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Gianfranco Murtas

La Massoneria e la politica sarda. Breve commento alle osservazioni di Paolo Maninchedda

di Gianfranco Murtas

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Nel suo sito SL Sardegna e Libertà oggi Paolo Maninchedda pubblica l’articolo che qui appresso riporto e mi permetto, in conclusione, di commentare: 


Quale massoneria in Giunta?

Si capirà nei prossimi mesi perché nutro così tanto interesse per la massoneria sarda, e spero di poterlo esplicitare non solo narrativamente ma giudiziariamente.

Nell’attesa, penso sia importante cominciare a descrivere pubblicamente un quadro illuminante del degrado della politica sarda.

In Italia esistono tre obbedienze ufficiali. il Grande Oriente d’Italia, la Gran loggia nazionale d’Italia, la Gran Loggia regolare d’Italia.

Poco importa stare qui a fare la storia delle tre obbedienze. Importa invece ricordare che la seconda ammette l’adesione delle donne.

Quale delle tre obbedienze ha più successo in Sardegna?

Da quando governa la Giunta Solinas, per motivi inspiegabili, l’obbedienza di maggior successo è la seconda, con robuste presenze maschili e femminili, a quel che si può ricostruire, nella Giunta regionale. Altro luogo di successo è Nuoro, luogo di fusione istituzionale tra cattolici e massonici, perché tutto fa brodo.

La cosa interessante è che il ‘carnevale’ del pranzo di Sardara, quello a indignazione momentanea di massa, avrebbe determinato una tensione tra membri del Grande Oriente d’Italia e membri della Gran loggia nazionale presenti nella Giunta e negli staff, tensioni non risolte nei templi massonici, ma neanche con la legge sugli staff, tensioni di egemonia di influenze.

La terza obbedienza, invece, è più diffusa in quel d’Oristano, ha più ambizioni politiche della altre, negozia, media, ordisce. Prima si riuniva nei templi, ora predilige i ristoranti, ma l’odore massonico si sente anche quando si cucina cacciagione. Proprio dentro la Gran Loggia regolare non mancherebbero più intense presenze di esponenti delle forze dell’ordine e questo sarebbe all’origine di alcune tensioni tra corpi dello Stato e settori della magistratura la quale comincia solo ora (perché tendenzialmente addormentata) a capire di essere stata ripetutamente manipolata. In questi ambienti ruotano senatori laticlavi della Repubblica e molti colleghi universitari (ma per i chirurghi si dice siano concentrati per legge nel Grande Oriente, come gli avvocati, alcuni dei quali insospettabili per la loro dichiarata militanza cattolica, ma si sa, vi è chi ritiene di poter fare un po’ quel che gli pare, tanto Dio è ‘nascosto’).

Ma se il mondo grembiulato fosse così semplice, sarebbe quasi trasparente. E invece no.
Perché anche in Sardegna esistono obbedienze spurie come nel resto d’Italia, quelle obbedienze che frequentemente finiscono nelle indagini della magistratura per i rapporti con ambienti equivoci quando non malavitosi. 

Una si trova in Gallura. Non è noto se abbia proiezioni sul governo regionale, vi è chi le garantisce, chi le smentisce e chi le garantisce assonnate.

L’altra si trova a Cagliari e sarebbe nata da un tentativo senile del gran maestro Armandino Corona di generare un’obbedienza cui affidare il grande patrimonio di conoscenze, tutte esoteriche, ovviamente, che egli aveva accumulato nel corso della vita. Questa osservanza cagliaritana sarebbe molto riservata ma altrettanto attenta ai ruoli professionali e alle dinamiche del mercato. Anche questa avrebbe proiezioni in Giunta non generate dalla città, ma dalla periferia non periurbana.

Poi c’è il capitolo dei dirigenti dell’amministrazione regionale. La vecchia guardia stava nel Grande Oriente, la nuova con chi ‘promuove’ meglio.

Ecco, questo è il quadretto iniziale. Ne riparleremo.


