Il Grande Oriente punisce l’avv. Salsone, il numero uno della Lombardia. S’incrociano (e si scontrano) le opinioni. Anche a Cagliari, antico teatro di “licenze” antiMattarella ed antiBovio
Redazionale
La scorsa domenica 17 luglio abbiamo pubblicato una lunga conversazione-intervista con un alto dignitario del Grande Oriente d’Italia portatore, con numerosi altri, di un giudizio critico nei confronti della attuale gestione della più antica associazione massonica d’Italia, quella che vanta pure un più diffuso impianto nelle venti regioni del paese. Così anche in Sardegna dove, come si sa, la massoneria ebbe le sue prime e continuative manifestazioni nell’anno stesso della unità nazionale e dove oggi conta ben 49 logge, ultime per data di fondazione le cagliaritane Armando Corona, Opera e Temple, l’ogliastrina Agugliastra, la sassarese San Giovanni Battista e la gallurese Cala di Volpe in Porto Cervo. Oltre naturalmente alla celebre Kilwinning, ormai disgregata dato un alto numero di ritiri o di trasferimenti nella circoscrizione, oggi “stampellata” dalla loggia Temple e alla vigilia della sua cancellazione dal registro centrale, sepolta dai “delitti” antiquirinalizi ecc. compiuti dai suoi dirigenti negli ultimi anni.
Il dignitario con cui abbiamo potuto interloquire via email è il promotore di un canale Telegram detto del “Cavaliere Nero”. Abbiamo pubblicato e contato, a quest’oggi, già tremila accessi al nostro sito, segno evidente che la materia è stata ritenuta di ampio interesse.
Sia in quella intervista sia nei due articoli che l’avevano preceduta di pochi giorni – letti anch’essi da oltre 2100 utenti – s’era fatto insistente riferimento a un processo disciplinare promosso dal vertice del GOI in persona del Grande Oratore (carica oggi assegnata a un professionista cagliaritano come quasi centocinquant’anni fa essa fu appannaggio nientemeno che di Giovanni Bovio, l’erede diretto e più autorevole di Giuseppe Mazzini!) ed a carico del presidente del Collegio dei Maestri Venerabili della circoscrizione lombarda, indubbiamente una delle più importanti, anche per numero delle logge associate (ben 78 di cui 38 nel capoluogo, ultima per costituzione la Johann Simon Mayr nella Valtellina) dell’intero paese.
Ora quel processo si è svolto il 22 luglio e s’è concluso, secondo le previsioni, con la condanna dell’imputato a una sospensione di un anno dalla frequenza ed a tre dalla assunzione di qualsiasi carica sociale.
Protagonista della vicenda è stato l’avv. Antonino Salsone, titolare di alcuni degli studi legali fra i più autorevoli dell’intera regione (fra Milano, Monza e la capitale stessa), personalità eminente della società civile lombarda e portatrice di un drammatico vissuto antindranghetista.
Il sito del Grande Oriente d’Italia ancora oggi riporta il testo di un colloquio, datato febbraio 2017, dell’avv. Salsone con un cronista del quotidiano Il Tempo di Roma, che appresso riportiamo.
Leggendo questo testo, segnalatoci in redazione da un anziano maestro della loggia Conti, abbiamo colto una singolare coincidenza temporale che, triangolando con Firenze, riporta Cagliari massonica alla vicenda Salsone: perché il padre dell’avv. Salsone fu assassinato il 7 febbraio 1986 ed appena tre giorni dopo, a Firenze, le Brigate Rosse uccisero l’ex sindaco repubblicano Lando Conti alla cui memoria presto un gruppo di massoni cagliaritani ed oristanesi vollero intitolare la loro loggia allora in formazione.
Giorni terribili, non è difficile immaginarlo, furono quelli dell’inizio di febbraio 1986. Nella massoneria che allora, con il Gran Maestro Corona, stava preparandosi allo storico trasferimento da Palazzo Giustiniani a Villa Medici del Vascello sul Gianicolo, Cagliari ebbe per qualche mese – così ci è stato documentato in un beve dossier invece fornitoci da un iscritto alla loggia Asproni (e saltuario collaboratore della nostra testata su questioni della sanità pubblica e in generale della pubblica amministrazione) – una scena di rilievo in diverse delibere della giunta nazionale.
