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Gianfranco Murtas

Nei racconti Angelino Saiu “sindaco rosso”… quella Norbio industriale, quel PCI confuso

di Gianfranco Murtas

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Su La Gazzetta del Medio Campidano pubblicai, fra il molto altro, i testi di alcune conferenze svolte a Villacidro e di talune presentazioni di libri. Fra essi quello di commento al memoriale dell’ex sindaco comunista Angelino Saiu, costituito dalla raccolta delle note da lui periodicamente offerte ai lettori de Il Provinciale Oggi, in uscita da San Gavino Monreale e in arrivo in tutti i centri del Campidano, fino al capoluogo (così sui nn. del 4 e 18 giugno 2004).


Ecco di seguito quanto fu, ed è, per me una testimonianza insieme di studio e di partecipazione sociale alla vita cidrese. 


Alla Biblioteca comunale

Mezzo pomeriggio di sabato 15 dicembre 2001. Presso l'aula-convegni della Biblioteca comunale di Villacidro presentiamo il libro di memorie, ancora fresco di stampa (edizioni sangavinesi Fiore di Gerardo Addari, che pubblica anche il quindicinale Il Provinciale Oggi), di Angelino Saiu, Racconti di un Sindaco Rosso.

La manifestazione è organizzata dalla Commissione per la Biblioteca, e dunque dall'Amministrazione civica. Si giustifica anche così – oltre che per il riguardo verso l'autore ("signor Angelino ", "ziu Angelinu ") – la presenza del sindaco Danza e dell'assessore alla Cultura Murgia. D'altra parte, si tratta anche di ripassare le pagine autobiografiche non solo strettamente personali di Saiu, oggi settantaquattrenne, ma anche della comunità locale che egli ha guidato per un lustro pieno dallo scranno di primo cittadino: sono pagine che Saiu ha offerto alla conoscenza ed alla riflessione di tutti i cidresi.

Una sessantina, forse più, i presenti (fra gli altri – e faccio soltanto un nome – scorgo monsignor Giovannino Pinna, parroco di Santa Barbara). Martino Contu apre con i doverosi convenevoli. Segue il sindaco Danza per esprimere il suo consenso ai Racconti e il suo affetto personale al predecessore nella difficile carica di capo del Municipio. Tocca poi a me, che leggo una relazione d'una decina di cartelle (così raddoppio beatamente i tempi concessimi). La parola passa quindi ad Angelo Concas, Emilio Loru e Giuseppe (Peppetto) Nonnis: tutti e tre erano giovani militanti comunisti, iscritti alla sezione del PCl paesano, quando Saiu la capeggiava anche dall'alto del suo scranno municipale.

Essi portano la propria testimonianza più sul versante del "compagno" – cioè della militanza di partito – che non su quello del "signor sindaco", cioè del ruolo e del fare amministrativo. Le analisi ed i commenti sono, fra i tre, anche differenziate, riflesso inevitabile della diversità attuale delle loro posizioni. Sindaci negli anni fra '75 e '87 – ricordo: Loru fino al 1977, Nonnis dal gennaio 1977 all'ottobre 1978, Concas in due riprese dal dicembre 1981 al luglio 1987 –, essendo quest'ultimo attualmente militante dei DS, Loru esterno ad ogni obbedienza di partito ancorché confermi la sua adesione ideale alla sinistra, Nonnis esterno forse anche all'area della sinistra (una decina d'anni fa ha avuto un passaggio nel Biancofiore).

Aperto il dibattito, interviene Salvatore Curridori che, dichiaratosi ancora e sempre fedelmente democristiano, dà atto a Saiu (come se fosse un… complimento) di avere nelle vene soltanto "globuli rossi": il che significherebbe coerente coraggio di controtendenza rispetto all'odierno andare della politica.

Siro Marrocu, richiamandosi anche ai suoi personali ricordi (rimontanti agli anni '74-75, quando era ventenne), colloca la frattura fra Saiu e il PCI più sul fronte dei rapporti difficili con i comunisti guspinesi che non su quello – da me evidenziato – delle indebite pressioni della Federazione provinciale del partito per la sua diserzione della cerimonia inaugurativa dei primi stabilimenti di Cannamenda, presente il ministro Andreotti e il gotha regionale della DC.