Breve commento in amicizia

Premetto che ho molta stima personale di Paolo Maninchedda. Credo di condividere con lui molti valori… di quelli che contano più di tutti nella vita degli uomini, pur se mi senta molto lontano dalle sue idee politiche, sia sul piano dell’indipendentismo – opzione che per me è una autentica bestemmia – sia su quello della ricerca e costruzione delle militanze attive, che per lui sono andate dalla DC e dal Partito Popolare a Progetto Sardegna e al PSd’A (nazionalitario e indipendentista), fino al Partito dei Sardi e forse ad altro ancora. Ma la civiltà, direi la colta signorilità sua naturale, non offuscata mai dalla pur marcata passionalità con cui difende le sue idee, che cerca sempre di sostenere con riflessioni profonde ed aggancio a dati di fatto, gli meritano oggi una garbata, amichevole risposta.

Dire di massoneria è dire sempre, nel sentire più diffuso di un paese sviluppatosi con sacche di pregiudizio ora dottrinario ora qualunquistico, o di malaffare o di interessi comunque opachi che confondono la sfera pubblica e quella privata. E’, questo, fenomeno nazionale, almeno nazionale, non soltanto sardo. Né dimentico che ancora nel 1865, lo stesso anno della propalazione degli insulti antimassonici contenuti nei famosi Goccius studiati da amici miei cari come Lorenzo Del Piano, Fernando Pilia ed altri, un piedilista della loggia Vittoria circolò per Cagliari dandosi per titolo “Amici della vera camorra”. Gli è che, con qualche semplificazione, ma senza sbagliare nella sostanza, da parte di certi clericali d’un resistente ancien régime e di probabile decadenza patrizia, la Libera Muratoria era identificata sul piano sociale come espressione della borghesia professionale e imprenditoriale (subentrante all’aristocrazia nel governo del bene comune e nella direzione delle attività produttrici di reddito e ricchezza) e su quello ideologico nel liberalismo, forse anche nella democrazia radicale (capace di riorientare, con processi di leadership, lo spirito pubblico).  

Dalla destra storica alla sinistra storica – che ampliò la scolarizzazione pubblica (e laica) e l’elettorato attivo ed arrivò anche ad abolire la pena di morte (e uomini di formazione diversa ma di pratica massonica tutti quanti, da Coppino a Depretis a Zanardelli, potrebbero riassumere, con il loro nome, il tutto) – si giunse alla grande guerra – tragica grande guerra –, vissuta dalla Massoneria del Grande Oriente d’Italia come “necessaria” quarta guerra d’indipendenza, per portare nei confini della patria quei tanti nostri costretti ancora nei confini del regime imperiale austriaco. Fra essi – ed era vita, non retorica letteraria – dopo Guglielmo Oberdan impiccato 24enne nel 1882 ed a Cagliari e Sassari onorato ogni 20 dicembre da quel 1882 –, Cesare Battisti, che era giunto in Sardegna nel 1914, accolto da repubblicani e socialisti, massoni e no, tutti interventisti, impiccato dagli austriaci nel 1916, e anche Nazario Sauro, impiccato pure lui, massone originario di Capodistria (la patria del nostro e mio amico e maestro Fabio Maria Crivelli).

Le logge sarde pagarono un prezzo salato, con i lutti più amari e di giovani loro dignitari, alla grande guerra e alla causa della unità d’Italia compiutasi nel 1918 con i trentini e i triestini di radice italiana finalmente fatti, di pieno diritto, anche cittadini della patria sognata.

