Doveva essere in quaresima profonda, doveva essere nelle tristezze abnormi di questi giorni segnati dalla guerra, doveva essere anche nella malinconia di questo cattivo perdurante tempo in cielo e in terra, che un amico stimatissimo dovesse lasciare i suoi e lasciare anche me, doveva essere oggi che un professionista di altissimo profilo dovesse separarsi dai suoi uffici recanti sempre e tutti innumerevoli ricadute nell’interesse generale: è morto Franco Farina, avvocato e professore d’università, assessore regionale in anni lontani, amministratore di enti pubblici e, più di recente ed all’apice della sua carriera professionale, presidente del Banco d Sardegna, spirito democratico e militante civile sempre del meglio, dirigente repubblicano proveniente dalla socialdemocrazia e radicatosi infine nell’esperienza della cosiddetta “federazione democratica”, socio della Cesare Pintus e della Mazziniana di Cagliari. Ne sono colpito per quegli intrecci che le compagnie intellettuali e politiche tanto spesso allacciano agli affetti personali e questi a quelle. Nel lungo tempo, poi, è inevitabile che vi siano state stagioni di più intensa, impegnata frequentazione intercalate ad altre in cui la relazione dovesse sciogliersi tenendo conto anche di altre chiamate, di altre occupazioni, perfino di altre residenze.
Era nuorese, Franco Farina, era nato in un anno dell’ultima guerra mondiale. Gli donai un giorno il periodico locale che, in quel 1941, era ancora naturalmente un giornale di regime, Nuoro Littoria: un redazionale riferiva della sua nascita, nascita da famiglia nota in città. Tanti onori ai suoi. Il padre, funzionario di banca, sarebbe stato anche vice direttore generale del Banco di Sardegna. In famiglia erano anche i Puligheddu, ceppo sardista fra Nuoro ed Oliena. Si laureò in giurisprudenza nel 1964 e tenne la cattedra di diritto commerciale e, per qualche tempo, di diritto privato comparato, per quattro lunghi decenni, fino al 2011. Accompagnò la carriera accademica con numerose pubblicazioni scientifiche, tanto più di diritto societario e bancario. L’ultimo suo saggio, all’indomani dal ritiro dall’insegnamento, sulla Rivista giuridica sarda: “Invadenza dell’azionista e profili di responsabilità”.
Membro di commissione di concorso universitario in diversi atenei nazionali (da Pisa a Padova, da Trieste a Cosenza, da Bari a Messina, da Napoli alla Cattolica), combinò la carriera accademica, fra ricerca e docenza, a quella professionale: procuratore legale e avvocato dal 1969, giudice tributario dal 1976 e per sette anni, fu consigliere d’amministrazione (nominato da un consorzio di banche) della SIR Finanziaria. Avvenne all’indomani del colossale fallimento dell’impero Rovelli e in quella veste fu il maggiore interlocutore di istituzioni politiche e creditizie e di potenze economiche (leggi Carlo Caracciolo) interessate– né fu certo l’ultimo interesse da difendere! – a salvare lo storico quotidiano di Sassari che, ormai dal 1967, era rimasto impigliato nella asfittica ed asfissiante rete della SIR.
Consulente-protagonista, già verso la fine degli anni ’70, delle intese fra la Regione sarda, il CASIC e la SIR in vista della realizzazione del porto-container di Macchiareddu, firmò nel 1993 il piano di revisione e rilancio pubblico dell’agroalimentare nel meridione isolano.
Con le sue competenze giuridiche di prim’ordine fu chiamato ora come sindaco ora come consigliere di amministrazione in diverse società ed istituzioni: dal gruppo Is Molas alla stessa Nuova Sardegna (così fino al 1992), dalla Fondazione Banco di Sardegna (dal 1994 al 1997) all’azienda di credito, ormai ricondotta all’area privatistica dalla famosa legge Amato, per otto anni (dal 1998 al 2006); vicepresidente per un triennio (1998-2001, tempo di presidenza Brusco) passò, per un altro triennio, a presiedere la Sardaleasing, società del gruppo, ed infine, per sei anni fino al 2013, il Banco di Sardegna, come successore di Antonio Sassu.
Una vita così spesa nel mondo della finanza ed in stretta confidenza con i codici civilistici come bibbia quotidiana sarebbe sembrata una vita dal cuore algido. Ma Franco Farina intese la sua professione, nel rispetto sempre delle regole date, come abilità creatrice di futuro e l’ingegneria societaria che seppe elaborare in questa o quella circostanza, nei lunghi anni della sua attività, fu sempre innervata di umanesimo e di quelle energie che l’aula universitaria, e dunque la frequentazione dei giovani agli studi, gli regalavano ogni giorno.
In questo respiro umanistico si collocava l’impegno politico che egli abbracciò da giovane, collaborando poco più che ventenne con l’assessore regionale all’Agricoltura Peppino Puligheddu, verso cui ragioni anche familiari lo riportavano con speciale impiego di lealtà; nella socialdemocrazia dopo la scissione del 1969 e, ancora e sempre all’interno dell’area della sinistra riformatrice, nel Partito Repubblicano dal 1974. Qui egli giunse, con l’ex segretario regionale del PSDI Ignazio Cella e numerosi compagni, in occasione del congresso che i repubblicani sardi avevano convocato a Cagliari nel novembre ed in preparazione della nuova stagione elettorale per il rinnovo dei consigli comunali e provinciali. Allora lo stesso Farina si presentò in lista raccogliendo, in città, quasi settecento preferenze. Rinnovò la… discesa in campo elettorale nel 1984, alle regionali che nel PRI significarono il “dopo Corona”, in una lista che i repubblicani concordarono con i liberali. Ed ebbe un nuovo piazzamento d’onore.
