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Gianfranco Murtas

Discutendo di toponomastica civica con il consigliere di maggioranza Antonello Angioni

di Gianfranco Murtas

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La radicale ristrutturazione del palazzo ex Caide (ma storicamente ex Olivieri, in parte già Cocco, poi INAL e altro di istituzionale: Consiglio Regionale, quindi Comune di Cagliari) all’angolo basso della piazza del Carmine con la via Sassari, e quel gran cantiere protetto da cantonate coperte da una lunga strisciata foto-testo sulle vicende storiche della zona e, specificamente, dell’edificio in rifacimento, suggeriscono qualche riflessione sulla toponomastica cittadina. Ciò anche nella memoria dei trascorsi proprio della piazza del Carmine che, in occasione del cinquantenario della unità d’Italia, fu ribattezzata “XXVII marzo”, a ricordare la seduta parlamentare di palazzo Carignano, dieci giorni dopo la proclamazione del Regno (dunque 1861-1911). Ne ho scritto varie volte riferendomi alle sindacature post-Marcello, vale a dire Nobilioni (da marzo 1911) e Bacaredda in secondo rilancio (da novembre dello stesso anno, con rovesciamento però di colore politico: da giunta similguelfa a tutela Sanjust soltanto temperata dal Nobilioni a giunta tutta laica e liberaldemocratica in associazione dei bacareddiani con i repubblicani Garau-Meloni-Nonnoi). Bei tempi!

A tanto portano, con garbo, anche le pagine che Antonello Angioni ha dedicato, nel suo recente e prezioso, bellissimo libro sul quartiere di Stampace, agli stabili che la buona borghesia imprenditoriale e/o professionale della nostra tarda belle époque impiantò, oltre che nelle altre “appendici” – in specie alla Marina, ma anche a Villanova – soprattutto là dove un tempo era il foro romano e quel viale San Pietro (poi viale Trieste e in prosecuzione, in direzione di Sant’Avendrace, viale Trento) in cui per lunghi decenni, nel passaggio di secolo, fra Ottocento e Novecento, si insediò la città industrio-commerciale. Nel tempo delle osterieddas, nel tempo del Partenone al Largo, nel tempo dei grandi empori dell’ingrosso a servizio dell’intera provincia e per l’import/export, in asse speculare con i Magazzini generali…

Mosso da queste suggestioni, io debbo riferirmi alla toponomastica civica. So bene che il Municipio è pressato da tutte le parti con le proposte di innovazioni e io stesso, nel mio piccolo, mi sono battuto più spesso fallendo che non raggiungendo l’obiettivo (bene una volta la via Cesare Pintus, bene un’altra la piazza Franco d’Aspro, poi basta). E conosco, anche per conversazioni e approfondimenti con amministratori di primo piano, le difficoltà di recepimento. Ciò non di meno ho ripreso la battaglia e ho creduto di poterla collocare anche nel recente scambio tutto ideale proprio con Antonello Angioni, occasionato dalla delibera consiliare circa la cittadinanza onoraria cagliaritana concessa a Liliana Segre, senatrice della Repubblica, nello scorso dicembre.

Perché in una città che vuole onorare la Segre e il suo patrimonio morale ma non si fa problema della intitolazione di strade o piazze del suo spazio urbano a gerarchi della trascorsa dittatura razzista e guerrafondaia o ad un industriale che si gloriava del suo essere fascista duro e puro, l’urgenza di una coscienza ribelle – dico della coscienza morale prima ancora di quella civica – nuovamente interpella e rilancio perciò al consigliere Angioni, esponente di livello dell’attuale maggioranza politica (che a livello nazionale si riconosce nella bella trinità Salvini-Berlusconi-Meloni), un ripensamento critico e un intervento positivo.

