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Gianfranco Murtas

Le “strade parlanti”, breviario d’un paese (firmato Salvatore Loi)

di Gianfranco Murtas

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Non so se sia del tutto originale l’idea di Salvatore Loi di dar la parola alle strade (e, nelle strade, alle case) che, della storia collettiva e della vita dei singoli, sono state e sono testimoni e dunque di una certa comunità possono raccontare anche i segreti per come li hanno visti e sentiti, insomma registrati in una memoria virtuale. Però l’idea è bella ed è bella doppiamente perché l’autore ha il dono del saper narrare delle piccole cose così come delle grandi – o delle piccole ricollegandole alle grandi –, ben consapevole che è nel mosaico, nella ricomposizione delle parzialità cioè, che vien fuori la figura – della “cosa” oltre che del paese-collage –, la notizia piena dunque, il perché e il come. E poi forse non è neppure importante che la figura, la notizia piena, il perché e il come corrispondano alla verità esatta dei fatti, dato che quel che conta davvero è la suggestione del racconto elaborato e rielaborato nel tempo, perfino nei secoli, passando di generazione in generazione come fosse sapienza storica calata in un luogo magico, o forse da quello risalita e divenuta patrimonio comune...


Soltanto da noi…

Un luogo? Cento luoghi! tutti concentrati però, per virtù di energia centripeta, in un pezzo di Sardegna che materializza il pensiero e vaporizza le cose facendo, di questa certa alchimia dritta e rovesciata, un unicum: soltanto da noi… Ciò che è vero e falso ad un tempo. Perché come Leibniz e Spinosa trecento anni fa e come il nostro amato Giuseppe Dessì, ultimo loro discepolo, teorizzarono, «ogni punto dell’universo è il centro dell’universo». Il che non omologa, al contrario… diversizza, rende unici e irripetibili. Teulada, nella teorica e nella penna leggera ed elegante di Salvatore Loi, è luogo campione, o comunità campiona con le sue verità, o mezze verità che sono anche mezze falsità, e perfino – se ne resta lo spazio – anche per le falsità verosimili fiondate, ma legittimamente s’intende, in qualche libro, chissà, e consacrate come il vero che ha necessità di verifiche critiche... Tutto è da prendere positivamente, perché è umanità che si svolge, che lega le persone nello scambio delle suggestioni, dei rimandi a quelle ombre che sono divenute, nel racconto, corpi ed hanno regalato via via convinzioni, emozioni, paure, giudizi…

È onesto Salvatore Loi a dire delle sue fonti che sono orali talvolta o spesso, e però s’incrociano, nella sua ricerca di storia paesana – e perché storia minore? – con i documenti, quelli degli archivi pubblici, ora della Chiesa (i famosi Quinque libri inclusivi del celebrato Libro delle anime) ora del Municipio o dello Stato (metti nel gioco anche il Parlamento con gli Atti delle sue discussioni e risoluzioni), talvolta con le sintesi fissate sulla carta da questo o quell’accademico professionale che produce libri per assestare la sua carriera. E tutto si ricompone, non importa – va ribadito – che sia verità al cento per cento, perché quel che conta, e conta al cento per cento, è il racconto che associa i luoghi alle persone e alle loro vite (e anche alle loro morti qualche volta) nel tempo perduto, è il racconto che lega chi parla e chi ascolta, magari in casa o in piazza o in sacrestia, magari al mercato o alla bettola…

Ma ha il suo fascino, ed è santamente contagioso, lo stesso amore dello scrittore per la sua terra, quella fisica e quella sociale. È amore vero, amore del cervello oltre che del cuore, amore intellettuale e non soltanto sentimentale, quello che lega Salvatore Loi a Teulada. A dimostrarlo sono – in questo ultimo suo libro come nei numerosi precedenti –, insieme, la partecipazione ai fatti narrati e la stessa discrezione, o sobrietà, con cui si accosta all’accaduto ed ai suoi protagonisti. Pare li assuma tutti questi suoi personaggi – il dottor Ambrogio Ballisai ed il padre Stefano, il segretario comunale Spano e il medico Raimondo Zolesio, Giovanna tessitrice e Mariano il ventenne stroncato dalla tbc, Giovanni Maria Addis che «era fuori dall’ordinario in tutto» e prete Gambula, il soldato Mocci e tutti quanti gli Spano della famiglia di Velio, anzi di Celeste Velio classe 1905, il vicario parrocchiale Cogotti e Mauro Madeddu il vinaio… quanti, quanti! buoni e meno buoni, tutti ormai (siamo nell’A.D. 2025!) passati alla dimensione del non tempo… – nel suo mondo che è, appunto, ideale e sentimentale insieme.


