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Gianfranco Murtas

Miglio cardinale… ricordando Fietta, il cardinale di Ivrea formatosi mondialista a Cagliari

di Gianfranco Murtas

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Perduto nel 2006 il cardinale ozierese Mario Francesco Pompedda, dotto giurista, e soltanto pochi mesi fa il cardinale cagliaritano Luigi De Magistris, uomo di letteratura latina e teologia tridentina, la Sardegna ha recuperato, con le nomine personali del pontefice romano comunicate oggi da papa Bergoglio, un nuovo… posto nel collegio cardinalizio. E poco importa se privo dell’elettorato in conclave, privilegio accessorio, molto accessorio.

Don Arrigo Miglio va ad inserirsi nella lista storica comprendente anche il domenicano seneghese Agostino Pipia, eletto da Benedetto XIII nel 1724, il cagliaritano arcivescovo Diego Gregorio Cadello voluto da Pio VI nel 1803 (al tempo cioè delle imperiate napoleoniche e dei ricantucci sabaudi), il sinnaese diplomatico Luigi Amat di San Filippo e Sorso voluto in rosso dal terribile Gregorio XVI nel 1837 (tempo allora e dopo di tanta ghigliottina benedetta dal papa-re). All’elenco ben si potrebbero aggiungere, in testa e in coda in quanto al calendario concistoriale, Benedetto Cao, cagliaritano, promosso da Gregorio VII al tempo delle scorribande saracene nel Mediterraneo, credo nel 1068 – mille anni fa! – e Giovanni Angelo Becciu, pattadese, pervenuto a tanto prestigio nel 2018 e purtroppo (per lui e per noi) infangato dalla corruzione vaticana, fra speculazioni finanziarie ed immobiliari, investimenti azionari e coperture in paradisi fiscali che non si sono saputi tenere fuori, e lontano anzi, dal tempio.

Direi però che anche altri presuli di alta statura ecclesiale che, in tempi diversi, in Sardegna maturarono esperienze di vita e missione di particolare rilievo ebbero pari riconoscimenti. Piace ricordare ovviamente Sebastiano Baggio, veneto di Rosà vicentino che venne a Cagliari avvicendando l’indimenticato monsignor Paolo Botto, nel 1969, già portandosi dietro il titolo conquistato nelle nunziature sudamericane; piace ricordare, dopo di lui, Giovanni Canestri, piemontese di Castelspina alessandrina che, lasciata Cagliari per Genova nel 1987 (e da noi sostituito da monsignor Ottorino Pietro Alberti) ebbe la porpora l’anno dopo; piace ricordare anche, in un tempo appena più remoto, comunque nello stesso Novecento, Maurilio Fossati, oblato piemontese di Arona Novara, che resse le diocesi di Nuoro (dal 1924 al 1929, con abbinata l’amministrazione di Ogliastra) e di Sassari (per un anno fino al 1930), per migrare quindi a Torino dove nel 1933 Pio XI lo gratificò della porpora (? papa Francesco sostiene che mai la porpora sia da considerarsi gratificazione ma semmai preannuncio di martirio!)… A proposito di Fossati e soltanto per aggiungere una curiosità e trarne una riflessione: egli fu consacrato vescovo da Giuseppe Gamba, al tempo arcivescovo di Torino e presto anche lui cardinale, il quale era stato preconizzato per Cagliari molti anni addietro: era il 1912, ed egli reggeva allora, dopo quella di Biella, la chiesa diocesana di Novara. A Cagliari la morte dell’arcivescovo Pietro Balestra (il francescano conventuale che aveva sacrificato dottor Angioni e il suo “il Lavoratore” alle ragioni del patriziato nero di Castello) imponeva una successione adeguata: si pensò a lui, poi per dar soddisfazione ad altri equilibri si puntò sull’antimodernista monsignor Francesco Rossi, veneto di Thiene allora rigoroso vicario generale e rettore del seminario di Perugia che restò da noi fino a tutta la grande guerra e passa.  

Ora, giunto ai suoi ottanta d’età ed ai 55 di presbiterato, ai 30 di episcopato (di cui la metà in Sardegna, fra Iglesias e Cagliari, il resto nella sua Ivrea) il preannuncio di martirio è a don Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari, che il papa l’ha notificato.

