Don Ezio Sini fra culto divino e pastorale sociale. Una memoria da non perdersi a Cagliari e altrove
di Gianfranco Murtas
Nella solennità dell’Immacolata – che un tempo era festa vera anche da noi in Sardegna, e nel sentimento popolare valeva la Pasqua o il Natale – nacque a Mandas il parroco della mia infanzia, monsignor Ezio Sini, responsabile della comunità di Sant’Eulalia a Cagliari. Parrocchia importante in città e in diocesi, per secoli amministrata canonicamente dalla collegiata con il supporto sempre prezioso della Congregazione del SS. Sacramento nella Marina.
Nel centenario di quell’evento così naturale e bello a riconnetterlo anche al prossimo vissuto di un uomo e di un prete di grande valore progettuale ed amministrativo suggerii a don Mario Cugusi – al tempo parroco di Sant’Eulalia e dunque successore mediato (fra lui e Sini era entrato monsignor Salvatore Casu) – una celebrazione speciale richiamando attorno all’altare i sacerdoti superstiti che officiarono al tempo di quell’ormai lontano lungo parrocato (1953-1971): e vennero in diversi, don Eliseo Mereu, don Piero Villasanta, l’arcivescovo Pier Giuliano Tiddia che presiedette la messa, i delegati delle famiglie religiose dei minimi di San Francesco di Paola e dei minori di Santa Rosalia e San Salvatore da Horta. Fu festa di pensiero e sentimento, oltreché di preghiera, conclusasi nel salone con la presentazione di un libretto biografico che mi ero spinto a compilare, Don Ezio Sini fra culto divino e pastorale sociale.
Oggi, festività dell’Immacolata 2021, ricordo il parroco della mia prima età, che tanta fiducia mi concesse a suo tempo (seppure l’interruzione del… flusso di quotidianità, non dell’affetto, si interruppe bruscamente alle soglie dei miei tredici anni), e ripropongo l’introduzione a quel breve saggio che mi impegnò in ricerche d’archivio accanto a quelle delle testimonianze in viva voce (fra esse, particolarmente cara, quella di don Tarcisio Pili, al tempo cappellano di Sant’Antonio abate in via Manno e mandarese di nascita pure lui). Ormai l’ambiente sociale del quartiere e della parrocchia era completamente trasformato dai tempi in cui l’attraversavo tutti i giorni e chi avevo conosciuto e frequentato s’era per il grosso ahimè disperso nella città nuova e altrove… Negli anni di fatica pastorale e sociale di don Cugusi ho continuato a visitare quella sede religiosa che avverto come parte preziosa del mio vissuto. E anche oggi che lì lavora, associandosi agli impegni Caritas, don Marco Lai, Sant’Eulalia rimane in me una specie di capitale del cuore.
C'è una inflessione - non una variante,- mariana che attraversa e sostiene la militanza cristiana ed il sacerdozio di don Ezio Sini, alla cui memoria si volge, nel centenario della nascita, l'affettuosa prossimità di coloro che lo conobbero, lo stimarono, gli vollero bene. Diciamo: che lo incontrarono e frequentarono in luoghi, tempi e circostanze i più diversi allorché egli spese per la causa del Vangelo i suoi talenti e le sue energie.
Il Marianesimo come via al culto Eucaristico
Da qui bisogna partire: dal suo marianesimo. Egli nacque nel giorno consacrato all'Immacolata Concezione del 1908 - lo stesso anno della proclamazione della Madonnissima sarda, Nostra Signora di Bonaria, a patrona massima della nostra terra e della nostra gente; fu ordinato prete nella solennità dell'Assunta del 1932. Il che avvenne, per le mani dell'arcivescovo Ernesto Maria Piovella, nella cattedrale castellana appunto intitolata a Maria Assunta in cielo. E sono certamente in molti quelli che ricordano, tanto più a Sant'Eulalia, l'impegno speciale che egli metteva, nei primissimi anni '60 (e cioè verso la metà del suo lungo parrocato), per l'allestimento della cappella dell'Assunta in un vano non destinato - il quarto laterale nella navata di destra partendo dall'ingresso principale; ma anche - anno dopo anno - per la preparazione e la celebrazione della solennità mariana, nella versione greca della Vergine Madre dormiente, nel giorno del profano ferragosto. E così erano, invero, le altre occasioni liturgiche e le pratiche paraliturgiche che dal calendario venivano e del popolo diventavano collante comunitario: fra le più sentite, la devozione alla Madonna di Pompei con tanto di tridui o novene e la quotidiana recita del rosario.
