollettino Ecclesiastico il quale andò recando, nella successione temporale, diverse sottotestate registrate (riferendosi alla Sardegna come circoscrizione ora “conciliare” ora “ecclesiale” ora “pastorale”) e s’impegnò – il che è la sostanza – nella resa pubblica degli atti magisteriali (e variamente disciplinari) dei vescovi locali e più complessivamente nell’aggiornamento delle iniziative in capo ai vari territori diocesani. E con ciò, in giusta selezione, rilanciò i documenti di più generale interesse provenienti dalla Santa Sede e dallo stesso Soglio.
Ho memoria di quanto mi raccontò monsignor Tiddia e cosa potei quindi pubblicare nel 2009, in un libro intervista che lo aveva protagonista. «Nel 1953 fui incaricato della direzione del “Bollettino Ecclesiastico Regionale”… Dopo la laurea, mi recai da monsignor Botto, e fra l’atro gli dissi la mia disponibilità ad ampliare il lavoro. Mi rispose subito “prendi questo ed interessatene tu!”. Aveva tra le mani le bozze del “Monitore Ufficiale dell’Episcopato Sardo”, organo della Conferenza Episcopale sin dal 1909. Nel 1958, a motivo della scarsa collaborazione delle varie curie, monsignor Botto volle dar vita al “Bollettino Diocesano”, ad evitare che le spese per una pubblicazione regionale continuassero a gravare soltanto sulla diocesi di Cagliari. La cosa avrebbe avuto conseguenze lungo molti anni.
«Nel 1970 il cardinale Baggio, a nome dei vescovi della Sardegna, mi pregò di riprendere la rivista, che divenne allora “Bollettino Ecclesiastico Regionale”. Ho mantenuto il compito quando sono stato, nel tempo, rettore del seminario, poi parroco della Cattedrale, quindi vescovo ausiliare, sino ai primi due anni di episcopato ad Oristano, cioè fino al 1988. Poi… non ce la facevo più! Ed ora mi dispiace che questo organo di comunicazione ecclesiale, dopo vari sussulti, sia scomparso proprio a cento anni dalla nascita con la testata originaria di “Monitore”. Perché il suo scopo era ottimo: mettere in contatto tutte le diocesi e il clero della Sardegna, per uno scambio di informazioni ed esperienze, ed anche per proporre a tutti i sacerdoti i documenti che non sarebbe stato facile reperire altrimenti».
Come accennato, toccò poi a don Cabizzosu, professore alla Teologica, di assumere – e fu per un decennio circa – la responsabilità della pubblicazione (ed ora, in omaggio al suo 50° di messa, sto preparando un repertorio del Bollettino di quel decennio, segnatamente per i contributi a lato dell’informazione corrente).
Mi sembra gustoso ed anche appassionante, sì addirittura appassionante, questo necessario viaggio, sia pure per brevissime tappe, lungo le ormai più che secolari vicende della stampa ecclesiale/ecclesiastica (direi anche clericale) isolana – e qui sto ancora volutamente prescindendo dalla pubblicistica diocesana, quella dello stretto territorio canonico cioè – perché esso carezza una questione fattasi sempre più avvertita dalla sensibilità generale: la questione delle intese, delle sinergie operative, della comunione di volontà e di disegno e d’azione fra diocesi e diocesi. Il Concilio Plenario Sardo, così brutalmente (e stupidamente) accantonato dai vescovi isolani venuti dopo il ritiro dei maggiori protagonisti di quell’evento – gli arcivescovi Alberti e Tiddia cioè – e come fu registrato nel convegno promosso da Fondazione Sardinia, cui fui chiamato a tenere la relazione introduttiva, presenti amici come lo stesso monsignor Tiddia o padre Raimondo Turtas o don Efisio Spettu già rettore del seminario regionale, don Antonio Pinna e prof. Bachisio Bandinu, ecc. – si mosse già esso, e così era stato nei primissimi propositi degli arcivescovi iniziatori, nel 1986, Isgrò e Canestri, con una intenzione non soltanto sinodale (anche nelle implicazioni della società civile tanto bene individuate dall’indimenticato padre Sebastiano Mosso), ma propriamente e operativamente compartecipativa, senza peraltro cedimenti all’omologazione e al rinsecchimento delle specialità chiamate all’oblazione di sé.