In sostanza egli sostiene che la ragione del distacco di Saiu dal PCI non fu solo la "sedia vuota" imposta a Saiu da Raggio, a nome della Federazione provinciale del partito, in occasione di una speciale riunione della sezione svoltasi a Villacidro, ma anche e forse soprattutto il contrasto di "concorrenza" nella leadership territoriale (come PCI) con Guspini. Ciò unitamente, forse, al senso di isolamento, o comunque alla percezione di inadeguato sostegno da parte della sezione comunista locale, rispetto ai diktat del vertice federale (per quanto poteva riguardare sia i rapporti col PCI guspinese, sia la gestione della questione industriale).

Aggiunge, Marrocu, di condividere larga parte del mio discorso anche negli aspetti di invito alla autocritica della sinistra attuale e dei DS in particolare (pessimo il centro-destra, ma il centro-sinistra non sa essere alternativa credibile – a mio parere – né nel progetto né nel personale politico-amministrativo).

La discussione è chiusa da Saiu stesso che, ringraziati i partecipanti e difeso il periodico Il Provinciale Oggi di Addari dalle mie accuse di debole assistenza fornita all'autore dei Racconti (analoga difesa aveva offerto Marrocu), preferisce non entrare nel merito delle vicende cruciali e centrali che si sono affacciate nei vari interventi, relativamente alla difficoltà dei rapporti, verso gli anni '68-69 e successivi, con il suo partito d'origine e lunga militanza.

Per parte mia, resto convinto che una lettura ponderata e una maggiore considerazione degli argomenti esposti nella mia relazione potrebbero indirizzare alla soluzione del mistero. Che non è solo "storia personale", ma anche "storia politica", perché dentro ci sono il ruolo, i contenuti e lo stile di un grande partito di massa quale è stato il PCI negli anni della industrializzazione della Sardegna.

Quando a Villacidro arrivò Andreotti

La data peggiore era stata quella del 5 ottobre 1968, un sabato. Angelino Saiu non la ricorda come tale, ma fa riferimento a quanto quel giorno occorse al sindaco di Villacidro e a quanto precedette e seguì una certa sedia vuota. «Nel corso di questa mia amministrazione – egli scrive a pagina 15 dei suoi Racconti di un Sindaco Rosso – c'era un neo che non riuscivo a digerire, ed era la beffa fatta in occasione della venuta di Andreotti per l'inaugurazione degli stabilimenti Industriali, ma a me, che dovevo fare gli onori di casa, fu impedito di essere presente. Questo fatto però in me lasciò dei segni, segni che la Federazione del Partito tentò di cancellare con la mia elezione al Consiglio provinciale, cosa questa che non servì ad attenuare la posizione, ma provocò l'accelerazione per uscire dal partito. Ormai ero in piena rottura col gruppo consigliare e col partito. A fine legislatura, la sera che il Consiglio provinciale si riunì per il commiato fu offerto un rinfresco nella stessa sala del Consiglio. Salutai il Presidente pregandolo di scusarmi perché dovevo andar via per altri impegni e, salutati quegli amici che in quei 5 anni mi erano stati vicini, me ne andai senza rimpianti per la rottura col Partito».

L'episodio stimola qualche riflessione in Salvator Angelo Spano – l'avversario di sempre, però sempre leale e galantuomo –, nella sua breve introduzione al libro. Ho visto in questi giorni, pur in velocità, un po' di stampa del tempo, quotidiana e periodica, e certo è che la cosa meriterebbe un approfondimento: bisogna portare a comune conoscenza il fatto e gli antefatti con maggior chiarezza. Il tempo trascorso – 33 anni – è tale per cui, anche per il mutamento radicale del quadro storico e dei riferimenti ideali, ed ancor più delle atmosfere civili presenti in paese, ben si può, a mio avviso, raccontare, con testimonianza diretta dei protagonisti e dei comprimari. Se ne avrebbero elementi importanti di lettura, nuovi rispetto ai molti che già possediamo, del rapporto conflittuale del Partito Comunista sardo e villacidrese con l'intero progetto industriale, e dunque con la politica che lo generò – con molte luci e forse moltissime ombre – verso la metà degli anni '60.

Sarebbe importante: la "confessione", chiamiamola così, della parte comunista, o già comunista (politica, amministrativa e sindacale), di come tutta la vicenda fu vissuta e gestita, al di là del risaputo e dei documenti allora diffusi, potrebbe suscitare una corrispettiva ampia riflessione anche autocritica, pure essa da offrire alla pubblica conoscenza, di chi, della classe dirigente isolana del tempo, volle quegli insediamenti, all'interno di una politica economica – quella imperniata sui poli di sviluppo – che ci si illuse allora di scegliere, mentre probabilmente bisognerebbe dire che si subì.

