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Gianfranco Murtas

Monsignor Francesco Amadu, storico della Chiesa (e della società) ozierese, in un libro curato da Tonino Cabizzosu

di Gianfranco Murtas

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Mi pare sempre bello, e bello tanto più quando si tratta dei campi di vita e di lavoro segnati da prevalenti e prioritari succhi ideali e valoriali, diciamo pure spirituali, collocare i singoli attori nella dimensione di comunione insieme formatrice e di risultato. Per i preti dentro le loro comunità – , lievito della pasta sociale, pietre viventi del maggior monumento della fraternità universale –, per i preti dentro la loro famiglia clericale e diocesana, per loro ancora di più e sempre, con pensiero grande e sentimento aperto e fecondo. Mi è appena arrivato questo Francesco Amadu appassionato cultore dell’identità e della memoria storia, curato da Tonino Cabizzosu e pubblicato dall’Associazione don Francesco Brundu giusto nei giorni scorsi, in occasione del centenario della nascita di quel presbitero faro di conoscenze religiose e civili del Logudoro.

Non ho letto ancora, se non dieci pagine soltanto, o venti o trenta, il libro, ho piluccato soltanto poi qua e là, per farmene una idea, dai dodici capitoli espositivi e dall’appendice documentaria (preziosa, preziosissima autobiografia inedita di Francesco Amadu) che lo chiude. L’impegno è naturalmente a leggerlo tutto nelle sue duecento pagine, questo nuovo libro collettaneo curato da Tonino Cabizzosu che dà onore, appunto corale, ad un defensor fidei, come lo ha definito nella prefazione il vescovo Corrado Melis e ad aggiungerlo con spirito sempre dinamico e stimolante alla sezione “Chiesa sarda” della biblioteca di casa da cui zampillano ogni giorno, sovvenendo ogni giorno alle mie necessità, profili di vita santa ed umanissima dei tanti… operai della vigna evangelica piantata sì fra Logudoro, Goceano e Monte Acuto ma anche nel Campidano cagliaritano e in Ogliastra e nel Sulcis-Iglesiente, nelle Barbagie e nella Nurra algherese, nel Guilcer e nell’Oristanese, in Marmilla e Gallura e Planargia, ovunque, ovunque…

Ebbi occasione anch’io di un qualche scambio epistolare con monsignore e il bisogno di conquistarmelo a tutto tondo, uomo di libri ed archivi ma anche (e soprattutto) di altare e confessionale, l’avverto oggi con speciale intensità. Aggiungo poi che non m’avventuro per adesso – non lo potrei – in una classica recensione del libro fresco di stampa: spero di poterlo fare, se non con recensione almeno con riflessione, nei prossimi giorni. Ma aggiungo anche, e per contro, che sento come l’urgenza di segnalare questa uscita perché la sua nascita pattadese associa don Amadu ad un altro protagonista della scena religiosa sarda oggi in puntuta sofferenza e con cui pure, in modo singolare, ho avuto relazioni – intendo don Angelo Becciu cardinale e già nunzio apostolico in Angola – sicché a Pattada mi pare di dover portare, e mi viene facile, il pensiero come sullo sfondo territoriale in cui una vita germoglia e si pone in età di bambino o ragazzo le prime domande, s’interroga sui propri orientamenti di vita futura, scoprendo la personale vocazione. (E ad andare alla diocesi di Ozieri – legata d’evidenza al nome superbo del cardinale Mario Francesco Pompedda - molto altro mi riporta, anzi molti altri mi riportano, ad iniziare dal nulese don Giovanni Dettori vescovo emerito di Ales-Terralba ed a prendere il vescovo oggi in carica don Corrado Melis, proveniente da un valoroso parrocato nella mia carissima Villacidro ed anche la memoria grata dell’arcivescovo nato gesuita Giuseppe Pittau, titolare di Castro).

