Giovanni Antonio Sanna, re mida fra miniere e banche, democratico fra Mazzini e giornali
di Gianfranco Murtas
Si è svolto a Sassari, lo scorso giovedì 23 gennaio, un bel convegno di studi sulla complessa e fascinosa figura di Giovanni Antonio Sanna che dell’Ottocento sardo, e non soltanto sardo, fu uno dei protagonisti eccellenti nell’economia e in svariati passaggi delle vicende politiche e parlamentari (in questo caso in seconda fila ma presente e attivo nelle interlocuzioni con i maggiori, da Mazzini a Garibaldi a Cattaneo…). Prima dell’unità e dopo l’unità.
Ora sono già dieci anni ne ha scritto una biografia ricapitolativa, rapida ma mai superficiale negli sviluppi, attenta al documento e fornita di belle tavole di orientamento riassuntivo nella saga familiare oltreché nella sequenza delle imprese politico-industriali, Paolo Fadda. Ne ha scritto, per l’editore Delfino di Sassari, pubblicando L’uomo di Montevecchio, con sottotitolo: La vita pubblica e privata di Giovanni Antonio Sanna il più importante industriale minerario dell’Ottocento (Sassari 1819 - Roma 1875). Primo volume di una serie assai apprezzabile sui capitani d’industria sardi (e nel novero anche Alberto Castoldi, genero del Sanna e suo continuatore per alcuni decenni, anch’egli sospeso fra miniere e parlamento, dalla parte dei cocchiani).
Bisogna poi dire che la sua bibliografia sta ormai diventando imponente, grazie anche, o fondamentalmente, alla grande quantità delle carte donate dalla famiglia Sanna per la pubblica fruizione, ma anche alle infinite piste offerte dal monumentale Diario politico di Giorgio Asproni, ove il nome di Giovanni Antonio Sanna ricorre, nell’arco d’un ventennio (dal 1855 al 1876, ché Asproni fu anche l’esecutore testamentario dell’amico e sodale politico) almeno quattrocento volte…
Ma i saggi finora usciti sulla complessa (e per certi aspetti ancora misteriosa) personalità del sassarese di tanto nome, sulle sue esperienze e le sue relazioni estere e nazionali, si contano ormai a decine a al convegno è stato, a tal proposito, gradevolmente illuminante lo storico Sandro Ruju a presentarne una rassegna e la specificità di ciascuno. Si veda anche – pur essendo essa stessa ormai datata – la bibliografia presentata da Walter Schoeneberger, in Dizionario Storico degli imprenditori in Sardegna, a cura di Cecilia Dau Novelli e Sandro Ruiu, Cagliari, AIPSA edizioni, 2015. Lo stesso saggio di Schoeneberger, bravissimo specialista di Giovanni Antonio Sanna, costituisce, pur nella sua relativa brevità, un eccellente originale contributo alla ricostruzione biografica dell’ “uomo di Montevecchio” finanziatore della Giovine Italia e di diverse azioni patriottiche nazionali.
Essendo prevista la pubblicazione degli atti mi risparmio di dar conto dei diversi interventi portati nelle due sedute moderate rispettivamente, e brillantemente, da Gian Giacomo Ortu e Antonello Mattone. Valgano adesso qui soltanto i titoli delle relazioni per richiamare l’ampiezza e direi anche l’intrico… cinematografico (ma era vita vera!) delle vicende che, fra finanza e miniere, banche e giornali, parlamento e collezioni d’arte, ma anche fra privato familiare e idealità alte e patriottiche, possono contribuire validamente, quando percorse tutte intere, a modellare – modellare e rimodellare, ché niente sembra mai definitivo – il profilo di un protagonista ricco, ricchissimo e sfortunato, umanamente distrutto dai suoi stessi successi, o azzardi, o calcoli (tanto più nel pilotaggio delle discendenze).