Fu anche relatore in diversi convegni programmatici del PRI, personalità riconosciuta di alta autorevolezza ed associata, per chiara fama, ad economisti, giuristi, ambientalisti, tecnici di varia vocazione – da Paolo Savona a Gianfranco Sabattini, da Raniero Massoli Novelli a Eolo Belardinelli, da Ilio Salvadori a Roberto Binaghi, ecc. – che costituirono allora una specie di “cintura” di speciali competenze a supporto della segreteria politica e del gruppo consiliare dell’Edera.
Dopo il crollo della cosiddetta prima Repubblica, l’avvento del maggioritario e l’imbastardimento del sistema partitico con l’affermazione berlusconiana ecc., retrocesso purtroppo in un’area di sbandate lo stesso onorato PRI di Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini (nell’Isola ridottosi a raccogliere gli ultimi residuali 8mila voti), opportunamente Franco Farina accolse l’offerta portagli dal presidente Federico Palomba (e propiziata da Antonello Cabras, già presidente della Regione e leader di Federazione democratica, formazione di estrazione socialista) di assumere la titolarità dell’assessorato dell’Industria. Si era, in quel 1994, all’esordio della undicesima legislatura autonomistica. La giunta, formata tutta da tecnici (stante la normativa di recente introduzione circa la incompatibilità fra le funzioni di consigliere e quelle di assessore), resse per otto mesi soltanto. Il successivo esecutivo, beneficiando dell’abrogazione della norma di cui sopra, rimasta vigente per soli tre anni), si riaprì al concorso consiliare e l’Industria fu una competenza che ritornò ad un politico eletto. Il quadro di maggioranza rimase quello di centro-sinistra. Andrebbe peraltro detto che le dimissioni di quella giunta Palomba furono anticipate da quelle personali dell’assessore Farina che notificò il suo insuperato fastidio verso le pressioni che dai diversi partiti venivano all’esecutivo circa le nomine di vertice alle varie Aziende sanitarie locali.
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Nel dicembre 1995 ebbi particolare piacere di avere Franco Farina fra i presentatori di un libro da me curato: Per Giovanni Spadolini per Bruno Visentini. Parteciparono con lui alla tavola rotonda il deputato Giorgio Bogi, il prefetto Giuseppe Mazzitello, il professor Tito Orrù, mentre inviò una comunicazione il professor Cosimo Ceccuti, docente dell’università di Firenze e direttore della Nuova Antologia (nonché della Fondazione Spadolini-Nuova Antologia).
Nel volume inserii, proprio nelle prime pagine ed accanto a quello di Francesco Cossiga, il suo ricordo di Giovanni Spadolini. Si trattava del breve scritto che, insieme con il mio, era stato accolto da L’Unione Sarda il 9 agosto 1994, all’indomani della scomparsa dello statista repubblicano – già presidente del Consiglio e presidente del Senato –, grande storico e direttore di giornali. Titolo: “Spadolini, la sua Sardegna e l’Europa”. Quello che detti io nel libro fu “L’uomo colto e consapevole della continuità storica nazionale”.
Con le seguenti poche righe introdussi quell’intervento, associando Farina a Spadolini stesso:
«“L’elemento di continuità tra lo stato unitario e risorgimentale e l’Italia che si riscattava dalla vergogna del fascismo e dalla tragedia della guerra" eppertanto "la figura ideale alla quale le più meditate testimonianze dell’Italia prefascista potevano consegnare il lascito culturale da fecondare e sviluppare nell’Italia del dopoguerra”.
«E’ questa l’immagine che di Spadolini tratteggia, nell’intervento che segue – sobrio ma di straordinaria efficacia (uscito sull’Unione Sarda del 9 agosto 1994) – Franco Farina, docente all’Università di Cagliari, intellettuale di rara eleganza, formatosi all’interno di un’area democratica che ha avuto Saragat ed Ugo La Malfa come principali referenti e cui, in ambito regionale, non è stato estraneo un certo sardismo, pragmatico e colto (quello, per intenderci, di un Peppino Puligheddu o di un Pietro Melis).
«Spadolini ultimo esponente di quell’Italia di minoranza, di quell’Italia dei “seminatori” troppo spesso misconosciuti dal conformismo di turno, non importa se di destra o di sinistra».
Ecco a seguire, riproposti, alcuni dei testi che dall’amicizia con Franco Farina ebbi nel tempo. Appunto cominciando da questo ricordo di Giovanni Spadolini per arrivare a un profilo di Giuseppe (Peppino) Puligheddu, che pubblicai nella sezione interamente dedicata appunto al leader sardo-repubblicano di Nuoro/Oliena nel primo volume di Alla fabbrica della Repubblica e dell’Autonomia, Cagliari 1992.
Franco Farina: «Giovanni Spadolini, quel ponte fra il risorgimento e l’Italia repubblicana»
Giovanni Spadolini ha rappresentato insieme a De Gasperi, La Malfa e pochi altri, l'elemento di continuità tra lo stato unitario e risorgimentale e l'Italia che si riscattava dalla vergogna del fascismo e dalla tragedia della guerra. Il sodalizio con la cultura liberale e riformista, da Salvemini, a Gobetti, ai fratelli Rosselli, ad Ernesto Rossi lo ha condotto, giovanissimo, a rappresentare le vive istanze di un'Italia moderna e di respiro continentale, mentre i clericali da una parte e lo stalinismo dall'altra imponevano pesanti remore allo sviluppo libero e consapevole delle giovani generazioni.
