Il paganesimo anche dei cattolici nel Vietnam della… corruzione ecumenica, nella rappresentazione fattane da don Angelo Pittau
di Gianfranco Murtas
Ecco il secondo capitolo di Vietnam: una pace difficile, pubblicato nel 1969 dalle bolognesi edizioni Dehoniane. Il quadro è impietoso nel suo dettaglio di uomini ed episodi, nel racconto delle logiche guaste.
Nel rancido regno di Cao Ky e Van Thieu, di compari ed avversari
Il generale Nguyen Van Thieu, capo del direttorio dopo il colpo di stato del 19 giugno 1965 venne eletto, con il 36% circa dei voti, presidente della repubblica del Vietnam. Il generale dell'aria Nguyen Cao Ky è così vicepresidente.
La percentuale fa meraviglia. E' un successo grande se si considera la dispersione dei voti date le dodici liste. Ma ancora più grande è la meraviglia se si pensa che Thieu sino alle elezioni era il dittatore del Vietnam ed avrebbe potuto facilmente vincere con l'80% dei voti come tutti i dittatori di questo mondo! Non ha voluto avere una maggioranza schiacciante proprio per stare al gioco oppure la macchina della democrazia organizzata da lui stesso e dagli americani ha funzionato? E Thieu sarebbe proprio per questa scarsa percentuale l'uomo voluto dal Vietnam. Calcolando i voti dei cattolici, della setta dell'Hoa Hao, dei caodaisti e dell'esercito avrebbe dovuto avere almeno due milioni di voti: ne ha avuto di meno, segno che l'elettorato non si è chiuso in feudi fissati precedentemente.
Thieu è voluto dai cattolici perché cattolico e forte nella condotta della guerra. Voluto dai generali perché generale e soprattutto perché Ky è con lui. Voluto dalle minoranze etniche che si era saputo conquistare con leggi favorevoli a loro, voluto dalle piccole cooperative che prima delle elezioni aveva abbondantemente aiutato... forse voluto dagli stessi americani perché lo credono facilmente manovrabile anche se il loro uomo nel periodo dell'elezione era ancora Ky.
Ho visto e seguito Thieu durante la sua campagna elettorale e in molte altre occasioni dopo. La sua piccola taglia di vietnamita, il suo gestire ispira fiducia, non s'impone è vero ma è simpatico. Con la stampa è accondiscendente, sa essere calmo, accetta i colpi ma sa anche arrabbiarsi, in fondo è un uomo limpido anche se ormai si è abituato a vivere tra i lupi della politica in Vietnam. Adesso poi si sente più sicuro: il milione e seicentomila voti delle elezioni sono la sua forza.
In tandem con lui è Ky, primo ministro del governo dal 1965. E' un duro del Nord, sogna ritornarci vincitore, costruirsi ad Hanoi una casa migliore di quella che aveva. Giovane, con una moglie anch'essa giovanissima e bellissima e una nidiata di bambini, sa indulgere alle mollezze proprie dei duri aviatori americani e allo stesso tempo mostrarsi di un nazionalismo feroce. In Vietnam ci sono pochi nomi: Ho Chi Minh, Giap, Diem, Ky. I contadini non ne conoscono altri, sono i miti per un campo o per l'altro. Thieu in paragone a Ky è uno sconosciuto.
Dopo le elezioni tutti puntavano le carte su di lui, lui sarebbe dovuto essere il vero uomo del potere.
Come abbia accettato il posto di vice-presidente non si sa. Secondo la costituzione in qualità di vicepresidente deve abbandonare la sua carica di primo ministro ma soprattutto diventa civile, entra in aspettativa, i suoi aerei saranno comandati da altri, quegli aerei che dal 1964 l'hanno fatto arbitro di tutti i colpi di stato e che adesso lo tengono saldo nel potere. Dalle elezioni Ky esce terribilmente indebolito: come vice-presidente non ha più un ruolo principale da giocare salvo i colpi di stato che sono passati di moda. E con Ky naturalmente esce indebolita la corrente dei «falchi» vietnamiti, quelli della guerra al Nord.
