Don Efisio Spettu, quella intervista concessa a Salvatore Bussu (per “L’Ortobene”) all’esordio del suo rettorato del Seminario regionale
di Gianfranco Murtas
Scomparso nel luglio 2013, dopo una dolorosa malattia – la stessa dei tanti cui egli prestava ogni giorno, all’ospedale Oncologico, le sue più affettuose cure dell’anima, in quel rapporto empatico che è stato il suo permanente capolavoro –, don Efisio Spettu rimane sulla scena segreta dell’intimo dei suoi innumerevoli amici ed il suo nome circola, ancora circola, deve sempre – perché merita – circolare, nella pubblica ribalta della Chiesa diocesana, del suo seminario minore e di quello maggiore regionale, della sua UNITALSI, della sua comunità di San Rocco che non potrebbero mai, anche se lo volessero per un ipotetico rovesciamento di valori e missioni, cancellare le tracce del suo passaggio. Che è stato incisivo e formidabile tanto nella vita dei singoli che l’hanno accostato quanto in quella delle istituzioni – ecclesiali, scolastiche ed ospedaliere – cui ha donato tempo ed energie, sempre il meglio di sé, anzi sempre tutto se stesso.
Ogni anno sento di dover pagare anch’io il mio tributo alla sua memoria, alla memoria feconda del mio amico che mi ha “accompagnato” in un felice sodalizio di lunghi anni: accompagnatore lui che s’è fatto accompagnare, ed è stata lì la sua grandezza umana, la sua cifra personalissima: accogliere e farsi accogliere. Lo onoro ogni anno con una nota che presenti un momento meno conosciuto, o forse conosciuto ma dimenticato, della sua vita che è stata assolutamente variegata negli impegni sociali oltre che ecclesiali. E ripensando a quanto, nel 2018 soprattutto, proposi in un lungo articolo per Fondazione Sardinia, avvicinando la sua figura a quella dell’arcivescovo Alberti in relazione alle sorti del seminario regionale della Sardegna di cui entrambi ebbero la responsabilità – per un breve periodo, 1971-1973, Alberti, per un tempo ben più lungo, 1992-2006, Spettu (e su speciale mandato di Alberti!) – ho creduto quest’anno di presentare una sua testimonianza non di consuntivo – com’era appunto quella dettagliata sopra richiamata – ma definiamola “intenzionale” o meglio “progettuale” del cantiere formativo del nuovo clero isolano.
L’amico don Bussu, al tempo direttore di L’Ortobene, raccolse un numero importante di interviste con uomini di Chiesa, dell’intellettualità e in generale della società sarda a proposito del Concilio Plenario Sardo allora in svolgimento o da poco avviatosi. Furono oltre cinquanta quelle personalità: dai vescovi Alberti e Tiddia, Pisanu e Cogoni, Pes e Meloni, Isgrò e Melis Fois, Miglio e Gibertini, Pillolla e Piseddu, Orrù ed Atzei, Vacca e Sanguinetti, a uomini della politica e del giornalismo, dell’accademia e del volontariato, della sanità pubblica e della letteratura come Bachisio Zizi e Vindice Ribichesu, Giacomo Mameli e Francesco Casula, Antonangelo Liori e Mario Massaiu, Pietro Soddu e Antonello Soro, Giovanni Lilliu e Salvatore Ladu, Enzo Espa e Gianni Filippini, Giorgio Melis e Paolo Pillonca, Mario Pinna e Paolo Maninchedda, Natalino Piras e Bachisio Bandinu, Eugenia Tognotti e Iside De Zolt Spanu, Salvatore Fiori e Giulio Angioni, Alberto Caocci e Gianni Pititu, Cecilia Contu e Franca Ferraris Cornaglia, Massimo Pittau e Francesco Masala, Salvatore Loi e quanti altri, compresi un buon numero di presbiteri di varia esperienza e competenza come Nico Massa e Vasco Paradisi, Piero Marras e Giuseppe Meloni, Domenico Argiolas e Tonio Tagliaferri, Angelo Pittau e Giovanni Usai, e ancora, fra i laici, Nanni Sanna, Mario Filia e Tonino Loddo, Vannina Mulas e Margherita Sanna, e fra le religiose suor Maria Emmanuela Manca… Un bel giro davvero, tanto più perché ulteriormente integrato da una sorta di rassegna stampa – a proposito del Concilio in corso – includente firme come quelle di Mario Girau e Nino Bandinu, Gianfranco Pintore e Bartolomeo Serra, Francesco Mariani e Giovanni Carta, Pietro Borrotzu e Gio.Maria Cossu, Pietro Puggioni e Salvatorangelo Spano, Raimondo Turtas e Antonio Addis, laici e preti in mix con molto Bussu in andata e venuta…