Egli ha rappresentato, perciò, la figura ideale alla quale le più meditate testimonianze dell'Italia prefascista potevano consegnare il lascito culturale da fecondare e sviluppare nell'Italia del dopoguerra.
Come studioso ed uomo di stato egli ha sempre conservato limpidamente e praticato con operosità il rapporto di confronto aperto e privo di pregiudizi con una sinistra che si andava emancipando da una eredità storica gravosa e da impostazioni inadeguate ad una società pluralista, mentre, per altro verso, ha manifestato tolleranza e rispetto nei confronti del mondo cattolico del quale avvertiva la forte impronta nella storia del nostro paese.
I risultati di questo impegno, che continuava nobilmente il magistero politico e morale di Ugo La Malfa, avrebbero meritato ben altro e significativo riconoscimento nel momento in cui, divelti i vecchi equilibri, il momento di continuità con i valori dell'Italia prefascista avrebbe dovuto rappresentare la metrica di un nuovo e diverso sviluppo, guidato da valori e scevro da pulsioni affaristiche e di circostanza.
Il tempo non è stato, finora, galantuomo con Spadolini: come non lo era stato prima con Salvemini, con De Gasperi e con La Malfa.
Il tempo è però, tanto spesso, categoria concettuale effimera e fuorviante: esso, quando è chiamato a misurare la storia, ha un respiro insondabile ed è prudente rimettersi ai suoi ritmi nella certezza che i valori riconquisteranno il ruolo che loro compete.
E così le generazioni che verranno potranno intendere quanto la patria debba a Giovanni Spadolini ed a ciò che egli ha rappresentato nella trama che dal passato ai nostri giorni connota la storia d'Italia.
Franco Farina: «Peppino Puligheddu, salveminiano trasversalista e competente»
Di robusto e schietto pragmatismo, avvertiva l'insidia fuorviante e l'affetto ingannevole di ogni ideologia: la precostituzione di sistemazioni predeterminate, nello scrittoio degli intellettuali e dei pensatori, della realtà, lo vedeva convinto ed irriducibile avversario. Come dato d'educazione e di cultura - perché uomo di cultura autentica era stato, nella elaborazione delle esperienze, degli studi e delle letture: cultura schietta e non ostentata, levigata e priva di quelle altisonanti citazioni che usurpano all'erudizione l'insegna della cultura - egli rifuggiva da tutto ciò che rendeva più complessa e mediata la tensione verso le idealità: queste ultime, nei loro connotati di semplicità, di approssimazione all'uomo, costituivano la metrica della sua visione del mondo. A Puligheddu veniva rimproverato un problemismo spicciolo, una sorta di procedura e di atteggiamento mentale incapaci di cogliere il raccordo della singola questione al quadro più generale dei riferimenti entro il quale essa si collocava. Questo indirizzo critico, formulato talora anche da uomini della politica di sicura calibratura culturale, era, in realtà, miope e superficiale: e ricorda, in qualche modo, quell'orientamento critico di certa storiografia e di certa cultura marxista o cattolica nei riguardi di G. Salvemini. In verità l'impegno politico onesto è tensione verso le idealità ed insieme assidua, concreta ricerca di soluzioni: tutto il contrariò cioè del velleitarismo ideologico che nel suo irredimibile scostamento dall' uomo ha un connotato di inutilità e talora di non specchiata onestà intellettuale.
Un episodio esprime emblematicamente questo robusto senso della realtà e la sua irriducibile ripugnanza ai repertori manierati di certo meridionalismo epidermico: s'iniziava nei primi anni sessanta a studiare l'applicazione della L. n. 588 (la prima di tante leggi di quella Rinascita che poi non è mai arrivata) e si scontravano due scuole di pensiero: quella, all'epoca considerata nobile, che orbitava intorno ai metodo della programmazione come ricetta magica importata dalla Sardegna su suggerimento dell'intellighenzia del Paese, dei ciarlatani della politica e delle cattedre; e quella della selezione degli interventi mirati in singoli settori. La prima con ascendenze e referenti ideologici, e la seconda con presupposti radicati nella conoscenza concreta dell'isola e dei suoi antichi ed autentici problemi da parte di chi quei problemi viveva personalmente o per retaggio di cultura familiare.
Di fronte all'affresco del piano generale di sviluppo dell'isola che avrebbe fatto somigliare quest'ultima «quasi alla Lombardia», come allora si diceva, nella rappresentazione fornita da tanti neologismi seducenti quanto vuoti, sapientemente assemblati insieme in uffici studi del continente, Puligheddu scuoteva il capo: pensava alla gente di Sardegna di cui bene conosceva i volti ed i tormenti, alla precarietà del sistema viario, ai trasporti di fortuna, all'irrigazione come mero dato lessicale e, nel rapportare i problemi ai rimedi enfaticamente proposti, sintetizzava il suo irriducibile giudizio negativo osservando che di fronte a mali ben noti e sotto gli occhi di tutti i grandi specialisti erano inutili: come inutili erano stati quelli accorsi al capezzale del ciclista Fausto Coppi, lasciato morire di malaria per la loro presuntuosa ignoranza, per la loro mancanza di umiltà, quando qualsiasi saggio medico condotto della Sardegna, che con tale male conviveva da sempre, ne avrebbe salvato la vita.