Pattada dunque. Nel libro, curato anch’esso da Cabizzosu, dedicato al vescovo Francesco Cogoni (cf. Francesco Cogoni Il Vaticano II nell’azione di un vescovo pacelliano) ed uscito lo scorso anno – volume che ho avuto il piacere di leggere e gustare ricavandone motivo per scriverne a mia volta (cf. “Le stagioni di vita di un vescovo: fra conversioni e accelerate, lo stesso cuore sempre. Monsignor Francesco Cogoni in uno studio di Tonino Cabizzosu”, in Giornalia, 30 maggio 2021) ho accennato al primato del comune del Monte Acuto in quanto a vocazioni religiose indirizzate al presbiterato secolare, ricordando gli undici ordinati dal presule giunto in diocesi da Cagliari alla vigilia della seconda guerra mondiale ed ivi operativo fino al 1975: don Amadu fra essi, insieme con don Casella e don Cuguttu, don Multinu e don Sini Giovanni Battista, don Mongiu e don Pintus, don Sini Paolo e don Delogu Giovanni, don Delogu Salvatore e don Becciu il più giovane di quella coraggiosa compagnia. Uomini venuti al servizio delle comunità sulla scia naturalmente di altri – altri uomini d’esempio –, e tanti che la parte loro l’avevano fatta lasciandone evidenti tracce, da don Giuseppe Me Cossu, a lungo cappellano di Foresta Burgos e responsabile del centro missionario ozierese, a don Filippo Campus, vescovo mitrato a Tempio e Castelsardo (Ampurias) dal 1871 al 1887…

Ecco, uno sguardo d’insieme, potremmo dire diacronico e di quadro, delle vicende religiose pattadesi per ripensare a don Francesco Amadu prete dal 1944, dottore in teologia, cancelliere e archivista della curia diocesana, canonico penitenziere del capitolo cattedrale, cappellano di sua santità nonché, sul piano civile, ispettore onorario della Soprintendenza, cavaliere della Repubblica, cittadino onorario di Ozieri, autore di decine di saggi e ricerche, giornalista (collaboratore assiduo di Voce del Logudoro) e… collezionista di manoscritti e filigrane, di stemmi vescovili e immagini sacre, di rosari antichi e crocifissi, di sigilli e francobolli e, buon numismatico, monete storiche. Ma soprattutto scrittore di storia religiosa e civile. Migliaia le pagine da lui firmate, migliaia e qualcosa di più quelle ancora conservate nei cassetti (e però in corso di schedatura e speriamo di prossima pubblicazione).

Pagine di ricordi nel gioco fra fede e cultura

Così, sbirciando per rapidi flash dall’autobiografia:

«Lo zio prete che sta in casa lo fa portare subito in chiesa, dove lui stesso lo battezzerà. La zia Maria, anch'essa di casa, avvolge il neonato in un panno, chiama due parenti che facciano da padrini, e via in tutta fretta. Dopo il ritorno a casa il pericolo di morte non sembrò così grave; il bambino migliorò. E crebbe normalmente, abbastanza sano, pur non avendo un fisico da lottatore. Oggi, ottantacinque anni dopo, posso affermare, per conoscenza diretta, che quei timori erano davvero infondati. I genitori non mi parlarono mai di questo episodio se non quando diventai grande, forse per quello, che oggi chiameremmo (sempre con parole difficili...) inconscio timore tabuistico. La mia era una famiglia di contadini-pastori (oggi li si chiama più elegantemente agricoltori-allevatori), e probabilmente fu lo stesso zio prete, Babai Amadu, a consigliare, dopo la mia licenza elementare nel 1932, che mi si avviasse agii studi ecclesiastici, che compii per cinque anni nel Seminario di Ozieri; e per altri sette nel Seminario regionale di Cuglieri. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1944, tornai a Cuglieri: per un altro anno, necessario per la laurea in teologia. Incaricato di insegnare storia, geografia e francese nel Seminario diocesano, nei primi giorni dei 1950 venni chiamato dal Vescovo Cogoni che mi pregò di supplire il Cancelliere-Archivista della Curia, il prof. Pietro Pigozzi, non sempre libero per tale ufficio.