Nel mezzo, appunto, don Spettu interrogato su “Come formare i preti del 2000”. Questo il titolo dell’intervista apparsa sul numero del giornale diocesano di Nuoro del 24 aprile 1994. Il testo che segue ha l’importanza – ho avvertito – di una testimonianza sui programmi annunciati e tutti o quasi tutti ancora da realizzare. Don Efisio, in quanto rettore del seminario regionale, era allora quasi ancora all’inizio della sua opera; vi si sarebbe applicato con piena dedizione e pari valore, e con risultati evidenti, per un dodicennio da allora, ma già dal 2003 – e cioè negli ultimi mille giorni del suo incarico – respirò l’aria sempre più pesante cui lo costrinse, lui sempre con i larghi sorrisi (che non ho mai interpretato come sinceri), monsignor Giuseppe Mani, dall’autunno nuovo arcivescovo di Cagliari e, tre anni dopo, anche presidente della Conferenza Episcopale Sarda. Nella mia valutazione personale (ovviamente soggettiva e senza cattedra) fu una sciagura per la Chiesa diocesana e per quella sarda: ma una sciagura ben realizzatasi con la complicità dell’intera fraternità vescovile isolana, incapace anche di alzare un sopracciglio di riserva su quanto autoritativamente veniva ogni giorno imposto, in logica di… sinodo rovesciato, cioè di deresponsabilizzazione generalizzata. Cominciando dalla rimozione del Concilio conclusosi nel 2001. Ma tant’è, ormai è fatta. Se ne occuperanno gli storici di domani.
L’intervista rilasciata da don Spettu – rifluita poi, insieme con le altre, nel volume curato da don Salvatore Bussu Facciamo credito alla speranza. La Chiesa sarda e le sfide del 2000, Cagliari CUEC 1998 – è da collocarsi in una stagione ancora lontana dalle visioni che si imporranno successivamente: essa riflette ancora quei propositi e programmi segnati dall’entusiasmo iniziale… Quelli nei quali piace oggi poter riposizionare il volto dolce, fiducioso ed impegnato di un prete di primissima qualità.
Come formare i preti del 2000
"Per quanto riguarda la formazione dei seminaristi sarà sempre più importante approfondire lo specifico della spiritualità del presbitero diocesano. Mancano ancora, a parte i valori propri ed universali di ogni prete, religioso o secolare, dei metodi di formazione adeguati al tipo di ministero che uno è chiamato a svolgere. Sviluppare la ricchezza che deve nascere dalla carità pastorale, dal servizio proprio del ministero, dall'essere dispensatore, attraverso i sacramenti, della Grazia; dalla liturgia celebrata con il popolo e per il popolo, dall'accompagnamento quotidiano dei malati, degli anziani, dei giovani, degli sposi, dal dialogo e dall'attenzione continua al vissuto di una comunità ". Così il rettore del Seminario Regionale, Mons. Efisio Spettu, in apertura di questa conversazione affronta l'argomento fondamentale della preparazione dei preti di domani: i metodi adeguati di formazione al tipo di ministero che sono chiamati a svolgere. Don Spettu, 55 anni, nativo di Quartucciu, prete dal 1963, è, per così dire, l'uomo giusto al posto giusto. Licenziato in Teologia a Cuglieri, con un corso universitario di Pedagogia a Sassari (gli manca la tesi), un altro corso-diploma di pastorale sanitaria al Camillianum di Roma, è specializzato in Teologia Spirituale alla Gregoriana di Roma. E poi soprattutto il suo impegno per tanti anni nella pastorale giovanile e in gruppi di base lo ha preparato a questo delicatissimo ministero di educatore dei sacerdoti del 2000.
Il servizio sacerdotale dei preti di domani, don Spettu, sarà sempre più difficile. Perché i chierici siano preparati al ministero che li attende, che cosa è necessario?
