Fuori dalle gare elettorali, soltanto con le idealità civili e politiche di una vita intera
Per una società aperta e inclusiva, per l’Italia repubblicana, per l’Europa federale
L’Edera che innumerevoli volte è comparsa nelle competizioni elettorali, politiche ed amministrative, svoltesi nei lunghi decenni della cosiddetta prima Repubblica ed anche successivamente, nel nuovo contesto del maggioritario, indica il sogno mazziniano della unità europea: essa fu il simbolo della Giovine Europa che nel 1834 s’impose a Berna come il patto associativo fra gli uomini della Giovine Italia, della Giovine Germania e della Giovine Polonia.
A ripensarla oggi, in tempo di incolti e rozzi sovranismi – tutti intimamente qualunquisti e reazionari quali sono quelli della Lega e di Cinque Stelle –, ben se ne potrebbe cogliere l’intera portata profetica.
Al tempo della restaurazione postnapoleonica, quando si iniziava a lottare, oltreché per le costituzioni – primo obiettivo –, anche per i principi di nazionalità e, ad esso strettamente connesso, di democrazia, la Giovine Europa di ispirazione mazziniana anticipava e preparava la testimonianza politica, infinite volte pagata con il sacrificio perfino della vita, di quei tanti che si sarebbero battuti per l’unità territoriale delle varie patrie del continente.
Al 1849 rimonta, in Italia, l’esperienza gloriosa e tragica della Repubblica Romana, la cui costituzione riconobbe il suffragio universale e sancì l’abolizione della pena di morte e di confisca.
Nel risorgimento il nome di Giuseppe Garibaldi riassunse i mille o diecimila altri nomi di chi sacrificò tutto per l’Italia una e democratica, rispettosa delle autonomie territoriali – ora regionali secondo il Cattaneo ora comunali secondo il Mazzini – nel vincolo superiore dell’unità politica.
Combatterono i figli e i nipoti, nella successione delle generazioni, e sempre da posizioni di minoranza – perfino di minoranza estrema, in tempi di monarchia autoritaria – nelle stagioni crispine e giolittiane, combatterono sui fronti di guerra per il riscatto nazionale dell’irredenza trentina e triestina, combatterono contro il fascismo quando esso comparve con le sue squadre violente e assassine e quando divenne regime di dittatura, guerrafondaio e imperialista.
L’Edera accompagnata dalla Vanga del lavoro agricolo segnalava l’impegno insieme politico e sociale dei repubblicani le cui sedi, anche in Sardegna, subirono assalti e devastazioni.
Offrirono, i repubblicani, la loro testimonianza nella carcerazione, e così nell’esilio e ancora nel rischio delle armi contro il falangismo di Francisco Franco in Spagna e, sempre per la causa della libertà, anche altrove, perfino nel Venezuela, in cui cadde trentenne il cagliaritano Silvio Mastio.
Mazziniano fu Nazario Sauro nella grande guerra, mazziniano fu Francesco Fausto Nitti tra i fondatori di Giustizia e Libertà, mazziniano fu Nello Rosselli abbattuto dai fascisti in Francia al tempo della guerra civile spagnola. Nomi anch’essi che riassumono, sul fronte del mazzinianesimo italiano impegnato sul grande scenario della storia continentale, la purezza e nobiltà di una tavola di valori che ancora nel secondo dopoguerra avrebbe trovato le sue conferme.
La faticosa partecipazione alla battaglia referendaria del 1946, il contributo propositivo al confronto democratico e l’assunzione di responsabilità parlamentari e governative dal 1948 in poi, con uomini di assoluto prestigio come Giovanni Conti, Randolfo Pacciardi, Ugo La Malfa e numerosi altri valgono a riportare la memoria all’indiscusso radicamento repubblicano nell’area progressista e riformatrice, intimamente antifascista e laica.
Il partito politico dell’Edera, ancor più arricchito dalle esperienze ideali e politiche dell’azionismo che guardava alle grandi correnti avanzate del new deal americano e del laburismo inglese, e faceva suo il manifesto di Ventotene, riaffermando all’indomani della guerra continentale e mondiale il suo credo europeista, portava nel tempo nuovo il patrimonio ideale ereditato dal Risorgimento e fissando una continuità etico-civile fra la storia onorata dei padri e l’impegno presente dei figli.