«La mia nomina di Cancelliere a pieno titolo venne firmata il 1° ottobre di quell'anno. Verso la fine di quei quarantacinque e più anni che trascorsi su quella sedia (mi alzavo, anche...!) ogni tanto arrivava qualche coppia di sposini accompagnati dai genitori, e questi ultimi mi facevano notare come io avessi svolto le pratiche anche per le loro nozze. Il Codice di Diritto Canonico dice: "il Cancelliere della Curia è per ciò stesso anche Archivista". L'anno seguente ebbi l'incarico di curare anche l'Archivio della Parrocchia Cattedrale di Ozieri. L'archivio della Curia non era proprio in ottime condizioni, a causa dell'umidità. Un giorno entra a far visita al Vescovo un nuovo Capitano dei Carabinieri, che entra anche in archivio per salutarmi: Appena entrato, con un sorriso: "Ma Lei così giovane, cosa ci sta a fare tra queste vecchie carte e l'odore di muffa"? La risposta era d'obbligo: "Questo non è odore di muffa: questo è profumo di storia"! E fu davvero, anche per me, una "storia", lunga tutta una vita.

«La maggior parte dei miei scritti non volle, almeno all'inizio, essere un tentativo di dire cose nuove, ma fu conseguenza diretta di una abitudine che credo abbastanza lodevole e fruttuosa: quella di studiare con la penna in mano. In altre parole, la memoria corta (debbo dire che fu sempre, a scuola, uno dei miei crucci la difficoltà di imparare le poesie a memoria; ma poi, durante tutta la vita, uno dei miei privilegi è stato quello di dimenticare tante cose: forse, in prevalenza, le cose spiacevoli) ti costringe a prendere appunti in continuazione: appunti che poi esigono di essere riordinati e messi in bella copia. Tutte queste belle copie, sicuramente non tutte belle, sono andate a finire in quella specie di collezione di documenti, notizie, studi, osservazioni, note ho chiamato i miei "Miscellanea" (anche se un italiano corretto preferirebbe le mie, così come forse talvolta li ho chiamati anch'io). Molte di queste note sono state per vari decenni pubblicate nella Voce del Logudoro, così come lo sono ancora, vista la buona accoglienza che hanno avuto da parte dei lettori. Ma anche a prescindere da questi articoli di giornale, la raccolta può dare abbondante materiale di studio o spunti per lavori più organici. Su di essa negli anni passati sono state fatte molte tesi di laurea, una trentina da studenti presso le Università di Cagliari e Sassari, tanto che ad un certo punto ne arriva qualcuno nuovo, che dopo il suo nome e cognome mi dice: "Il Professore mi ha detto di venire qui per farmi assegnare da Lei il tema della tesi, dato che ha tanto di quel materiale... ".

«Ex libris libri fiunt, recitava l'antico motto latino. E chi abbia voluto scorrere l'elenco dei libri "miei" contenuto nella bibliografia potrà rendersi conto che i miei libri non furono mai, almeno per la gran parte, lasciati in pace per impolverarsi. Il 2002 può essere considerato un anno notevole, se non proprio importante, per la mia biblioteca personale. Ad una studentessa universitaria, alla fine degli studi, la professoressa ha assegnato, come tesi di laurea, la catalogazione di una parte dei libri che la compongono. In un primo momento si indirizza su un piccolo gruppo di edizioni cinquecentine che ne fa parte. Ma l'ambito è alquanto ristretto, per cui ci si orienta, dietro consiglio della docente, ai libri editi dal 1830 al 1899. Non so che significato abbia la data del 1830, comunque il campo risulta abbastanza vasto. Mentre sta lavorando alla compilazione del catalogo, la ragazza mi comunica che è stata pregata di unire alla tesi di laurea anche la storia della mia biblioteca. È un argomento interessante, più per me che per altri, perché mi dà occasione di ripercorrere alcune tappe di quel lungo cammino fra i libri che ha avuto tanto peso nella mia vita; di farne una piccola storia, che alla fine si riduce ad una serie di fatterelli, di aneddoti.

