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Gianfranco Murtas

Ermenegildo Atzori e Franco d’Aspro, l’arte religiosa nella Sardegna universale. Stazione S. Eulalia

di Gianfranco Murtas

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Viaggio nella spiritualità dell’arte contemporanea: questo il titolo, rapido e diretto, che il museo storico di Sant’Eulalia ha voluto dare alla mostra che s’inaugurerà il prossimo sabato 29 giugno per valorizzare un contributo sardo al sempre fascinoso tema della trascendenza calata nei codici creativi (o rielaborativi) dell’umano.

Una locandina diffusa dal museo stesso, diretto da Susanna Puddu e poggiato su un pugno di valentissimi volontari che, variamente specializzati, con lei collaborano, illustra la originalità dell’iniziativa che porta sorprendenti contenuti di alto livello e chiave moderna in quell’area archeologica così centrale in città e ormai di rinomanza nazionale, frequente tappa anche di visitatori stranieri che sbarcano ogni giorno al porto del capoluogo per un giro di pur rapida esplorazione di Cagliari e dei suoi gioielli ambientali e d’arte.

Il sistema museale di Sant’Eulalia – varrà bene ricordarlo – comprende anche lo spazio (tuttora luogo di scavo e di studio) di Santa Lucia, nella via Sardegna, la chiesa “doppia” (per il suo meraviglioso cappellone) del Santo Sepolcro, ricca oltretutto di una importante cripta, ed il museo del Tesoro della parrocchiale che, benemerito, ha attinto sia dalle dotazioni d’arte di quest’ultima che da quanto è stato possibile recuperare dalle altre chiese filiali, non più officiate, alla Marina.

Fanno capo diretto o indiretto al sistema museale anche gli archivi storici, e preziosissimi, sia della parrocchia che di alcune arciconfraternite che hanno avuto, e non hanno più, la loro presenza nel quartiere (quelle del Crocifisso e della Santissima Trinità: e speriamo presto anche, integri, quelli della Congregazione del SS. Sacramento che sarebbe opportuno fossero conferiti allo stesso polo documentario, così anche marcando che più che all’Ossigeno – dove operano le società sportive che fruiscono dei campi attrezzati – è in Sant’Eulalia che devono rimanere “prigionieri” cuore e mente, e gioielli storici, del sodalizio).

È ben noto che tanto l’area archeologica, più che bimillenaria nella sua parte più antica ma poi sede di stratificazioni medievali (aragonesi) e spagnole (si pensi al carnaio sottostante la chiesa più volte “riedificata”), quanto il museo del Tesoro, ordinata raccolta di molte preziosità d’arte, si devono ad un ingegnoso progetto di don Mario Cugusi rimontante ormai ad oltre un quarto di secolo, e che l’attuale parroco alla guida della storica ex collegiata, don Marco Lai, ha custodito ed arricchito, negli ultimi tre lustri, come “location” rappresentativa delle possibilità di dialogo fra la città antica, quella delle pietre, e quella moderna dei visitatori.


La mostra

« A partire dai temi dell’uomo che vive lo spazio e del viaggio come ricerca di verità, - si legge nella bellissima locandina illustrativa diffusa in questi giorni – le opere dei due artisti Ermenegildo Atzori (1969) e Franco d’Aspro (1911-1995) dialogano tra loro attorno all’immagine del Crocifisso, con differenti tecniche e materiali, mettendo in luce diverse spiritualità. L’esposizione si sviluppa lungo le vie principali dell’area archeologica, in connessione diretta con la chiesa soprastante. Le opere sono dislocate nei punti più significativi del sito, la porticus, la cripta, la strada romana, il quartiere residenziale tardo-antico e il pozzo, dialogando con la storia del luogo e accompagnando il visitatore in un percorso di ricerca introspettiva».

Sono chiamati a presentare le opere esposte personalità di rilevante competenza scientifica che sarà un piacere ascoltare, da Fabrizio Tola a Chiara De Giorgi a Valerio Deidda (quest’ultimo direttore del museo d’arte di Sinnai che ha, nel suo miglior patrimonio, una imponente raccolta delle sculture di Franco d’Aspro). Un breve reportage fotografico dal titolo “Jesus Alone” sarà proiettato, prima della formale inaugurazione, a cura di Barbara Pau.

Tutto torna e pare definire un evento che rimarrà fra le migliori iniziative culturali della capitale sarda negli ultimi anni. D’altra parte le opere presentate parlano da sole e vengono anche a dare testimonianza dei loro autori che pur sono tanto diversi per storia personale ed artistica. Ermenegildo Atzori, capoterrese, viene dagli studi d’arte ed umanistici svolti fra liceo ed università negli stessi anni in cui d’Aspro s’avviava a concludere la sua carriera con una memorabile mostra ricapitolativa del suo meglio in Sinnai ed una bellissima monografia prefata da Vittorio Sgarbi.