Eccoli i titoli delle relazioni: “Lo stato degli studi sul più importante imprenditore sardo dell’Ottocento”, di Sandro Ruju; “Giovanni Antonio Sanna e la Sinistra. Dal Piemonte subalpino all’Unità”, di Adriano Viarengo; “Giovanni Antonio Sanna deputato”, di Francesco Soddu; “Giovanni Antonio Sanna e i suoi corrispondenti”, di Assunta Trova; “Sanna, Asproni e Garibaldi per la modernizzazione della Sardegna”, di Giuseppe Zichi; “Lo sfruttamento delle miniere del Guspinese tra Settecento e Ottocento”, di Gian Paolo Atzei; “Alle origini della Società di Montevecchio: il ruolo di Giovanni Antonio Pischedda”, di Sandro Renato Garau; “I rapporti della nuova impresa con l’amministrazione comunale di Guspini”, di Tarcisio Agus; “Il Diritto, il giornale di opposizione a Cavour”, di Francesca Pau; “I giornali sardi di Giovanni Antonio Sanna”, di Federico Francioni; “Il collezionista d’arte”, di Maria Paola Dettori; “Giovanni Antonio Sanna e Sassari”, di Daniele Dettori.
Attendiamo gli atti, e senz’altro però importa dare subito pubblica lode all’iniziativa in sé così come alla generosa dedizione organizzativa di Antonello Mattone, Sandro Ruju e Salvatore Mura.
Per quanto mi riguarda, al momento posso soltanto… socializzare il mio contributo, presentato al termine della prima sessione dei lavori.
Sanna e la Massoneria
Sarà una relazione più di suggestioni che di diretti e precisi riferimenti fattuali questa mia dedicata alle relazioni fra Giovanni Antonio Sanna e la Massoneria. Perché andare oltre l’iniziazione liberomuratoria da lui ricevuta – venticinquenne – nel 1844 presso la loggia marsigliese di rito scozzese del circuito di Saint Jean – il battista santo protettore, o uno dei santi protettori, della Libera Muratoria di marca britannica e poi continentale, insieme con l’omonimo evangelista (il prologo del cui testo rimanda alla Luce “che le tenebre non hanno accolto”), insieme con San Tommaso, San Giorgio, Santa Barbara e ai Quatuor Coronati – sembrerebbe non portare a nessuna militanza disciplinata o regolare: come in terra francese, presto lasciata per rimpatriare e seguire da capitalista ed industriale l’impresa di Montevecchio, così in Italia dove una organizzazione massonica vera e propria ancora non esisteva – e ancora sarà così per tre lustri, fino al 1859, all’indomani cioè della seconda guerra d’indipendenza –, dopo la fiammata napoleonica d’inizio secolo e in attesa che si determinassero le condizioni perché a Torino sorgesse l’Ausonia e con lei poi il Grande Oriente Italiano. “Italiano”, valga l’aggettivo perché speso un anno e mezzo prima della proclamazione del Regno d’Italia come evoluzione del Regno di Sardegna.
Le suggestioni riflettono intanto la contemporaneità, o il nesso sociale e ideale fra la Sassari di quei decenni mediani del XIX secolo, da cui mosse verso la vita degli affari e anche della politica Giovanni Antonio Sanna, e la Sassari di oggi – anno ventesimo del ventunesimo secolo – come già del primo Novecento, e in questo stesso luogo del centro storico cittadino – piazza Tola: intanto perché i massoni sassaresi, riuniti per il più ancora nel range democratico di Gavino Soro Pirino, parteciparono in numero, nel 1903, proprio all’indomani della morte del loro storico Venerabile Maestro che era stato in intimità con Giuseppe Mazzini, alle onoranze centenarie della nascita di Efisio Tola il cui momento alto fu nello scoprimento delle lapidi celebrative da parte del circolo repubblicano La Gioventù e dell’Associazione Universitaria, già trasversalmente coinvolta dalle prime militanze nella paramassonica Corda Fratres d’impianto parallelo a Sassari ed a Cagliari; in secondo luogo perché, quei massoni sassaresi, o diversi di loro, si compattarono nel 1911 – anno cinquantenario dell’unità d’Italia – in una loggia simbolica dal titolo proprio Efisio Tola che, presieduta dall’avv. Antonio Vincentelli (già presidente della Deputazione provinciale) per qualche tempo convisse, o forse rivaleggiò, con la Gio.Maria Angioy. Quella Gio.Maria Angioy che nel 1903 – essendone Maestro Venerabile Antonio Zanfarino (nonno materno del presidente Cossiga) – aveva gemmato anche un’altra loggia simbolica di breve vita intitolata alla capitale d’Italia, Roma.