«Ricordo di aver trovato casualmente la mia pagella di Quinta elementare, quella che era la "licenza". La mia maestra non conosceva i 6-, i 4+, o i 9+. Per lei esistevano i giudizi: "buono sufficiente insufficiente". I miei voti erano "buono", eccetto in due materie, il disegno e la storia: solo sufficiente. Particolare attenzione diedi agli studi sulla Sardegna. Sicuramente si deve a questa svolta importante nei miei studi il fatto che oggi, fra gli oltre [?] volumi della mia biblioteca sono più o meno la metà quelli che riguardano la nostra isola. Quando mi fu chiesta la "storia" della mia biblioteca pensai ai significati della parola: dalla Storia con la S maiuscola alle "storielle" che si raccontano al bar fra gli amici, o addirittura al: "Ma che...! - tutte storie!" Quanto segue non può essere se non il racconto di una breve serie di episodi, alcuni dei quali forse di un certo interesse.

«1.- Mi arriva con la posta una busta con tanti fogli, ai quali è allegata una circolare con cui si annunzia che è in vendita, dopo la morte del proprietario, la biblioteca del Prof. Raimondo Carta Raspi, famoso scrittore di storia e altri argomenti sulla Sardegna. Fra le opere elencate vi è anche la collezione completa dell'Archivio Storico Sardo di Cagliari, una trentina di volumi. Dato il prezzo alquanto alto si concede una lunga dilazione per il pagamento a rate. Di corsa all'Ufficio Postale: "Acquisto tutto archivio storico sardo stop pagamento totale immediato Francesco Amadu". Pochi giorni dopo mi arrivano i volumi: alcuni sono un po' logori, e in seguito faccio rilegare tutta la collezione. 2.- Qualcosa di simile avveniva per la collezione di "Studi sardi" dei quali però mancavano i primi sette volumi.