Comunque, venne Andreotti ministro dell'Industria, venne il presidente della Regione Del Rio, venne il presidente del CIS Garzia («Questo complesso chimico è prova che in Sardegna esiste una costruzione industriale logica, e non "cattedrali nel deserto"», disse il leader doroteo, mentre la stampa più vicina, con qualche ingenuità, riassunse il tutto in un «Da Villacidro a Siniscola-Olbia la "linea del filato"»), venne l'intero gotha democristiano: Molè, Abis, Mannironi, Isgrò, Dettori, Pintus, Cocco, Latte, Soddu. Monsignor Tedde benedisse i tre stabilimenti Phalera, Lysandra e Torresarda.

Una foto del tavolo della presidenza, e degli oratori, di spalle. «A fianco dell'on. Del Rio (alla sinistra di Andreotti) la sedia "vuota" riservata al sindaco di Villacidro... Il sig. Saiu non ha voluto partecipare all'inaugurazione per "protesta". Ha protestato, e tutti si sono accorti, ma che cosa voleva dire?», domanda Nuovo Cammino, il giornale della diocesi alerese, che naturalmente ha difeso la validità dell'iniziativa imprenditoriale (ma direi poi, almeno per taluna delle aziende coinvolte nell'area industriale, iniziativa "speculativa" forse più che imprenditoriale).

L'incontro del 1975, con l'Edera mazziniana

Angelino Saiu è stato il 6° sindaco della serie villacidrese in Repubblica, serie che poi s'identifica con quella stessa dalla ripresa democratica nel 1946 (le prime elezioni sono a marzo). L'8° contando anche i commissari prefettizi. Dopo il sardista Giovanni Serra, il comunista Francesco Sanneris, i democristiani Leonardo Piga, Paolino Collu, Antioco Angelo Vacca, i commissari Pietro Mugoni ed Arnaldo Boy.

Sindaco all'età di 37 anni, dopo 12 di consigliatura, sotto la presidenza dell'Assemblea civica da parte, in successione, di Sanneris, Piga, Collu e Vacca.

Entrò nella rappresentanza municipale, 25enne, nel 1952 – due anni dopo il tremendo incendio che colpì il palazzo e distrusse l'archivio comunale antico di secoli.

Per la storia personale (e per quanto dirò adesso) aggiungo che fece il suo ingresso nell'aula consiliare pochi mesi prima ch'io nascessi, sicché posso misurare giusto in un quarto di secolo il nostro distacco anagrafico.

Lo incontrai a Villacidro nell'estate 1973, e le occasioni d'incontro si ripeterono nel biennio successivo, fino a che gli proposi la capolistura – con Marco Sardu, pur di diverso orientamento ideologico, ma portatore di un pari amore a Villacidro e alla sua storia sociale – sotto il simbolo dell'Edera mazziniana, il simbolo della Giovine Europa, antico allora di 141 anni, oggi di 167: il simbolo anche che figurò in tutto il post-risorgimento nelle bandiere rosse, le prime bandiere rosse del movimento operaio italiano, ed erano bandiere repubblicane quelle delle fratellanze operaie.

Non chiesi certo, ad Angelino Saiu, una adesione politica stretta, tanto meno un allineamento ideologico che sarebbe stato impossibile e perfino senza senso. Le storie personali, che sono ideali e sentimentali ad un tempo, vanno rispettate nella loro integrità, anche nei loro percorsi segreti, nella loro evoluzione, ed io rispettai quella di Saiu, nelle cui parole traspariva ancora il rammarico, e forse la sofferenza, dell'abbandono necessario.

Non fu successo, va ricordato, anche se i voti mancanti alla lista per il quoziente minimo non superarono la trentina. Apparteneva al nostro gruppo un suo nipote, Giovanni, repubblicano da ragazzo, artigiano, solitario compagno di Cosseddu, e mi è caro ricordarlo oggi.

Grazie comunque anche a un eterodosso come Angelino Saiu, a un militante democratico non però della stessa storia della democrazia repubblicana come Saiu, l'Edera comparve in una comunità civile – questa villacidrese – in cui, fosse sopravvissuto, avrebbe ben potuto affermare una specie di leadership democratica quel Giuseppe Fulgheri che Dessi descrive repubblicano e cattaneano, in un'Italia non repubblicana ma monarchica, non federalista ma unitaria e anzi accentratrice: e fu certamente un autonomista comunalista (in questo perciò più mazziniano che cattaneano) come editore-redattore dell'Eco dei Comuni e promotore, sappiamo, di quante altre iniziative cooperativistiche, o consorziali, nella proprietà agricola di metà '800 a Villacidro e dintorni.

