Lavoro benedetto e lavoro maledetto
Alla ricerca del LAVORO vero, santo, fecondo e dignitoso, quello che ricorda e prosegue la creazione, quello che Papa Francesco invoca anche nella Laudato sì’.
Lunedì 9 settembre, a Cagliari, presso la Fondazione di Sardegna, si è tenuto un Convegno intitolato "Salviamo la Terra e chi la abita. Laudato si'. Agenda Onu 2030" promosso dall'Associazione Amici Sardi della Cittadella di Assisi e dall'Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro, pace e salvaguardia del creato della Diocesi di Cagliari. Relatori: S.E. mons. Arrigo Miglio Arcivescovo di Cagliari e i proff. Gianni Loy e Aldo Muntoni dell'Università di Cagliari. Di seguito pubblichiamo un articolo del prof. Loy, che propone in termini essenziali i contenuti del suo intervento al Convegno.
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Lavoro benedetto e lavoro maledetto
di Gianni Loy.
Non è un caso, credo, che il filo conduttore dell’enciclica Laudato sì’, sia costituito da una precisa e forte denuncia dell’esclusione sociale, delle immense diseguaglianze che, sia livello individuale che collettivo, caratterizzano il mondo in cui viviamo. Il Papa denuncia, ripetutamente, l’inaccettabile predomino del potere economico sulla politica che favorisce la speculazione, la rendita finanziaria e l’arbitrio. Ciò fa si che le risorse del mondo possano facilmente diventare “proprietà del primo arrivato o di quello che ha più potere”, come afferma Papa Francesco, concludendo con la constatazione che “il vincitore prende tutto” (par. 82).
Il dissesto ambientale, in tutte le sue forme, ha quindi una causa economica ma, allo stesso tempo, culturale e in definitiva, morale: “L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano” (par. 109).
Un secondo monito dell’enciclica ci avverte della necessità di una corretta interpretazione della relazione che deve esistere tra l’uomo (e la donna) ed il creato o, se si vuole, con l’ambiente. “Soggiogare la terra” non significa affatto poterne disporre a piacimento e con arbitrio, ma piuttosto “coltivarla e custodirla” (cfr Gen 2,15), quindi proteggerla e preservarla in modo da poterla consegnare, intatta, alle future generazioni. Non a caso, il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l’uomo e la donna, ma anche per l’ambiente, perché “possano godere quiete il tuo bue ed il tuo asino” (Es 23,12). Del resto, il padrone, è colui che cura la proprietà per poter continuare a trarne i frutti nel tempo, e non colui che la sfrutta in maniera dissennata, per il capriccio di un momento, così da distruggerla in poco tempo.
Anche in tale prospettiva, l’enciclica ci ricorda che “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano perché essa sostenga i suoi membri, senza escludere o privilegiare nessuno” (G.Paolo II) e che la tradizione cristiana “non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata” mettendo sempre in risalto la sua funzione sociale (Par. 93).
Il danno ambientale, in ultima analisi, è sempre causato dall’opera dell’uomo, dal suo lavoro, inteso nel senso di attività, e non solo come rapporto giuridico su cui si fonda il rapporto di lavoro subordinato.
Apprezzo, in modo particolare, il fatto che il Papa, nel soffermarsi sull’aspetto del lavoro ed auspicando una degna occupazione per tutti, non faccia alcun riferimento ad un lavoro che, nella tradizione cattolica, è stato spesso considerato quale condanna dovuta in espiazione del peccato originale, remedium peccati. Esalta, invece, il lavoro, con il quale “l’uomo si associa all’opera stessa redentiva di Cristo il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità lavorando con le proprie mani” ( Gaudium et spes, 76,b).
Tuttavia, il lavoro degno, il lavoro “santo” insistentemente richiamato dal Magistero negli ultimi tempi, non è certamente quello oggi più diffuso. Mi chiedo se possiamo definire “benedetto” il lavoro di chi, con l’opera delle sue mani, contribuisce alla distruzione del pianeta, del lavoro sfruttato, nero, sottopagato, del lavoro di chi costruisce strumenti di morte. Ahinoi, l’occupazione viene spesso utilizzata come ricatto, perché prosegua una devastazione che, allo stesso tempo, crea profitto per pochi. Quante volte, in nome della salvaguardia dei posti di lavoro, con gli operai costretti a testimoniare che la fabbrica non produce alcun danno alle persone ed alle cose, che se le armi non le produciamo noi le produce qualcun altro, vengono consentite, e talvolta persino finanziate dallo Stato, attività economiche che proseguono l’incessante devastazione del pianeta e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Quasi due secoli fa, di fronte al crudele fenomeno dello sfruttamento dei bambini, Victor Hugo scriveva:
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Dove vanno tutti questi bambini che non sorridono?
Queste bimbe di otto anni che vediamo camminare da sole? Vanno a lavorare per quindici ore alle macine;
Dall’alba al tramonto, vanno a compiere all’infinito
Nella stessa prigione lo stesso gesto.
Oh infame schiavitù imposta al bambino!
Distrugge ciò che Dio ha creato;
Lavoro malvagio che produce la ricchezza creando la miseria, che dà un’anima alla macchina e la estirpa all’uomo!
Che questo lavoro, sia maledetto!
Maledetto come l’infamia e la bestemmia!
Oh Dio! che sia maledetto in nome del lavoro stesso,
In nome del lavoro vero, santo, fecondo, generoso,
Che rende il popolo libero e l’uomo felice!
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Credo che dovremmo proprio metterci alla ricerca di quel lavoro, vero, santo, fecondo e dignitoso, quello che ricorda e prosegue la creazione, quello che il Papa invoca anche nella Laudato sì’. Non basta dire “lavoro”, perché il lavoro, può ancora essere sinonimo di sfruttamento e di devastazione e, quindi, maledetto.
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Anche su Aladinpensiero online. Foto di Ignazio Boi.
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