I sardi caduti alle Ardeatine, il sangue azionista per la nuova Italia democratica e repubblicana.
Un libro di immagini che raccontano
di Gianfranco Murtas
Non può chiudersi l’anno 2024 prima che anch’io, e sia pure soltanto per testimonianza ideale, mi associ agli onori da rendere – nell’80° anniversario del loro sacrificio – alle vittime delle Fosse Ardeatine. Fra esse nove furono i sardi ed a questi, distintamente e nell’insieme per la condivisa sorte, ha dedicato negli anni validissimi studi e numerosi ed importanti saggi l’amico Martino Contu. Al quale (e a Gavina Cherchi) si deve anche la recente pubblicazione I sardi trucidati alle Fosse Ardeatine. Storia e memorie a ottanta anni all’eccidio /24 marzo 1944), comprensiva del catalogo delle opere di Georges de Canino – artista di nascita tunisina e religione ebraica –, dei dipinti del romano Armando Severini e di Giovanna Canalis – figlia del professore vittima nazista –, nonché delle xilografie di Luigi Castellani, caduto anch’egli sotto il fuoco burgundo tre mesi dopo l’inferno di marzo. Un gioiellino editoriale, questo di “storia e memorie”, offertoci nelle scorse settimane dalle Edizioni Ammentos/Archivio memorialistico della Sardegna.
Vorrei adesso, presentando questo libretto che vale un librone, per preziosità e gusto di contenuti e non soltanto per il perfetto editing, ricordare i meriti personali del curatore il quale ha creduto – ed ha creduto bene – come negli scavi d’archivio che pure, nell’arco di trent’anni, lo hanno portato a studiare alcuni filoni tutti sardi inquadrabili fra meridiani e paralleli della grande storia (e però anche fra più prossime coordinate della stessa società regionale contemporanea nelle sue dinamiche), uno spazio speciale meritasse la ricerca sul patriottismo democratico dei martiri del 1944.
In tanti anni di instancabili esplorazioni ha ben prodotto, Martino Contu, una settantina di monografie e studi vari e numerose curatele, ha rintracciato documenti e ricomposto storie incardinate nelle correnti migratorie sarde verso il sud America (e in specie in Uruguay, nazione di cui egli è oggi console onorario) fin dal primo Ottocento e sviluppatesi per quasi due secoli, ha investigato le mitiche vicende rivoluzionarie di garibaldini come il magnifico cagliaritano Pigurina e di altri nostri corregionali fiondati in altre e lontane terre del mondo – non solo Montevideo ma fino a New York e Saint Petersburg – e anche però le fatiche operaie strematesi nelle secolari industrie minerarie del Sulcis-Iglesiente e non solo in quelle, ha scandagliato esperienze di guerra e di pace nonché virtuose testimonianze dell’antifascismo sardoazionista e repubblicano nel medio Campidano fra Marmilla e Villacidrese-Guspinese, i patimenti d’un ebraismo perseguitato, anche in Sardegna, dalle leggi razziste della dittatura e l’esempio sociale e solidale di una chiesa diocesana – quella di Ales-Terralba – incarnata nei suoi laici e nei sui preti e vescovi di forte sentire, un certo passato neppure soltanto letterario della Norbio dessiana (e di Bernardu de Linas) e un certo presente di uomini e donne con vario impedimento e posti a ricevere la (comunque benefica) assistenza pubblica in quel di Guspini… Per dire dell’eclettismo vocazionale di un mestiere esercitato da Contu senza risparmio e volando alto (e certosina dedizione) fra i depositi di storia documentata presso i nostri minimi comuni isolani e quelli remoti e distanti del continente latino-americano.
Ma, appunto, fra i tanti altri ecco il filone dei caduti sotto il fuoco criminale dei burgundi occupanti il nostro territorio nazionale, quella volta – il 24 marzo 1944 –, del mostruoso raduno presso le grotte catacombali dell’Ardeatina: uno studio che ha impegnato lo storico per una quindicina d’anni (senza dire di aver concluso l’opera che infatti continua). Questo ha fatto Martino Contu: non per ripetere quanto altri già avevano studiato e reso pubblico, ma per aggiungere una inedita produzione di carte ed una lettura tutta particolare, ulteriore ed originale e nostra – intendo di noi sardi – dell’indicibile evento, che fu per noi, anche per noi, di specialissimo interesse: la partecipazione nei nostri corregionali a quell’accolta dei 335 convocata per l’ignominia eterna di chi impugnava l’arma miserabile e il pietoso indistruttibile onore delle vittime.