Ma di più, a dire dell’oggi: perché dal 26 maggio 1986 – data relativamente recente dunque – è a palazzo Tola, a pochi passi davvero da questo altrettanto prestigioso palazzo che ospita la Biblioteca Comunale di Sassari, che hanno la loro sede le logge massoniche di Sassari: all’inizio soltanto la Gio.Maria Angioy n. 355 (fondata nel 1893 e riattivata nel 1945, dopo la dittatura e la guerra), ma poi a seguire anche la Bruno Mura n. 1081, la Goffredo Mameli n. 1192 (insegna recuperata dalla più antica compagine rituale scozzese degli anni 1867-1875), la Conoscenza n. 1256, la Rinascita n. 1344; ultima della serie la San Giovanni Battista n. 1518, di rito emulation.
Forse una considerazione speciale meriterebbe proprio quest’ultimo titolo distintivo, che idealmente riporta all’officina liberomuratoria Les écossais del circuito giovanneo (Saint Jean d’Ecosse) che accolse Giovanni Antonio Sanna all’interno del Grande Oriente di Francia e all’Oriente particolare di Marsiglia ora sono quasi centoottanta anni fa. La loggia anche che in data 9 novembre 1844 gli concesse l’exeat, l’autorizzazione cioè a trasferirsi ad altra compagine liberomuratoria, non saprei dire se ancora in Francia o in Italia, nel sistema allora ancora frazionato delle formazioni latomistiche autocefale od obbedienti a Comunioni estere.
«À La Gloire Du Grand Architecte De L’Univers», «Union Force Philantropie» s’intitola il documento pubblicato nell’inserto fotografico di “L’uomo di Montevecchio” da Paolo Fadda e da lui rinvenuto fra le carte storiche della famiglia Sanna a suo tempo conferite al professor Ilio Salvadori, già dirigente della “Montevecchio” e poi molte altre cose, infine presidente della IGEA – ecco un altro massone, massone moderno e di prestigio, entrato nella storia di Montevecchio e dei Sanna tutti quanti – e dal professore girate poi al Comune di Arbus per la classificazione e la pubblica fruizione.
Con sede al civico 13 del Boulevart de la Paix a Marseille, la loggia – attraverso il collegio dei suoi dignitari (Vénérable, Surveillants, Secrétaire général, e le Garde des timbres et sceau, a conferire definitiva ufficialità) concede al «Très cher Frère Sanna» la facoltà di altra affiliazione.
Ho detto: quale sia stata, e se vi sia stata, questa altra affiliazione, al momento è cosa ignota, non figurando nelle raccolte dei piedilista delle logge pre-Grande Oriente Italiano (poi d’Italia) né nelle matricole post-1859 il nominativo di Giovanni Antonio Sanna. Il che non esclude nulla in via assoluta, atteso che cause le più diverse (e anche le più banali) nelle trasmissioni dei dati hanno portato alla dispersione e alla perdita di importanti evidenze amministrative. Ed è proprio per questo che ci si dovrà, in rapida rassegna, accontentare delle relazioni che Giovanni Antonio Sanna ebbe con massoni – e furono innumerevoli nel suo tempo –, non con la Massoneria istituzionale.
Marsiglia – la città in cui nel 1831 fu fondata la Giovane Italia – suggerisce intanto ponti ideali con noi sardi perfino sul filo massonico.
