MINISTRO, MA BASTA CON QUEST'ODIO!
"Non c'è un popolo veramente sovrano se lo stesso demanda la propria soggettiva autonomia di persona, al capo. Quello non è un popolo; è un branco di bipedi".
Di Antonella Soddu
“Ma basta!” Paradossalmente usiamo queste due parole pronunciate da alcuni giornalisti contro il loro collega che cercava dal Ministro Salvini delle risposte alle domande: “Chi erano gli uomini che mi hanno chiesto i documenti”, “perché volevano impedirmi si svolgere il mio lavoro ?”, “perché il Ministro non chiede scusa per le intimidazioni subite mentre facevo il mio lavoro?”
Le citiamo perché c’è un odio viscerale che sta distruggendo il Paese, è nessuno sembra volerne seriamente prendere atto. Nemmeno chi si è assunto il sacrosanto dovere di fare il mestiere del giornalista; lo abbiamo visto durante la vergognosa conferenza stampa al Papeette Beach. Un giovane giornalista di 28 che si affaccia alla professione è palesemente minacciato e accusato di pedofilia tra l’indifferenza di altri colleghi che sono anche arrivati a urlargli contro - <<Ma basta>> come se il problema fossero lui e le sue legittime domande. L’odio sui social poi, si è fatto largo nella nostra quotidianità catapultando tutti dentro un’arena virtuale in uno scontro caratterizzato da un’inaudita violenza verbale legittimata da chi detenendo il potere politico, la sdoganata. Siamo passati dallo sdoganamento dell’ ignoranza al potere all’odio. Elementi strettamente connessi ancor quando la bassa cultura degenera in inciviltà. Il problema non è se un ministro della Repubblica abbia il sacrosanto diritto di godersi le vacanze dove più gli aggrada farlo. No. Non è quello. Piuttosto il vero problema è il non sentire il senso della misura oltre il quale le azioni e le parole possono assumere carattere o di ridicolo - quindi in ridicolo, in questo caso, si espone anche la figura dello Stato - o di affronto e sfida a quanti ancora - per fortuna - riescono a mantenere un barlume di lucidità e pensare in forma autonoma e con questo, prova a reagire. "Questa è casa mia, qui comando" - parafrasando una nota canzone - è l'affronto. La sfida è, invece, riuscire a creare quanti più seguaci possibili dando loro l'artefatta sensazione di esser entità simili. "L' uno di noi" è oramai entrato nelle menti di molti e qualsiasi cosa si prospetti loro come antidoto per ricredersi sul conto del capitano, questa non sarà mai vista come offerta per riprendersi la propria capacità di ragione quanto piuttosto, come un attacco a chi sta salvando il Paese dall'invasione dello straniero nero, brutto e cattivo. Pochi giorni prima del video che riprendeva il figlio del Ministro Salvini a bordo di una moto d’acqua in dotazione alla Polizia di Stato cui sono seguite da prima le minacce di alcuni uomini probabilmente della scorta – non lo sappiamo - del Ministro, in un secondo momento quelle del Ministro stesso e per ultimo l’odio e gli insulti sui social, una giovane giornalista sarda - Stefania Lapenna - di Cagliari solo per aver osato esprimere una sua opinione sul caso Sea Watch e Carola Rackette è stata oggetto di pesanti insulti anche sessiste riversati su di lei nella pagina fb del quotidiano online Vistanet.it. “Insulti - come ha lei stessa detto - per la maggior parte provenienti da donne. Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere per aver solo espresso una mia opinione in maniera civile. Si è superato il limite. Non è stata ribattuta la mia opinione apportando altre opinioni ma, riversando alla mia persona una valanga d’insulti indicibili. Sono passati all’attacco senza pensare poi alle conseguenze cui potevano andare incontro. Infatti, ho deciso di dire basta di passare ai fatti rivolgendomi a un avvocato per sporgere querela.”.
Sorprende che siano le donne a mostrare apertamente tanto odio e livore; un carabiniere è stato assassinato e una donna ha scritto – “uno di meno”. Una nave ONG salva uomini, donne incinte e bambini, e una donna scrive – “Matteo non mollare, le donne gravide non sbarchino. Vadano a figliare in Tunisia. Difendi la tua Italia”. Due donne, due insegnanti. Due donne; una del nord e una del sud forse anche madri in quel Paese dove “I figli... so' pezzi 'e core”… - <<Tranne quelli delle altre>>. Due donne insegnanti che dal prossimo anno scolastico potrebbero anche esser chiamate a insegnare anche ai figli delle altre l’educazione civica appena reintrodotta nei programmi didattici delle nostre scuole.