In Sardegna il movimento dei combattenti costituitosi all’indomani della grande guerra, e mutatosi presto nelle forme del Partito Sardo d’Azione, con il PRI condivise il riferimento ideale all’Apostolo genovese e agli altri grandi della democrazia risorgimentale. Basti scorrere le annate della Voce dei combattenti e de Il Solco per rendersene conto.
L’opzione repubblicana fu inclusa nel programma di Macomer del 1920. E nel 1921 il repubblicano Agostino Senes fu inserito nella lista dei Quattro Mori per il rinnovo parlamentare. Nel 1924 Cesare Pintus intervistò Emilio Lussu per la prima pagina della Voce Repubblicana e Silvio Mastio condiresse con il sardista Raffaele Angius il quotidiano Sardegna.
Uomini dell’una e dell’altra corrente furono insieme vittime delle retate fasciste del 1930, e Michele Saba repubblicano finì nelle celle di Regina Coeli al pari di Anselmo Contu e di altri sardisti, e Cesare Pintus – ultimo segretario della sezione repubblicana prima della dittatura – fu detenuto (e mutilato) nel carcere di Civitavecchia assieme a Francesco Fancello, sardista e gielle.
I sardisti ed i repubblicani fraternizzarono ancora a sostegno delle candidature politiche ed amministrative lungo vent’anni ancora dopo la caduta del fascismo: così alle elezioni per la Costituente del 1946, così per il Senato nel 1948 (candidati comuni Luigi Oggiano e Armando Businco, entrambi di formazione repubblicana) e ancora nel 1953, alle regionali del 1949, del 1953, del 1957, del 1961, del 1965, alle amministrative del 1952, del 1956, del 1960, del 1964 (sempre con candidature condivise).
Ancora alle parlamentari del 1963 gli uomini del sardismo mazziniano e quelli del PRI parteciparono insieme in una lista dell’Edera che seppe eleggere deputato Giovanni Battista Melis, lo storico direttore regionale del PSd’A che in gioventù aveva condiviso con Ugo La Malfa, suo coetaneo, la detenzione per antifascismo nel carcere di San Vittore.
L’alleanza che era morale, ideale e culturale prima ancora che politica ed elettorale durò fino al 1968, quando, condizionata la leadership sardista da una certa spinta etnicocentrica e tendenzialmente separatista, essa si frantumò, consegnando nel prosieguo del tempo, anche per il passaggio generazionale, il Partito Sardo d’Azione al nazionalitarismo e all’indipendentismo, al bilinguismo perfetto, al neutralismo atlantico ecc. ed il PRI ancora alle dure responsabilità di coalizione nel centro-sinistra così nell’Isola come nello spazio nazionale.
Nell’atto della separazione determinata da incomponibili divergenze di sensibilità politica oltre che di obiettivi programmatici – e soltanto in parte assorbite, per virtù personale del presidente Mario Melis, negli anni 1984-89 – il senatore Pietro Mastino, che del sardismo era stato fra i fondatori e il più illustre dirigente, indirizzò alla militanza del PSd’A l’invito a continuare a votare ancora per l’Edera, espressione della sinistra nazionale, aclassista, riformatrice ed autonomista.
E’ noto che, allora – nel 1968 –, diversi esponenti sardisti, estranei alla linea etnicista, si erano candidati nella lista dell’Edera per essere poi espulsi dal PSd’A (fra gli altri Armando Corona) e indotti a costituire una libera formazione chiamata Movimento Sardista Autonomista. Tale Movimento confluì nel PRI nel 1971.
Costantemente, così come al tempo dell’alleanza continuativa con il PSd’A, il PRI sardo avrebbe continuato a radicare il proprio servizio alla politica nell’area della sinistra democratica, in coerenza assoluta con gli indirizzi nazionali ispirati da Ugo La Malfa e, successivamente, da Giovanni Spadolini e Bruno Visentini.