È necessario che gli educatori e formatori si impegnino a studiare le linee per una formazione che porti i candidati ad essere atti ad affrontare il loro servizio secondo i tempi e secondo lo spirito del prete pastore. È perciò fondamentale programmare la scelta dei responsabili della formazione umana, intellettuale, spirituale, pastorale e comunitaria. Devono potersi preparare perché alta è la responsabilità ed il prezzo del loro servizio.
Sul piano formativo quale è l'organizzazione del Seminario oggi?
Come ebbi modo di scrivere nella presentazione dell'annuario 93-94, abbiamo la fortuna di avere l'équipe educativa al completo: Rettore, un animatore per il V e VI anno, un altro per il III e IV anno, ed infine uno per il I e II anno. Questo fatto permette, per quanto è possibile, un cammino di formazione che rispetti una gradualità di impegno e di ascesi verso gli ordini sacri. È presente il Padre Spirituale che imposta la vita di fede di tutta la Comunità; presenza preziosa è quella dell'economo. Non mancano confessori ed altri amici presbiteri e no, che ci sono particolarmente vicini. I ritiri mensili sono guidati normalmente da parroci o esperti in vari settori della vita pastorale, spirituale e culturale. Godiamo con una certa frequenza della visita dei nostri Vescovi. Altri momenti di iniziative scandiscono il corso dell'anno. Va tenuto presente che buona parte del tempo viene vissuto in Facoltà per le lezioni. Importante, come attività tesa alla conoscenza delle Diocesi, l'iniziativa di visitarle nel corso degli anni. Dalla conoscenza, pur frammentaria, deve nascere la stima e quindi il senso più profondo di unione e di comunione che il Seminario deve sviluppare.
Con quali prospettive?
Le ho già accennate. La Conferenza episcopale sarda ha nominato una commissione composta da Mons. Orrù, da Mons. Miglio e da Mons. Pillolla perché studi il progetto per ampliare i locali già in uso, con un'altra ala da costruire nel terreno che l'Arcidiocesi di Cagliari mette a disposizione. A tal proposito vorrei dire che il Consiglio Presbiterale dell'Arcidiocesi, debitamente consultato da S. E. Mons. Alberti, ha risposto affermativamente, all'unanimità, per la disponibilità dell'area. Dovrà essere tutta la Chiesa Sarda a farsi carico della realizzazione. Al di là delle strutture ritengo indispensabile una certa continuità formativa e quindi una stabilità dell'équipe. Nell'arco di 22 anni si sono succeduti in Seminario 7 Rettori ed un numero indefinito di animatori: tutto questa non ha giovato alla formazione dei seminaristi e soprattutto a suggerire linee di formazione continua ed adeguate. È necessario che le Diocesi siano disposte a fornire gli animatori richiesti e a confermarli, se adatti e preparati, per un certo numero di anni. La Chiesa Sarda deve dotarsi di un Seminario capace di ricoprire il ruolo che la formazione dei preti del futuro richiede. La nuova evangelizzazione passa ancora oggi attraverso il ministero sacerdotale!
Quale rapporto esiste tra Seminario Maggiore e Seminari Minori?
Il rapporto con i Seminari Minori è ottimo. Gli incontri, anche se non frequenti, sono tesi a stabilire indicazioni comuni di discernimento e di cammini formativi. Ultimamente insieme a tutte le équipes formative dei vari Seminari abbiamo presentato alla CES una bozza di regolamento per quanto riguarda l'anno propedeutico. Sono molti infatti i giovani che si presentano nei vari Seminari richiedendo di voler fare una esperienza in vista di un possibile itinerario verso gli ordini sacri. È sembrato opportuno stabilire delle direttive comuni per le varie diocesi-Seminari con un coordinamento guidato dall'équipe del Regionale. Questo lavoro comune si mostra sempre più urgente visto che taluni richiedono di venire al Maggiore senza aver fatto il Seminario minore. Vorrei concludere queste notizie aggiungendo che rimane fondamentale il fatto che la Chiesa Sarda conosca, senta e viva i problemi del suo Seminario Maggiore. Spesso in questi due anni del mio servizio di Rettore, pur sperimentando la simpatia e l'affetto dei Vescovi e di molti sacerdoti, ho avuto una sensazione di solitudine. È un Seminario che appartiene a tutti… e corre il rischio di interessare a pochi. Spero che le prospettive nuove, superate incertezze e resistenze, aprano una stagione di speranza, di impegno. Il Concilio Plenario che ci apprestiamo a vivere porti, tra i tanti frutti per la Chiesa Sarda, quello di un Seminario Maggiore, segno di unità e di comunione tra le Chiese particolari che sono in Sardegna.