Il tempo, il tanto tempo che da allora è trascorso, il succedersi dei programmi della Rinascita senza rinascita hanno dimostrato la lungimiranza della sua onesta visione delle cose, mentre la Regione Sardegna si avvita nelle esasperate commesse degli studi di fattibilità ed ai soloni delle cattedre sono subentrati i professionisti-travet dei partiti.
La singolare capacità di Puligheddu di centrare subito il germe dei problemi, senza inutili e disoneste divagazioni, fu capita e vivamente apprezzata e testimoniata da un colto ed onesto uomo di ideologie come Paolo Dettori: che nel 1966, divenuto a quarant'anni presidente della Regione, ebbe in Puligheddu un assessore regionale di sicuro riferimento, un interlocutore autorevole e molto ascoltato nel momento in cui il PCI aveva affidato alla lucidità ed al carisma di E. Berlinguer il disegno cli penetrazione e di mobilitazione dei braccianti e degli agricoltori della Sardegna verso la improbabile rivoluzione che Gramsci, riprendendo le impostazioni riformistiche di G. Salvemini, pensava di costruire sull'unione degli operai del nord ai braccianti del sud.
In quella breve stagione politica, in cui una nuova generazione si affacciava alla direzione politica della Regione, Puligheddu ebbe il ruolo di interlocutore accettato del bacino culturale del PSd'A, delle pulsioni di agricoltori, artigiani e borghesia professionale per il rafforzamento di una autentica consapevolezza autonomistica.
Quel pragmatismo di cui s'è detto, che era espressione di una grande disponibilità per il prossimo, della tendenza a non fare mai un nemico dell'avversario politico, che nella lucida e definitiva individuazione degli ideali gli consentiva però di accogliere e difendere quanto di buono venisse proposto da altri partiti, ne faceva in qualche modo un trasversalista ante litteram, nella sua più alta accezione. Si può affermare che la metrica della sua visione del mondo riposasse nel disinteresse e nella sua retta coscienza.
Da una mia inedita ricostruzione delle vicende del Partito Repubblicano Italiano in Sardegna nel cinquantennio 1944-1994, ecco alcuni stralci che menzionano i maggiori momenti di presenza di Franco Farina nelle attività politiche, elettorali e convegnistiche del partito dell’Edera.
Com’era bella, o poteva esserlo, la prima Repubblica
L’estate 1974 serve per smaltire la delusione e preparare il congresso regionale – il XV della serie – convocato per Il 3 e 4 novembre a Cagliari, nel salone Casmez della Fiera Internazionale. Anticipato rispetto alla consueta biennalità esso intende dare visibilità ad una operazione politica che potrebbe – ma poi non avrà – conseguenze rilevanti anche sul piano elettorale: la confluenza nel PRI di un’ala cagliaritana del Partito Socialdemocratico Italiano. Si parla di millecinquecento iscritti – ma il numero è senz’altro esagerato – che lasciano le loro sezioni scorgendo nella politica repubblicana una più credibile prospettiva di sviluppo dell’Isola. A guidare l’operazione (che si tende a qualificare “di sinistra”) sono l’ex segretario regionale del PSDI Ignazio Cella e uno dei più rispettati dirigenti, Franco Farina, avvocato e docente universitario.
La stampa regionale sembra voglia riservare all’evento congressuale una attenzione altre volte negata. Pur da posizioni di estrema minoranza, il PRI è riuscito – con Corona segretario e consigliere regionale (di opposizione più spesso che di maggioranza) – ad affermare una presenza riconosciuta sulla scena politica isolana.
La linea del partito rimane quella del centro-sinistra, contraria agli accordi nascosti fra democristiani e comunisti, ma meglio definendo programmaticamente l’area cosiddetta intermedia. In verità, a giudizio di diversi osservatori, il PRI – che pur è uscito rafforzato, altro che nella rappresentanza consiliare (per colpa di una legge elettorale che non consente ancora il recupero dei resti), dalle consultazioni di giugno – è ancora incerto nella sua strategia, quasi che i suoi numeri lo scoraggino dal forzare gli altri protagonisti della scena politica ad “inventare”, con esso, il nuovo. Eppure l’analisi che Corona compie nella sua articolata relazione è approfondita e forse largamente condivisibile anche dalle formazioni concorrenti: sulla permanente arretratezza del settore agricolo, sul modello industriale che inquina e non dà occupazione né verticalizza le produzioni, sulla inefficienza della pubblica amministrazione, Regione compresa.
L’intervento del vicesegretario nazionale Adolfo Battaglia vale a collegare l’impegno che il partito chiede a se stesso, prima che agli altri, nell’Isola a quello che si vede espresso dai ministri repubblicani nel nuovo governo Moro-La Malfa. A dimostrazione che non sono mai i numeri, per quanto limitati essi appaiano, ad impedire ad un partito di tanta storia di offrire un contributo positivo allo sviluppo civile e sociale della comunità, nazionale o regionale che sia.
Due notazioni. Sul piano programmatico si distingue nel dibattito l’apporto degli esponenti ex socialdemocratici che chiedono anch’essi l’abbandono delle «illusioni miracolistiche dei grandi insediamenti industriali ad ogni costo» e «la valorizzazione delle risorse locali, particolarmente quelle dell’agricoltura, della zootecnia, della forestazione, del turismo, dell’artigianato, della pesca e dell’acquacoltura, delle miniere». Su quello prettamente politico si rileva la presenza, insistita ed attenta, di due altri esponenti politici che guardano con simpatia al PRI: l’ex consigliere Armando Zucca, lussiano della prima ora, che con Armando Corona ha collaborato all’interno del gruppo misto nella precedente legislatura regionale, e l’ex parlamentare socialista/MPL nuorese Cesare Pirisi, che presto si darà disponibile a candidarsi con il PRI.