Quando, nel febbraio 2012, papa Benedetto dovette rimediare per come possibile ai tanti pasticci aggrumatisi in diocesi e in città soprattutto nel segno della controtestimonianza clericale e del conformismo obbediente ed ossequiente di certo laicato deresponsabilizzato, scrissi all’allora vescovo di Ivrea, successore in sede di tanto monsignor Bettazzi che avevo avuto il piacere di incontrare ed intervistare a lungo a Cagliari nel 1981. E gli ricordai di quel don Giuseppe Fietta che era venuto anche lui da Ivrea a Cagliari (e prima ad Alghero e Oristano) come segretario particolare di monsignor Ernesto Maria Piovella: e che da Cagliari aveva poi spiccato il volo per le missioni diplomatiche vaticane in mezzo mondo e premiato (?), a fine servizio, nel 1958, da papa Giovanni XXIII appena insediato, proprio con il cardinalato… Le storie, tutte storie d’umanità quale che sia il colore dell’abito e la foggia del copricapo, si incrociano davvero tutte, tutte!

E di monsignor Fietta divenuto cardinale scrissi poi su L’Unione Sarda (5 marzo 2012) un articolo che voleva essere un saluto anticipato al nuovo arcivescovo Miglio. Ne riporto, per modesta testimonianza, il breve testo:

Quel sacerdote che nel 1907 venne da Ivrea

Il vescovo Arrigo Miglio viene a Cagliari, si sa, da Ivrea. Ma egli non è il primo ecclesiastico di rango che dal capoluogo del Canavese, nel nord Piemonte, viene da noi: meriterebbe infatti ricordare che dal 1920 e fino al 1923 operò a Cagliari, e prima (dal 1907) ad Alghero e (dal 1914) ad Oristano, don Giuseppe Benedetto Fietta, destinato a fulgida carriera nella diplomazia vaticana e addirittura al cardinalato, con il titolo di San Paolo alla Regola. 

Perché fu in Sardegna e che cosa lo legò per tutta la vita – fino al 1960, quando morì – alla nostra regione ed in particolare alle tre città in cui risiedette, in successione, per oltre tre lustri? Don Fietta era stato ordinato prete soltanto da un anno quando, già munito di laurea in teologia conseguita alla Gregoriana, fu “intercettato” da monsignor Ernesto Maria Piovella promosso vescovo e mandato – lui oblato di Rho – a «fare il missionario» nell’Isola, come si espresse allora il papa Pio X. «Andrai in Sardegna, nuovi lidi e nuovi mari, e poi lascerai alla Divina Provvidenza il guidarti dove essa vorrà», profetizzò invece al giovane prete il proprio parroco.



Ad Alghero, al fianco del suo monsignore (giovane anche lui, neppure quarantenne), fu rettore del seminario diocesano e canonico della cattedrale di Santa Maria Immacolata; dal 1914 ad Oristano – seconda tappa episcopale di Piovella (in verità amministratore apostolico dell’archidiocesi già dal 1911) – fu oltreché docente in seminario, anche capitolare e parroco; a Cagliari, finalmente, proseguì nel doppio ufficio di segretario-fiduciario dell’arcivescovo e professore al seminario, con i titoli d’onore di canonico ed anche di prelato domestico di Sua Santità.

Finalmente nel 1923 venne chiamato a Roma per essere introdotto nella carriera diplomatica: inquadrato come consigliere di Nunziatura seguì monsignor Angelo Rotta che era internunzio per l’America centrale. Fu diplomatico ma prima di tutto sempre prete nel suo servizio alle popolazioni più povere di quelle nazioni; e in America centrale rimase (dopo il trasferimento di Rotta), come incaricato d’affari e poi nunzio in prima persona, con la promozione arcivescovile (titolare di Sardica) nel 1926. Assegnato alle repubbliche di Haiti e San Domingo, nel 1936 fu trasferito da Pio XI a Buenos Aires. Così fino al 1953, quando essendosi liberata la sede di Parigi – dov’era nunzio monsignor Roncalli, in quell’anno fatto cardinale e patriarca di Venezia – nuovamente gli venne chiesto di far i bagagli e spostare l’ufficio. Una malattia impedì quell’avvicendamento e quindi papa Pacelli – non volendo comunque rinunciare a lui – lo incaricò della Nunziatura presso la repubblica italiana. Quando, per singolare coincidenza, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede era un sardo, l’oristanese Francesco Giorgio Mameli.

Nel primo concistoro chiamato da Giovanni XXIII nel dicembre 1958 venne creato cardinale, e fu il presidente Gronchi ad imporgli, al Quirinale, la berretta color porpora; dal papa, successivamente, ebbe il solenne galero con tanto di fioccatura di nappe, secondo l’uso principesco (e poco evangelico) preconciliare.