I parrocati più maturi - quello sanlurese a Nostra Signora delle Grazie e quello già citato, speso lungo oltre tre lustri a Sant'Eulalia in Cagliari - lo vedevano protagonista di un culto assiduo, attento, austero, ordinato e pieno, e per la coralità delle celebrazioni fra presbiterio ed aula e per la stessa partecipazione dei sacerdoti convocati amichevolmente all'altare, per la maggior solennità della liturgia.
Meriterebbe peraltro anche ricordare, in questa rapida apertura della scheda biografica di don Ezio Sini, la relazione di appoggio pastorale che egli, prete ancora meno che trentenne, sviluppò con la parrocchia serrentese della Beata Vergine Immacolata quando, incaricato dall'arcivescovo Piovella della (forse informale) cappellania militare, ebbe sede, oltreché ad Elmas, proprio a Serrenti (deposito della Aeronautica).
Questa inflessione mariana nasce evidentemente dal contesto formativo di Ezio Sini, nella sua Mandas degli anni della prima infanzia in casa e nel catechismo parrocchiale—, e nei corsi di studio al seminario diocesano dapprima e in quello regionale di Cuglieri successivamente: seminario teologico di cui - per essere esso stato inaugurato nel 1927 - fu uno dei primi studenti.
«Quando avremo recitato la nostra ultima parte, / quando avremo deposto cappa e mantello, / quando avremo gettato maschera e coltello, / ricorda il nostro lungo peregrinare. / Quando ci caleranno nella fossa / e ci avranno offerto assoluzione e messa, / ricorda, o Regina di ogni promessa, / il nostro lungo peregrinare...». Sono versi del celebre poeta francese Charles Péguy che nel capitale 1908, trentacinquenne, converte il suo materialismo sociale in una speranza di spiritualità capace di dar senso pieno anche alla lotta per la giustizia.
Tra l'Immacolata Concezione e l'Assunzione al cielo. Può dirsi che, tesa lungo tanti anni da coprire quasi l'intero Novecento, la vita di don Ezio Sini - nato appena due settimane prima che il poeta francese imparasse, o reimparasse, nella teatralità natalizia di Parigi, il gusto della fede che è «speranza delle cose attese» - sia stata come illuminata dalla tensione spirituale e dal fervore della devozione alla Madre di Dio. Così come la tradizione religiosa e le definizioni dogmatiche l'hanno nel tempo rappresentata, così come il nostro popolo l'ha sentita in attiva, sempre feconda prossimità. Una Madre di Dio necessaria al piano di salvezza e annunciata, secondo la Genesi, quasi all'alba della nostra avventura terrestre, e dunque anche una Madre di Dio necessaria al percorso esistenziale del cristiano che in lei scorse la prima risposta, dalle rive dell'umano, all'offerta di patto fra Cielo e Terra poi compiutasi con la Incarnazione, la Crocifissione e la Resurrezione. E una Madre di Dio vestita degli abiti cuciti per lei nelle storiche subregioni isolane, anche nel Campidano e nel Cagliaritano dunque...
Don Sini è tutto mariano, fin da bambino, per l'educazione familiare e parrocchiale ricevuta, per quel memento di calendario che lo porta a festeggiare il compleanno insieme con l'onomastico, che anzi ha come una precedenza d'onore sull'altro proprio per la pratica di relazione devozionale cui si riconnette.
Di più. Viene ordinato sacerdote, dall'arcivescovo oblato Ernesto Piovella - un presule mariano per stretta e singolare vocazione tanto da aggiungere il nome di Maria al proprio -, nella solennità dell'Assunta in quella primaziale in cui un'infinità di volte, negli anni del ginnasio, e cioè della sua prima adolescenza, è andato con i compagni del Tridentino di via Università, a servire ai pontificali del presule e alle altre solenni funzioni capitolari.
E chi negli anni ne segue la vicenda sacerdotale - ora parroco ora cappellano militare o assistente ecclesiastico di sodalizi di spiritualità e sociali, per lungo tempo anche predicatore, in quanto missionario eusebiano, chiamato in ogni dove per quaresimali e per tridui, settenari, novene o tredicine, ma più ancora per panegirici patronali, ritrova in lui lo stigma, perfetto ed efficiente, quale che sia la sua stagione di vita e il campo specifico di apostolato, mariano.