Grafico e fumettista, allievo di Bepi Vigna, Atzori conta ormai al suo attivo un ventennio di esposizioni in personali o in collettive (così a Cagliari – soprattutto a Cagliari – come pure a Milano, a Londra addirittura ed a San Gallo in Svizzera, ma anche in vari centri della sua Sardegna: Torre Grande, Sinnai, Solarussa, Ittiri, ecc.) che hanno riscosso tutte un notevole successo, tanto di pubblico quanto di critica, per la felice riuscita delle sue sperimentazioni materiche e gli azzardi formali o le invenzioni più surreali.




Da parte sua, l’altro protagonista della mostra – Franco d’Aspro – è rimasto nella memoria sarda come un maestro in assoluto tanto più per le sue fusioni di bronzi che vantano larghe presenze nell’Isola e sul continente ed anche in America. Venuto a Cagliari per una personale nel 1938, dalla Sardegna – proprio come fece Gigi Riva il campionissimo che abbiamo appena dolorosamente perduto – non volle più distaccarsi, qui vivendo fra Villamassargia, Elmas e Cagliari, dove fu anche professore di figura modellata al liceo artistico di via Sant’Eulalia (così negli anni fra ’50 e ’60). Impressionante, per quantità e non soltanto per livello artistico, la sua produzione, e in essa un rilievo speciale certamente occupano i soggetti religiosi ed i crocifissi. ( È forse nota ma monografia curata da Bruno Rombi nel 1963: I crocifissi di Franco d’Aspro, edita da Fossataro).


A dir di crocifissi e quel “torturato Iddio”

A ripensare a quanto il Cristo crocifisso sia stato presente, oltre che nell’arte, anche nella letteratura sarda, e in lingua e in limba, e senza voler qui scomodare altri e maggiori autori, ho piacere di includere, in questa breve nota di anticipazione della prossima mostra di Sant’Eulalia, alcuni versi che ci lasciò Giuseppe Fara Musio – un avvocato di grande famiglia vissuto a Cagliari a cavallo fra Otto e Novecento e che in gioventù fu perfino corrispondente di Alessandro Manzoni. Per lunghi anni esponente della più avanzata democrazia mazziniana, egli firmò numerosi lavori letterari che meriterebbero uno studio nuovo e approfondito.

Pubblicati nel 1924, i versi di Fara (riuniti in 21 terzine e 20 quartine) descrivono, con accenti insistentemente commossi, il turbamento d’un uomo colto ed agiato, e certo anche onesto, agnostico in quanto a fede, che s’incontra con una povera vedova madre di creature alla fame, la quale in cambio d’una elemosina gli dona un piccolo crocifisso.




Di questi versi ebbi a discutere con Franco d’Aspro, negli anni del nostro sodalizio civile che fu tutto speso attorno al… focolare delle intese fra umanità e religione.

Ecco, riletti oggi anche in sua memoria, i versi di Giuseppe Fara Musio:


Gli occhi mi volse in atto di preghiera,

Già prima di parlare; e la ritrosa

Parola del suo labbro indizio m'era


D'anima vereconda e dolorosa,

Che trovare non sa cortesi inganni,

Ed il vero svelar tutto non osa.


Parlando, ella arrossiva. I vari affanni

Della sua vita in breve mi narrava,

Ché noti son del povero i malanni;


E, sciolto un fardelletto che recava,

Ne trasse un crocifisso, e me lo diede,

Mentre sul ciglio il pianto le brillava.


Povera donna! della mesta fede

Il segno m'offre, e poco rame implora,

Ch'ella altra cosa al mondo non possiede.


Il crocifisso io presi, e vidi allora

Che in avorio con arte era scolpito

L'uomo costretto nella gelid'ora.


Come presto la donna ebbe capito

La maraviglia nel mio sguardo intento

Al Cristo non volgare e ben finito,


Quasi sentisse d'un orgoglio spento

Risorgere la fiamma entro il suo petto,

Rizzò il capo dimesso, e in grave accento:


— Lo scolpì mio marito. Il poveretto

Cercava il bello con trepido amore,

Ed un sogno di gloria avea concetto.


La povertà non gli fiaccava il cuore;

E se non era il suo morir precoce,

Raggiunto avrebbe il sospirato onore —


In questo dire le tremò la voce,

E nell'occhio, che già splendeva altero,

L'ombra del duolo ripassò veloce.


La pietà, che governa il mio pensiero,

A quella voce tremula, piangente

Le speranze abbattute in cimitero,


Tutto mi vinse; e mi parea fulgente

Di lacrime, in mia mano, il picciol Cristo,

Fiore d'arte d'un'anima dolente.