Ormai la malattia che lo accompagnava da molti anni lo aveva costretto al ritiro, in un convento francescano di Roma, pur non mancando egli alle convocazioni presso varie congregazioni vaticane (la Concistoriale – cioè dei Vescovi -, quella della Chiesa orientale, della Propaganda Fide, ecc.) delle quali era consultore. Proprio per la malattia, ma forse più ancora per la piena umiltà dell’uomo e del prete, rinviò ogni festeggiamento organizzato dalla sua Ivrea. Qui fu salutato nell’ottobre 1960, quando ritornò per morire. Al solenne funerale, nel duomo cittadino, assistette il suo collega cardinale di Torino, quel don Maurilio Fossati che era stato, negli anni ’20, vescovo a Nuoro e arcivescovo a Sassari…

Per lungo tempo, vivente ancora monsignor Piovella – cioè fino al 1949 –, egli pressoché ogni anno tornava, dai suoi meridiani e paralleli, a Cagliari e ad Oristano – dove aveva mantenuto viva l’amicizia con il can. Littarru, condiscepolo universitario di Angelo Giuseppe Roncalli – trattenendosi ogni volta una settimana e più. Era sua buona abitudine quella di ricontattare i vecchi amici della sua pur impegnata gioventù isolana. E i ricordi che ne sono rimasti, risvegliati proprio in questi giorni dall’avv. Flavio Lai, nipote di don Eugenio nuovo segretario di monsignor Piovella, sono numerosi. Come quando, saputo del rifiuto opposto dall’arcivescovo di Cagliari al trasferimento alla prestigiosa sede cardinalizia di Palermo, aveva interrogato, con familiare curiosità, il presule indaffarato allo scrittoio nell’ufficio di Castello, ricevendo da questi un «E a te che t’importa?». Fu l’unica volta che monsignor Piovella osava dare del tu al suo segretario. Proprio un’altra epoca!    

Un dono alla Sardegna: la porpora per monsignor Fietta

A don Giuseppe Fietta dedicai un breve capitolo nel mio Papa Roncalli e la Sardegna. Corrispondenze Incontri Amicizie (Cagliari, Edizioni della Torre, 2002) che il caro card. Loris F. Capovilla volle arricchire di un suo contributo in sede di prefazione e anche nella fornitura di molti materiali, e l’amico don Tonino Cabizzosu introdurre da par suo. Ecco anche di questa mia partecipazione biografica del Fietta la prova:

 

A meno d'un mese dalla sua elezione, Giovanni XXIII convoca il suo primo concistoro. Fra coloro che egli eleva alla dignità cardinalizia – nel maggior numero di 23 candidati – è monsignor Giuseppe Fietta, in gioventù per lunghi quindici anni residente in Sardegna al seguito, come segretario particolare, di monsignor Ernesto Maria Piovella, dapprima nella sede vescovile di Alghero (raggiunta nel 1908), quindi in quelle metropolitane di Oristano (1914) e di Cagliari (1920).

E’ una conoscenza antica del nuovo pontefice, dal quale lo separano soltanto due anni. Originario di Ivrea, sacerdote dal 1906, dottore in teologia e diritto canonico (laureatosi alla Gregoriana), è stato discepolo e figlio per monsignor Piovella fino al 1923, quando il suo arcivescovo ha creduto, rispondendo alle sollecitazioni della Santa Sede, di doverlo affidare, già con i suoi bravi titoli ecclesiastici (un biglietto di Benedetto XV lo ha fatto "prelato domestico" di Sua Santità fin dal maggio 1920), agli incarichi diplomatici che per mezzo secolo si susseguiranno l'uno all'altro.