Un libro collettivo

Sono otto i capitoli di Le strade parlanti, dico di questa recentissima ennesima creazione letteraria del Nostro, inesausto apostolo della magia teuladina. Sottotitolo: Il percorso del trekking urbano a Teulada. In cento e più pagine egli, insufflato dalle… voci (direbbe Salvatore Niffoi), dipana la cronaca pubblico-privata della comunità che era stata anche di Ovidio Addis e anche da lui raccontata genialmente. Salvatore Loi ci sta bene, sembra proprio a suo agio nel groviglio delle confidenze paesane perché tutto sa raccogliere e poi filtrare, selezionare, ordinare, intuendo o scoprendo i nessi, i famosi nessi cioè i collegamenti tra una scena e l’altra, fra un attore e l’altro in movimento nel teatro sociale…

Ed ecco, nelle sue conclusioni, il corretto richiamo delle fonti che diventa anche l’occasione per il rilascio, ora breve-brevissimo ora più articolato, delle schede biografiche (“Note personali”) dei cosiddetti “illustri” compaesani, se mai illustri vi siano in un mondo nel quale siamo tutti illustri e tutti anonimi. Tra essi, comunque, Efisio Lay uomo di tante luci e qualche ombra, portatore di un passato “pesante” nella sua terra così come nella sua professione di medico celebratissimo: un personaggio che speriamo diventi uno dei prossimi soggetti esplorati dallo stesso Salvatore Loi. Né poi, dicendo del capitolo finale, si tratta soltanto di “Note personali e origini delle fonti” – nello slalom compiuto fra il canonico Murgia e Giovanna la Scalza, Ovidio Addis e Salvatore Angelo prete Gallus o Greca Loi – perché l’autore non si nega neppure ad un gustosissimo viaggio nel dizionario locale declinando in venti voci diverse la gloria della bettola: imbriagu, inciariu, chinchiriau… ammerdonau, pitica s’ambriagher, pitica sa chichilla…).

Arricchito dai disegni a (sembra) carboncino di Chiara Loi e Serena Salis, cui si deve anche l’indovinato progetto grafico che rende particolarmente gradevole l’accosto alle pagine, il libro dunque si snoda in capitoli sovente scissi (doppi cioè), di cui vale la pena di elencare i titoli, tutti ben allusivi, dopo l’introduttivo e smagliante e divertito “La memoria inganna”. Dunque: “Ce n’è per tutti” (in “Piazza parrocchia e Chiesa del Carmine”), “Preti, seminaristi e dottori” e “Un dottore come si deve” (in “Via Giardini”), “Il vicario Cogotti e i nipoti” e “Su Corroppu. Un delitto senza colpevoli” (in “Via Giardini/Santa Barbara”), “Casa Efisio Salis e le molte vedove” e “Giovanna o Giovannica. Una vedova” (in “Via XI Febbraio”). “La mater dolorosa del 15-18” e “Un padre e un figlio” (in “Via Brigata Sassari”), “Casa Spano” e “Casa Addis” (in “Va Regina Elena”), “Nonno Fenu e un nuovo bambino”, “Via Dritta, tutto vi accade”, “Via Dritta, entrate in una bettola. Pasqua 1850”, “Via Dritta. Il carcere, il boia, il patibolo” (in “Via Umberto o Via Dritta”), “Scherzi da prete” (in “Molinu, 1925”).

È evidente, nei molti scenari rappresentati, l’incombenza del clero e del clero litigioso (con quante complicazioni per i vescovi protempore della diocesi di Iglesias: da Deplano a Porqueddu, da Navoni a Ferdiani, e sono due terzi di secolo in scavalco della Rivoluzione francese!), ma mi è parso in giusto equilibrio lo spazio riservato alle donne – se è vero che la nostra società sarda sia una società di matriarche – così come a quanti partecipano, nelle sedi della vita pubblica – metti al Comune – e nei lavori di campagna, insieme alla economia e all’amministrazione politica, concordando con baroni e padroni, le possibili armonie fra interessi contrapposti (del braccio, ovvero del pranzo e della cena, o del catasto, ovvero della rendita e del lustro avito: si pensi all’innesto Sanjust nella pianta Catalan).