La conclusiva mozione Corona raccoglie 2.300 voti congressuali che infine significano 18 eletti nella direzione regionale: Corona stesso, Bulla, Cattrocci, Frongia, Maccioni, Mascia, Masia, Martignetti, Oliva, Orgiana, Pischedda, Podda, Puddu, Puligheddu, Rivano, Saba, Tronci, Trogu. Quella di minoranza 550 voti e porta in direzione i soli Merella, Massaiu e Pau.
Riunitasi il 22 novembre ad Oristano, la nuova direzione conferma Corona (nonostante le sue resistenze) alla segreteria, elegge Pietro Bulla alla carica di vicesegretario chiamando nell’esecutivo un rappresentante per ciascuna provincia: Giuseppe Puligheddu per Nuoro, Antonio Oliva per Sassari, Gianfilippo Uda per Oristano, Antonio Masia per Cagliari.
La direzione delibera inoltre di convocare, nei primi mesi dell’anno entrante «una conferenza politica in cui, oltre a problemi di carattere generale, sarà discusso e messo a punto un programma di lavoro capace di consentire al PRI di dare un apporto costruttivo alla attuazione delle linee programmatiche della legge 268 ed al raccordo tra il nuovo piano di rinascita, il quinto programma esecutivo e il piano della pastorizia; l’obiettivo sarà quello di promuovere investimenti rapidi nei settori portanti dell’economia isolana per favorire intraprese economiche a produttività crescente, capaci di elevare progressivamente i livelli occupativi».
Nel corso del dibattito, la direzione conferma il proprio appoggio alla giunta Del Rio in carica ed approva l’operato del partito che, dando i suoi uomini migliori al bicolore Moro-La Malfa, si è assunto «una pesante responsabilità per contribuire alla soluzione della crisi di governo ed al superamento della grave situazione economica».
Alle amministrative del 1975
In quanto ai capoluoghi, Cagliari registra 4.030 voti, con percentuale del 2,9, in miglioramento e rispetto al 1974, ma in leggera flessione rispetto alle politiche del 1972 e alle regionali del 1974. L’eletto è l’ex consigliere (e assessore) provinciale Marco Marini (con 811 preferenze personali), che avvicenda così il collega Vincenzo Racugno. Questi si piazza al secondo posto fra i non eletti, con 493 preferenze, preceduto da Franco Farina con 690. Ai candidati repubblicani dedica un lungo articolo-inchiesta Tuttoquotidiano, 8 giugno 1975 (“Per i repubblicani il raddoppio è sicuro”).
In forte crescita è il partito ad Oristano, dove i voti sono 753, con percentuale il 4,6 e due eletti gli eletti: Tonino Uras e Piero Carloni (con 270 e 199 preferenze rispettivamente). Ottima la performance (rispetto ai turni precedenti) di Sassari, con 2.022 voti pari al 3,1 per cento e un eletto (l’uscente Nino Ruju che raccoglie 334 preferenze). Buono, pur se in flessione, anche il risultato di Nuoro con 823 voti, il 4,3 per cento e un eletto (l’uscente Salvador Athos Marletta con 226 voti personali).
Significative le performance nelle altre piazze di tradizione, come ad esempio Olbia (eletto Cattrocci), cui ormai si aggiunge Sorso (con 740 voti vengono eletti Razzu, Addis e Murineddu).
Le elezioni fanno anche registrare – come rileverà lo stesso segretario Lello Puddu in occasione del prossimo congresso regionale – la fine di quello sgradevole fenomeno invalso in alcune zone nel passato di tesseramenti non giustificati dal numero dei voti raccolti nelle diverse competizioni elettorali. Se soddisfacente appare, nel complesso, la presenza organizzativa nel capoluogo ed il suo hinterland, nella Marmilla, nell’Oristanese ed a Nuoro, e così anche nel Sassarese, scarti negativi si rilevano ancora nel Sulcis, in Gallura e in talune zone interne del Nuorese. Lo sforzo sarà quello di convincere alla tessera i simpatizzanti, assicurando a tutti spazi di autonomia operativa, entro le linee generali proprie di una forza politica come è il PRI.
Certo, l’elettorato del PRI risponde più ad una tipologia urbana che non rurale, ma ciò deriva non dalla marginalità che l’agricoltura e il suo sviluppo hanno nel programma repubblicano, ma dalla incapacità che finora la dirigenza ha mostrato di coinvolgere la militanza rurale e in generale l’area di simpatia presente nelle campagne nella battaglia politica propriamente detta. Così come un punto di debolezza permane ancora nella dispersione dei repubblicani sindacalizzati fra le tre confederazioni, mentre si riterrebbe più rispondente ed efficace – dati i piccoli numeri della sua partecipazione – una presenza organizzata nella sola UIL.
Sono molte le realtà, oltre quella della militanza sindacale di quella parte dei suoi iscritti che appartengono al lavoro subordinato, che soprattutto negli anni ’70 – quelli che emancipano dalla sua “adolescenza” il PRI sardo, facendone una forza assolutamente protagonista della scena politica – costituiscono punti di forza o di debolezza emergenti nella considerazione della sua dirigenza: ora per valorizzarli al meglio, ora per correggerli o superarli. Così il rapporto con gli ambienti culturali, e accademici in particolare – fra ricerca e docenza, così quello con le nuove classi anagrafiche, con la giovane generazione certamente più acculturata che non un tempo, e verso cui la sua FGR può essere mezzo di collegamento, magari attraverso l’impegno universitario e la partecipazione alle elezioni di rappresentanza.