Ma la devozione tenera e sentimentale a Maria di Nazareth è da lui ovviamente intesa, sempre, nella più corretta delle accezioni teologiche: Maria è via a Cristo alfa e omega, a Cristo redentore unico e universale, a Cristo che è il modello e anzi la fonte non fungibile di senso d'ogni esistenza. Il centro della vita spirituale della comunità è e resta il Crocifisso che risorge, il dono massimo e perfetto del Cielo alla Terra. Di qui l'adorazione eucaristica come prassi della vita parrocchiale, a cui chiama il popolo tutto della sua giurisdizione canonica, ma anche quelle rappresentanze delle famiglie religiose che nel particolare comune o nel quartiere della città hanno le loro case conventuali.
Nel novero hanno un posto speciale, forse, le vincenziane Figlie della carità, le suore ancora cappellone del preConcilio e del velo contadino nel postConcilio: le suore dell'Asilo della Marina in Cagliari, quelle di suor Giuseppina Nicoli - che don Sini non ha potuto conoscere (perché morì il 31 dicembre 1924, e il giovanissimo seminarista forse non fu ammesso con i suoi colleghi ai lunghi cortei fino al Monumentale: o almeno, le fonti consultate non consegnano questo dato) e suor Teresa Tambelli, deceduta proprio nel mezzo del fruttuoso parrocato di Sant'Eulalia (il 23 febbraio 1964), e i cui funerali sarà egli a celebrare con enorme partecipazione di popolo.
L'eucarestia si pone dunque nell'area forte del sacerdozio di don Sini e il marianesimo ne è come la guida motivazionale e insieme modale: il perché ed il come. L'adorazione eucaristica - con la pratica mai disattesa delle Quarant'ore - e la benedizione eucaristica alle funzioni serali, sia quando ancora non è prevista la messa vespertina sia quando essa viene introdotta nella giornata liturgica, costituiscono un'occasione spiritualmente decisiva in cui l'interiore compromissione del sacerdote celebrante si fa palpabile per tutti e tutti combina nella stessa preghiera.
E d'altra parte anche il rapporto cordialissimo con la Congregazione del SS. Sacramento nella Marina, al tempo presieduto dal dottor Aurelio Espis - per lunghi anni segretario generale del Comune di Cagliari - è pure esso segno della centralità riconosciuta al culto eucaristico, a quell'Ostia in cui risiede la signoria della Chiesa ed il crocevia delle mutue relazioni di chi ha scelto per sé la sequela.
Una vita fra gli scenari della storia e quelli della Chiesa
L'arco della sua vita teso lungo 85 anni si apre anche alle molte stagioni ecclesiali, non soltanto civili e sociali, che molto influiscono, inevitabilmente e con dinamismi loro propri, sulla sua personalità: così nella fase formativa come in quella ministeriale.
Con il battesimo egli entra nella comunità cristiana ora sono già alcuni anni sotto il pontificato di Pio X - il grande pontefice che rappacificherà la Chiesa alla Patria, ma dai cui moniti antimodernisti trarranno linfa da Torquemada i furiosi soldati dell'ortodossia, facendo molte vittime innocenti e diffondendo discredito o consigliando diffidenza anche verso santi sacerdoti; quando la comunità diocesana cagliaritana è ancora raccolta attorno al bacolo e alla mitria del ligure (ma proveniente dal Piemonte) monsignor Pietro Balestra: uomo di grande dottrina ed apertura sociale, ma pure legato a schemi guelfi che gli impediranno talvolta un sereno ed equanime accostamento a vicende e protagonisti della sua Chiesa locale. Quelli che con il mondo cercano il dialogo non lo scontro e, mai e poi mai, si sognano di montare in cattedra a declinare gli assoluti se non quelli propri della carità del Vangelo. Si pensi allo sfortunato epilogo dell'esperienza de "il Lavoratore", periodico della democrazia cristiana cagliaritana del 1905 fondato da don Virgilio Angioni.
Quando compie i primi studi nelle scuole dello Stato e adempie, bambino, ai doveri catechistici nell'antica parrocchiale mandarese finalmente riaperta al culto, lo scenario è cambiato: nel 1913, infatti, ha raggiunto Cagliari, per ricevere il pastorale dell'arcivescovo conventuale, monsignor Francesco Rossi, ligure di nascita ed umbro di esperienze, mentre dal 1914 papa Sarto ha ceduto il suo ingrato triregno a Giacomo Della Chiesa, Benedetto XV, il papa che denuncerà l' "inutile strage" della grande guerra.
Gli anni dell'infanzia di Ezio Sini, dai sei ai dieci anni circa, sono segnati dai riverberi che in paese si registrano delle vicende di sconquasso umano - eppur direi, di necessità patriottica per l'Italia -, che han teatro nei carnai delle province nord-orientali dell'Italia. Saranno una quarantina i mandaresi vittime del conflitto.