“E’ un fenomeno strano - dice Lapenna - cui non avrei mai pensato di dover assistere. Evidentemente per certe donne attaccare altre con epiteti volgari e frasi sessiste sembra non esser un problema. Non so nemmeno spiegarmi questo fenomeno sociale degli ultimi tempi. Penso solo che certi fenomeni siano anche foraggiati dai livelli bassi in cui è caduta la dialettica politica a livelli alti istituzionali. Poi ne vediamo le conseguenze”.
Indubbiamente il linguaggio politico attuale scade ogni giorno di più a livelli talmente bassi da non poter esser misurati ne descritti. Ognuno si sente autorizzato a esprimere odio e livore senza assunzione di responsabilità nei confronti d’altri. Nel caso di Stefania Lapenna il motivo scatenante di tanto odio è stato l’esternazione di una sua opinione sul caso Sea Watch e Carola Rackette - “Ho espresso un’opinione sul caso Sea Watch – ha continuato la giornalista di Vistanet.it - quindi ho espresso la mia solidarietà nei confronti delle persone a bordo della nave; ciò ha scatenato il finimondo.”
L’ opinione però non è un’autorizzazione all’insulto, è una critica che può esser negativa o positiva o aspra. Richiede un’altrettanta replica d’opinione che sostenga la via del dialogo. Di sicuro non può esser offesa alla dignità, al decoro della persona, alla denigrazione. Sarebbe opportuno che qualcuno cominci a prendere atto del fatto che la libertà di espressione e di parola non equivale alla libertà di offendere e insultare soprattutto con l’utilizzo del web.
“Coloro che ricorrono all’insulto facile sembrano sentirsi autorizzati e protetti da un monitor prima e dal dato di fatto che comunque tale linguaggio volgare e prepotente è usato anche da chi avendo ruoli istituzionali agita quotidianamente. Ripeto, si può dissentire dalle opinioni degli altri ma, nel mio caso, non c’è stato un solo commento di dissenso che fosse debitamente argomentato. Tutto è scaduto nell’insulto.”
Alcuni giorni fa anche il Parlamentare Ivano Scalfarotto avvalendosi, tra le altre cose, di quella che è una sua prerogativa Parlamentare che è quella di fare ispezioni nelle carceri - in questo caso - ma comunque in ogni luogo ove si presenti la necessità di verificare fatti per poi poter adottare scelte nelle aule Parlamentari, si è recato al carcere a vedere di persona i due cittadini americani responsabili dell’omicidio del Carabiniere Mario Cerciello Rega. Il suo gesto, ribadiamo, che è una prerogativa parlamentare, ha scatenato su di lui una valanga di polemiche (anche da parte di suoi colleghi di partito stesso) e insulti. Stiamo assistendo quasi senza reagire a una sorta d’imbarbarimento generale che accostano il Paese a uno scontro tra ultrà allo stadio. Anche in questo caso le più violente si sono dimostrare le donne.
“Un imbarbarimento della società cresciuto con l’avvento dei social…”. No, i social non possono esser i soli additati di questa responsabilità. Il fatto di attribuire solo ai social la responsabilità di questo imbarbarimento culturale e lessicale è riduttivo. Dentro i social è riversato un po’ il peggio insito in ognuno. Il peggio che sfugge al controllo e/o si sente autorizzato ad emergere. Appare evidente che chi si sente autorizzato ad agire da barbaro in parte lo è anche nella sua quotidianità di vita nella comunità. Non si diventa dall’oggi al domani un violento, incivile.
“Certo – ha proseguito Stefania Lapenna - viene fuori il carattere violento delle persone che pensano di esser protetti da uno schermo di Pc e da una tastiera che consente tutto. Nessuno sembra pensare alle conseguenze, che a volte arrivano, come nel mio caso. Questa volta ho deciso di non lasciar passare proprio per dare un segnale forte e chiaro di non rassegnazione a questo clima di violenza e ineducazione. Per quanto mi riguarda, è la prima volta che questo accade, non è mai avvenuto su altri articoli che ho scritto. Ho ricevuto tanti attestati di solidarietà che mi hanno anche commossa.”.