Venne il fascismo, molti quotizzanti lasciarono le logge, anche a Cagliari (una ventina addirittura): diversi di loro erano militanti sardisti, e s’intrupparono nel sardofascismo, abbandonando insieme la loggia e il partito dei Quattro Mori, nel cui gruppo dirigente i massoni erano in numero cospicuo (così dal 1921, e direi dal 1919 che preparò il tutto). Intanto il Gran Maestro Domizio Torrigiani condivise con Lussu il confino a Lipari, per esserne infine liberato, ormai cieco, soltanto per morire. E l’intera dirigenza del Grande Oriente d’Italia e del Rito Scozzese Antico ed Accettato emigrò, al pari di quella dei partiti democratici, a Parigi per l’intero ventennio mussoliniano. Operando – attraverso la Lega dei Diritti dell’Uomo – nella concentrazione antifascista, con i gielle (Nitti, fondatore di GL con Rosselli e Lussu, era massone e avrebbe ripreso l’attività massonica al rientro in patria) e i socialisti ed anche i comunisti.

Non mancò la presenza, e il martirio perfino, neppure nella guerra di Spagna: il sangue dei massoni – di quelli garrotati e di quelli fucilati dai falangisti di Franco – dette onore a migliaia – migliaia! – di nomi. Furono nomi di massoni spagnoli e nomi di massoni europei (italiani compresi, per il più mazziniani).

Nel dopoguerra italiano furono alcune decine i massoni eletti alla Assemblea Costituente, eletti in diverse liste alcune moderate altre progressiste, con prevalenza nel campo repubblicano. Lo stesso presidente della Commissione dei 75, Ruini, aveva vissuto l’esperienza della iniziazione (e sono di studi recenti i recuperi di documenti della sua militanza).

Il resto è storia della democrazia italiana per come l’abbiamo conosciuta e vissuta, noi tutti delle generazioni sbocciate all’indomani della fine dei tormenti imposti dalla dittatura, con i suoi cascami repubblichini, e dalla guerra ancora combattuta. Generazioni battezzate dal referendum istituzionale e giunte, con il loro lavoro, ai traguardi dello sviluppo materiale e civile, e della (pur complessa) integrazione europea nella conservazione della pace continentale ed intercontinentale.

Io credo che, per il tanto che da esso è venuto sia alla classi dirigenti (non soltanto nella politica) che alla cittadinanza consapevole dei propri doveri, il Grande Oriente d’Italia sia, proprio come soggetto corporativo, un patrimonio morale della nazione. Non esente da limiti, da errori, direi perfino da colpe. Da colpe seminate nel tempo per inadeguatezza degli uomini, come tutti, io per primo, siamo sovente inadeguati ai compiti che ci attendono nei passaggi della vita e privata e pubblica. Ciò non di meno esso ha saputo conservare, al netto di tutto, memoria di sé e della sua missione.

Nel corso degli anni ha subito, ora per sue debolezze e infedeltà interne, ora per pressioni o accadimenti esterni, lacerazioni e scissioni. Sono sorte nel tempo numerose obbedienze – le une del tutto autonome, direi avulse, dalle altre, perfino ostili in punto di concorrenza le une verso le altre, solo rimandandosi tutte quante a condivise scuole di tradizione simbolica – e così è avvenuto anche in Sardegna. Fino a prova contraria esse tutte meritano rispetto.

Quel che deve essere chiaro è che la nobiltà di una tradizione di pensiero e di presenza – quella che possiamo ricondurre, secondo sensibilità nostre (e mie) personali, a nomi sardi e italiani in mix come Giorgio Asproni e Mario Berlinguer, come Ernesto Nathan e i venti scaraventati nelle Fosse Ardeatine (il sardo Salvatore Canalis compreso), come Carlo Angela e Alberto Manzi, a scendere o salire dalla politica alle professioni, alla medicina, all’insegnamento e ai salvamenti di ebrei – non deve essere un privilegio goduto oggi ma un onere morale supplementare da onorare oggi.