Anno 1983, un convegno sulla impresa pubblica nell’Isola
La segreteria Ghirra, che gode di un’ampia solidarietà negli organi dirigenti del partito, si sforza di uscire dalle strettoie delle correnti polemiche interne ed esterne, cercando di qualificare la proposta programmatica del PRI anche con iniziative di alto rilievo aperte alla cittadinanza. Così avviene il 14 maggio 1983 con il convegno, organizzato a Sassari, su “L’impresa pubblica in Sardegna”. Al centro di tutto le crisi produttive o di export dei maggiori comparti industriali isolani, dall’alluminio al minerario-metallurgico, alla chimica. Le ristrutturazioni tecniche e finanziarie passano per un nuovo equilibrio fra mano pubblica e mano privata, ridefinendo l’intero sistema economico, produttivo e commerciale, della Sardegna.
I lavori si aprono con una relazione del professor Paolo Savona che rilancia la sua nota proposta della “pentola bucata” secondo cui lo sbilancio fra import ed export di beni e servizi di un certo territorio determina in esso una tensione in termini di compensazione del potere d’acquisto perduto dall’area, con diretto indebolimento del suo concreto potenziale di sviluppo. Associando incentivi ed economicità dell’impresa, a parere del presidente del CIS è ravvisabile «una netta superiorità morale» nelle iniziative industriali aventi radici nella tradizione produttiva dell’Isola, dall’estrattivo non minerario-metallurgico al sugheriero, dal tessile all’alimentare. Ma è proprio in tali settori che si riscontrano «pesantezze gestionali e diseconomie nell’area pubblica o semipubblica, mentre i privati prosperano». Conclusione: «E’ proprio la lettura della crisi industriale come crisi politica e non come crisi economica a motivare il convincimento che non è possibile fondare il futuro economico della Sardegna sul contributo proveniente dall’industria pubblica».
Prendono quindi la parola, con interventi mirati ai campi di rispettiva competenza, il giurista Franco Farina, il geologo Ilio Salvadori e gli economisti Roberto De Santis e Riccardo Gallo, oltre al direttore generale dell’ARST (e revisore dei conti dell’ALSAR) Marcello Tuveri.
Nelle sue conclusioni, l’ex ministro del Bilancio Giorgio La Malfa così sintetizza la posizione del partito: «Sia chiaro che non si può far pagare alla Sardegna ed ai lavoratori sardi il costo delle scelte politiche ed economiche sbagliate e dell’industrializzazione di rapina degli anni ’60 e ’70. Una politica di risanamento, che pure è necessaria, non è nella concezione dei repubblicani come politica che impone maggior disoccupazione. Al contrario bisogna saper difendere i livelli di occupazione raggiunti e aumentarli chiamando a raccolta non solo l’iniziativa pubblica, ma anche e soprattutto il risparmio e quindi il sistema creditizio della Sardegna e l’imprenditorialità privata, che pure esiste. Ma ciò che è mancata e manca è una capacità delle strutture regionali di incanalare gli sforzi in questa direzione e di sollecitare interventi adeguati da parte delle strutture centrali dello Stato… Noi non crediamo che le forze che fino ad oggi sono state interpreti di una gestione tradizionale e assistenziale siano in grado di divenire portatrici di valori opposti a quelli che esse hanno proclamato e favorito. E’ necessario invece l’affermarsi di altre forze politiche libere dal peso delle responsabilità e soprattutto da modi pensate passati». (La stampa regionale dà largo risalto all’evento. Così L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna il 15 maggio 1983, rispettivamente “Savona: ‘La crisi dell’industria è legata all’assistenzialismo’” e Assistenzialismo in crisi” rispettivamente).
Alle regionali del 1984, nell’alleanza liberal-repubblicana
Il rimescolamento congressuale prepara la partecipazione repubblicana alle elezioni regionali di giugno (ed a quelle, che le anticipano di una settimana, per il rinnovo del Parlamento europeo).
La nuova legge elettorale impone al PRI l’alleanza con i liberali, così come peraltro avviene, a livello nazionale, per le europee. All’insegna di “rigore ed efficientismo”. Al solito, quando è in parte verità in parte rituale scontato, le dichiarazioni pubbliche e le interviste ai giornali indicano come ragione profonda dell’incontro fra i due partiti una opzione ideale e politica, la scelta propriamente politica e non soltanto tattica o soltanto elettorale, di dar corpo ad un’area presidiata ancora da una presenza troppo debole.
In una ennesima intervista a La Nuova Sardegna ed in altre dichiarazioni alla stampa, Salvatore Ghirra si esprime, all’inizio della campagna elettorale, anche sullo scenario politico generale: «Roich, dimostratosi inaffidabile, non avrà più i nostri voti. Appoggiarlo, mentre infuriava la questione morale, è stato un grave errore». Il riferimento è a quell’insieme di polemiche che hanno investito il presidente della giunta per cointeressenze di varia natura che lo hanno visto coinvolto nelle inchieste sul faccendiere Flavio Carboni e le spericolate operazioni finanziarie e alleanze d’affari con gli uomini del Banco Ambrosiano, della P2 ecc. Naturalmente non minore è la delusione per l’appoggio determinante offerto da Roich, presidente di una giunta peraltro a partecipazione repubblicana, alla modifica della legge elettorale penalizzante le formazioni minori e in via diretta il PRI.