Li ricordo i titoli del martirologio civile ardeatino che Contu ha offerto alla nostra conoscenza fin dal 1996:
Sisinnio Mocci: un villacidrese martire delle Fosse Ardeatine , ANPPIA 1996
I martiri sardi delle Fosse Ardeatine: i militari [Pasqualino Cocco, Agostino Napoleone, Candido Manca e Gerardo Serci], AMD 1999
Pasqualino Cocco, Agostino Napoleone: lettere e documenti inediti di due militari Martiri delle Fosse Ardeatine , Centro Studi Sea 2004
Gavino De Lunas (“Rusignolu ‘e Padria”): vita di un cantante, ufficiale postelegrafonico, martire delle Fosse Ardeatine , Centro Studi Sea 2005, 2007
I verbali inediti di identificazione dei martiri ardeatini: 1944-1947 , AMD 2012
I martiri ardeatini: carte inedite 1944-1945: in onore di Attilio Ascarelli a 50 anni dalla scomparsa , AMD 2012.
Con Mocci e Cocco, con Napoleone e Manca, con Serci e De Lunas, di cui ai titoli menzionati, erano caduti anche Antonio Ignazio Piras, Giuseppe Medas e Salvatore Canalis, sul conto dei quali – per Canalis a Tula, per Medas a Narbolia – sono venute degne commemorazioni nell’aprile del settantennio ardeatino (2014) all’interno di un ciclo di celebrazioni allestite da varie amministrazioni comunali e cui hanno offerto il loro prezioso contributo in quanto relatori, con lo stesso Martino Contu, anche Aldo Borghesi e Marina Moncelsi, studiosi di vaglia entrambi del nuorese Istituto per la storia dell’Antifascismo e dell’età contemporanea nella Sardegna centrale.
E’ ben certo che la biografia di ognuna delle vittime meriti un pieno di attenzioni e cure da parte dei ricercatori d’ogni provenienza e quanto sopra ho riferito rivela che attenzioni e cure sono fortunatamente venute crescendo negli ultimi anni grazie al valore di questi ultimi che a tanto si sono dedicati con il meglio delle loro risorse intellettuali e, direi, anche della loro passione civile. Così da donare, non soltanto ad una astratta o libresca cultura storica, ma concretamente alle giovani generazioni in chiave pedagogica una conoscenza importante e necessaria della storia patria nel passaggio dal devastante e totalitario regime fascista alla democrazia repubblicana.
Ma se così è, se pari è la dignità dei vissuti (e delle morti) dei 335 convocati, e dei nove sardi, mi deve essere concesso di portare uno speciale riguardo ai miei compagni di militanza ideale nell’azionismo, che fu di radice repubblicana e mazziniana. Mi riferisco ai civili Gavino Luna/De Lunas, Salvatore (Rino) Canalis, Giuseppe Medas e all’aviatore militare Pasqualino Cocco.
La voglio motivare così, come confessione personale, questa mia speciale considerazione per l’area ideale della democrazia azionista che ho visto, in coerenza con tutto il mazzinianesimo ora è di sviluppo bisecolare, assolutamente profetica. Perché in essa ho colto, fin dalle sue fasi costituenti del 1942, quanto alcuni dei suoi stessi uomini avevano iniziato a prospettare nel loro confino (di virtù antifascista) di Ventotene, e mentre infuriava ancora la guerra, circa un futuro di pace continentale: dalla repubblica parlamentare con magistratura indipendente all’economia a due anime (mercato e dirigismo nei settori-chiave) e piena libertà di rappresentanza sindacale, autonomie territoriali e/o regionali ispirate e sostenute dal principio di solidarietà nazionale e riforma agraria tale da valorizzare il capitale umano volano di equità sociale nonché di maggior sviluppo produttivo, separazione fra Stato e Chiesa e “formazione di una coscienza unitaria europea, premessa indispensabile alla realizzazione auspicata di una federazione europea di liberi paesi democratici nel quadro di una più ampia collaborazione mondiale”. Nessun cedimento dunque all’… ancien regime autoritario e centralista, non socialismo però a rischio di dottrinarismo né alcun liberismo incontrollato, nessun neoguelfismo e nessuna, nessunissima suggestione autarchica e sciovinista, chiamala nazionalista e, oggi, sovranista.