— No, sventurata, il prezioso e tristo

Ricordo del tuo morto io non lo voglio;

Ne avrei rimorso qual d'infame acquisto.


lo, quel soccorso, che negar non soglio,

Ti do qual posso; e ti soccorra Iddio

Nella mestizia del tuo santo orgoglio. —


Così fra me pensava. E poi che al mio

Tacer la donna sospettò un rifiuto,

Ripreso il crocifisso, in atto pio


Di rassegnata, m'accennò un saluto;

Ma il mio pronto donar la fece accorta

Che spesso il labbro nell'affetto è muto.


Mi ringraziò commossa. La risorta

Gioia d'un pane, che credea negato,

Le balenava nella guancia smorta;


E qual di giovinezza rinnovato

Era il volto soave, in quel momento,

Il volto dal soffrir così sciupato.


Onde più fiero a me d'ogni lamento

Quel gioir che la fame mi dicea;

E d'umiltà fui pieno e di sgomento,


Mentr' ella la mia man forte stringea.

Mi ringraziò commossa, e via di volo,

Ai figliuoli aspettanti. Oh, qual parea


Fioco arrivarmi di bambini un duolo!


II

Fra le carte ed i libri ella nascose

Sul mio tavolo il Cristo, e me n'accorsi

Ch'era in fondo alle scale; e non rispose

Sebbene in fretta a richiamarla io corsi.


Quand' ella tornerà, suole tornare

Il povero sovente all' uscio amico,

Il crocifisso le potrò ridare

Gemito e raggio d'un amor pudico.


Che mi giova l'aver questo frammento,

0 sconosciuta, del tuo cuore infranto?

Ripensar che mi giova al tuo lamento,

Al tuo caro disfatto in camposanto?


Non lo voglio il tuo Cristo. In un cassetto

L'effigiato martire deposi;

Ma del trafitto l'angoscioso aspetto

Pur si mostrava agli occhi miei pensosi.


È vero nel morire. Il vigoroso

Petto s' affanna all' ultima agonia;

Guizza sul legno il corpo doloroso;

Velato è il ciglio di profonda ombria.


Che è che cerca cogli occhi annebbiati?

Il di fuggente in un tramonto eterno?

Scerner forse vorrebbe i volti amati,

I fidati compagni al re da scherno?



Del moribondo nello sguardo brilla

L' universo dolore al suo conserto;

E in trionfo di gloria, ecco, scintilla

Sul biondo capo del dileggio il serto.


III

Qual di luce immortal trasfigurato,

Il martire risorge al mio pensiero,

E l'occhio che la morte ha contemplato

Arde soave e fiero.


Spicciano sangue le sue piaghe ancora,

È impresso ancora di mestizia il viso,

Ma la terra ed il ciel senton l'aurora

Blanda del suo sorriso.


Forte, sicuro, fra le turbe avanza,

E con la mano luminosa e pura,

Ogni lagrima terge, e di speranza

Allegra la sventura.


Dolce e possente la sua voce, e dice:

— Perché, fratelli, mi chiamate Iddio?

Io conobbi dell'uom l'ora infelice;

Fratelli, uomo son io.


Non di mistiche fole io v'esaltai,

Se vi schiusi l'entrar del cielo eterno;

Né la legge d'amor che rivelai

Vuole il mondo un inferno.


Siate buoni, fratelli, il mondo è a tutti:

La cupidigia sterilisce il petto;

Abbia ciascuno della zolla i frutti,

Abbia ciascun suo tetto.


Spezzate il pan, com'io, mescete il vino;

L'arso piede di Lazzaro spargete

Di balsamici unguenti; è il suo festino:

Con me redenti siete.


IV

Nenie sacerdotali, altare e incenso

Picciol Cristo d'avorio ignoti a te,

Che t'offeristi in mistico consenso

D'umile artista alla veggente fe’.


Egli coglieva, in trepido desio,

Il fior dell'arte nella tua virtù,

E, figurando il torturato Iddio,

L'anelito dell'uom sentiva più.


Fremere, al tocco di sua man, vedea

Viva carne l'avorio, e spasimar;

E in quella carne l'alito mettea

Che dal sepolcro la faccia balzar.


E tu, che il fumo dell'incenso ignori,

E d'un estro gentil sai la pietà,

Tu il cuor mi tenti di pietosi errori,

Risorgente all'amore o Deità.


Ahimè! l'inganno che il pensier m'accende,

È roseo lume facile a mancar:

E l'occhio di Gesù più non risplende

Il sorriso d'amor rivelar.


Sulla croce che l'arte ha benedetto

In brivido di morte il nume sta...