E’ noto come negli anni ’30 e ’40 del XIX secolo furono numerosi i liguri che, soprattutto per ragioni politiche legate al mazzinianesimo, migrarono in Provenza. Da Genova migrò anche Giuseppe Castello e a Marsiglia – giusto come Sanna con la sua Mariette Llambi e le piccole Ignazia ed Amelia – fece famiglia, prima di trasferirsi e trasferirla, nei primi anni ’50, a Cagliari. Ed a Cagliari una loggia intera di Rito Scozzese (così come la Gio.Maria Angioy), la Fede e Lavoro (caratterizzata per il largo numero di capitani marittimi, marinai e calafati presenti nel suo piedilista, e per un suo artiere – il dottor Barrago – che s’affaticò allora a difendere le teorie evoluzioniste di Darwin contro quelle creazioniste del canonico teologo del capitolo Cattedrale mons. Miglior) fu diretta e accudita nei suoi vari uffici dalla famiglia Castello genovese-marsigliese – da Jean il primogenito, dai gemelli Luigi e Angelo con lui. Il quinto massone di casa, dopo il padre e i tre fratelli, Girolamo, più giovane, fu iniziato nel 1904 a Sassari dove prestava servizio come capostazione. Per dire Marsiglia, e Marsiglia massonica e Sardegna massonica nel sessantennio intercorrente fra le date biografiche di Giovanni Antonio Sanna e dell’ultimo dei Castello sardizzati. Mentre nel cimitero monumentale di Bonaria proprio il sepolcro del Castello capostipite è il primo di quelli che recano incisi nel marmo, dal 1866, i simboli massonici della squadra e del compasso sovrapposti all’interno del cerchio raggiante.
Gli anni della restaurazione marcarono un vuoto importante nelle relazioni massoniche nazionali. Il periodo napoleonico aveva segnato, invero in chiave tutta politica o militare-politica, l’apice della organizzazione e la stessa fondazione del Grande Oriente allora d’Italia – si badi anche qui al riferimento nazionale italiano – data proprio allora: 1805, gran maestro dell’Ordine e sovrano gran commendatore del Rito Scozzese Eugenio di Beauharnais, giovanissimo (26enne) viceré d’Italia. Fra gli aderenti, personalità come Ugo Foscolo, Gian Domenico Romagnosi, Vincenzo Monti…
Caduto Napoleone e caduto il sistema massonico strumentale all’espansionismo bonapartista – invero neppure tutto mirante agli obiettivi dell’imperatore, ché taluno a quegli obiettivi si opponeva – nei quaranta e più anni che separano la Waterloo militare e politica e il risveglio massonico nazionale italiano ad influenza ancora francese – della Francia però ormai di Napoleone III – operarono nello stivale e in Sicilia una cinquantina di logge, alcune obbedienti a Potenze straniere, in primis il Grande Oriente di Francia, più spesso di ritualità scozzese (quella dei 33 gradi). Largo lo spettro territoriale: da Livorno/Amici veri dei virtuosi a Napoli/Mentore e Damone, da Palermo/Architettura fiorita a Pisa/Azione e fede, a Genova/Trionfo ligure, ecc. Niente comunque in Sardegna dove relazioni massoniche pare si siano avute nel Settecento in capo ai consolati cagliaritani di Francia e di Inghilterra e successivamente in capo ad alcuni casini giacobini, ivi includendo anche il futuro Alternos Gio.Maria Angioy.
La sua presenza a Marsiglia alla ricerca di fruttuose occasioni capitalistiche mise Giovanni Antonio Sanna nella condizione di frequentare ambienti professionali ed industriali che erano connotati da una tradizione lobbistica, di pressione o concerto sociale cioè, tale da favorire scambi d’utilità e intese societarie. In essi, ecco tale monsieur Pierre Rigolet de Saint Pons, finanziere datosi disponibile quale capofila di azionisti pro-Montevecchio per un capitale minimo di 500mila lire piemontesi.
E’ al momento assai problematico dire se, tornato in Italia, anzi nel Regnum Sardiniae del tempo – siamo press’a poco alla “perfetta fusione” – Giovanni Antonio Sanna abbia trovato utili solidarietà nella Fratellanza massonica: non nell’Isola certamente, forse contatti egli ebbe nelle città del continente che entrarono nelle sue interlocuzioni finanziarie e industriali.
Mi parrebbe utile, a questo punto, argomentare una convinzione che quarant’anni di studio delle carte massoniche sarde e nazionali hanno maturato, confrontando gli Antichi Doveri, vale a dire le carte fondamentali della Libera Muratoria inglese e continentale ricostituitasi speculativa nel 1717, e la realtà quale emerge dai documenti dei tempi lunghi, tutti politici, tanto più dell’Ottocento e del primo Novecento, fino a che il fascismo, colpendo il diritto di associazione, mise fuorilegge le due Comunioni operanti in Italia in quel 1925: quella di Palazzo Giustiniani e quella di Piazza del Gesù, entrambe attive allora anche a Sassari.