A quelle di Ghirra si aggiungono presto le dichiarazioni di un altro esponente di primo piano come Salvator Angelo Razzu, e secondo la stampa è diffuso nel partito il giudizio che il segretario ribadisce, con spirito autocritico, nella campagna elettorale: «Nel corso di questa legislatura abbiamo commesso un grave errore: quello di aver concesso la fiducia alla giunta quando nei confronti di Roich era stato sollevato il problema della questione morale». E circa la modifica surrettizia della legge elettorale non manca, il segretario repubblicano di alzare la polemica verso la Democrazia Cristiana: «Abbiamo sempre chiesto chiarimenti e sollecitato riunioni del pentapartito prima e dopo l’approvazione dell’emendamento elettorale. Le riunioni non sono mai state convocate e, anche due giorni prima del voto, ci era stato assicurato che non era prevista nessuna modifica elettorale. Sta qui la scorrettezza della DC e l’inaffidabilità di Roich. L’emendamento elettorale è un atto vergognoso e se lo si vuole giustificare sostenendo l’esigenza della governabilità del Consiglio significa voler nascondere la sostanza del problema. Siamo anche noi per la governabilità che si realizza soprattutto eliminando le tensioni correntizie che esistono all’interno della DC. Per questo sosteniamo che bisogna ridurre il numero dei consiglieri e degli assessorati in modo che molti degli attuali consiglieri democristiani che poco o nulla hanno fatto in questa legislatura nell’interesse dei sardi siano lasciati a casa».
Circa la denuncia dei cosiddetti “poteri esterni”, Ghirra sostiene di condividere la preoccupazione espressa da diversi partiti in proposito: «Il problema – aggiunge – è presente e attuale anche se taluna delle forze politiche, con interpretazione strumentale, considera il problema riferito solo alla caduta della giunta laica e di sinistra. E’ una visione parziale. Prendiamo però atto che complessivamente queste forze politiche dimostrano sensibilità al problema e, seppure non direttamente, implicitamente lo confermano». Se poi per “poteri esterni” sia da considerarsi la Massoneria, a domanda precisa Ghirra risponde: «Non escludo e non dico che è questo. Per quanto riguarda il PRI le interferenze esterne le abbiamo denunciate apertamente al recente congresso, le abbiamo combattute e abbiamo vinto. Ma il problema è più generale».
Riguardo alla modifica della legge elettorale è da dire che la direzione nazionale appena eletta dal XXXV congresso celebratosi a Milano appoggia toto corde la linea dei repubblicani sardi che denunciano slealtà plateali dei colleghi di maggioranza nell’Assemblea sarda e in prima persona il presidente Roich. Ripetutamente il segretario Spadolini interviene, dopo che in sede di ratifica della legge in Consiglio dei ministri, scrivendone su “La Voce Repubblicana”.
Problemi anche a Nuoro. L’assessore provinciale repubblicano Salis si è dimesso (ma senza formalizzare, in attesa di potersi consultare con la segreteria provinciale del partito) il giorno stesso dell’approvazione del bilancio, passato con il voto determinante del consigliere missino. La crisi poi rientra.
Repubblicani e liberali presentano liste nei quattro collegi provinciali nella convinzione di poter questa volta strappare quel consenso altre volte mancato. Ad incoraggiare un tale stato d’animo è anche la consapevolezza che l’assenza dalla competizione delle due maggiori personalità che hanno segnato, nel bene e nel male, i destini di entrambe le formazioni per lunghi anni – vale a dire Armando Corona e Sebastiano Medde (in Consiglio rispettivamente dal 1969 e dal 1965) – conceda spazio ai candidati in lista. L’obiettivo generale è di superare i pur rimarchevoli risultati del 1979 (sul filo dei 30mila voti i repubblicani e dei 18mila i liberali), e consentire ad entrambi i partiti di avere una replica e anzi una implementazione della rappresentanza. (Il PLI ha escluso dalle candidature, in una logica di ricambio generazionale, l’uscente on. Tatano Medde. Chiaramente indispettito pubblica sui giornali delle manchette in cui informa il suo fedele elettorato della propria assenza dalla competizione: quasi un messaggio di boicottaggio del voto).
Nel concreto i repubblicani ed i liberali portano in lista un numero pressoché pari di nominativi, puntando peraltro su alcuni uomini-forza che potrebbero disputarsi il seggio ritenuto alla portata in ciascuno dei quattro collegi (con una realistica possibilità di un doppio seggio a Cagliari). Con la generosità propria delle formazioni minori ovviamente la parte preponderante delle liste è costituita dai cosiddetti “portatori d’acqua”, gregari che per idealità od amicizia nei confronti dei candidati eccellenti contribuiscono alla raccolta del consenso in aree sociali e professionali dell’intero territorio.
Sono proprio loro ad animare spesso le manifestazioni pubbliche che tendono a porre alla ribalta in modo particolare quegli esponenti dei rispettivi partiti con maggiori chance, anche se pare evidente che le dimensioni elettorali delle componenti od il loro potenziale di successo sia diverso: molto più legato alle persona è, tradizionalmente, l’elettorato repubblicano, il che obiettivamente favorisce nelle previsioni i candidati dell’Edera piuttosto che quelli della Bandiera. Forse soltanto Lucio Lecis Cocco Ortu, a Cagliari, vanta credibili chance di successo, per il resto, diffusi fra i quattro collegi, i nomi che corrono sono tutti di repubblicani: Tarquini, Farina, Siddi, Bulla, Marini, Orgiana, Fadda a Cagliari, Merella, Razzu, Cecchini, Olmeo, Micheletti, Tilocca a Sassari, Uras ad Oristano, Catte e Pau a Nuoro.