Vedo pallide madri, in mesto aspetto,

Pane imploranti all'innocente età…


Gotico in Exeter, tumblers & minstrels

Di lato alla poesia, e all’arte, ecco l’architettura. Sicché, pensando alle antichità architettoniche di piena espressione ecclesiale, e proprio traendone spunto dalle meraviglie di Sant’Eulalia nella nostra città, mi sento ora spinto ad una confidenza nuova e finale…




Sono reduce da una non programmata “visionaria missione” nella cattedrale inglese di Exeter, ieri cattolica oggi anglicana, la quale ha potuto offrire ai suoi visitatori, lungo mille anni, quelle magie emotive, da declinarsi in preghiera pura, quali forse soltanto un monumento di rimandi millenari può suscitare: perché esso sa suscitare nella mente d’improvviso, come un soffio di verità, il sentimento del relativo, del tempo che dialoga con l’eterno, di noi umani faccia a faccia con Domineddio ineffabile, tremendo ed amico, tutto amico e alleato. Tanto più quel miracolo accade quando il sentimento è sostenuto, parlando al cuore e alla intelligenza degli umani, dalle rappresentazioni di complessità leggendarie che sanno di fine narrazione teologica… Allora il monumento si rivela appieno e, spiegandosi, arricchisce l’animo del visitatore. Lo dico per Exeter, ma potrei dirlo anche della nostra basilica di San Saturnino, o della chiesa di San Pietro dei pescatori alle porte di Sant’Igia giudicale e di quanti altri complessi chiesastici sparsi per l’Isola nostra, da Uta a Porto Torres...

Quella primaziale gotica intitolata al capo degli apostoli s’alza, ammirevole, nel sud britannico ad una distanza da Londra come Sassari – altra capitale nostra – da Cagliari. Rimonta, in quanto all’avvio del cantiere da parte di competentissime maestranze (liberomuratorie?) francesi, al 1050 e si denota, oltreché per il fastoso prospetto, per il solenne colonnato arricchitosi, qualcosa come settecento anni fa, di una sfilza di colorati capitelli di raro splendore, così producendo e sempre offrendo nel tempo, anche in questo nostro tempo spettacolarmente secolarizzato, le migliori suggestioni spirituali che sono, lo ripeto, preghiera di un’umanità purificata.

Proprio un artista sardo e cagliaritano che per mestiere si occupa, da scienziato neurobiologo, dei nostri mondi cerebrali e gode d’esplorare nell’umano le dimensioni più riposte o segrete – Fabrizio Sitzia –, ha lavorato per un anno intero alla riproduzione su pietra, e pressoché nelle corpose misure originali, del primo dei capitelli… of tumblers & minstrels, giusto dirimpettaio di quello dedicato alla Vergine Maria in Saint Peter di Exeter, ricavandone anche un libro testo-fotografico d’impressionante fascino che varrà la pena, per limpido diletto (e utile istruzione), presto conoscere a Cagliari.

Perché, va detto, questa singolare coincidenza temporale rivelatrice d’un gemellaggio ideale fra la produzione di un tale libro d’arte e l’iniziativa convegnistica che accompagna l’inaugurazione della mostra nell’area archeologica di Sant’Eulalia, e, nella sostanza, l’associazione tematica che vien facile scorgere fra i remoti cantieri di costruzione della cattedrale inglese e quelli preparatori del sito religioso destinato ad albergare la prestigiosa collegiata aragonese-spagnola cagliaritana intitolata alla martire barcellonese, paiono a me facce autonome ma fra loro integrantesi di una medesima medaglia tutta d’oro.

Ammiriamo oggi le opere di Ermenegildo Atzori e del maestro Franco d’Aspro, riporteremo in Sant’Eulalia un’affezione mai dismessa per le sue mille virtù sociali, ammireremo presto, speriamo, il genio realizzatore di Fabrizio Sitzia cagliaritano in un sapiente abbraccio ecumenico fra la Sardegna e la grande isola britannica.


Fonte: Gianfranco Murtas
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Giornalia

24 Giu 2024

PROGRAMMA INAUGURAZIONE: Sabato 29 giugno / Teatro Sant'Eulalia - 18.00 Saluti don Marco Lai, parroco di Sant Eulalia - 18.10 Conoscere il divino attraverso l'arte, intervento di Fabrizio Tola - 18.30 Proiezione reportage fotografico Jesus Alone, progetto di Barbara Pau - 18.40 Conversazione di Ermenegildo Atzori con gli storici dell'arte Chiara De Giorgi e Valerio Deidda - 19.30 Inaugurazione mostra nell'area archeologica - 20.30 Il sapore incontra l'arte: degustazione a cura di Terre Ritrovate


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