Se lo scopo dominante doveva essere quello dell’incontro fra uomini che senza di essa, cioè della Massoneria, mai avrebbero potuto incontrarsi a ragione dei rispettivi orientamenti religiosi o politici o per ceto sociale ecc., sicché quel che importava era saper realizzare una armonia umanistica fra diversi – ed è quel che si cerca di fare anche oggi in chiave autopedagogica e tollerante, pur in una società emancipata culturalmente, secolarizzata e perimetrata e stabilizzata in un ceto medio allargato – allora, al tempo di Giovanni Antonio Sanna, o di Asproni, di Cavour e Garibaldi, di Zanardelli e degli altri, il cemento pare sia stato tutto politico: unità anche nel conflitto, fra democratici e liberal-moderati, fra repubblicani e radicali da una parte e monarco-conservatori dall’altra, comunque nella tensione – ecco l’alta idea missionaria unificante – della costruzione della nuova Italia, attraverso ordinamenti unitari.
In questo senso, la coesistenza nelle logge di artieri di tanto diversa formazione – ancor più marcata, nella politica, dall’uninominale e dalla corrispondente assenza di partiti strutturati – accompagnava le finali determinazioni dei vertici obbedienziali, che in talune fasi furono appunto del tutto politiche – si pensi in ultimo alla politica dei blocchi popolari – ma che pur ebbero un freno nella vigile consapevolezza di non poter “scantonare” nel dottrinarismo laicista così come nelle compromissioni estreme: si pensi al 1869, l’anno del Concilio Ecumenico piino e anche dell’Anticoncilio del Ricciardi a Napoli.
La proposta del Venerabile della loggia di Sassari per l’abrogazione della invocazione rituale al Grande Architetto dell’Universo e la sua sostituzione con il rimando alla Patria Universale e al Progresso Indefinito, dunque al cosmopolitismo anticattolico e allo scientismo ideologizzato, venne respinta con oltre il 90 per cento dei voti dei rappresentanti delle logge riuniti a congresso. Si pensi al 1870, quando il gran maestro, ingegnere e colonnello Lodovico Frapolli, fu costretto a dimettersi, per le pressioni dei massoni tedeschi, intendendo egli accorrere in soccorso delle truppe francesi chiamate alla guerra contro la Prussia.
Incontri con massoni
Una ipotesi che avanzo con tutte le riserve del caso perché bisognerebbe vedere meglio l’incastro temporale, è che, se dritta massonica vi fu nel percorso finanziario-imprenditoriale di Giovanni Antonio Sanna nella sua prima stagione, essa possa esser stata fra Genova e Livorno, considerando una certa pervadenza delle logge nel milieu bancario, o bancario-politico delle due città: Livorno sarà poi la città di Adriano Lemmi (banchiere democratico e dominus massonico per due decenni, fra Ordine e Rito) e di Francesco Domenico Guerrazzi, iniziato addirittura nel 1829 all’Accademia Labronica (e zio-tutore di Cecchino, prossimo genero di Giovanni Antonio Sanna), triumviro toscano nel 1848 insieme con Giuseppe Montanelli e Giuseppe Mazzoni, destinati anch’essi all’iniziazione, l’uno nel 1860 all’Ausonia, l’altro, giusto a Marsiglia con successiva regolarizzazione a Firenze e Magister Maximus dal 1870 e fino al 1880, fondatore nel 1877 della famosa loggia P, Propaganda.
La carta Guerrazzi peraltro aiuta a far piazza pulita del luogo comune che, allora come invero oggi, la tessera massonica valga come passe-partout o combinazione sempre vincente in politica come negli affari: era (ed è) vero l’opposto, mancando l’occasione o il motivo dell’intesa “alta”, valoriale – l’unità della patria come la laicità degli ordinamenti, cui prima alludevo – ognuno segue la sua strada. Il “Diario” asproniano, per quanto debba farsi ampia tara della soggettività dei giudizi, documenta questa assoluta libertà dei comportamenti ora politici ora d’affari i più vari da parte dei Fratelli, sovente appunto infilzati dal “tribunale etico” del deputato di Bitti. Nel novero dei massoni che incrociano la storia di Giovanni Antonio Sanna non mancano infatti gli avversari, per non dire i nemici: Guerrazzi sarebbe il primo, non il solo…
La fonte asproniana mi pare formidabile per molti aspetti, non soltanto quantitativi. Ma da essa esce palesemente che intese e disamistade riflettono per il più il contingente, ché verso l’uno e verso l’altro (incluso il carissimo Giovanni Antonio) non mancano riferimenti o sentenze di opposto segno. Amici e avversari, la corporazione massonica nella sua complessa articolazione – ma così direi anche del “partito” chiamalo democratico o repubblicano o progressista –, tutto passa per il filtro di un giudizio politico o di merito che sovrasta senz’altro ogni affezione puramente ideale, astratta per definizione.