Si va, con ambientazioni diacroniche ed evocative, per itinerari interni al paese, sempre uguale nei secoli eppure anche mosso, dinamico, nei passaggi della storia e delle amministrazioni (che non mancano, giustamente, di provvedere anche alle modifiche toponomastiche imposte dal calendario nazionale e perciò anche dai regi inquilini del Quirinale, da Umberto di Savoia o Elena di Montenegro…). Sicché i racconti come li sa porgere l’autore – del quale è facile cogliere, proprio da innumerevoli passaggi delle sue pagine (ché basta talvolta l’aggettivo scelto per dire di chi l’ha scelto! intendo della sua vita morale) – si radicano nelle complessità sociali del territorio, portando sovente ad approcci commossi, sul filo poetico della preghiera che pare voglia risarcire chi ha tanto patito. È il caso, fra gli altri, della “mater dolorosa del 15-18”, di cui, rubando qua e là qualche riga, vorrei rimbalzare almeno un’eco:


La grande guerra e una mater dolorosa

Lasciata la strada delle vedove si imbocca, in alto, la via Garibaldi, nome dato sulla scia della continuità storica che segnò la vita del paese alla fine del 1800, imponendo alle strade i grandi nomi del Risorgimento. Da qui si passa per uscire dal paese verso la montagna: c'è il fiume, ci sono gli abbeveratoi, le chiusure a muro delle tanche e gli spari al buio. Strada particolare: la parte bassa muove dal fiume e porta le persone alla chiesa del Carmine. Da quel punto la strada conduce fuori dall'abitato, qualche volta per fuggirne, lasciandosi sulla destra la sola costruzione notevole, la canonica dei parroci, costruita dal vicario Cogotti nel 1800, quando aveva ereditato la guida religiosa dal parroco Murgia. Allora la strada era detta, nella parte alta, Via Monte, il luogo del lavoro. La parte inferiore era Via dei Conciatori, perché operava una conceria che utilizzava l'acqua corrente della sorgente, oggi murata con una pretenziosa semi cupola. Nel 1897, in quella strada, era stato riportato morto da Malfatano il medico del paese, Ambrogio Ballisai, dov'era la casa di famiglia. Pochi anni dopo la strada prese il nome del medico che curava gli ammalati, pagava i farmaci e manteneva presso le sue aziende servitori e famiglie.

Era stato il segretario comunale Spano a intestargli la strada nel 1901. Poi venne la guerra che si prese 120 giovani di Teulada e la via Ballisai diventò la via Brigata Sassari, dal nome dei Reggimenti 151-152°, nei quali morirono gran parte dei 13.000 sardi.

Lì aveva casa Greca Loi, vedova Frongia, che dalla grande guerra (presso le trincee del monte San Michele) fu privata di tre dei suoi cinque figli, quattro dei quali richiamati. Accanto al monumento ai caduti, in paese, una statua ricorda questa Madonna infelice.

Il soldato del 152° Reggimento Fanteria Brigata Sassari, 9.a Compagnia, Francesco Frongia, teuladino classe 1881; il soldato del 152° Reggimento Fanteria Brigata Sassari, 3.a Compagnia, Antioco Frongia, teuladino classe 1883; il soldato del 30° Reggimento Fanteria "Pisa", Ferdinando Frongia, teuladino classe 1892. Dopo loro anche Giovanni, pur claudicante a una gamba, era stato richiamato nel 1916 per darsi, se il caso, alla morte.

L’unico non richiamato era stato, in famiglia, Emanuele: ma perché un incidente sul lavoro (durante un trasporto di sale per un grossista compaesano, ma con conseguenze differite) l’aveva fatto fuori giusto alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia; era sposato Emanuele, aveva tre bimbi tutti sotto i dieci anni andati in carico alla nonna, ché anche la loro madre era morta.

Presentatosi all'alba con il suo carro a buoi alla Salina di Sant'Antioco gli furono date scarpe chiodate per eseguire in sicurezza il lavoro di carico del sale. Alla fine del carico scivolò su una collinetta di sale ma si rialzò, sembrava, al momento, senza conseguenze. Pagò il dovuto e al tramonto fu di ritorno a Teulada. Staccato il giogo dei buoi nel cortile del commerciante Biggio, aveva lasciato sale da scaricare. Aveva fretta di mettere i buoi al riparo per la notte per stare con la moglie, in attesa di partorire da un giorno all'altro, con le vicine di casa preparate a prestare aiuto. All'alba del giorno dopo dalla casa dei Frongia provenivano urla strazianti di bambini: fu sfondata la porta e sul pavimento videro i corpi dei due coniugi, lei morta di parto e lui morto per una emorragia interna causata dalla caduta nella salina.