Del Notiziario oggi e l’indirizzo Alberti
Resta evidente che, quello di cui sto trattando, di un Notiziario “Diocesano” e non “interDiocesano” si tratta, sicché qui, a differenza che nel Monitore o nel Bollettino Ecclesiastico, gli atti particolari di questo o quell’ordinario (escluso il cagliaritano) non rientrano, limitandosi per il tutto a quelli della Conferenza Episcopale Sarda, e sempre dopo quelli (abbondantemente selezionati) della Santa Sede e della CEI.
Ampio spazio hanno poi, doverosamente ed in via speciale, nel Diocesano, gli Atti arcivescovili, con le prevedibili serie di comunicati e decreti, e tanto più con le omelie pronunciate, in varie circostanze, dal presule palliato. Seguono – e sono tutti interessantissimi perché entrano negli ambiti meglio conosciuti e frequentati dalla gente – gli Atti della curia, sicché l’arco informativo copre il lavoro, dopo che della cancelleria, dei numerosi uffici nei quali si articola la curia stessa: dalla Caritas alle “competenze”, intendendosi per tali il Catechistico e le Comunicazioni sociali, la Vita Consacrata e la Pastorale Vocazionale, così come le pastorali ecumeniche e del Dialogo interreligioso, dei Giovani, dell’Università e della Cultura, della Salute e della Scuola, delle Disabilità e delle Confraternite.
Non meno ampia è, naturalmente, la sezione dedicata agli eventi ecclesiali di maggior evidenza maturati nel periodo di uscita del quadrimestrale. Nel caso ultimo ecco infatti il giubileo episcopale di don Pier Giuliano Tiddia, emerito di Oristano ed emerito anche della presidenza CES – da lui tanto onorevolmente coperta per mille giorni –, le nomine vescovili di don Mario Farci (ancora preside della Teologica) ad Iglesias e don Giuseppe Luigi Spiga a Grajaù in Brasile. Nel contesto, e fra le pagine di dolore, ecco le belle riflessioni di don Mosè Marcia, vescovo emerito di Nuoro, alle esequie del decano del presbiterio diocesano don Dante Usai. In ultimo le cronache delle occasioni devozionali suscitate a Siliqua, Cagliari e Nurri dall’arrivo delle reliquie rispettivamente di Santa Rita da Cascia, San Francesco d’Assisi e Santa Rosa da Viterbo.
Direi bene che il rinnovato editing del Notiziario replica, nella sua impostazione generale, quella che don Gianfranco Zuncheddu assegnò, d’intesa con l’arcivescovo Alberti – che di editoria s’intendeva -, alla prima serie che rimonta ormai al 1991, quando seguì il numero 0 del gennaio-febbraio 1989 ed il n. 1 del marzo-aprile 1989. Tale serie, comprensiva (se non vado errato) di ben 68 fascicoli, arrivò – nel mezzo del (terribile, tale a mio avviso personalissimo) episcopato Mani – fino al giugno 2007, e con la nuova grafica ed un più sobrio formato, e la direzione affidata al compianto cancelliere don Giancarlo Atzei, all’estate 2018 – a 38 fascicoli e due supplementi: passando intanto, nel 2014, dalla direzione Atzei a quella di don Ottavio Utzeri – restando essa cioè in capo alla cancelleria diocesana. (Non saprei, confesso, se esistenti, dei finali fascicoli del 2018 e dell’annata 2019, comunque rinumerata nel passaggio alla nuova e ricca edizione, quella appunto corrente).
Fu, quella poc’anzi citata, la stagione episcopale di monsignor Arrigo Miglio (oggi emerito e cardinale – uomo di imprudenti scivolate per le quali non credette mai di chiedere scusa). A Miglio succedette, venendo dalla meravigliosa Catania, cortese ed efficiente, monsignor Giuseppe Baturi (s’è letto ciellino, non il meglio desiderabile certamente, per i trascorsi profani di chi si voleva che noi votassimo alle elezioni!): dal novembre 2019 nuovo arcivescovo metropolita (e promosso successivamente anche segretario generale della CEI), egli, per la larga esperienza maturata su molteplici fronti avanzati, fornì appropriate direttive al fine di un rinnovo profondo e ben positivo della nostra pubblicazione.