Di Villacidro, anche di Villacidro, si era occupato nel 1897 un parlamentare repubblicano di gran nome, Napoleone Colajanni, docente universitario siciliano, professore di statistica, che nella sua Rivista Popolare difese la Sardegna di cui il giovane antropologo-criminologo Alfredo Niceforo aveva descritto le cosiddette "zone delinquenti", includendovi anche Villacidro. Nel suo La delinquenza in Sardegna egli s'era diffuso per svariate pagine a motivare i perché della frequenza delittuosa nel – parole sue – «paesetto annidato sul monte»; ricorderò soltanto questa battuta: «i nativi scendono biforcandosi; dall'un lato si portano nel Campidano di Cagliari, dall'altro penetrano nel cuore del Caputerra e si spingono nel Sulcitano: essi portano seco l'omicidio e la grassazione, poiché il piccolo Villacidro ha tutti i caratteri della grande zona nuorese: non certo per contiguità di territorio, ma per una identica conformazione psicologica degli individui e degli ambienti... Potremmo paragonare la isolata criminalità di Villacidro ad una specie di fenomeno di migrazione...». Insomma, una vocazione alla metastasi sul territorio isolano.

La difesa di Villacidro e delle altre supposte "zone delinquenti" per tara razziale, come infine le vide il Niceforo, fu portata, nel 1897 (e dopo ancora nel 1907), da Colajanni e sia L'Unione Sarda che La Nuova Sardegna riprodussero il suo testo a tutta pagina. Cosicché, quando nel 1975 pensai di presentare una lista alle amministrative locali, e vi coinvolsi anche Angelino Saiu, avevo memoria di quelle pagine sì lontane nel tempo e ignote ai più, ma secondo me significative di un rapporto civile e politico fra la scuola democratica dei mazziniani e la Sardegna e Villacidro che mi sarebbe piaciuto rinverdire.

Il PCI negli anni ’50 e ’60, e poi

La vicenda pubblica di Saiu nei vari lustri della sua presenza nell'Amministrazione villacidrese – proprio ad iniziare dal 1952 – va inquadrata, a mio parere, sui due scenari, che ovviamente realizzano fra di loro un nesso, della politica locale e di quella generale, nazionale e regionale.

Tale secondo ambito è quello del PCI come forza di minoranza, e sia pure robusta minoranza, all'opposizione dei governi di centro e poi di centro-sinistra, oppositore anche ideologico di un sistema – quello occidentale capitalistico – cui peraltro esso non era estraneo; perché al sistema democratico ad economia di mercato aveva contributo a dare una cornice di riferimento costituzionale di prim'ordine, integrando la sua offerta elaborativa, soprattutto in materia di libertà cosiddette sostanziali o materiali (lavoro, protezione sociale), con quelle scaturenti dagli altri filoni ideali e politici presenti ed attivi a Montecitorio fra 1946 e 1947: quelli dei cattolici organizzati nella DC, quelli dei democratici laici più o meno moderati o avanzati. Sì, dunque, da parte del PCI togliattiano, all'ordinamento pluralistico della costituzione, no alla politica che la maggioranza nel tempo propone e realizza nella sicurezza pubblica, negli indirizzi economici e sociali e soprattutto nelle relazioni internazionali.

Non posso rifare qui la storia della sinistra – naturalmente dal mio punto di vista –, ma certo non è possibile evitare, parlando di Saiu e della sua militanza politica, prima ancora che della sua esperienza amministrativa, di riferirsi allo scenario ideologico nel quale quel corso si è compiuto ed anche, lo dico ancora con rispetto, alla mitologia che quel corso ha accompagnato.

«Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità», era l'occhiello su due righe e a tutta pagina sopra il titolo in caratteri di scatola con cui l'Unitàaprì la sua edizione del 6 marzo 1953: «Stalin è morto». In un riquadro, con l'evidenza del grassetto: «I comunisti e i lavoratori italiani, in quest’ora del più grande dolore, inchinano le loro bandiere dinanzi al capo dei lavoratori di tutto il mondo, al difensore della pace, al costruttore della società socialista».