«I vecchi registri di sagrestia mi hanno fatto ricordare che della mia biblioteca fa parte un notevole numero di documenti antichi, circa duemila, naturalmente non tutti importanti, ma che possono ugualmente meritare il nome di "fondo archivistico". Negli anni Sessanta, nello stesso caseggiato dove abitavo io a Ozieri, viveva una vecchietta ultranovantenne, figlia del Notaio Gavino Biddau, vissuto e operante nella seconda metà dell'Ottocento. Un giorno mi chiama e, facendomi vedere un mucchio di manoscritti accatastati su un mobile, mi dice: "Queste sono le carte del mio povero papà. Ce ne mancano molte. Ad ogni modo ho deciso di non tenerle più. Veda se c'è qualche foglio che le può interessare, perché ho deciso di disfarmene. Il resto lo brucio". "Senta, signorina Annetta, sto pensando che se Lei permette, prenderò proprio tutto, e non qualche foglio". "Anzi! Se porta via tutto mi fa un piacere, dottor Amadu". "Ma no, signorina, il piacere è tutto mio!". Oggi il materiale è conservato in quattro grosse cartelle. Tra i più interessanti di tali documenti potrei ricordare, così a memoria, il diario e gli interessanti commenti e notizie varie del Notaio Gavino Biddau sulle scoperte archeologiche da lui fatte; alcuni progetti e disegni per la costruzione della fontana Grixoni; documenti riguardanti le paghe agli operai che costruivano la strada Ozieri-Pattada; il verbale della cerimonia di conferimento del cavalierato ereditario all'ozierese Giacomo Chessa; atti riguardanti il fallimento del Credito Agrario Sardo che verso la fine dell'Ottocento causò disastri economici in tante famiglie di Ozieri e di paesi vicini, e con questi tanti altri documenti. Molti altri me ne sono pervenuti, e gran parte di essi li ho già depositati nell'Archivio della Curia Diocesana. Varie volte venne da me il Dottor Roberto Porrà, Soprintendente Archivistico per la Sardegna, per un esame complessivo di tali documenti. Una volta mi dice: "Tra quelle carte c'è del materiale assai interessante. Se ce lo vende, siamo disposti a comprarlo". "Solo per curiosità; quanto lo paghereste?". "Duemila lire a foglio". "Veda: se vado a restaurare un solo foglio mi chiedono cinquemila lire. E mi pare che ci sia alquanta sproporzione...". Naturalmente, non se ne fece nulla. In seguito mi arrivò un "Decreto di notifica", col quale mi si faceva sapere che, data l'importanza del materiale in mio possesso, in caso di alienazione lo Stato si riservava il diritto di prelazione. Alienazione significa "vendita"; ma se piuttosto che venderlo regalo il tutto all'Archivio diocesano lo Stato non avrà niente da dire. Qualcuno forse dirà che sono io, mezzo "alienato", se invece di vendere regalo. Ma questo è tutto un altro discorso. A cura dell'Assessorato alla pubblica istruzione e ai beni culturali della Regione Sarda nel 1996 venne pubblicato il volume riguardante la Sardegna del Catalogo delle biblioteche d'Italia. Dall'ufficio dei beni librari, mentre si preparava tale volume, avevo ricevuto una telefonata che mi chiedeva notizie sulla biblioteca vescovile. Tra una cosa e l'altra dissi che anch'io possedevo un po' di libri, di cui alcuni interessanti. Diedi le informazioni richieste e poi vidi che nel catalogo figurava anche la mia biblioteca, alla pag. 248 sg. Come patrimonio di essa vengono indicati circa 3.600 volumi e 2.000 manoscritti (anteriori al Novecento). Nel frattempo il numero dei volumi ha subito un aumento, mentre quello dei manoscritti ha subito una notevole diminuzione, in quanto ne ho versato una buona parte alla Biblioteca diocesana.

«Ho un "nipotino" (oggi un po' cresciutello, con vari anni di specializzazione dopo la laurea) che all'età di cinque-sci anni mi regalava ogni tanto un suo disegno che ritraeva o zio Francese o qualche altro personaggio: "Ti piace?". Un critico d'arte avrebbe ancora oggi ne è contento, anche se non è diventato né un Botticelli né un Picasso. Eppure, dicevo, anche se non credo di aver scritto dei capolavori, guardo i miei libri con un sentimento in qualche modo analogo a quello col quale un padre guarda i suoi figli.

«Appena pubblicato, acquistai il Dizionario etimologico sardo (DES) di Max Leopold Wagner, e passai del tempo a curiosare. Alcune delle affermazioni del Wagner mi facevano alquanta meraviglia e dopo un po' cominciai un esame sistematico di tutta l'opera. Ne venne fuori un volume che rilegai, e non ricordo più in quale anno lo presentai alla sezione "Cultura" del Premio città di Ozieri, presieduto dal compianto Antonio Sanna. Ebbe il primo premio e la medaglia d'oro, ex aequo con una studiosa di Cagliari. Vista la buona accoglienza da parte della critica ne feci una seconda stesura di 381 pagine, dal titolo Osservazioni e aggiunte al Dizionario etimologico di Max Leopold Wagner. La feci vedere alla Prof. Dettori, che era succeduta al Sanna nella Cattedra all'Università di Cagliari. Dopo averla ben esaminata, alcuni giorni dopo me la restituì: "È un lavoro molto bello. Perché non lo pubblica?". "Sarà, ma non saprei proprio come trovare un posto dove buttare le rimanenti copie, dopo che ne avessi venduto due o tre! A parte il fatto che non ho i soldi per un editore". Non molto tempo dopo feci conoscenza con la Signora Joana Nekita. Come si sa, dagli studiosi il sardo non è considerato un dialetto italiano, ma una vera e propria lingua, e la Nekita era, ed è ancora, titolare della cattedra di Lingua sarda alla Università di Bucarest. Venuta a Ozieri, le venne suggerito di parlare col Prof. Pietro Pigozzi, il quale la mandò da me. Durante le vacanze negli anni successivi tornò varie volte da me, e per serate intere discutemmo su tanti argomenti in merito. Del mio volume di osservazioni al Dizionario del Wagner avevo due copie, e visto il suo interesse glie ne regalai una. L'anno dopo tornò ancora una volta e mi fece vedere un suo volume facente parte di una collana di studi ad alto livello, promossa dalla sua Università in collaborazione con varie Università europee. A lei era stato assegnato l'argomento specifico della lingua sarda, e sul volume pubblicato mi fece notare, traducendomele, alcune osservazioni da lei fatte sul "Prof. Franciscu Amadu", vorbitor nativ, come dicono loro, per indicare quelli che dalla mamma hanno imparato da bambini a parlare una data lingua.