La cosiddetta seconda Repubblica, originata dalla legge elettorale maggioritaria, facendo entrare in campo una formazione all’apparenza nuova ma di fatto “riciclatrice” di elementi (non di culture politiche!) del vecchio pentapartito, tanto più delle componenti democristiana e socialista falcidiate da Tangentopoli, mise in crisi, nel tempo, anche i partiti di scuola risorgimentale, in specie liberale e repubblicana.
Se all’inizio furono casi sporadici quelli dei “transfughi” (anche sardi) dal PRI di Giovanni Spadolini e Bruno Visentini al partito di Forza Italia di Silvio Berlusconi, Cesare Previti e Marcello Dell’Utri (!), che ben ricordavano – in quanto alla salita sul carro del vincitore –, il passaggio di tanti sardisti al Partito Nazionale Fascista nel 1923, si registrò con il tempo, e con il cambio radicale della dirigenza, un obnubilamento dei valori guida del PRI (fattosi spettro di se stesso) e una virata demente verso il campo del centro-destra.
Carrozzate che, senza nulla conoscere o saper meditare della storia della democrazia repubblicana come era stata illustrata in saggi innumerevoli ed importanti da studiosi del valore di Leo Valiani, Alessandro Galante Garrone, Rosario Romeo, Giuseppe Galasso, ecc., chiamati da Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini a relazionare ai celebri convegni sulla sinistra laica fra repubblicanesimo ed azionismo, hanno smontato e rimontato senza criterio, senza cultura e idealità, senza senso politico, la missione del Partito Repubblicano Italiano in questo inizio di millennio: come sul continente esse hanno trovato miserabile teatro d’esibizione anche in Sardegna.
E nuovamente, da improvvisate candidate a un posto al sole comunque – oggi nella destra amministrativa, di fianco a postfascisti, a pagani berlusconiani, a leghisti, a sovranisti portatori d’ogni demagogia, domani chissà dove – esse (le carrozzate) si vanno presentando alle nuove scene elettorali, ora anche alle comunali di Cagliari.
Si ostenta l’Edera della Giovine Europa mazziniana (senza neppure conoscerne la matrice storica), si biascicano i nomi autorevoli di Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini come avi ideali, e senza decenza alcuna s’invoca lo sgabello nella commedia del voto per il prossimo Consiglio comunale.
Noi portiamo la nostra storia civile e politica, anche partitica, prima ancora di quella professionale, per testimoniare claris verbis che nessun supposto repubblicano in cerca di sgabelli fra liberali di destra, forzisti, nazionalitari, sovranisti e leghisti ex padani (quelli stessi un giorno dileggianti il tricolore della patria) è un repubblicano di coscienza, di storia personale e di idealità, ma lo è soltanto di patacca.
Noi siamo qui a testimoniare, in quanto repubblicani che hanno avuto la ventura di acquisire ed elaborare, nel loro vissuto pubblico, anche il lavoro politico del sardismo “italiano” di Pietro Mastino e Luigi Oggiano, quello stesso che fu per lunghi decenni di Giovanni Battista Melis, la radicata collocazione dell’Edera mazziniana nella parte progressista della società e della politica. Il partito in cui abbiamo avuto l’onore di militare nel servizio alla patria, alla democrazia e alla autonomia speciale della Sardegna mai potrebbe essere confuso con le aggregazioni della destra comunque profilate o abborracciate.
Noi non abbiamo oggi, e neppure cerchiamo, una soggettività politica da spendere nell’agone elettorale ma, come un tempo fecero gli Amici del “Mondo” di Mario Pannunzio, certamente confermiamo che l’area di riferimento ideale, culturale e politica della democrazia repubblicana resta, integralmente, quella del centro-sinistra.
Auspichiamo vivamente che all’interno di essa sorgano presto candidature all’altezza dei doveri in agenda verso la comunità civile e quella cagliaritana in particolare, in logica partecipativa e sempre con marcata sensibilità alla trasparenza nell’azione di governo territoriale.
Franco Cossu
Antonello Mascia
Annico Pau
Gianfranco Murtas
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