Dato per scontato che quello della formazione è il problema che motiva l'esistenza stessa del Seminario, non le sembra che a ciò abbia nuociuto il passaggio da Cuglieri a Cagliari: il trasferimento è stato un bene o un male?
È difficile rispondere. Certamente posso dire che il trasferimento doveva essere predisposto e preparato adeguatamente. Oggi, a distanza di 23 anni, portiamo ancora le conseguenze, e non so per quanti anni ce le porteremo appresso. So comunque che ci furono condizioni particolari che costrinsero l'Episcopato di allora a decidere un po' affrettatamente il trasloco.
Si disse allora: a Cagliari è possibile un contatto con i luoghi culturali più significativi, vedi Università. È proprio vero?
Fu certamente uno dei motivi sottolineati soprattutto dai Padri Gesuiti che ritenevano, dopo il Vaticano II, urgente un confronto ed un dialogo, per la formazione dei futuri presbiteri, con la cultura contemporanea. Sotto questo aspetto Cagliari offriva ed offre maggiori possibilità. Anche se solo quest'anno si è riusciti per merito di P. Mosso e di alcuni docenti della Facoltà e del Prof. Pasquale Mistretta, Rettore dell'Università di Cagliari, a stipulare un protocollo d'intesa per una attività culturale comune tra le due realtà accademiche del capoluogo sardo. Si sono svolte proprio nel corso di quest'anno momenti di studio e di celebrazione.
Vuole rifare una breve cronistoria del Seminario di questi anni fino ad oggi?
La storia è presto fatta. Nell'Ottobre del 1971 dopo che, durante l'estate, furono traslocati biblioteca e mobili (non tutti per la verità) nella residenza dei PP. Gesuiti in via Sanjust, i seminaristi guidati dal Rettore, l'attuale Arcivescovo di Cagliari Mons. Alberti, e gli altri animatori si insediarono in un'ala del Seminario Arcivescovile di Cagliari messo a disposizione, dopo vane ricerche di altre soluzioni dall'allora Arcivescovo di Cagliari, S. Eminenza Card. Baggio di v.m. Ma già dall'anno successivo, 1972-73, i Vescovi furono costretti a trovare nuove soluzioni, verificandosi inadeguata quella sperimentata. Furono gli anni della diaspora e dei gruppi. Fino a quando nel 1978 il Seminario si riunì in un'altra ala, adeguatamente sistemata del Seminario arcivescovile. Ebbe inizio un periodo caratterizzato dall'interrogativo se tale soluzione fosse da ritenere definitiva o provvisoria. Si avanzarono varie ipotesi: costruire ex-novo fuori Cagliari, trasferirsi con la Facoltà in altra sede (Alghero?), costruire vicino alla Facoltà in via Sanjust, trasferire la Facoltà in via Parraguez costruendo i nuovi locali. Allo stato attuale delle cose la Congregazione dell'Educazione Cattolica, dopo il riscontro fatto dal Visitatore, ha stabilito che il Seminario Regionale abbia la sede attuale in via Parraguez, così come la Facoltà stessa in via Sanjust (Comunicazione fatta da Mons. Alberti alla CES nel Gennaio 1993).
Qual è la situazione dei locali del Seminario, oggi?
Premesso che la Chiesa Sarda deve gratitudine all'Arcidiocesi di Cagliari per aver messo a disposizione gratuitamente i locali finora utilizzati, debbo dire che non sono sufficienti né adeguati. È in verità una soluzione di emergenza. Mancano totalmente spazi comunitari, (cappella ed aula magna capaci di contenere appena 60 persone; sale di ricreazione, lavanderia...), come anche camere, sia per i seminaristi e sia per eventuali ospiti. C'è inoltre da dire che i locali sono letteralmente circondati da una scuola media ed una materna che soprattutto in certe ore non facilitano lo studio, il silenzio e quello spirito di raccoglimento che deve essere normale in un luogo di formazione. Abbiamo avuto però la seria promessa che una nuova ala renderà dignitosa ed adeguata la sede del Regionale.
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