Ringraziamo tutti per quanto riferitoci: oggi ritornano, ovviamente in forme del tutto nuove, le antiche solidarietà ideali e personali fra massoni sardi e massoni del continente. Infatti, numerosi degli isolani che avevano già mostrato una chiara ripulsa di quanto accaduto negli ultimi anni con gli insulti rivolti al presidente Mattarella da parte di un alto dignitario locale, e varie altre manifestazioni che si vollero configurare come “colpa massonica” ma furono invece considerate “pure goliardate” dal Gran Maestro e dal Grande Oratore ecc., hanno indirizzato all’avv. Salsone e al canale Telegram del Cavaliere Nero le loro espressioni di vicinanza e condivisione.
Al solito noi non abbiamo titolo per intervenire sulla materia con una soggettività nostra e perciò non ci permettiamo avanzamenti impropri. Soltanto, come redattori che tanto si sono pubblicamente impegnati in approfondimenti di una materia tanto speciale e complessa, e d’intrico fra storia e cronaca, ci è venuto da osservare: ma davvero la colpa dell’avv. Salsone è stata quella di aver pubblicato, in una sua personale pagina facebook, una riflessione che riassumeremmo così: “ottima la conferma al Quirinale del presidente Mattarella gran galantuomo, ma se i partiti non hanno saputo trovare fra i sessanta milioni di italiani un suo successore, quasi portando una istituzione repubblicana allo status di una monarchia, non sarà che il sistema partitico rechi in sé un limite grave?” – riflessione che ci pare di buon senso e largamente condivisa dalla cittadinanza di ogni orientamento –, ma se quella era colpa come è possibile che invece non sia stato visto come colpa l’insulto gratuito tante volte replicato, a Cagliari, al primo magistrato della Repubblica?
Nuovamente ringraziamo il Cavaliere Nero e il suo canale per quanto partecipatoci, come anche ringraziamo coloro che, indirizzando alla piattaforma o ai nostri personali account (quando conosciuti), ci han fatto avere informazioni, valutazioni, opinioni, qualche documento.
Ecco quanto Il Tempo del 9 febbraio 2017, a firma di Dimitri Buffa, scriveva del delitto “Filippo Salsone” (o della memoria d’esso) e delle riflessioni dell’avv. Antonino Salsone sulle distanze abissali fra mafia e massoneria tanto spesso messe in dubbio: tutto abbiamo potuto estrarre dal sito internet del Grande Oriente d’Italia. Ed ecco – di seguito – anche le evidenze documentarie del processo celebrato nei giorni scorsi nella Corte Centrale del GOI:
Mafia e Massoneria? Che sciocchezza! Parla Antonio Salsone
«Ancora ricordo quel 7 febbraio 1986, 31 anni fa, quando la ’ndrangheta uccise mio padre Filippo Salsone a fucilate appena fuori della casa di campagna a Brancaleone. Avevo 14 anni. Lui che era un maresciallo di polizia penitenziaria morì tra le mie mani e anche mio fratello Paolo venne colpito alla testa da un proiettile di rimbalzo. Si salvò per miracolo. Io avevo 14 anni e la mia vita fu segnata da quel terribile omicidio. Ho avuto una vita difficile finché a 30 anni entrai nella massoneria, un’associazione culturale e filantropica pulita che mi ha dato forza e conforto e questo oggi posso rivendicarlo. Lei crede che con un padre ammazzato dalla ’ndrangheta, mentre era a capo delle guardie carcerarie di un penitenziario calabrese, io sarei diventato massone se avessi avuto gli stessi sospetti che certa opinione pubblica mostra di avere?».