Al presidente Carlo Azeglio Ciampi – uomo delle istituzioni per eccellenza e capo dello Stato, antifascista e resistente di scuola azionista, socio d’onore dell’Associazione Mazziniana Italiana – così come ad Ugo La Malfa, padre della patria, antifascista e resistente anch’egli (che proprio a Cagliari scontò il primo prezzo del suo antifascismo nel 1926, prodromico alla carcerazione milanese), come a Giovanni Battista Melis, storico direttore regionale sardista e parlamentare del PSd’A di vigile ed orgogliosa lealtà repubblicana (e collega galeotto di La Malfa a San Vittore), come a Ferruccio Parri e Giovanni Spadolini, presidenti del Consiglio (oltre che molte altre cose tutte d’oro filato) in passaggi cruciali della storia dell’Italia moderna, come a Giovanni Malagodi, leader prestigioso del liberalismo italiano ed europeo e presidente del Senato, anch’egli esemplare nella fermezza antifascista e chiuso sempre ad ogni possibile alleanza anche soltanto tattica con il Movimento Sociale Italiano: a loro il Comune di Cagliari, anche per impulso di un uomo di cultura e passione civile come Antonello Angioni, dovrebbe poter presto dedicare luoghi fisici significativi nella vita municipale, indicazione esplicita di un superiore magistero politico così utile alla formazione delle nuove generazioni a rischio d’annegamento in una società liquida, senza più riferimenti ideali alti. Si tratti di strade, si tratti di scuole, si tratti di spazi culturali di rilievo, ma la memoria storica della città deve poter comprendere ed onorare il vissuto e la testimonianza patriottica e democratica di personalità eccellenti senza il cui contributo non avremmo quel tanto di positivo che, fra il più, forse, di negativo consegnatoci dagli eccentrici protagonisti dello schieramento politico, oggi alimenta la grande speranza europeista. La speranza dunque di un decisivo riscatto dalle trappole invereconde del sovranismo chiacchierone e semplicista che sostiene il popolo di Barabba.

Figlio della estrema minoranza democratica che ha in Giuseppe Mazzini e Giovanni Bovio, in Goffredo Mameli come in Asproni e Tuveri, come in Cesare Pintus e Silvio Mastio i suoi riferimenti ideali, mi posso permettere ogni sfida a chi rinchiude nel buio del magazzino i propri avi impresentabili, ma pure ad essi non rinuncia: siano essi Mussolini ed Hitler alleati, con i loro gerarchi dipendenti, per gli sfracelli collettivi, siano anche Stalin e Togliatti e altri di tanta bella storia oppressiva e totalitaria. I miei morirono in Spagna – i Rosselli, gli Angeloni –, i miei democratici e liberi muratori – come Angeloni o Randolfo Pacciardi o Francesco Fausto Nitti – i miei sardisti di Giustizia e Libertà – come Dino Giacobbe e Giuseppe Zuddas – non combatterono Franco per conto di Stalin… erano immacolati e la democrazia piena era la causa della loro vita. Ed è proprio per quella storia che li ebbe tutti protagonisti ed eroi – e assenti anch’essi nella toponomastica cagliaritana – che oso insistere e tutto metto in capo al consigliere Angioni, chiamato dai “progressisti” che lo hanno votato a dimostrare di non essersi fatto imprigionare da una maggioranza che fra i suoi avi ideali, o ideologici, non ha certo il meglio dell’Italia. E che, come ha votato unanime per la cittadinanza onoraria alla senatrice Segre, deve sapere intervenire nella… pedagogia civile della rete viaria.

La censura de L’Unione Sarda

Sono passati ormai tre lustri da quando L’Unione Sarda censurò, nel senso che non pubblicò, una mia breve nota sulla intitolazione della piazza Sorcinelli di fronte alla sede maggiore della Regione. Mi pare che la curatrice della pagina fosse Caterina Pinna (e mi scuso in anticipo se confondo i nomi), ed a lei inviati il mio contributo. Eccolo recuperato il mio testo del 6 agosto 2005, inviato con email alle ore 17,20 (e in replay il 17 settembre dello stesso 2005 alle ore 19,48.