La vicenda che lo scorso anno ha visto un Maestro Venerabile della Massoneria di Palazzo Giustiniani insultare pubblicamente la venerabile – davvero venerabile! – figura di Giovanni Bovio nella sede cagliaritana di palazzo Sanjust, che ha visto lo stesso Maestro Venerabile (in carica), insultare con zolfate idiote e volgari il presidente della Repubblica Mattarella, il presidente emerito Napolitano, il presidente della Camera Fico, che ha visto lo stesso Maestro Venerabile (in carica e al tempo perfino presidente dei Venerabili della città intera) insultare la stessa ritualità massonica (barattando la sede morale di Hiram per una canna da pesca) e confondere lo storico Grande Oratore che celebrò Giordano Bruno nel 1889 a Campo de’ Fiori con i panni di un generale di Pinochet assassino di Salvador Allende – fa pensare e temere… Avvilisce e indigna chi crede, come in religione, a certi valori che sono “per sempre”. Come nel risorgimento patrio, o nell’aura rosacruciana del XVII secolo, o, sempre all’indietro, nelle prove architettoniche dei maestri comacini, così in tempi di tecnologie avanzate, di avventure informatiche, di esplorazioni e conoscenze sorprendenti del genoma umano e dei buchi neri gravitazionali… sempre, sempre, nella umiltà della sequela di chi ha osato, portando il nuovo, contribuire alla tradizione, arricchirla di pensiero e di esperienza. 

E invece l’insulsa volgarità che è stato dato di registrare, tanto più per la copertura che ad essa è stata fornita ad abundantiam da figure certe della dirigenza magistrale sarda e anche nazionale – dal presidente circoscrizionale e dall’Oratore (assolutamente ignavo ed incapace perfino di dimettersi per dignità), ai graduati di altri livelli disertori anch’essi dai loro uffici di esempio, testimonianza, docenza e difesa dell’onorabilità della corporazione, tutto questo fa pensare che il fango stia coprendo l’oro della missione e fa pensare anche che Maninchedda non abbia torto nel registrare l’abbassamento del tono, e viluppi miserabili nel servizio del bene pubblico.

Egli porta tutto ad una attualità bruciante sul piano della politica regionale e guarda ai contributi più o meno scempi (?) che da una parte o dall’altra sono venuti o vengono alla sede capitale della responsabilità autonomistica. Può essere, ripeto, che abbia ragione, o abbia alcune ragioni derivate da informazioni che a me mancano circa le attività non di tre ma di dieci obbedienze oggi all’opera soltanto a Cagliari (e/o con qualche ramificazione nel territorio).    

Ma certo la necessità di una politica trasparente, trattandosi sempre – per dirla con il mio maestro civile Ugo La Malfa, padre della patria – di “interesse generale” che va sempre e comunque protetto, trattandosi sempre – per dirla con le parole solenni di un grande papa che ho molto amato come Paolo VI – di “forma più alta della carità”, è necessità che tutti quanti avvertiamo, noi cittadini che pur non contiamo, almeno all’apparenza, niente. 

I massoni, se credono davvero – e debbono crederlo! – alla santità della loro militanza umanistica, umanitaria e civile, debbono per obbligo di coscienza essere i primi vigilanti: nessuna convenienza di parte deve poter deviare il corso democratico dal suo naturale sviluppo per la crescita civile di tutti: “lavorare al bene e al progresso della umanità, nei templi e fuori dai templi” è impegno di coscienza, ed è cosa magnifica, capace davvero di riempire la vita.

Voglio credere, debbo credere, che anche in Sardegna, tanto nel GOI come asse portante, testimoniale e pedagogico, della tradizione civile e libertaria, patriottica (non alla Meloni s’intende, ché quella sua è una recita di frasi fatte che non danno onore neppure alla destra che pur ha una sua nobile storia nella cultura, nell’arte e nella filosofia dell’Italia di Croce ed Einaudi e già di Cavour e, cento anni dopo, dell’europeista Martino!), quanto nelle altre obbedienze minori oggi in espansione, si sappia interrogare se stessi – individualmente se stessi – richiamando alla propria coscienza la categoria della “responsabilità”. Avanzando su quel terreno della trasparenza che è lo stesso della liberazione: “la verità vi farà liberi”, la verità dell’onesto servizio ci farà liberi. Per adesso basta così. 



Fonte: Gianfranco Murtas
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