Il “diario elettorale” pubblicato quotidianamente dalla stampa regionale dà particolareggiato conto delle assemblee di militanti o degli incontri con l’elettorato un po’ in tutti i centri delle quattro province. Fra gli esponenti nazionali del PRI è da segnalare la partecipazione del segretario della FGR Oscar Giannino a Nuoro, del presidente dei deputati Battaglia e del professor Ungari a Cagliari, dello stesso segretario politico (e ministro della Difesa) Spadolini tanto nel capoluogo, quando ad Alghero, Sassari e Sorso.
In una conferenza stampa a Cagliari il leader repubblicano conferma la linea di fondo del partito a favore del pentapartito e, per quanto possibile, della partecipazione alla alleanza attraverso un rafforzamento dei rapporti con gli altri partito di area laica e socialista, così anche in sede locale: «Il PRI è per la corrispondenza delle alleanze locali con quelle centrali e prevedo che questa tendenza sarà accentuata», naturalmente con possibilità di deroghe quando – dice – «il nostro voto è l’unica strada per impedire il commissariamento di un ente o nei casi in cui è necessario difendere il buongoverno sulla base di programmi chiari».
Circa la situazione sarda ed alle provocazioni politiche lanciate dal PSd’A afferma: «L’indipendentismo è una degenerazione dell’ideale autonomistico, Il PRI rispetta il sardismo, i due partiti hanno filoni in comune e anche una storia in comune. In Sardegna il PRI ha raccolto il filone più autentico del sardismo. Ma oggi nel PSd’A ci sono atteggiamenti indipendentisti che giudichiamo discutibili e pericolosi». […].
Nel nuovo Consiglio regionale emerso dal voto del 1984 entrano tre repubblicani: Tarquini eletto nel collegio di Cagliari, Merella a Sassari e Catte a Nuoro.
Per quanto specificamente riguarda il PRI in questa prima prova del “dopo Corona”, certamente costituiscono elementi valutativi importanti circa il gruppo dirigente chiamato a guidarne le sorti le tabelle delle preferenze nei singoli territori. Più particolarmente in provincia di Cagliari, dove maggiori sono state le tensioni fra la parte schieratasi, al recente congresso, a sostegno del segretario Ghirra e quella definita degli “amici di Corona” è da registrare la conferma complessiva di un equilibrio di forze: alle spalle dell’eletto Tarquini – certamente inquadrabile nella maggioranza – e, come primo dei non eletti repubblicani, di Franco Farina, risultano diversi dei “coroniani”, da Siddi a Bulla, da Orgiana a Fadda a Podda. Sola eccezione, nel gruppo di testa, Marco Marini, assessore comunale a Cagliari e “titolare” di un cospicuo pacchetto di voti fiduciari.
A Sassari, dietro l’eletto Merella, da lui distanziato da circa trecento preferenze, si piazza Salvator Angelo Razzu, e dopo questi, con oltre 2.100 preferenze l’algherese Moreno Cecchini. Anche le posizioni successive confermano i ragguardevoli accrediti sociali di diversi altri esponenti del PRI provinciale: Olmeo, Micheletti, Tilocca ecc. Limpide conferme ad Oristano, con la netta primazia di Tonino Uras, ed a Nuoro dove primeggia Catte, grazie a un “pacchetto” di voti garantitogli sempre dalla sua Oliena e ad una buona raccolta anche in provincia, e gli è solo competitore Annico Pau, l’ex sindaco del capoluogo.
1986, un altro convegno sullo sviluppo economico isolano
Il 2 e 3 maggio si svolge al Diran Hotel di Quartu l’attesa conferenza programmatica dei repubblicani il 3 e 4 maggio 1986, presente l’on. Giorgio La Malfa, vice segretario nazionale. Impostata su relazioni e tavole rotonde aperte a esponenti di tutti i partiti, dei sindacati e delle organizzazioni datoriali, la due giorni si apre con un lungo intervento preparato da Paolo Savona (assente per indisposizione, e letto dunque dal professor Sabattini) su “La Sardegna nel passaggio dal sottosviluppo allo sviluppo”. Alla tavola rotonda che segue, coordinata da Lello Puddu, partecipano Romano Mambrini, Manlio Sechi, Adreano Madeddu, Nino Carrus, Giorgio Macciotta e Franco Mannoni. Seguono alcune comunicazioni di Franco Farina sul credito, Riccardo Gallo sull’industria pubblica, Gianfranco Sabattini sulla zona franca e Ilio Salvadori sull’industria mineraria.
La seconda giornata si articola in due sessioni coordinate rispettivamente da Antonio Catte e Achille Tarquini. La prima vede la partecipazione di Franco Turco sulla questione giovanile, Romano Giulianetti sull’energia, Roberto Binaghi sul piano delle acque, Mario Pinna sul turismo, Antonio Catte stesso sui trasporti, Agostino Puggioni sull’artigianato, Raniero Massoli Novelli sull’ambiente, Vallj Paris Giulianetti sui beni culturali e architettonici, Alberto Tasca sulla formazione professionale e Roberto De Santis sui problemi della chimica. Conclude Giorgio La Malfa.
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Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).