Un altro aspetto che merita d’esser osservato e discusso da chi si occupata d’informazione e dirige redazioni di giornali online o pagine di giornali, è quello della necessità che anche le redazioni online dei giornali intervengano nelle loro pagine social a moderare i commenti, a rimuovere quelli che sono i più scabrosi. Alcune testate giornalistiche nazionali già operano in tal senso (vedi quotidiano La Stampa) perché non può esser che il valore dei like e delle condivisioni sostituiscano il diritto di molti lettori di leggere un articolo e provare ad instaurare un civile dibattito per lo scambio di opinione. Perché non si procede in tal direzione? Veramente dobbiamo pensare che una testata giornalistica non possa aver seguito senza questi commenti porcheria?
“Io so come funziona in redazione - dice Lapenna - siamo stracarichi di lavoro e non possiamo star dietro ogni commento. Ci vorrebbe qualcuno che si occupasse solo di quello. Cioè il ruolo proprio di moderatore di commenti. Molti li segnaliamo e cerchiamo di rimuoverli. Purtroppo tutte le redazioni sono operate di lavoro. I commenti più scabrosi nessun redattore li vorrebbe nel proprio giornale”.
Purtroppo però continuando cosi il problema non si risolve. Non è ammissibile per esempio che non si possa tutelare anche la libertà di un lettore di fruire della possibilità dell’approccio allo scambio civile di opinione senza il timore di esser linciato da insulti e minacce.
Dopo la querela presentata da Stefania Lapenna, casualmente alcuni giorni dopo l’avvocata, e consigliera comunale cagliaritana, Giulia Andreozzi dopo aver rilasciato un intervista sulla vivibilità della città di Cagliari, è stata oggetto d’insulti rivolti alla sua persona e al suo aspetto fisico. La professionista cagliaritana ha raccolto tutto il materiale per procedere penalmente contro quanti hanno commentato.
“Sì, i fatti accaduti contro la mia persona sono coincisi con quelli accaduti a Stefania. L’ episodio nasce da un intervista che ho rilasciato ad un quotidiano online nella mia veste di consigliera comunale di opposizione. A questa intervista sono seguiti i commenti sulla pagina fb del quotidiano. Commenti che ho raccolto per non lasciar cadere. L’intervista che ho rilasciato riguardava la sicurezza in città. A Domanda del giornalista - <<Cagliari è città sicura?>> - ho risposto di sì e a domanda più specifica che riguardava la Piazza del Carmine, ho risposto - << anche piazza del Carmine, che io tra l’altro frequento quotidianamente, non vive una situazione tragica, i problemi che ci sono, sono dettati da una gestione emergenziale dei fenomeni migratori che andrebbero gestite in maniera organica dagli organismi competenti che non è l’amministrazione comunale ma Ministero dell’ interno e Prefettura.”.
Ecco, allora, che chi esprime un’opinione diversa è attaccato in maniera indicibile adducendo come scusante il diritto alla parola e all’espressione sancito dalla Costituzione. Questo diritto però non autorizza all’insulto. C’è un limite anche al diritto. Un limite che si ferma dove viene a mancare il dovere al rispetto reciproco.
“Assolutamente sì. La nostra Costituzione riconosce la libertà di espressione tra i principi fondamentali. L’articolo 21 della Costituzione riconosce e garantisce la manifestazione della libertà di pensiero ma, la libertà di manifestazione del pensiero non è assoluta; trova dei limiti. Uno di questi è la tutela dell’onore, della reputazione delle persone. Quello che deve esserci è che il limite alla libertà di espressione deve essere un altro diritto di rango Costituzionale. In questo caso ci sono sentenze anche della Corte Costituzionale che l’ha detto. La reputazione, il decoro, l’onore rientrano tra i limiti della libertà di espressione.”.
In conclusione chi scrive sui social, deve sapere che ciò che scrive rimane e ci sono delle conseguenze. Importante è lanciare un appello che è quello della campagna “#odiareticosta” – “diresti la stessa cosa se fossi seduto sulla panchina di una piazza. Se la risposta è no, allora non scriverla sui social”. di A.S.
"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli" Cit. Umberto Eco
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