Ancora una parola sul pregresso. Presentando il primo numero del Notiziario “Con Cristo per la Chiesa” – allora con intenzionale periodicità mensile – l’arcivescovo Alberti sostenne esser troppo debole il pur… prezioso (?) servizio reso dal settimanale NuovOrientamenti (periodico invero claudicante per una insistita e ingiustificata e fastidiosa autoreferenzialità e una certa propensione alla censura delle opinioni… dialettiche!), per cui sarebbe tornata utile una rivista attenta anche al «dovere della documentazione». Una materia della quale ricordo discussi con don Ottorino, proprio a casa sua, a Valverde di Nuoro, nell’estate 1988, cioè a pochi mesi dal suo definitivo ritorno dall’Umbria. «Ciò che oggi è cronaca è destinato a diventare fonte storica e, proprio per questo, ci si deve far carico di lasciare il ricordo degli avvenimenti più significativi della nostra diocesi, perché coloro che verranno dopo di noi possano ricavare dalla nostra storia quegli insegnamenti che le vicende del passato offrono per orientare, sul solco di una gloriosa tradizione, il loro cammino di fede», ecco il suo programma fatto pubblico.
Ed ancor più si diffuse l’arcivescovo, scrivendone nel numero battesimale, ad indicare ragioni ed intenzioni e anche modalità concrete, di articolazione cioè delle materie in affaccio e delle fonti di produzione (magistero pontificio, CEI, CES, curia arcivescovile, consigli presbiterale e pastorale, consulta dei laici, vicariati, ecc.). Don Zuncheddu fu abile direttore e anche molto ospitale con le voci più diverse (e dopo le fesse censure del Tagliaferri in NuovOrientamenti della stagione Canestri, riebbi anch’io l’accoglienza tornando a casa come quando, da adolescente, correggevo le bozze – anni ’68-70 circa – di Orientamenti a direzione Pillolla, allora in stampa allo stabilimento Stef del viale Elmas). Una bella storia, pur con tutti i suoi limiti.
Del giornalismo cattolico sardo
Ho scritto molte volte delle vicende bisecolari della stampa periodica cattolica sarda, sì tanto di quella oscurantista del secondo Ottocento quanto di quella più aperta ai tempi nuovi del Novecento. E mi viene spontaneo riabbozzarne adesso una rapida rassegna, muovendo da Ichnusa piina, reazionarissima nel decennio preunitario che fu anche quello della proclamazione del dogma della Immacolata Concezione e, in corrente parallelo di esercizio, neppure in esaurimento, della ghigliottina tagliateste a Roma! Il passaggio successivo potrebbe essere quello delle tre… controtestate iperguelfe – La Lealtà, L’Operaio cattolico, L’Unione Cattolica – promosse dall’infelice canonico Francesco Miglior (già perito al Vaticano I e campione del creazionismo) e/o del suo fidatissimo giovanissimo Giuseppe Orrù. Direi poi de LaVoce della Sardegna e quindi del Risveglio, settimanali entrambi a direzione di don Luca Canepa futuro vescovo di Nuoro ed… eroe di belle pagine de Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, immediatamente prima della quasi ventennale era sanjustiana identificatasi in La Sardegna Cattolica e ne Il Corriere dell’Isola (dal 1896 al 1913, pressoché in continuità). Citerei infine, nella svolta novecentesca, il più democratico (o meno oltranzista) periodico La Voce del Popolo, in uscita nei lunghi anni della grande guerra e fino alla nascita, nel 1920, de Il Corriere di Sardegna, organo del Partito Popolare a direzione di don Gabriele Pagani, sfortunato amico brescio-bergamasco di monsignor Roncalli e riabilitatosi nell’Isola dopo la sferza d’un tribunale continentale… Aveva pagato intanto le conseguenze di un’altra sferza, ma questa francescana! dico dell’arcivescovo conventuale Pietro Balestra, Il Lavoratore, il giornale voluto dal prossimo beato dottor Virgilio Angioni fondatore del Buon Pastore e allora leader dei giovani cattolici democratici del circolo Leone XIII… Tempi di modernismo, di rapsodiche cacce alle streghe che tentarono di inghiottire – lo disse lui stesso riferendosi alle annotazioni trovate in un registro del Seminario romano – il futuro Giovanni XXIII negli anni della sua formazione seminaristica…
Naturalmente, a margine di tante testate, innumerevoli furono le uscite di numeri unici o di breve tragitto in questo o quel centro, e nel novero dovrebbe ricordarsi almeno, fondati rispettivamente nel 1910 a Sassari e nel 1926 a Nuoro, Libertà, ad iniziativa del vincenziano padre Giambattista Manzella, e L’Ortobene, voluto dal vescovo Maurilio Fossati (poi arcivescovo di Sassari ed infine cardinale a Torino).