È un torrente in piena quando parla, l’avvocato Antonio Salsone, che oggi presiede il collegio delle logge Goi di tutta la Lombardia. Altra terra in cui i pm ritengono che la ’ndrangheta la faccia da padrone dagli anni ’90 in poi. E consegna al “Tempo” un messaggio chiaro e forte da far conoscere idealmente a tutti quei politici che nelle dichiarazioni dimostrano ostilità e sospetto verso la massoneria: «Nella vita, dopo la morte di mio padre, ho avuto una sola luce che mi ha ispirato oltre alla mia forza di volontà e l’ho trovata nel Grande Oriente d’Italia, poi ho avuto la soddisfazione di vedere consegnata nelle mie mani da Napolitano a mio padre la medaglia d’oro al valore civile nel 2010, l’unico della polizia penitenziaria in occasione della sua festa che si è tenuta vicino al Colosseo, e dell’intitolazione nel 2012 del carcere di Palmi alla sua memoria».
Suo padre era già stato minacciato prima di quel terribile omicidio? «Lui addirittura, essendo uno intransigente, negli anni ’80 aveva subito le minacce dai brigatisti in carcere e anche una sorta di aggressione da parte della allora nota Barbara Balzarani. Poi, quando andò a lavorare nei penitenziari della Calabria, lì cominciarono i dolori».
Cioè? «A Lamezia Terme ci incendiarono la porta di casa. Lui era da poco diventato maresciallo, non c’era abitazione dentro il carcere, e noi eravamo in affitto. In seguito fu a Crotone e poi andammo a Cosenza dove lui di fatto era il vice di Colami, il direttore del carcere ucciso un anno e mezzo prima di mio padre. Anche a Cosenza ebbe problemi ma, soprattutto, il caso nacque a Reggio Calabria e si seppe dopo la sua morte».
In che senso? «Dicono che lui si sia messo in contrasto con qualcuno all’interno delle istituzioni carcerarie di Reggio. Un pentito, tale Franco Pino, disse che mio padre era stato ammazzato per dare un segnale dalla cosca di un boss di Africo rivale di quella che faceva riferimento alla famiglia Perna che invece già aveva ucciso il direttore del carcere a Cosenza dove proprio mio padre aveva lavorato fino a qualche tempo prima. Una lotta di potere tra ‘ndrine per il controllo del territorio. Io stesso, per tanti anni, ho chiesto ai magistrati di incontrarmi, da ultimo a Gratteri. Però non ho avuto risposte, mai».
Non aveva una scorta suo padre? «Mai, ma non so se l’abbia neanche chiesta».
Lei prima di diventare massone non aveva mai dubitato della massoneria, magari leggendo le cose che da anni scrivono i giornali e dichiarano politici e magistrati? «Io ovviamente mai. Diventai massone informandomi prima, ero un laico che credeva nella tradizione secolare di questa grande istituzione associativa. Non posso giurare sull’elenco del telefono, cioè su 23mila persone che nel solo Grande Oriente aderiscono all’obbedienza. Posso dirle che sia in Lombardia, sia in Calabria e persino nella Locride a livello di Gran Maestri ho incontrato solo persone di specchiata onestà, neanche lontanamente sospettabili di complicità con i mafiosi. Potevo iscrivermi al Rotary se avessi pensato il contrario».
E della richiesta della Presidente Bindi di avere gli elenchi degli iscritti che ne pensa? «È illogica e la sento persecutoria, ci sono anche tanti preti pedofili ma nessuno ha mai chiesto al Vaticano l’elenco dei nominativi di tutte le diocesi».
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Mentre stiamo impaginando questo articolo ci giunge in redazione un documento a firma del professor Claudio Bonvecchio, Gran Maestro aggiunto del GOI (imputato anche lui, se ben sappiamo, il prossimo 29 luglio).
Non è, sul piano grafico, di grande resa, ma ci pare importantissimo, diremmo storico, sul piano sostanziale. Lo aggiungiamo al nostro redazionale portandolo a pubblica conoscenza e ringraziamo l'amico della nostra testata e iscritto alla già citata loggia per la cortesia del tempestivo invio.
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