A proposito della recente intitolazione di una piazza cittadina all’avv. Ferruccio Sorcinelli, spiace dover proporre considerazioni che potrebbero apparire inopportunamente discare alla memoria di chi non può controbattere. Ma dato per scontato l’omaggio a lui, come a ogni anima sia passata in questa vita, a prescindere da come abbia operato, Sorcinelli va visto oggi – a ottant’anni dalla morte (9 marzo 1925) – in prospettiva storica. E questa lo rappresenta, secondo il titolo che Vittorio Scano ha dato all’articolo di Lorenzo Del Piano, sull’ultimo numero dell’Almanacco di Cagliari, “camerata sino al midollo”. “Aderì al fascismo e divenne il capo della fazione più intransigente che respingeva ogni accordo con gli avversari”, si legge nel sommario. E nel corpo dell’articolo, riferendosi all’aggressione a Lussu “ricoverato per commozione cerebrale”, il 13 novembre 1922: “L’ala dura del Pnf manifestava clamorosamente la sua contrarietà all’intesa con formazioni integrate in quel vecchio mondo politico col quale il fascismo non voleva avere niente da spartire. A capeggiare gli integralisti era Sorcinelli, il quale disponeva di un’arma potentissima: L’Unione Sarda che dava risalto alle tesi oltranziste”. 

Egli aveva acquistato, nel 1920, la testata coccortiana in una logica appunto strumentale al suo obiettivo di utilizzare la politica – parole di Del Piano – per “salvare l’azienda” mineraria di Bacu Abis e Candiazzus andata in crisi dopo la fine della guerra (e dunque delle sue lucrose forniture di lignite al governo). Fu allora che, nell’Iglesiente, egli iniziò a finanziare le squadre di picchiatori antisocialisti, come anche riferito dall’anticipatore studio del Nieddu “Origini del fascismo in Sardegna”, che neppure manca di dar conto delle teorizzazioni sorcinelliane, secondo cui il fascismo equivaleva al “patriottismo: trionfo della ricostruzione sulla distruzione” e non aveva perciò bisogno di provocare ma soltanto di… reagire.

La famiglia Sorcinelli appartiene alla storia del Novecento della Sardegna e di Cagliari in particolare, nel male ma anche nel bene. E occorre dargliene atto quando non si intende confondere le pagine buie degli anni 1919-1924 – allorché L’Unione passa ai fasciomori – con le benemerenze successive che non toccano però l’avv. Ferruccio. Si consideri la partecipazione attiva, e positiva, alla dialettica politica del giornale negli anni post-46 (e fino alla vendita azionaria a Rovelli). Non è della famiglia, dunque, che qui si tratta, ovviamente.

Ma di intitolare una strada a quel giovane che 23enne finì in galera per antifascismo e risponde al nome di Giovanni Battista Melis, avvocato e a lungo deputato della Repubblica e consigliere regionale, perché il sindaco di Cagliari (da me invitato l’8 marzo 2004) e la commissione toponomastica perché non si danno pena? Anche il nome di Ugo La Malfa, statista della più bell’acqua democratica, e anche lui legato alla storia cagliaritana (per chi l’ha studiata), è ignoto. Ora hanno vie e piazze dedicate quelli che hanno partecipato da protagonisti alla dittatura del ventennio – da Endrich a Tredici (entrambi galantuomini ma entrambi gerarchi d’un regime illiberale, il secondo biografato dal Municipio perfino con risibile sterilizzazione dei riferimenti al regime!), sarà che non essere onorati dalla municipalità sia proprio quello il segno di maggior rispetto della comunità civica?

Quella volta che si trattò di Tredici

Come giusto di Israele aveva avuto onori Vittorio Tredici, anch’egli gerarca e deputato fascista per due lunghi decenni, e commissario prefettizio dal 1923 a Cagliari (e in quanto tale, e primo podestà della serie cittadina, espiantatore del… massonico busto di Giordano Bruno nell’ottobre 1926 dalla piazzetta Mazzini, in faccia alla porta dei Leoni: lo stesso Giordano Bruno ora e dal 1960 a Sa Duchessa). 

All’inizio del 2003 – essendo in carica già allora la giunta di destra a guida Emilio Floris – fu intitolata a Vittorio Tredici una piazza nel quartiere di Is Mirrionis. Nell’occasione fu distribuito dal Comune un pieghevole riportante per sommi capi la biografia del celebrato. Con omissioni terribili perché inducenti a credere una cosa falsa invece del vero opposto. Come si fosse trattato, ad esempio, di un deputato sardista invece che fascista, ecc.

