Manu Invisible e la Saras
L'arte è arte, non è sociale.
Sto leggendo con attenzione tutto ciò che riguarda la polemica legata all’opera di Manu Invisible realizzata all’interno di un progetto che pare abbia ricevuto un contributo da Saras.
Ho sempre sostenuto l’idea che un artista, in quanto tale, debba lavorare per l’arte evitando il più possibile di impregnare le proprie opere di significati politici e sociali, specie se si tratta di qualcuno che disegna nei cavalcavia della 131 e che di certo non è Pellizza da Volpedo.
Ho sempre pensato che un artista debba badare al bello e per farlo - laddove non sia sufficiente l’articolo 9 della Costituzione - abbia bisogno dei cosiddetti “Mecenati”. Figure tra l’altro ormai normate nell’ambito culturale, tanto è che le più grosse società di capitali presenti in Italia veicolano i propri utili su omonime fondazioni benefiche che trattano anche (e soprattutto) di cultura: Fondazione Coca-Cola, Fondazione Vodafone, Fondazione Tim giusto per fare qualche nome.
E, senza andare troppo lontani, anche la Fondazione di Sardegna, quale spin-off del Banco di Sardegna.
Se Fondazione Tim finanzia con 8 milioni di euro il restauro del Mausoleo di Augusto, credo che qualche centinaio di euro la Saras li può anche mettere per uno schizzo di Invisible.
Mi viene in mente quella band isolana che in tutti i suoi concerti si riempiva la bocca di frasi contro le ragazzine con le Hogan dimenticandosi che il proprio pubblico era composto al 90% di ragazzine con le Hogan.
Questo di Manu Invisible è un caso molto simile. La sua arte è sempre stata legata alla propaganda sociale.
E lui in quanto artista è stato lodato in lungo e in largo DA TUTTI per questo. Non per la qualità artistica, ma per il messaggio sociale.
Un messaggio sociale che ho sempre trovato elementare e quasi infantile di un’arte brandizzata in cui è sempre stato più importante scrivere il proprio nome a chiare lettere anziché far passare la bellezza dell’arte.
Manu Invisible nei suoi lavori ci ha sempre voluto ricordare l’impegno della sua arte. Ci ha sempre voluto ricordare della resilienza, della fragilità, di Antonio Gramsci.
Lo ha fatto anche un anno fa quando a San Michele ha realizzato un murale-memoriale commissionato da amici e famiglia di quel ragazzo il cui funerale era una replica di quello del Casamonica di ispirazione Padrino.
E alla fine - viste le premesse - non ci trovo davvero nulla di strano che partecipi a un progetto per le scuole cofinanziato da Saras.
Varrebbe la pena però ricordarci quanto questo genere di artisti ci tartassano ogni santo giorno con i loro messaggi sociali privi di qualsiasi tipo di ricerca artistica.
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