«Un mattino qualunque, seduto al mio tavolo di lavoro in Curia, dove attendo la gente e sbrigo le pratiche. Entra il Vescovo Giovanni Pisanu, già mio compagno di classe nei tre anni del Liceo, nei quattro di Teologia, e nel quinto anno per la Laurea. "Sai, France". Sono stato dal Papa, ed una delle prime domande che mi ha fatto è stata: "Avete un buon archivista in Curia?". Non mi dice cosa gli ha risposto. Mi dice solo la risposta del Papa: "Sono molto contento. Lei gli porti le mie congratulazioni e la mia benedizione...". E qualcosa d'altro che non ricordo. Mi viene in mente però il ricordo di una udienza che Paolo VI aveva concesso ad un gruppo di Archivisti ecclesiastici, in occasione di un convegno di studio: un corso di aggiornamento diretto da Mons. Noè, nominato poi Cardinale. Di quella udienza ricordo solo una frase, evidentemente, ma volutamente esagerata: "Trattate le antiche scritture come se fossero lo stesso Corpo di Cristo"! Quella esagerazione faceva capire quale fosse la sua preoccupazione per la conservazione dei documenti antichi. E credo di averne sempre tenuto conto.

«Nel 1957 il Vescovo Mons. Cogoni mi mandò a Roma per partecipare ad un convegno di Archivisti. Dopo una conferenza tanto importante quanto... noiosa, venne annunziato un intervento del Cardinale Angelo Roncalli. Non ho bisogno di dire che l'uditorio rimase incantato. Quando ebbe finito di parlare mi avvicinai per chiedere un chiarimento su un punto cui aveva accennato. Gli altri, per deferenza, si allontanarono e restammo soli. Dopo aver risposto alla mia domanda fu lui a chiedermi di dov'ero e che cosa facevo. "Sono di Ozieri, Cancelliere della Curia". "Lo sono stato anch'io! Sta facendo qualche lavoro?". "Sì, Eminenza, sto preparando il primo volume della storia della mia diocesi". "Bravo! Io sono già al secondo volume di una mia opera". "Però ci vogliono troppi soldi per pubblicare...". "Quanto le hanno chiesto?". "Trecentocinquantamila lire". Un sorrisetto, e poi una confidenza: "Per questo volume a me hanno chiesto quattro milioni! E tanti soldi non ce li ho. Non so proprio come fare... Speriamo che ci pensi la Provvidenza ... ". E la Provvidenza ci pensò, perché pochi mesi dopo diventava Papa Giovanni e per quella pubblicazione non spese nulla, come mi raccontò in seguito il suo Segretario Mons. Loris Capovilla". La battuta era quasi d'obbligo: "Peccato che non abbiano fatto Papa anche me; anch'io avrei qualcosa da pubblicare"».