Io operai le giuste rettifiche e precisazioni e ne mandai l’esito finale, il 22 gennaio, al sindaco e a due consiglieri (e/o) assessori, uno di maggioranza – Giuseppe Farris – e uno di minoranza – Piero Comandini, che erano stati i soli (due) ad accusare ricevuta di un dono che avevo fatto in precedenza a tutti i cinquanta consiglieri e assessori: la stampa (ovviamente a spese mie, nella collana della Biblioteca del sardoAzionismo che mi aveva sposato all’ANPPIA del generoso Salvatore Sbressa) della biografia di Cesare Pintus sindaco della liberazione.

Ecco, come prova di una testimonianza certamente minore ma vitale sempre, il testo della lettera e dell’allegato rettificativo:

Caro Sindaco,

Ho avuto l’invito a partecipare alle manifestazioni d’onore alla memoria di Vittorio Tredici.

Partecipo sentimentalmente ad ogni iniziativa che compensi i meriti umanitari e patriottici di chi ha rischiato in proprio per testimoniare il bene. E come biografo di Cesare Pintus, sindaco di Cagliari nella stagione della liberazione – che onorò mazzinianesimo e democrazia soffrendo per anni nel carcere politico –, godo per altri onori tributati a un suo predecessore che pur stava, certo in buona fede, contro il mazzinianesimo e la democrazia. 

Desidero peraltro rilevare che, con grande sorpresa, ho individuato soltanto alla 41a. riga della scheda biografica allegata al pieghevole, la parola-chiave che effettivamente spiega le attività pubbliche di Tredici: e cioè il fascismo. E si cita il fascismo per dire che dopo il 25 luglio 1943 egli non ebbe più alcun rapporto con il regime di dittatura messo in crisi dal golpe del Gran Consiglio e del re.

E anche quando esplicitamente ci si riferisce a una militanza politica di Tredici, lo si fa con riguardo al Partito Sardo d’Azione, senza dire che egli abbandonò il PSd’A di Lussu e Bellieni (eroi della grande guerra) per aderire al Partito Nazionale Fascista che fu quello – e soltanto quello – che consentì a lui di ottenere i vari mandati politici (commissario prefettizio/podestà di Cagliari, deputato, amministratore di enti pubblici, ecc.).

 Debbo dire che trovo la cosa alquanto ipocrita.

Mi sono pertanto permesso di integrare la scheda biografica, evidenziando graficamente le aggiunte. Gliene mando copia.

La cosa mi ricorda l’intitolazione del terrapieno al compianto sen. Endrich, che conobbi e intervistai. Egli fu indicato, nelle lastre stradali, come “avvocato” invece che come “podestà” (e “federale” negli anni della legislazione antiebraica). Mentre è indubbio che la dedicazione dell’importante via faccia riferimento a questa attività pubblica e non a quella professionale.

Ma è davvero così difficile dire la verità? Tredici per primo, ritengo, avrebbe gradito il rispetto della verità.

Con viva cordialità.

Vittorio Tredici nasce ad Iglesias il 31 luglio 1892, si spegne a Roma il 3 marzo 1967.

Combattente della Brigata Sassari, decorato alla fine della Prima Guerra mondiale, è tra i fondatori del Partito Sardo d’Azione, dal quale si separerà nella primavera del 1923 aderendo al PNF. Fervidissimo il suo affetto per l’isola natia, che ispirerà sempre la sua azione concreta di amministratore e tecnico.

Commissario e primo cittadino di Cagliari ne regge l’amministrazione comunale dal 1923 al 1928, dacché il governo Mussolini decreta lo scioglimento di tutte le rappresentanze civiche liberamente elette nel Paese. Durante il suo mandato incrementa al massimo lo sviluppo della città e le benemerenze della sua amministrazione si estendono a moltissimi campi.

Vittorio Tredici diviene in seguito Segretario Federale di Cagliari del Partito Nazionale Fascista ormai assurto a partito unico del regime dittatoriale, dirigente di numerose organizzazioni sindacali e corporative, e in particolare Segretario dei Sindacati dell’Industria.