E comunque a restare al certo e documentato potremmo costruire un vero e proprio iter massonicus seguendo tappa dopo tappa le relazioni sociali di Sanna ma direi anche quelle che, dopo la sua morte, tanto più attorno a Montevecchio o attorno alla infelice famiglia, ancora si svilupperanno:
a Montevecchio, con Giuseppe Galletti direttore generale della miniera dal 1853, dopo le avventure cospiratorie e politiche che lo videro condannato a morte dai tribunali del papa e poi graziato, ministro di Pellegrino Rossi e quindi deputato costituente della Repubblica Roma e combattente contro gli eserciti invasori chiamati da Pio IX per riottenergli il trono: iniziato a Bologna/loggia Concordia, anni ’30-40;
con Galletti un capo minatore – Bonaventura Ciotti, altro fuggiasco dai tribunali papalini restaurati, prossimo fondatore e Maestro Venerabile della cagliaritana loggia Libertà e Progresso, che avrà nel suo organico nientemeno che Enrico Serpieri, anch’egli in relazioni con il Sanna e cui si dovrà la Camera di Commercio di Cagliari, il Banco di Cagliari e il quotidiano “Il Corriere di Sardegna”: Ciotti, aggiungo, che negli anni ’70 inoltrati produrrà poi una loggia, a Cagliari, di rito egizio, e, collegato con il De Francesco direttore dell’ “Avvenire di Sardegna”, sarà interessato alle cure minerarie dei sardi in Tunisia;
ancora a Montevecchio con Giorgio Asproni jr., ingegnere e direttore generale della miniera dal 1866 al ‘75, nipote dell’omonimo parlamentare intimo amico di Giovanni Antonio Sanna: Asproni jr. iniziato certamente prima della rinascita massonica sarda, se è vero che la cagliaritana Sigismondo Arquer convalidò nel 1890 il brevetto da lui già posseduto, e con il quale poi si legò a quella loggia da cui soltanto si staccò nel 1901 per fondare, sempre a Cagliari, la Nuovo Secolo;
sempre a Montevecchio con Sollman Bertolio, direttore generale successore di Asproni poi Castoldi, già ingegnere nel corpo reale della Miniera inviato nel 1895 dal ministero nell’Isola per ispezionare gli opifici industriali e riferire in specie sul lavoro minorile. E’ il 1895 ed egli risulta aver giurato proprio nel giugno di quell’anno fra le Colonne della cagliaritana Sigismondo Arquer. Il matrimonio con Enedina Castoldi-Sanna (figlia di Zely Sanna e Alberto Castoldi) è del 1901 e accompagna la direzione di Montevecchio per lunghi anni (dal 1905 al 1923).
Piemontese di Casale Monferrato, era stato professore di matematica al Politecnico di Milano ed alla Scuola mineraria di Iglesias; era stato in missione geologica per incarico governativo in vari paesi d’Europa (dalla Francia alla Russia e Finlandia, dall’Ungheria alla Germania); aveva studiato e scoperto nuove rocce: così sul Lago Maggiore ma poi anche a Carloforte, sulle scie del Lamarmora che ne aveva soltanto accennato mancandogli elementi sufficienti di natura paleontologica; era stato tra i fondatori, nel 1898, dell’Associazione Mineraria Sarda.