E nelle elezioni presidenziali c'e un altro risultato che sorprende: Dzu già avvocato di Saigon, uscito secondo con 800 mila voti e che subito ha chiesto l'annullamento delle elezioni. Si e presentato alla campagna elettorale con un programma invidiabile: cessazione immediata dei bombardamenti e delle operazioni militari, negoziati con Hanoi con il Fronte di Liberazione Nazionale. Il programma ha fatto sognare molti soprattutto a Saigon e nelle città. Era un prodotto tipicamente di un gruppo americano anti Jonhson in vista delle future elezioni presidenziali degli Stati Uniti.
Dzu alle elezioni è stato il cavallo dei buddisti ma anche molti cattolici hanno votato per lui. C'e anche chi dice che è stato pagato per fare lo sconfitto… Strano personaggio che ha legami con il capo attuale del Fronte e con il vecchio regime di Diem. Adesso si trova nei bagni penali per una dichiarazione fatta a maggio del 1968 in favore del riconoscimento del Fronte. Potrebbe divenire un martire, un uomo di riserva.
L'onesto Suu, antico capo di stato, buddista anche lui, deve accontentarsi del terzo posto. Dopo le elezioni non si parlerà più di lui. Solo nel mese di dicembre 1968, quando le conversazioni stanno incominciando, lo si trova insieme a Thich Tri Quang, al generale Minh per una dichiarazione sulla necessità di un governo «forte, onesto, gradito» sia per poter far fronte alle conversazioni di Parigi e sia per resistere alla nuova tattica di intimidazione dei vietcong. Ha sostituito Dzu? E' l'uomo nuovo dei buddisti per l'influsso del generale Minh? Ancora troppo presto per decidere. Certo è onesto, dicono.
Regolare è anche l'elezione dei rappresentanti per il senato. Non esistono partiti ancora in Vietnam e per questo si raggruppano i senatori per religione: 27 cattolici su 60 danno subito all'occhio. Poi ci sono i molti amici di Ky, i pochi amici di Thieu. Ci sono i vecchi uomini di Diem che hanno avuto un successo straordinario, forse inaspettato dagli americani che, ciecamente o per crearsi un alibi, continuano a parlare dell'impopolarità di Diem! Sono quelli della lista numero 5: uomini tutti capaci di governare, pieni di esperienza e potenti. Un primo comunicato li ha dichiarati vincitori ma subito dopo è seguita una smentita; i membri della lista non accettarono i comunicati e misero in mano ai giudici la causa. Nell'attesa della risposta giudiziaria il governo cercò di comprare la rinuncia al mandato con un forte compenso. Ma la lista non si lasciò comprare e così entrò nel senato.
Sembra certo che non sono stati i vietnamiti al potere a creare lo scandalo, ma gli americani che cercavano di dare soddisfazione a Cabot Lodge di cui gli uomini della lista sono nemici da antica data: non gli perdonano di aver eliminato Diem.
Ma il risultato delle elezioni del 3 settembre e poi dell'elezione dei deputati non è solo una serie di nomi al potere ma un risultato incalcolabile di democrazia che a mano a mano è apparso lungo i mesi successivi e le cui conseguenze durano ancora. Un fatto irreversibile nella storia di questa nazione: comincia a credere alla esigenza di una democrazia.
Certo contare i voti nulli, quanti poi non hanno votato dei registrati per le elezioni, quanti non sono stati iscritti nei registri in quanto in zone controllate dai comunisti, può portare alla conclusione che le elezioni sono state terribilmente parziali.
Gli iscritti erano 5 milioni e ottocentomila, hanno votato quattro milioni e settecentomila, gli abitanti del Sud Vietnam sono diciassette milioni. Il 40% del territorio nazionale e degli abitanti è sotto controllo dei vietcong: questo 40% sono proprio i voti che mancano alle elezioni; un dato che avrà conseguenze. Gli americani a novembre del 1968 nella polemica sorta per l'arresto totale dei bombardamenti e per l'iniziativa unilaterale delle conversazioni si lasceranno sfuggire: «Del resto Thieu non è che rappresenti tutta la nazione».
Le elezioni ad ogni modo hanno creato un clima nuovo in Vietnam. Alla fine di settembre 1967 l'assemblea costituente nazionale come ultimo suo atto doveva ratificare le elezioni senatoriali e presidenziali. Ci si preparò accanitamente a questo momento quasi si volesse cogliere l'occasione di fare saltare tutto.