I tre orfani furono affidati alla nonna Greca. Con un figlio morto sul lavoro, tre figli morti al fronte e uno richiamato, Greca Loi era sostenuta della pietà del prossimo. Aveva diritto all'assegno per i figli morti in guerra ma non poté beneficiarne perché, per la legge, era solo madre naturale, in quanto sposata solo in chiesa in tempi di separazione tra Stato e Chiesa. Solo dopo la revisione legislativa del 13 dicembre 1916 le fu concesso l'assegno per i tre figli.

Al momento dell'istruttoria della pratica Greca Loi dichiarava di avere tra 60 e 65 anni, senza certezza, così che il Comune di Teulada dovette scrivere al Vescovo di Iglesias per risalire al battesimo della donna, registrato nei quinque libri parrocchiali.

Della catastrofe familiare di Greca Loi Frongia ha riportato notizie Ovidio Addis, mentre quel che resta nella memoria è un urlo di madre, provocato dal Messo comunale che dava a Greca Loi notizia della morte in battaglia del primo, del secondo e del terzo figlio. La prassi prevedeva che all'arrivo del telegramma che annunciava la morte del soldato al Comune e ai Carabinieri fosse data notizia alla famiglia "con ogni accortezza". Il Messo del Comune con il telegramma "fintamente chiuso" si recava in casa del soldato morto in un luogo sconosciuto. Sapeva di essere atteso, stava sulla porta, che subito si richiudeva nel dolore, perché solo che famiglie erano state esentate dalla morte al fronte. Il Messo comunale portava la sua faccia contrita alla prossima casa con un altro telegramma da consegnare. Alla fine del giro mortale tra le case la campana a martello comunicava a tutti che uno dei partiti non sarebbe tornato. In quelle case si cominciava a pensare come fare a riempire il vuoto. Il grido di madre di Greca Loi impazzita dal dolore esprime la tragedia del 1915-18.


Di Giovanni Frongia e dei teuladini classe 1899

Prima di partire per il fronte Giovanni Frongia era stato ricoverato a Nuoro perché dava segni di instabilità mentale che i medici non riuscivano a sanare. E lei, Greca Loi, partì allora per assistere o salvare quel figlio malato.

Impedì al ragazzo di continuare le cure previste, curandolo ella stessa, recandosi nella campagna nuorese per raccogliere erbe di campo e preparare impacchi e altri rimedi, i quali, tra lo scetticismo dei medici, ristabilirono il giovane.

Nei giorni in cui stava al capezzale del figlio, l'ambulatorio fu visitato dalla Regina d'Italia, che in una Via Crucis personale vagava per portare conforto ai soldati malati e feriti. Incuriosita per la presenza dell'anziana donna presso il letto del soldato, volle essere informata ed ella stessa si rivolse a Greca Loi, per conoscere le sue disgrazie. Greca Loi, tornata in paese, avrebbe raccontato che per ordine della Regina poté tornare con il figlio.

Così ancora lo scrittore, biografo partecipativo:

Giovanni Frongia, 1890-1965, il solo figlio di Greca Loi rimasto in vita, da bambino aveva avuto un incidente alla caviglia. Il medico vedendo la gravità e temendo la cancrena disse che bisognava amputare. Consigliata dalla sorella lgnazia, Greca portò per un mese il figlio al mare, d'inverno, dentro una cassa portata a spalla, per fare impacchi di acqua salata. Il gonfiore e l'essudato sieroso sparirono ma il bimbo restò claudicante; per questa ragione lui e i suoi figli sono stati soprannominati "zoppi". Nonostante l'infermità, nel 1916, adulto, fu richiamato e fatto abile per il fronte. Sono in vita figli e nipoti dei fratelli Frongia, il maggiore dei quali, Ferdinando, 1924-2016, abitava in via Nazario Sauro, nella cui casa fu portata da morta Greca Loi nel 1935. Giovanni, l'unico sopravvissuto, ebbe sei figli, quattro viventi e due di essi presenti alla collocazione della statua dedicata alla nonna Greca Loi nella piazza d'Italia, il 4 novembre del 2017, con una cerimonia solenne presieduta dal sindaco di Teulada e alla presenza dei comandanti i reparti della locale Base militare…