Certo anche gli scontri con gli altri azionisti (i generi portatori di patrimoni propri, pur se ampiamente cadetti rispetto all’asse principale) impegnano a lungo Giovanni Antonio Sanna nella difesa del suo: lo sostiene nei complessi processi soprattutto l’avvocato Riccardo Sineo, deputato anch’egli – come Asproni e come Sanna – della sinistra radicale: massone anche Sineo, piemontese di Alessandria, rivoluzionario da ragazzo, alla Camera per undici legislature fra Regno di Sardegna e Regno d’Italia, tre volte ministro (governi Gioberti e Chiodo), iniziato a Torino presso la Dante Alighieri nel 1864 e passato quindi alla Universo fiorentina, la loggia che nel 1867 accoglierà Giorgio Asproni.
Ma per restare a Montevecchio ancora a controllo Sanna e successori potremmo allargare il giro massonico alle arti pittoriche di chi lavorò all’abbellimento sia degli uffici di direzione che della cappella del villaggio, di cui scrivono Lucia Siddi e Alfredo Ingegno: all’arte di Antonio Ghisu – che sarà massone iniziato fra le Colonne della Sigismondo Arquer nel 1912, forte tempra di socialista che non mancherà di affrescare, fra il molto altro, le volte della basilica di Bonaria e insieme di sostenere l’erezione del busto di Giordano Bruno a Cagliari – sono attribuite diverse delle opere compiute nella stagione Bertolio, Fratello di loggia dell’artista (ma al tempo nella Sigismondo Arquer e nella Karales figuravano artisti come Ciusa, Delitala, Rossino, ecc.).
all’arte anche, prima che di Ghisu, di un altro massone – Guglielmo Bilancioni – pittore di radici riminesi, amico di Enrico Serpieri (da lui ritratto in una grande tela conservata nella Camera di Commercio di Cagliari) e radicato nel piedilista della Sigismondo Arquer cagliaritana dal 1895, presente con suoi lavori nell’Isola già dal 1867 – è attribuita forse la prevalenza degli interventi su soffitti e pareti, pitture fra finti marmi policromi, lesène con capitelli corinzi, ecc.
A Bilancioni si deve molto anche di quanto appare negli interni di palazzo Giordano, a Sassari: l’abitazione baronale di Giuseppe Giordano, uno dei quattro generi di Giovanni Antonio Sanna, che lo costruì a piazza d’Italia, dal 1877, su terreni dell’eredità Sanna: notevoli qui i riferimenti a motivi esoterici che rimandano a religioni o miti antichi e quindi a suggestioni da cui avrebbe preso corpo certa ritualità massonica (oltre alla Vally Paris, descrittrice degli abbellimenti pittorici dell’edificio, v’è un richiamo interessante di Vico Mossa a certe figurazioni di Sole e Luna presenti sui portali di case di campagna del Sassarese appartenenti a liberi muratori veri o presunti).
Entrano direttamente o indirettamente nelle vicende Sanna anche, a proposito del museo archeologico e pinacoteca d’arte, Paolo Raimondo Chessa e Pasquale Umana.
Il primo, originario di Mores, consigliere comunale a Cagliari ed a lungo, nel capoluogo, direttore della Banca Nazionale nel Regno – da cui un giorno sarebbe venuta la Banca d’Italia – e incardinato nella loggia Vittoria, la prima impiantatasi in Sardegna poco dopo l’unità d’Italia, con le funzioni di Premier Expert, cioè capo della ritualità.
Il secondo, medico e docente universitario, poi anche rettore a Cagliari, deputato per cinque legislature (dal 1870 alla morte nel 1887), il rappresentante delle logge Leone di Caprera, Mariano IV e Gialeto (rispettivamente di Ozieri, Oristano e Cagliari) alla 8.a costituente del Grande Oriente d’Italia convocata nel 1872 a Roma finalmente liberata dalla teocrazia.
Fra le fonti che dettagliano i complessi passaggi testamentari volti alla realizzazione piena del Museo Sanna, che tarderà molto, merita citare “La stella di Sardegna”, periodico a direzione Enrico Costa (padre di massone anch’egli) in uscita a Sassari dal 1875 al 1885 (con interruzione dal 1879). Ruoli diversi ebbero in partita, con Gavino Clemente e Pasquale e gli altri della sua famiglia, altri due massoni importanti del tempo: Filippo Vivanet, accreditato alla loggia Vittoria, ed Ettore Pais, nel piedilista della napoletana loggia Losanna.