Evviva, abbasso Giordano Bruno
Lo ripeto, non voglio fare o rifare qui la storia interessantissima del giornalismo cattolico sardo, ma ricordare soltanto per flash qualche momento o qualche avventura pubblica di una società – quella clericale invero più che ecclesiale – che alla stampa giustamente ricorse per diffondere, come suo strumento di apostolato, la propria voce. E ciò, si capisce bene come d’ogni cosa umana, talvolta segnalandosi come voce pura di testimonianza se non anche di profezia, talaltra offrendo di sé come la sensazione di un dottrinarismo occhiuto e banale, senza sentimento di storia oltre che… di vangelo (da discorso della montagna)!
Dal 1928 fu La Sardegna Cattolica, a direzione del can. Giuseppe Lai Pedroni – colui che è raffigurato con il giovane ciantre e crocifero Edoardo Lobina e con l’arcivescovo Paolo Botto – nella grande tela del Figari che copre la volta dell’antico duomo cagliaritano. Al canonico fu affiancato l’allora giovanissimo don Giuseppe Lepori che, nel flusso delle sue polemiche assai più contro chi non c’era più (il libero pensiero dei bruniani) che non contro l’ateismo dichiarato e nascosto del regime di dittatura intanto affermatosi, sfiorò in una certa stagione il filonazismo! Leggere per credere…
Fu un dramma vero ed esploso come tale nella redazione della Sardegnetta bis, in via Università, in quel principio del 1928 – lo stesso anno dell’esordio del Tribunale Speciale presieduto alla fondazione da un generale sardo e delle pesantezze carcerarie patite da molti democratici (anche dal nostro giovanissimo Titino Melis), giusto un lustro dopo l’uccisione di don Minzoni e dopo tante tante altre violenze assassine, comprese quelle commesse su Giovanni Amendola e già su Piero Gobetti venticinquenne e neopapà. I cattolici e i preti soprattutto, meno sensibili allo scempio che la dittatura stava ponendo in atto per incattivare la patria per un ventennio e quasi disfarla nei disastri finali della guerra, si disgustavano di Giordano Bruno, ancora dopo trecento anni dall’incenerimento del suo povero corpo a Campo de’ fiori. Nella Cagliari a governo ormai dark (così dal giorno del minaccioso assedio del municipio da parte dei vocianti e del commissariamento dell’Amministrazione), e quando il toson passava dal cattolico fascista Tredici al cattolico fascista Endrich, l’oltraggio parve una statua e non la dittatura con le sue vittime, comprese quelle che, in città, avevano sofferto, pochi mesi prima, l’incendio doloso della tipografia del Corriere, in via Cima. Ché veramente – e fu e sarebbe stata una costante – la povertà del senso dello Stato da parte del clero e dei suoi apparati – cresciuti secondo l’ideologia dei corpi intermedi ma con interpretazioni antistoriche – fu complice di ogni degrado degli istituti civili e infine della democrazia.