Al contributo di rigore morale, d’intelligenza politica, di qualificazione culturale, di sangue sparso anche, o di cella tubercolotica patita nel tempo della dittatura, o di lungo ed arrischiato esilio… a tale contributo offerto alla patria e alla democrazia sognata dall’impegno (bellico e politico) azionista – dei generali senza truppa (così si disse dopo le elezioni per la Costituente, che materializzarono l’ingratitudine degli italiani verso il martirio dei generosi senza chiesa) – ho cercato, nel poco s’intende, di dedicare qualche studio anche io e qualche pubblicazione pure. Ciò è avvenuto, ora sono passati già più di trent’anni, tanto più nel solco delle ascendenze o delle propensioni regionali, dico nostre sarde, pensando a Francesco Fancello e Stefano Siglienti (e Ines Berlinguer), a Cesare Pintus, Bastianina Martini Musu e Mario Berlinguer, a, naturalmente, Emilio Lussu ma anche, per il tanto che lo volse a noi, Ferruccio Parri. Nomi, pochi nomi ma per inglobarne molti, di chi lottò ancora e sempre (nella resistenza) contro il fascismo (come già contro il falangismo franchista) senza per questo nulla dovere a Stalin e al suo impero sovietico, l’impero delle purghe tombali e dei gulag. E di più: includendo nel novero le solidarietà variamente manifestatesi dagli uomini del sardismo che nulla avevano da spartire, ben s’intende, né con i nazionalitari indipendentisti dei successivi anni ’70 ed ’80 e ’90, né, ancor meno, con i blasfemi paraleghisti di questo primo pezzo di secolo nuovo. Perché valsero allora i nomi di Dino Giacobbe e Giovanni Battista Melis, di Pietro Mastino e Luigi Oggiano e Gonario Pinna, di Anselmo Contu e di Luigi Battista Puggioni e di quanti altri, magari umili militanti nelle sezioni diffuse fra le tre province…
Sicché, seguendo e ammirando le acrobazie partigiane compiute nei campi laziali o pugliesi dagli azionisti repubblicani come Ugo La Malfa od Oronzo Reale, come Michele Cifarelli o Bruno Visentini – e sono quattro nomi per dirne quaranta e anzi quattrocento, forse quattromila che pur erano e restavano minoranza sulla scena pubblica del nuovo ordinamento costituzionale – avevo/ho creduto che dai rivoli liberaldemocratici magari di antica matrice amendoliana o demosociale l’approdo democratico costituisse, dopo la guerra, come l’asse portante dell’impianto, nuovo appunto, della Repubblica scelta dal popolo elettore il 2 giugno 1946.
Così ho seguito – ovviamente ammirando anche quanti dell’azionismo sarebbero andati a declinare tendenze variamente socialiste, da Lombardi e De Martino a Foa e Bobbio e Codignola, da Garosci e Calogero a Calamandrei e Rossi Doria (fino a Lussu, al Lussu destinato a diventare però “carrista”! e lontano purtroppo dalla fonte) – quell’indirizzo chiamalo ad intensità aclassista nel progressismo riformatore di cui i repubblicani del PRI, quelli dell’edera mazziniana (simbolo della Giovane Europa), hanno progressivamente assunto la titolarità del campo. Perché dentro potevi metterci, anche quando non di militanza, il sostegno dichiarato di autorità morali e intellettuali del livello di Luigi Salvatorelli e Alessandro Galante Garrone, di Guido De Ruggiero e Tommaso Fiore, di Ferruccio Parri e Adolfo Tino, di Giorgio Bassani e Guido Dorso, di Riccardo Bauer e, dopo il tramonto radicale, anche, prestigiosissimo, di Leo Valiani, ecc.
E’ questo che mi ha appassionato, fin dall’adolescenza, alla disciplinata creatività della modernissima, e pur anche quanto antica! democrazia mazziniana e cattaneana vissuta in Sardegna da Asproni e Tuveri e da altri con loro, come Soro Pirino e Siotto Elias fino a Michele Saba e Silvio Mastio. Anime grandi, grandissime alla cui stessa scuola appartennero appunto quattro dei caduti sardi alle Ardeatine.
Dallo stesso volumetto di Ammentos recupero gli estremi anagrafici dei quattro “miei” compagni ed esempi d’idealità:
Gavino De Lunas, Padria 1895; ufficiale postelegrafonico, cantante, capitano dell’esercito nel battaglione Volontari di Sardegna “Giovanni Maria Angioy”; morì 49enne.
Salvatore Canalis, Tula 1908; professore di greco e latino, ausiliario della Guardia Palatina (fu anche massone dell’obbedienza ferana); morì 36enne;
Giuseppe Medas, Narbolia 1908; avvocato, sottotenente di complemento dell’81° fanteria; morì 36enne.
Pasqualino Cocco, Sedilo 1920; sergente pilota dell’aeronautica, morì 24enne.
Ecco, a seguire, alcune delle immagini contenute nella raccolta curata da Contu e dalla Cherchi. (E qui soltanto mi permetto, riguardo a Medas, di ricordare al Comune di Cagliari – appellandomi al vicesindaco, data la sordità di altri colleghi di giunta e consiglio vanamente interessati nel tempo passato – che nella toponomastica della municipalità di Pirri è indicato, ormai da cinquant’anni, un “Giovanni Medas” invero inesistente, trattandosi nella realtà storica e resistenziale di “Giuseppe Medas”).
16 Gen 2025
Ciao. I veri esseri umani sono coloro che sanno venire in aiuto ai loro simili quando soffrono. Quest'uomo mi ha fatto un prestito di 38.000 euro senza il tutto complicarmi la macchia al livello dei documenti che chiedono le banche in occasione delle domande di prestito. Ho deciso oggi di testimoniare nel suo favore voi potete contattarlo per E-mail: virgolinoclaudio7@gmail.com
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