Il clima di euforia scomparve. Militari, cattolici, preti, funzionari, buddisti, capi provincia, vescovi, eletti e sconfitti, studenti, tutti insomma avevano un'opinione, un'interpretazione da dare e tutti erano denigratori. E' nel loro carattere: amano sentirsi dire che le cose sono andate bene. I primi a scendere in campo furono i buddisti, gli sconfitti del momento. Sconfitti alla presidenza con il loro candidato Dzu e il programma di neutralismo, sconfitti al senato con la massiccia presenza cattolica e di nostalgici di Diem, per non parlare anche della presenza degli amici di Ky non certo teneri con i buddisti.
Il 28 settembre 1967 i bonzi manifestano per le vie di Saigon: sono quasi mille. Si era stati molto tempo senza vederli. Sono partiti dalla pagoda di An-Quang, in processione bonzi e bonzesse guidati da Thich Tri Quang. Assediano praticamente il palazzo presidenziale, Doc-Lap. Chiedono l'annullamento della Carta buddista del 23 agosto 1967. Ma è un pretesto; la protesta ha un più generale significato politico: non si tratta certo soltanto di una bega religiosa contro l'altro ramo buddista di Thich Tàm Chau, cui si contesta la Carta buddista, ma anche la maggioranza nel Consiglio buddista e soprattutto i fondi americani e governativi per le numerosissime organizzazioni buddiste. Naturalmente Thich Tàm Chau appoggia Thieu!
La manifestazione di Thich Tri Quang è copertura a parecchi sconfitti e all'azione che hanno iniziato per far annullare le elezioni. In Vietnam non ci sono partiti ma se ce ne fossero potremmo dire che è un partito che protesta.
Intanto all'assemblea nazionale inizia il dibattito sulle elezioni. Lo speciale comitato incaricato di sorvegliare le elezioni e di preparare la discussione esorta l'assemblea a votare contro l'approvazione. Del resto si comprende, se le elezioni vengono ratificate l'assemblea nazionale deve lasciare il posto al senato.
Ma era scontato che le elezioni sarebbero state ratificate, perché allora questo urlare? Chi ci guadagnava?
Certamente non gli americani. Dzu, sconfitto, poi finito in prigione forse per motivi politici, ma formalmente sotto l'accusa di traffico di dollari, ormai è fuori dalla lotta politica per un certo tempo. Ky ci avrebbe guadagnato, poteva riprendere il suo potere. Ma gli amici di Ky che sono all'assemblea sono pagati dagli americani per ratificarle. Le discussioni violente, lo schierarsi contro di quasi tutti nei primi giorni di discussione è forse tutta una montatura anche se la piazza sembra crederci.
Strane giornate in cui ai bonzi accampati dinanzi al palazzo presidenziale cominciano ad unirsi gruppi di ragazzi e di giovani, di universitari. I ragazzi sono guidati dai bonzi, sono alunni delle loro scuole. Saigon è abituata a queste manifestazioni ma questa volta sembra che ci sia qualcosa d'imponderabile.
Universitari e ragazzi si riversano nella Tu-Do, davanti all'assemblea nazionale, con loro è una massa di donne che ormai partecipano a tutte le manifestazioni per un po' di piastre. Il vice-presidente dell'assemblea li accoglie, parlamenta con loro. Tra la folla è la moglie di Dzu che protesta con un cartello in inglese (per i giornalisti!) e in vietnamita contro l'arresto illegale del marito. Un gruppo di rappresentanti delle cinque università di Vietnam riesce a piazzarsi al di là delle transenne, la polizia lascia fare.
La riunione viene interrotta. Il presidente dell'assemblea esce per parlare con i manifestanti, dice che anche lui ha chiesto all'assemblea l'annullamento delle elezioni: è Suu candidato sconfitto alla presidenza, ex capo di stato. Accolto da un urlo di trionfo viene portato sulle spalle di nuovo dentro l'assemblea. Poi come se si fossero dati un ordine la massa dei giovani si riversa per distruggere il monumento costruito per esaltare le prime elezioni libere del Vietnam. Il monumento è in lamiera (la lamiera è il simbolo della presenza americana in Vietnam, come i mattoni rossi erano quello dei francesi), è facilmente demolibile così. Un barattolo di tinta nera cancella i nomi del presidente e del vicepresidente eletti: sembra proprio che con quel barattolo di tinta lanciato dallo studente universitario le elezioni vadano annullate.