Se l’Angius padre scolopio sostenne, nel Parlamento subalpino, la legislazione abrogativa delle decime ecclesiastiche, pur ammettendo che quei frutti venivano dai vescovi restituiti ai poveri, gridando «prima la giustizia, poi la carità», se il canonico Asproni ebbe l’arditezza morale di fermare per sempre – per sempre! – la ghigliottina del beato Pio IX, sarebbe bello che, annoverando nella compagine pure il tempiese Tommaso Muzzetto, qualche storico della Chiesa sarda frugasse a fondo per restituire alle minoranze, direi alle coscienze quasi solitarie ed isolate, il riconoscimento sapienziale e profetico, voci nel deserto ma anche, alla lunga, feconde… Intanto magari sollecitando un’istruttoria per la beatificazione di Giorgio Asproni che, prete e mazziniano, corresse quel pontefice che benediceva la mannaia e che, nonostante questo e nonostante il rapimento di un bimbo ebreo a Bologna, è stato innalzato di recente agli altari o vice-altari…
M’ero riferito alla battaglia antibruniana dei cattolici cagliaritani del 1928. Quella circostanza storica tutta locale e insieme però rappresentativa, emblematica, di una realtà più vasta, nazionale – ché si attendeva allora la firma dei patti del Laterano e poteva tornare utile, per realpolitik anche se in spregio a principi e valori evangelici, l'adattamento di convenienza – potrebbe dirsi riproposta ed attualizzata, e qui e lì, ancora oggi e dai tempi dello scandaloso malgoverno berlusconiano, con l’acquiescenza acritica di troppi cattolici e troppi preti: verso il paganesimo che la destra parafascista, leghista e mercantile va diffondendo, in patria, a piene mani come norma di comportamento. Perfino sconfinando nell’oltraggio com’è stato con la blasfema dedicazione dell’Italia alla Vergine Maria da parte di un ministro della Lega presente al comizio con croci e rosari intrecciati nel polso. Mentre a Piergiorgio Welby da trent’anni inchiodato dalla sla l’autorità rossa negò i funerali religiosi, e mentre la stessa autorità concesse simoniacamente una basilica della città eterna al Briatore per il suo discreduto sacramento tutto da filmare! (protestai nel 2008 con il Vicariato e ne feci inutilmente testimone un vescovo sardo) Chiusa la digressione.
Giornali, tempi recenti
Nel secondo dopoguerra nacquero o rinacquero i giornali diocesani qua e là, e ad iniziativa dell’arcivescovo Giuseppe Cogoni – quotidianamente spiato dall’OVRA negli anni della dittatura, quand’era a Nuoro, e fatto protagonista di una meravigliosa pagina di letteratura in Piccole cronache della Giacobbe – sorse il Quotidiano Sardo, a direzione Pintus e, dal 1950, Lepori. Con Giuseppe Brotzu presidente del Consiglio d’Amministrazione. Giornale dell’episcopato, o di monsignor Botto (e di tutto quel mondo bianco a lui riconducibile, a partire dai Comitati civici e certe correnti democristiane) dopo il trasferimento redazionale e amministrativo da Oristano a Cagliari, così fino al 1958. Allora, sia pure per brevissimo tempo, e consegnato don Lepori al solido parrocato di San Lucifero, apparve il periodico Orientamenti d’apostolato, trasformatosi poi, in coincidenza con l’elezione di Giovanni XXIII, in Orientamenti a direzione Pillolla. Storia recente.
Ma sempre di stampa di taglio giornalistico si trattava, mentre la stampa “ufficiale” riportante gli Atti degli organi di governo delle diocesi continuava a limitarsi al BollettinoDiocesano (esauritosi nell’arco d’un decennio) e/o al Bollettino Ecclesiastico (ad uscita irregolare e consumatosi quindi in qualche numero unico, come nel 2000 o nel 2002) dei quali ho fatto innanzi menzione. Per tale ragione, a riprendere una missione di supporto documentale storico, l’impresa lanciata nel 1989-90 da monsignor Alberti e ancora sostenuta dai suoi successori è stata ed è preziosa. Ancor di più, sviluppando e rifinendo le trascorse esperienze, oggi il Notiziario Diocesano di Cagliari, con le sue sezioni ed i supplementi, gli inserti (anche a colori) ed i saggi di varia natura accolti nelle sue pagine, merita gran lode e si spera – o spererei io – che l’esempio sia raccolto anche dalle altre diocesi isolane che pur presentano, dove più dove meno, pubblicazioni illustrative della storia passata e del presente bruciante. Il passo successivo sarebbe, ed è l’auspicio finale, che – così come nella pubblicista settimanale, magari in adesione al deliberato del Concilio Plenario Sardo – si passasse ad un Notiziario ecclesiastico regionale. Utile nell’oggi, se ne avvantaggerebbero enormemente, per la qualità delle loro ricerche, gli storici della Chiesa un domani. E tutti coloro che alla storia della Chiesa s’appassionano.
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