Quando entra in seminario, nel 1920, è da qualche giorno soltanto arcivescovo di Cagliari l'oblato di Rho, il lombardo Ernesto Maria Piovella. In Sardegna dal 1907, è stato per sette anni vescovo-missionario ad Alghero (e zone del Nuorese) e per quasi altrettanti metropolita ad Oristano. A Cagliari ha assunto la sua cattedra la sera del 29 agosto, dopo due giorni di ritiro nel convento di Bonaria. Novità anche in altre due sedi vescovili isolane: ad Oristano arriva monsignor Giorgio Del Rio, ad Iglesias monsignor Saturnino Peri, due sardi che ottengono... l'avvicinamento dalle cattedrali continentali in cui erano stati mandati. Ai primi di marzo del 1922 - quando il giovanissimo Ezio Sini è ancora studente ginnasiale - un altro mutamento di scena si compie nella sede apostolica: Achille Ratti, dotto cardinale di Milano e già prefetto della Biblioteca Vaticana, sale al soglio di Pietro con il nome di Pio XI.
La scena di Cagliari e quella di Roma qui si stabilizzano. Perché l'episcopato di monsignor Piovella e il pontificato di papa Ratti si distendono il primo lungo quasi tre decenni e il secondo per oltre tre lustri fondamentali in un mondo massacrato dalle ideologie e dai sistemi di potere, e politico e militare, in perfetta antitesi alle tavole valoriali cristiane: il fascismo di Mussolini in casa, il nazismo di Hitler ed il comunismo di Stalin sul maggior teatro europeo e non soltanto europeo. Anche se bisognerebbe aggiungere qualcosa delle contemperanze che si troveranno, nella ricezione clericale nazionale e nelle cose diocesane di Cagliari - e perciò anche nel sacerdozio di don Sini -, con gli input della dittatura fascista. (E colpisce e fa male, a chi pur con qualche distacco si accinga alla scorsa delle carte del tempo, leggere e rileggere le prove provate di una consuetudine che non può comunque, fatta salva la buona fede delle coscienze, giustificare e portare onore. Ancora nel 1938, nell'occasione del ventennale della vittoria nell' "inutile strage", e mentre il regime fascista dà la stura alla legislazione antiebraica, la prima pagina de "La Sardegna Cattolica" motteggia: «Avvolta in una luce di gloria immortale, giunge questa fatidica data che fa palpitare di nobile fierezza il cuore ardente della Patria... L'Italia è oggi una potenza, una realtà che s'impone nel mondo intranquillo in cerca d'una pace duratura che il nostro Capo seppe salvare in un'ora carica di eventi tragici. Arricchita d'un impero, la sua riforma sociale interna fa parlare il mondo che ne segue, trepidante, ammirato, gl'imperiali destini...»: cf. LSC, 5 novembre 1938).
Sotto I’episcopato di monsignor Piovella e il pontificato di papa Ratti, don Sini compie i suoi studi fino all'ordinazione e, giovane prete, svolge il suo ministero, dapprima come cappellano castrense (probabilmente però con modalità svincolate dalle logiche concordatarie, tanto che nel suo foglio matricolare non compare traccia di quel servizio), quindi come parroco di San Biagio in Dolianova. Nel mezzo di quel settennio trascorso in Parteolla ed attraversante le stagioni ultime del cosiddetto "consenso" popolare al fascismo e le ultime di quelle tragiche della guerra in alleanza con i burgundi pagani, avviene il passaggio da Pio XI a Pio XII. Cosicché nel 1942, quando lascia Dolianova e raggiunge San Bartolomeo in Cagliari per un parrocato sui generis perché abbinato ai prevalenti servizi nell'esercito - anche nell'anno di sfollamento -, don Sini ha i suoi riferimenti ecclesiali, in diocesi ancora nell'anziano presule che l'ha ordinato prete e nella dimensione propriamente universale (cattolica) in papa Pacelli.
La guerra è finita da pochi anni e in diocesi si è stabilito il decisionista monsignor Paolo Botto, del clero ligure, eletto metropolita di Cagliari da Pio XII il 1° agosto 1949, quando l'ex parroco di Sicci e San Bartolomeo e l'ex cappellano militare deve nuovamente fare le valigie e raggiungere una nuova comunità: di nuovo in provincia, stavolta a Sanluri. È il 1950 ed egli spenderà molte energie non soltanto nella cura animarum ma anche nella difesa democristiana dagli "assalti" polemici dei rossi: così nei contraddittori pubblici come in diverse circostanze della quotidianità assurte a "fatti di cronaca".