Ma ecco che la polizia carica gli studenti e i giornalisti. Le Loi torna calma, la polizia chiude il centro della città, gli stessi bonzi sono isolati. Il monumento semidistrutto lordato di fango resta come segno di ciò che è avvenuto ma per poco.
Una squadra di operai dopo un'oretta comincia a rifarlo, nel pomeriggio alle quattro tutto è come prima.
Le elezioni saranno riconosciute? Nella assemblea si continua a parlare contro le elezioni ma la città ormai è calma ben presidiata dalla polizia. Si sono lasciati sfogare democraticamente gli avversari sino all'ultimo momento poi si è imposto il rovesciamento delle posizioni. La sera del 1° ottobre il vicepresidente dell'assemblea mette in dubbio l'autorità di invalidare le elezioni. Il 2 ottobre le mozioni contrarie (erano trentasette) vengono esaminate, messe in ridicolo e respinte ad una ad una; solo sette si salvano ma sono di nessuna importanza. La sera alle ventitré le elezioni sono convalidate. Il Vietnam ha il suo presidente della repubblica, il suo senato eletto democraticamente. Un intervento ancora degli americani fatto soprattutto di dollari, dicono.
I bonzi sono ancora ad aspettare dinanzi al palazzo presidenziale; ci resteranno per quindici giorni. Ma ormai è chiaro che le manifestazioni religiose o di studenti comprati non servono più. Thieu comincia a sentirsi più forte se ha accettato la sfida di Thich Tri Quang non ricevendolo nemmeno.
Ottobre così arrivò al termine senza molte scosse. Il 31 ottobre è l'inizio del nuovo periodo del Vietnam.
Saigon ha l'aria di festa, dalle nazioni amiche sono arrivate le delegazioni per partecipare al giuramento di Thieu, primo presidente eletto democraticamente in Vietnam del Sud. Anche Diem, dopo che era al potere come Thieu, indisse elezioni «libere» (anche allora erano stati gli americani a chiederle, Diem era il loro cavallo contro i francesi) e ne uscì vincitore con una percentuale assai più alta di quella di Thieu. Ma gli americani non vogliono che si ricordi Diem e così Thieu è il primo presidente.
La cerimonia del giuramento è veramente solenne, grandiosa, quasi mondana. Chi pensa alla guerra? Un'atmosfera solenne, a tal punto solenne che sa di operetta. Forse sono le fantastiche divise militari dei generali, dei cadetti, della truppa stessa. E' difficile dimenticare del resto che si è sui gradini dell'antico teatro dei francesi.
Eppure Thieu parla dignitosamente. Parla contro la corruzione, per la democrazia, di pace e di iniziative per la pace, parla di sviluppo e di amore alla terra degli antenati; finisce non senza un chiaro riferimento alle divisioni che ci sono anche in campo religioso, con una esortazione all'unità per innalzare una comune preghiera all'Onnipotente per il Vietnam.
Un discorso piano e nobile che non può non attirare la simpatia per questo uomo che ha in mano (per quanto gli permettono gli americani) il paese più difficile del mondo.
Nel pomeriggio dello stesso giorno è l'inaugurazione della camera dei deputati. Sono 137, sono stati eletti su 1.400 candidati, per loro ha votato il 75% del corpo elettorale. Non sono riuniti in partito, come i senatori anche loro vengono divisi per religione: 46 buddisti, 37 cattolici, 13 HoaHao, 5 caodaisti, 4 confucianisti, 2 protestanti, un musulmano. I cattolici non sono contenti di averne solo 37. Si ha il sospetto che sia stato chiesto ai vescovi di non concentrare i voti su determinati nomi per non rendere più nervosi i buddisti dato il successo dei cattolici alle elezioni presidenziali e senatoriali.
Thieu alla camera parla più chiaramente che la mattina. Il discorso sulla guerra è chiaro, il desiderio di vittoria è marcato, le possibilità di trattare (la lettera ad Ho Chi Minh) sono sommerse in una serie di condizioni.
L'aria di festa fa dimenticare ciò che sta avvenendo nella capitale della provincia di Long Binh, presa e devastata dai vietcong.