Parlamentare (membro della Camera monopartitica) fino alla Seconda Guerra mondiale per la XXV e XXIX Legislatura, è Consigliere Nazionale per la XXX e viene infine nominato Vice-Presidente della Corporazione delle Industrie Estrattive. Ha così modo di profondere le sue doti organizzative e realizzatrici e la sua conoscenza dei problemi minerari, esperienza che lo vede impegnato in un assiduo e competente lavoro, sia nell’industria mineraria italiana in generale, sia, in particolare, nel mondo dei minatori e nelle miniere della Sardegna.

A Carloforte esiste ancora oggi uno “scavo Tredici” di manganese, a cielo aperto, e nella miniera di Pratorena – Novara – c’è un “filone Tredici”, aurifero.

Dal 1934, per oltre un decennio, occupa il ruolo di Presidente dell’Azienda Mineraria Metallurgica Italiana, potenziando quell’ente nell’isola e nel continente fino a farne un organismo di peculiare pubblica utilità. Un anno prima del termine del secondo conflitto mondiale, viene nominato Presidente della Società Italiana Potassa.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il Consiglio di Stato, sezione speciale epurazione dichiara estinto il procedimento di epurazione a carico di Vittorio Tredici e lo reintegra con la qualifica di Ispettore Superiore nell’I.N.A., dove svolgeva la sua attività prima di ottenere mandato politico per le altre cariche. Quale Ispettore Superiore dell’I.N.A. cesserà infine la sua attività lavorativa.

Dalla sentenza istruttoria di proscioglimento del 10 maggio 1946, risulta che Vittorio Tredici si dimostrò sempre equilibrato, anzi elemento moderatore, all’interno delle organizzazioni del regime dittatoriale cui aderiva e del quale era esponente di rilievo, e che svolse soltanto attività tecnica al di fuori di ogni valutazione di carattere politico.

Non è inopportuno rilevare che il Tredici, dopo il 25 luglio del 1943, non ha più alcun rapporto col regime fascista e, nel periodo dell’occupazione di Roma, procura coraggiosamente ricovero nella propria casa ad ebrei e ricercati politici, offrendo loro anche assistenza e agevolandone la fuga nel corso di ricerche e perquisizioni eseguite dalle SS.

…………………………………..

Concludendo

Non tanto per i valori quanto per la verità storica rilancio al consigliere Angioni altre due segnalazioni che feci per iscritto (ma, fiducioso d’esser creduto, ne risparmio il rimbalzo qui adesso) e a voce, presso gli uffici degli assessorati competenti, negli anni delle giunte Zedda (sorde quanto quelle Floris in materia):

1-non esiste un Francesco Todde da celebrare nella strada che taglia longitudinalmente la via Dante a Cagliari: si tratta per certo di Giuseppe Todde, giurista ed economista di fama nazionale, rettore dell’università di Cagliari (oltreché avvocato, pubblicista, presidente/promotore della Banca popolare cooperativa, ecc.) e fra quei grandi di Villacidro che entrano a buon diritto nelle pagine di “Paese d’ombre” di Giuseppe Dessì e già splendido anfitrione di d’Annunzio, Pascarella e Scarfoglio nel 1880 attorno alla cascata di sa Spendula ed al piazzale di Frontera…

2-non esiste alcun 1911 da fissare nel basamento del busto di Giuseppe Verdi della piazza Matteotti (com’è oggi e forse dai ripristini postbellici): si tratta invece del 1901, anno di morte del grande musicista (a gennaio) e anno di collocamento del monumento opera di Pippo Boero ad iniziativa di un comitato che ebbe Marcello Vinelli quale presidente (a dicembre fu donato al sindaco Picinelli: quattro anni dopo fece il paio con il busto di Giovanni Bovio, leader storico dei repubblicani dopo la morte di Mazzini e Grande Oratore della Massoneria di Palazzo Giustiniani, poi abbattuto, a quanto si sa, dai fascisti prima della seconda guerra mondiale). Che si tratti del 1901 e non del 1911 è anche documentato da alcune fotografie che ho prodotto dieci anni fa in assessorato. 


Fonte: Gianfranco Murtas
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