Il contributo di morte di Teulada alla riconquista di Trento e Gorizia può essere così rappresentato:

popolazione della Sardegna nel 1911: 850.000

soldati richiamati per la guerra del 1915-18: 100.000

caduti sardi in guerra: 13.602

percentuale media dei caduti sardi: 13,6%

percentuale media dei soldati italiani caduti: 10,5%

percentuale dei soldati di Teulada caduti: 25%

Impossibile non versare lacrime leggendo le motivazioni delle morti, delle medaglie e dei riconoscimenti alla memoria. I 300 combattenti che nel 1919-20 tornarono dai contrafforti alpini ripresero quasi tutti il lavoro dei campi, lasciati a donne e bambini, pur con risultati precari e debiti da pagare; altro tributo di morte alla peste spagnola, alleata della guerra nell'appianare le disuguaglianze.

Dal torpore del ritorno i vecchi combattenti furono svegliati quando avevano 65-75 anni e pagavano il conto all'età e agli acciacchi…

Quando furono richiamati "i ragazzi del '99", ultima leva obbligatoria inviata al fronte nel 1917-18, a 18 e 19 anni, vi erano giovani teuladini. Le famiglie dei richiamati avrebbero potuto salutare i figli, o consegnare loro alimenti, al molo del porto di Cagliari, prima che la nave mollasse gli ormeggi. Per questo le famiglie di Teulada si misero in viaggio alle tre del mattino sulla pista dei mandriani che finiva a Villa San Pietro-Sarroch. Usciti dai boschi misero gli abiti della festa e si avviarono verso Cagliari, dove alcuni si fecero fotografare negli studi della via Roma. Una foto ritrae una famiglia di Grazia Cherchi Loi con le figlie lsidora, lgnazia e la piccola Peppa Contu, recatisi in città per salutare la partenza del fratello maggiore, il soldato fatto abile Salvatore Contu.


Affabulazione ecc.

Tante pagine di storia della Sardegna, non soltanto di Teulada, sono segnate da quanto i nostri nonni e bisnonni hanno vissuto e patito nella drammatica stagione bellica d’inizio Novecento. Da lì sono venute anche, negli anni successivi, esperienze sociali (e ideali) positive – metti una certa coscienza regionalistica, nella fedeltà piena alla unità della patria (come il sardismo dei Lussu e dei Bellieni o Fancello poteva interpretarlo, non certo il sardismo cialtrone e paraleghista di oggi) – e negative, a pensare al fascismo che strumentalizzò il sacrificio delle trincee e l’amor di patria per farne strumento di una insana dittatura.

Ma certo il trekking urbano di Salvatore Loi, richiamando la storia grande e piccola, è di largo spettro e molto insiste nello scandaglio di quanto – e lungo un secolo e più – ha anticipato l’evento bellico (quarto dell’indipendenza nazionale fu definito dall’interventismo democratico) e di quanto, nel tempo, è seguito, fino a qualche decennio fa.

Sicché è anche ovvio che la caratura degli episodi evocati, inquadrati in contesti tanto diversi, renda un buon servizio all’assortimento tematico, e dunque al tono narrativo che s’apprezza in modo sempre convincente. E qui mi pare di dover recuperare quel concetto del reale o del verosimile o del mezzo vero e mezzo falso al quale ho fatto sopra riferimento e che è nelle stesse pagine introduttive, direi simpatiche, di Loi.

Come qualsiasi altra piazza del mondo, Teulada ha le sue storie, le registrazioni autentiche degli eventi che, per il più e spesso, viaggiano però per vulgate e approssimazioni azzardate da chi non sa prendere tempo e documentarsi prima di pronunciarsi e si autolegittima – non in malafede però – per integrare o mutare qualche tonalità ai colori. Che è cosa d’ordinaria pratica, non è sempre o forse non è quasi mai protagonismo di narcisisti… Il verosimile si muta in veroreale, ma la storia non si offende.

La capacità affabulatoria di Salvatore Loi e questo suo saper cogliere i nessi o combinare le situazioni, sembrano a me gli strumenti più rispondenti ed efficaci, sani ed opportuni, per introdurre chi non sa nulla – metti, nel caso, di Teulada – all’interno del romanzo sociale in cui è l’umanità dei singoli ad incontrarsi con quella della comunità locale e viceversa, e ad affinare in chi qualcosa sa, per nascita e formazione, quella certa sensibilità morale che è il lato bello dell’appartenenza ad un territorio.


Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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Daniel Cipoll1

17 Giu 2025

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