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La Massoneria dietro la nascita degli Stati Uniti d'America

Mimmo leonetti nella sua visione del 4 luglio

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Dietro la nascita degli Stati Uniti d'America si è consolidata tutta una mitologia che vede in George Washington, Simon Bolivar e Giuseppe Garibaldi l'incarnazione delle forze del Bene; essa coinvolge l'orgoglio patriottico di interi popoli, compreso il nostro. I valori massonici sono tutt'altro che morti, anzi, sono tuttora i valori fondanti della cultura odierna.

Una cosa è certa: a partire dalla fondazione, nel 1717, della Grande Loggia londinese, si assiste a una accelerazione nei processi politici e sociali che, dal liberismo relativamente moderato della filosofia di Locke e dall'umanitarismo e dal cosmopolitismo, tipici del primo Illuminismo, giunge ai furori iconoclasti della Rivoluzione francese e, poi, alle fortissime componenti anticlericali delle lotte indipendentistiche sia nelle colonie spagnole dell'America Latina (vedi Miranda nel Venezuela), sia nell'Italia risorgimentale (Mazzini e Garibaldi in primis).

È come se un grosso ragno avesse filato, con pazienza e costanza, una rete sempre più vasta, mirante a creare un nuovo ordine mondiale che, con l'obiettivo dichiarato di abbattere l'assolutismo e il cristianesimo, avesse in realtà perseguito quello, segreto, di instaurare un potere occulto a livello globale, di natura sia economica che politica.

Hanno scritto Michael Baigent e Richard Leigh (già noto a livello internazionale per la controversa opera «The Holy Blood and the Holy Grail») nel volume «Origini e storia della Massoneria. Il Tempio e la Loggia» (titolo originale: «The Temple and the Lodge», London, 1989; traduzione italiana di Maria Eugenia Morin, Roma, Newton & Compton Editori, 1998, 2066, pp. 224-25, 228-29):


Uno degli interrogativi fondamentali sulla guerra d'indipendenza americana è come e perché la Gran Bretagna riuscì a perderla. Giacché la guerra non fu tanto vinta dai coloni americani quanto persa dagli inglesi. La Gran Bretagna da sola, indipendentemente dagli sforzi dei coloni, aveva la capacità di vincere o perdere il conflitto; e mancando la determinazione di vincere, la guerra fu persa più o meno per omissione.

In quasi tutti i conflitti - la guerra di successione spagnola, ad esempio, la guerra dei Sette Anni, le guerre dell'epoca napoleonica, la guerra di secessione americana - la vittoria o la sconfitta dell'uno o l'altro contendente può essere spiegata in termini militari. Nella maggioranza di quei conflitti, lo storico può indicare uno o due fattori specifici: certe decisioni tattiche o strategiche, certe campagne, certe battaglie, certe considerazioni logistiche (come le linee di rifornimento o i volume della produzione industriale), o il semplice processo di logoramento.

Uno qualsiasi di questi fattori può affermare lo storico, singolarmente o in combinazione con altri, provocò il crollo di uno dei combattenti, e lo mise nell'impossibilità di continuare a combattere. Ma nella guerra d'indipendenza americana non vi sono fattori che lo storico possa validamente indicare. Persino le due battaglie considerate abitualmente decisive - Saratoga e Yorktown - si possono considerare tali solo in termini di morale americano, o forse, col senno di poi, in termini di "spartiacque" ideali. Nessuno dei due scontri annientò, o ridusse drasticamente, la capacità della Gran Bretagna di continuare a combattere. Entrambi coinvolsero solo in minima parte le truppe britanniche dislocate in Nordamerica.

Fonte: Mimmo Leonetti
Autore: Mimmo Leonetti ARTICOLO GRATUITO
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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