Tre anni dopo - e le onde del doppio e distinto diapason clericale ed ecclesiale sono ancora quelli di monsignor Botto e Pio XII - torna a Cagliari: destinazione Sant'Eulalia nella Marina. Un amore autentico, sul piano pastorale, come invero amore autentico e generosamente rispondente è stato ogni altro avvertito ed alimentato verso le comunità assegnate al suo carisma sacerdotale dall'ordinario diocesano.
Anche la quasi totalità del suo nuovo ministero si svolge sotto l'episcopato di monsignor Botto che, per la durata (venti anni giusti) oltreché per le qualità operative e di organizzazione dell'uomo, marcherà la grande trasformazione degli assetti della Chiesa cagliaritana. Pur se ancora essi resteranno gravati da un devozionismo incapace degli azzardi imposti, non suggeriti, dal Vangelo e riproposti dal nuovo papato giovanneo e poi da quello paolino, nella stagione conciliare, fra preparazione (e prima ancora ispirazione), svolgimento ed elaborazione attuativa e riflessiva.
Don Sini - accreditato nel presbiterio diocesano per la sua personalità versatile, per il saper fare, di contro, riservato secondo il consiglio evangelico, distinguendo situazione da situazione - vive la dimensione tutto sommato moderata della Chiesa italiana e sarda. Ma difende ogni causa che in coscienza ritiene meritevole di difesa. Con passione, con sincerità, con coraggio.
È canonico capitolare (nominato dal veneto cardinale Sebastiano Baggio) già da alcuni anni, in una quiescenza che peraltro è tale soltanto nell'apparenza e per l'anagrafe, quando già sulla grande scena del mondo si staglierà la gigantesca figura di papa Giovanni Paolo Il. Nell'archidiocesi è un sacerdote non soltanto amato dai confratelli, ma ascoltato dall'arcivescovo: ora monsignor Bonfiglioli, ora monsignor Canestri, ora monsignor Alberti. La scena isolana e dell'archidiocesi non può prescindere dalle novità via via affermatesi su quelle maggiori, nazionale e mondiale, dove le trasformazioni sono gigantesche.
Ad esse si conforma, e sempre più - in una fuga virtuale - si sarebbe conformato, don Sini, uomo e prete del suo tempo ma non chiuso al nuovo né della teologia né, tantomeno, della ecclesiologia. Certo, nella sua pastorale catechistica, nella sua pedagogia spirituale ed ecclesiale - tanto più negli anni lontani dei primi parrocati - non c'è, al centro di tutto, la Bibbia, vissuta dai sacerdoti come cosa interna al recinto clericale. E per lo stesso clero le riduzioni del Breviario hanno la meglio sullo studio permanente delle Scrittura, e le istruzioni della gerarchia appagano più di un qualsiasi sforzo ecumenico. C'è, per i sacerdoti e più ancora per la massa dei fedeli, piuttosto la devozione delle figure superiori, l'imitazione eroica dei santi, il piccolo passo sul terreno noto piuttosto che l'inoltro lungo una prospettiva, per non dire la profezia scomoda, ma l'adempimento è comunque pieno, sincero, meritorio, valido, efficace.
Quando muore, tace il giornaletto autoreferenziale della diocesi e anche l'altra stampa non registra l'avvenimento, soltanto il suo amico (e confratello capitolare) don Ottavio Cauli lo ricorda con un epitaffio sia sul "Notiziario Diocesano" di don Gianfranco Zuncheddu (n. 4 del 1993) che sul "Bollettino Ecclesiastico della Sardegna" (n. 3 del 1993) diretto da don Tonino Cabizzosu. Così scrive: «Due sono state le principali caratteristiche del servizio apostolico di Mons. Sini: l'evangelizzazione e il decoro del culto divino. Era un predicatore instancabile: nelle sagre paesane la sua voce, tante volte nel sonoro dialetto campidanese che dominava da vero maestro, era protagonista incontrastato e nemmeno le volte maestose della nostra cattedrale lo intimidivano. Né gli facevano assumere toni diversi: la sua fornitissima libreria testimonia il suo amore alla cultura sacra e profana. Tutte le Chiese che ha governato sono state da lui arricchite di paramenti e di arredi sacri pregevoli.
«Ricorderemo tutti le sue grandi doti di educazione e di umanità: si scappellava anche davanti ai povero che gli chiedeva l'elemosina».
«Quando verso gli 83 anni cominciò ad accusare i primi sintomi del morbo di Alzheimer ne soffrì molto: ma si rimise con piena fiducia al Signore che molto gli aveva dato».
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