Concludendo

Chiudo adesso riportando alcune righe di Cabizzosu che, pur costrette dalla estrema sintesi, vogliono collocare, con buon giudizio, la personalità ricca e complessa di don Amadu nelle classi tipologiche del clero sardo (approccio caratteristico dello studioso illoraese cresciuto alla scuola di padre Giacomo Martina e Pietro Borzomati). Ciò non prima,però, di aver ricordato qui di seguito i titoli e gli autori dei vari contributi recati al volume: “L’uomo Francesco Amadu” (Giovanni Dettori), “Mons. Francesco Amadu, cittadino onorario di Ozieri, un faro sul territorio” (Vanni Fadda), “Francesco Amadu l’ultimo ecclesiastico erudito logudorese” (Tonino Cabizzosu), “Francesco Amadu collezionista e giornalista al servizio della chiesa e della società” (Gavino Leone), “La ricerca storia sulle diocesi di Bisarcio e Castro” (Giuseppe Meloni), “L’attività di ricerca di don Francesco Amadu nel Museo Civico Archeologico di Ozieri” (Paola Basoli), “La Chiesa medioevale di San Nicola ad Ozieri” (Michele Calaresu), “Don Amadu e sa limba sarda” (Cristiano Becciu), “Francesco Amadu e l’Archivio Storico della diocesi di Ozieri” (Nicola Settembre), “Storia di una Biblioteca” (Maria Antonietta Canu), “Ciclo architettonico-scultoreo dei colonnati turriti di S. Maria del Regno [di Torres] in Ardara” (Gian Gabriele Cau), “Le carte dell’archivio parrocchiale di Ardara nella lettura di don Francesco Amadu” (Stefano A. Tedde).

Scrive Tonino Cabizzosu:

«Appare prematuro offrire un giudizio complessivo sulla personalità intellettuale di Amadu: bisognerebbe conoscere a fondo la sua produzione, edita e inedita. I quarantadue saggi inediti e i cinquantacinque registri dattiloscritti di Miscellanea (che contengono materiale di varia natura, edito e inedito) conservati nell'archivio storico diocesano ozierese contengono, forse, aspetti nuovi della sua ricerca che spaziava in molteplici campi dello scibile. Con il termine "Miscellanea" s'intende un corpus eterogeneo di registri dattiloscritti che contengono documentazione medita di vario genere raccolta da Amadu in archivi ecclesiastici e civili, studi vari, appunti per ulteriori pubblicazioni. Il prof. Francesco Guido scrive che le pagine complessive dei registri ammontano a 9.309, i quattro volumi di indici a 707 pagine per complessive 10.016, (Cfr. Studi in onore di Francesco Amadu, p. 357). Quanto viene affermato nel presente articolo potrebbe essere, un domani, superato da successivi studi sullo studioso pattadese. I suoi contributi inediti sono più numerosi di quelli editi: al momento attuale non è possibile presentarli adeguatamente in quanto non inventariati. In questa prima fase di approccio alla sua produzione, Amadu appare come uno studioso di periferia, che ha consumato la propria esistenza fra le carte della memoria, salvaguardandole, analizzandole con metodo personale. La lontananza dagli Istituti accademici e culturali ne ha, però, penalizzato le potenzialità. All'interno della cultura isolana di area cattolica, egli è da considerare nel contesto di quella numerosa schiera di ecclesiastici eruditi che hanno dedicato una parte preponderante del loro ministero allo studio, alla docenza, alla ricerca teologica, storica, letteraria. A partire dal Cinquecento fino alla vigilia del Vaticano II nella Chiesa sarda ha operato un nutrito drappello di sacerdoti-intellettuali che ha costituito una nuova tipologia sacerdotale, a complemento di quella impegnata nella cura animarum. Amadu, svincolato da ogni cura pastorale diretta, eccetto quella connessa con l'ufficio di Cancelliere in Curia e di canonico penitenziere, spese la propria esistenza per la promozione della ricerca culturale. Dedicava l’intera giornata all’analisi dei testi, alla scrittura, che riteneva parte importante del ministero…».


Fonte: Gianfranco Murtas
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