E’ noto che Giovanni Antonio Sanna ebbe ripetute esperienze parlamentari: per due anni e due mesi nella VI legislatura e per nove mesi nella VII legislatura del Regno di Sardegna, dal dicembre 1857 al dicembre 1860. Per un anno e tre mesi nella IX legislatura del Regno d’Italia, fra il 1865 e il 1867.
Al tempo del Regno di Sardegna egli fu eletto, entrambe le volte, nel collegio di Isili. Già massone lui, non ancora gli altri, nella deputazione sarda fu allora collega di Antonio Giuseppe Satta Musio (eletto a Bitti) – sarebbe stato delegato del GOI presso le logge sarde nei primissimi anni ’70 – e di Giorgio Asproni (eletto sia a Lanusei che a Nuoro). Collega anche di Riccardo Sineo, il suo avvocato di maggior fiducia per le questioni di Montevecchio, eletto a Sanluri.
Nella IX legislatura fu candidato ed eletto nel collegio di Grosseto. Nella deputazione sarda figuravano allora i massoni Francesco Salaris e Luigi Giuseppe Delitala (entrambi della loggia Vittoria), e Giorgio Asproni (invero alla vigilia della sua iniziazione, avvenuta pochi mesi dopo la interruzione della legislatura, presso la fiorentina Universo). La capitale era allora a Firenze e le maggioranze parlamentari erano ancora di destra, e i governi a presidenza Lamarmora e Ricasoli.
Sanna appartenne ai gruppi della sinistra, per quanto – date le sue responsabilità di capitano d’industria e/o banchiere – sempre impegnato a tenere buoni rapporti con l’establishment politico ed amministrativo. Dionigi Scano – ecco un altro massone della Sigismondo Arquer –, scrivendone circa i rapporti con i Guerrazzi, lo qualifica democratico di fede monarchica, altri autori – compreso il suo maggior biografo Paolo Fadda – tendono a classificarlo senz’altro repubblicano, in quanto a preferenza istituzionale, e ricordano le innumerevoli volte in cui egli si richiamò a Giuseppe Mazzini nonché le circostanze degli aiuti materiali offerti alla Giovine Italia o magari alle altre imprese repubblicane.
Concludo accennando alle circa 400 citazioni che il “Diario” asproniano presenta di Giovanni Antonio Sanna. Esse entrano in molte stagioni del prima e del dopo l’unità, fissano un’infinità di scene nel passaggio delle capitali da Torino a Firenze a Roma, nella molteplicità anche delle brevi o prolungate residenze del diarista e del patron “omnibus” lungo lo Stivale, e registrano, con un affaccio sempre vivido, le vicende di vita e le fatiche sociali – sia d’affari che politiche – dei protagonisti.
Meriterà tornare in argomento: cercherò di meglio classificare in tavole sinottiche eventi e commenti, le triangolazioni di Asproni e Sanna con i Fratelli Giuseppe Garibaldi e Tommaso Villa, con Antonio Mordini e Giuseppe Sirtori, con Mauro Macchi – verbalizzante dell’incontro convocato per concordare l’opposizione alla cessione di Nizza e Savoia – e Luigi Pianciani, che quattro mesi dopo l’iniziazione fiorentina, vissuta insieme con Giorgio Asproni nella loggia Universo – auspice il gran maestro Frapolli – partecipò all’impresa di Mentana e fu poi il primo sin-daco di Roma dopo la sua liberazione dal governo del papa-re… E verrebbe da continuare, moltiplicando per venti l’elenco appena abbozzato.
L’Italia in formazione e il partito della borghesia – liberale o democratico, laico comunque, ospitale della Massoneria e/o ospitato dalla Massoneria – furono la grande scena e il grande campione. Con gradualità ed infinite contraddizioni il riformismo liberale e la democrazia avrebbero aperto gli spazi allo stato sociale e il diritto avrebbe sostituito il paternalismo che gli uomini delle logge, pur sensibili ai bisogni del proletariato – come lo stesso Sanna o Giorgio Asproni jr, fattosi capitano d’industria in proprio a Sedda Moddizzis e vero erede morale di Giovanni Antonio Sanna – praticavano, figli del loro tempo, sempre sospesi fra le idealità più alte e la concretezza ruvida, forse anche cinica, dei bilanci d’azienda.
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