Chiamato dapprima alla segreteria di monsignor Rotta, già suo superiore al Pontificio Collegio/Seminario Lombardo ed ora internunzio apostolico nell'America Centrale (cioè in tutti i paesi del sistema geopolitico a sud del Guatemala, isole-stati dei Caraibi comprese, e perciò: Panama, Costarica, Nicaragua, Honduras, El Salvador), è divenuto soltanto due anni dopo incaricato d'affari (per il trasferimento dello stesso Rotta alla delegazione apostolica di Istambul, dove gli succederà monsignor Carlo Margotti e, nel 1935, monsignor Roncalli). Nel 1926 è stato promosso internunzio ed arcivescovo titolare di Sardica, e quindi - nel 1933 e poi nel 1936 - nunzio rispettivamente ad Haiti e San Domingo (per l'intervenuto ristabilimento dei rapporti fra Santa Sede e Repubblica Dominicana) ed in Argentina (con competenza iniziale anche sull'Uruguay ed il Paraguay). Da qui il suo nome è corso (nel 1944) per un'eventuale trasferimento a Parigi, ma ha ceduto presto il campo, per volontà personale di Pio XII, alla candidatura proprio di monsignor Roncalli. Nel gennaio 1953 è quindi tornato in patria come nunzio presso il governo italiano (e qui ha ritrovato quel suo "mentore", ed in speciali rapporti di intimità con il futuro Giovanni XXIII, monsignor Rotta, chiamato intanto, dopo altri avvicendamenti, a disposizione della Segreteria di Stato).

In occasione dei periodici ritorni per consultazioni con i vertici vaticani – al tempo delle sue attività diplomatiche – non ha pressoché mai mancato di fare una puntata in Sardegna, dove sempre ha curato le relazioni umane, amicali ed ecclesiali, intrecciate negli anni della sua giovinezza. Alla cerchia più stretta appartiene senz'altro il canonico Giuseppe Littarru («Ricordando l'amico lontano», gli scrive su una cartolina postale con la sua fotografia, quasi all'indomani dei trasferimento a Buenos Aires).

Fra i suoi appunti ne saranno trovati alcuni proprio riguardanti la "missione" sarda, che Il Risveglio Popolare pubblicherà, insieme con vari stralci di corrispondenza, all'indomani della scomparsa, avvenuta nell'ottobre 1960. Ecco come il giornale della curia vescovile di Ivrea rievoca quei fatti lontani e le emozioni da essi suscitate: «La Divina Provvidenza, che veglia su tutte le persone e su tutti gli eventi, fece sì che il sacerdote Giuseppe Fletta invece di tornare (dagli studi accademici romani) in Diocesi, che si riprometteva tante opere dal Suo zelo e capacità, venisse chiamato quale segretario particolare di S.E. Mons. Ernesto Piovella, eletto Vescovo di Alghero, sconcertando i piani che in Diocesi tutti avevano formulato per il giovane laureato. "Considerando però la cosa dal lato della volontà di Dio - così scriveva lo zio Canonico - mi rassegno coi tuoi cari al distacco. Conservati buono come sei ora e consacrati alla gloria di Dio ed al bene della anime, per renderti non indegno di altre grazie che il Buon Dio ti tenesse preparate".

«S.E. Mons. Filipello scrisse a sua volta a Mons. Piovella: "Faccio volentieri il sacrificio di don Fietta sì per il bene della Diocesi a cui la fiducia del S. Padre chiama la S.V., sì per omaggio a lei e all'Ecc. Lualdi, che meglio di me conosce don Fietta". "Andrai in Sardegna – continuava il Can. Boggio suo Parroco – nuovi lidi e nuovi mari e poi lascierai alla Divina Provvidenza il guidarti dove essa vorrà".

«Della Sua opera in Sardegna, ad Alghero, ad Oristano e a Cagliari [...], resta un piccolo documento trovato tra le Sue carte: "E stato un fervente apostolo di ogni cristiana e civile virtù, costante esempio di moralità e correttezza. Accoppiando alla signorilità dei modi l'umiltà dell'animo suo, praticò la beneficenza più generosa in favore dei poveri. Colto e convinto apostolo di carità, colla parola e con l'esempio seppe lenire dolori e diffondere i più delicati sentimenti di pace ed amore".

«Alla scuola poi dell'Eccellentissimo Vescovo Piovella, imparò e riprodusse sempre quel suo spiccato carattere di bontà, unito a squisita cortesia, per cui quanti lo avvicinavano restavano entusiasti e non si partivano dalla sua presenza senza un buon pensiero, una buona parola e un'esortazione al bene. Modo di agire imparato dal Superiore, ma messo sempre in atto nel lungo corso della vita: per questo sempre la Sua persona tanto fu stimata ed amata.

«Ad Alghero fu Rettore del Seminario e Canonico della Cattedrale. Nel 1914 passava con Mons. Piovella alla sede metropolitana di Oristano dove fu Parroco, insegnante in Seminario, Canonico della Cattedrale e lo seguiva ancora all'arcivescovado di Cagliari nel 1921 [recte 1920]...».