La sera c'è un grande ricevimento nei saloni del palazzo presidenziale: autorità militari, politiche e religiose, giornalisti e naturalmente il corpo diplomatico e le speciali delegazioni per la festa. La presenza del vicepresidente americano Humphrey, dell'ambasciatore Bunker, del generale Westmoreland concentra l'attenzione. Si parla apertamente di un probabile ritiro di Westy, si nota la permalosità di Ky che non vuole essere secondo con la sua signora, più bella che mai dopo le operazioni estetiche agli occhi. Un'aria di mondanità. Nessuno pensa al 1° novembre 1963 e al dramma che si svolgeva in queste stanze segnando la fine violenta di Diem. In questa atmosfera piovono, sordi, cinque colpi di mortaio vietcong: cadono nel giardino del palazzo. Dieci metri più in là e sarebbero stati tiri storici. Westy continua a dire che la guerra in due anni sarà vinta dagli americani.
Le elezioni, il risultato, l’inizio del potere di Thieu sono insomma veramente tra il serio, la tragedia e l’operetta. Eppure ad un anno di distanza il bilancio è più positivo di quel che si potesse credere.
A parte le leggi approvate (mobilitazione generale, istituzione del potere giudiziario indipendente, lotta alla corruzione) è soprattutto un'attitudine di formale rispetto delle istituzioni democratiche assunto da Thieu nell'esercizio del suo potere. Thieu chiede e le camere approvano dopo non pochi violenti dibattiti in cui i vari interessi hanno un forte gioco… è vero che sino ad ora tutto ciò che ha chiesto Thieu è stato approvato.
Lo stato di guerra, la censura di nuovo istituita, i poteri speciali dopo il Tét sono le camere a volerli. Sono le camere a discutere l'operato dei ministri sino a chiederne ed ad ottenerne la testa. La camera e il senato lentamente prendono potere, diventano arbitri della nazione, gli stessi generali devono tenerne conto.
Cominciano a formarsi gruppi politici piuttosto che religiosi che cercano una base nel popolo, nel sindacato e nelle categorie dei lavoratori al di là del gioco d'influenza di finanziamenti occulti.
Praticamente Thieu non è stato mai applaudito o adulato nei suoi discorsi alle camere riunite. Ma il 2 novembre del 1968 quando indignato si è rifiutato di avallare le conversazioni di Parigi, l'arresto dei bombardamenti deciso unilateralmente dagli americani in vista delle elezioni presidenziali, i deputati e i senatori in 25 minuti di discorso l'hanno interrotto 19 volte per applausi. Dopo il discorso si sono recati a piedi (quasi un chilometro) per esprimergli di nuovo il loro appoggio.
Le elezioni hanno creato una base democratica irreversibile, hanno dato una voce ad una maggioranza di popolo che esprime le sue opinioni su questa guerra e sulle soluzioni possibili. La stessa soluzione del problema sud-vietnamita non può essere fatta al di là di queste assemblee. Gli americani cercano di dimenticarlo ma è un fatto che non sono stati solo i senatori e deputati a resistere all'atteggiamento unilaterale americano e a reagire favorevolmente al discorso presidenziale ma nei piccoli villaggi, tra i soldati e poliziotti, nei contadini ho visto l'orgoglio di avere un presidente che diceva no per loro.
Proprio come conseguenza delle elezioni da loro stessi organizzate e volute, a Parigi gli americani non sono soli a decidere: nel Sud Vietnam vi è ormai una maggioranza democratica espressione del popolo vietnamita, che vuole dire di no al comunismo.
In Le stelle di terra, la silloge poetica che Angelo Pittau dette alle stampe del 1999, compaiono questi dolci, positivi e intensi versi di pace e ricordo vietnamita titolati “Khe Sanh”. Dà loro compagnia un disegno di Armando Severini, artista-artigiano delle cose più belle per onorare la sofferenza – tutte le sofferenze – degli uomini, a partire da quelle conosciute dalla stessa patria italiana schiavizzata dal fascismo e dal nazismo dei campi e delle fosse…
Khe Sanh
Oggi
A Khe Sanh
nella pista ieri terrore e morte
piantano il caffè
dell'incontro e dell'amicizia
i combattenti reduci
coi figli dei combattenti morti
a Vinh Moc
dalle viscere della terra rossa
le ancora il tepore del sangue
martiri della resistenza
ad accendere il tuo orgoglio
di Vietnamita
e il tuo tenero desiderio
di amore e di pace.
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