Pochi mesi dopo la scomparsa di monsignor Piovella, si è anche ipotizzata una sua nomina alla sede arcivescovile di Cagliari. «Mons. Basoli è stato qui ad Oristano e so che nelle conversazioni ha detto che la nomina di Mons. Fietta si rassoda: costì niente di positivo?», scrive il decano capitolare di Oristano monsignor Pietro Carta al canonico Eugenio Lai il 20 luglio 1949. Dodici giorni dopo, però, Pio XII decide per il rettore del seminario di Chiavari e pro-vicario generale di quella diocesi ligure, monsignor Paolo Botto, che sarà consacrato vescovo il 9 ottobre successivo.



Con la berretta cardinalizia, cui è annesso il titolo di San Paolo Apostolo alla Regola (diaconia elevata pro hac vice a titolo presbiterale), Giovanni XXIII vuole compensarlo per i preziosi sevizi resi alla Sede Apostolica, ma inevitabilmente anche alla Chiesa sarda. «Quando lasciò la Sardegna, tutti i cattolici della nobile Isola ebbero per lui attestati di venerazione e gratitudine, sentimenti che tuttora permangono vivissimi», scrive L'Osservatore Romano del 15.16 dicembre 1958, pubblicando la sua biografia nell'occasione del doppio concistoro, segreto e pubblico, che lo ha rivestito della porpora. E così è, infatti: ogni diocesi, non soltanto quelle da lui personalmente frequentate nei tre lustri di vita isolana, gode per il riconoscimento.

Tutti ora egli ringrazia, anche per la memoria ridestatagli delle cose e soprattutto delle persone dell'Isola: «Dal cielo sorride Monsignor Novella, in terra esulta Sardegna tutta ed invia fervide congratulazioni auguri», gli telegrafa monsignor Basoli. Ed a monsignor Botto che si è affrettato anche lui ad esprimergli le migliori felicitazioni per la promozione, così risponde il 24 novembre 1958: «Eccellenza Reverendissima, La ringrazio di gran cuore della sua squisita cortesia usatami in occasione dell'annuncio dell'augusta benevolenza del Santo Padre verso di me. Può ben immaginare l'E.V. quanto abbia ricordato in questi giorni la carissima Cagliari».

Fra i protagonisti delle attività di varie congregazioni (Concistoriale, Propaganda Fide, Chiesa orientale, Affari Ecclesiastici Straordinari...) cui è assegnato e come si legge nel biglietto della Segreteria di Stato - dalla «Santità di Nostro Signore» (il papa cioè), egli continua a proporsi quasi come un ponte fra la Chiesa sarda e la Sede Apostolica. Proprio pochi mesi prima della sua morte (la data precisa dovrebbe essere il 27 luglio 1960) ottiene da Giovanni XXIII una speciale udienza per il canonico Eugenio Lai, a lui succeduto, giovanissimo e dopo un certo apprendistato già da seminarista, nella segreteria particolare di monsignor Piovella. Ora, un anno dopo la mesta ricorrenza del decennale della scomparsa del grande arcivescovo - avvenuta il 18 febbraio 1949 torna vivido il ricordo della straordinaria personalità del presule, che il futuro pontefice aveva avvicinato all'indomani della propria ordinazione sacerdotale (che invece era, per il vescovo, vigilia della consacrazione episcopale). La conversazione – e qui è dello stesso cardinale Fietta la testimonianza – attraversa cordiale i sentieri della memoria spirituale e questa sembra come materializzarsi in una affettuosa, prolungata stretta di mano, anzi di mani, fra il papa dell'urbe e dell'orbe e l'ormai quasi settantenne canonico cagliaritano, che sarà incaricato della prima raccolta di deposizioni giurate di sacerdoti, religiosi e laici in vista di una possibile causa di beatificazione di Piovella. In quella stretta di mani, è legittimo il dedurlo, rinverdisce lo scambio umano che, nelle stanze del seminario tridentino e dell'episcopio, e poi anche sotto le volte di pietra della primaziale e della sua cripta, era stato ricchezza per tutti in quei giorni magici di quasi quarant'anni addietro...

«Che cosa ci resta, fratelli e figli carissimi, se non amarlo, il Papa, e disporre il nostro animo ad ascoltare la sua voce, a lavorare insieme con Lui per l'incremento del regno di Dio e a seguirlo fedelmente nella via della verità, dell'amore e della pace? Col Papa, siamo con Cristo, e chi segue. Cristo non cammina nelle tenebre, ma va incontro alla luce e alla vita».

***

Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).

Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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23 Giu 2022

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