C'è chi ha contato in circa 30 milioni le vittime dello stalinismo.

E soltanto tre anni dopo, ancora l'Unità – che a Villacidro vendeva una quantità impressionante di copie – titolava: «Scontri nelle vie di Budapest provocati da un gruppo armato controrivoluzionario», con occhiello «Grave tentativo di distorcere il processo di democratizzazione».

Nello scontro fra la verità e la rivoluzione, allora, doveva vincere la rivoluzione.

Se determinante era stato il contributo delle brigate comuniste alla lotta di liberazione della patria dal nazi-fascismo, se estremamente rilevante era stato, ancora, il contributo dei deputati costituenti comunisti alla elaborazione degli ordinamenti della Repubblica, ed assolutamente certa, sempre, la lealtà del partito agli istituti democratici dello Stato, purtroppo fu questo dogmatismo, oltretutto ancorato a presupposti di fatto erronei, a rendere non spendibile il PCI nel ricambio governativo: così nel giudizio della maggioranza dell'elettorato e, anche, delle formazioni di cerniera fra il centro e la sinistra (che pur avrebbero potuto scegliere diversamente da come scelsero: di stare appunto con De Gasperi, con Fanfani, con Moro piuttosto che con Togliatti o con Longo). Fu il cosiddetto fattore K che, perdurando fino al crollo dell'Unione Sovietica, fra il 1989 ed il '91, ha evidentemente impoverito la democrazia italiana ingessandola in una formula che cercava soltanto al proprio interno il ricambio, tenendo un buon quarto dell'elettorato italiano e, può dirsi, della società italiana, fuori dalle combinazioni di governo.

Così anche alla Regione. In particolare la svolta di centro-sinistra (con la politica della Rinascita che allo schieramento riformatore era legata), agli inizi degli anni '60, fu ingiustamente osteggiata, anche se va riconosciuto che il contributo propositivo, e prima ancora di analisi della condizione socio-economica della Sardegna, fu sempre, da parte del Partito Comunista Italiano, di estrema serietà e ragguardevole nel merito.

Macrostoria e microstoria. Il distacco di Saiu dal PCI avviene in un contesto nel quale il partito ancora non ha compiuto i passi necessari che prepareranno la storia recente: quella che ha visto D'Alema presidente del Consiglio (a mio avviso un ottimo presidente del Consiglio) e leader di una coalizione comprensiva di formazioni ed uomini provenienti da tutt'altri campi, un tempo fra loro perfino avversari: cattolici popolari già democristiani e liberaldemocratici, per non dire degli altri.

Non è ancora iniziata la stagione dell'eurocomunismo – cioè del raccordo fra i partiti comunisti d'Italia, Francia e Spagna – che cercano anche di impostare, per quanto possibile insieme, perché medesimo è lo scenario continentale nel quale dovranno proiettare la loro forza, una revisione sia dottrinaria che di politica corrente. Non è ancora giunta a maturazione l'opzione europea, favorevole agli istituti comunitari, vissuta quasi in solitudine da un Giorgio Amendola o, al suo seguito, da un Chiaromonte e un Napolitano (a determinare la vera svolta saranno poi le elezioni del 1979, le prime a suffragio universale, del parlamento di Strasburgo). Non è ancora alle viste neppure il patto moroteo dell'unità nazionale (soltanto nel 1976 i comunisti offriranno l'astensione al governo monocolore Andreotti che aprirà la stagione dell'unità nazionale, poi consolidatasi per fronteggiare il terrorismo brigatista), benché già dal 1973 Berlinguer abbia prospettato il disegno del compromesso storico, suggerito dalla tragica esperienza cilena. Non è ancora iniziato quel circolo "virtuoso" (dal punto di vista della sinistra, ma tale lo considerai e lo considero anch'io) dei successi elettorali del PCI fra 1975 (amministrative) e 1976 (politiche), che avrà seguito ancora per qualche anno. Non è ancora iniziata la fase di sgancio dall'alleanza sovietica, e di accettazione del Patto Atlantico e della NATO come alleanza di difesa militare occidentale, che sarà comunque, e sia pure graduale e sempre troppo cauta, acquisizione berlingueriana.

Non spendibile sul piano del governo nazionale e neppure di quello regionale – anche per le strette relazioni fra i due livelli – il PCI per fortuna trovò, meglio conquistò, in quegli anni ormai lontani opportunità di protagonismo nella vita democratica su una molteplicità di altri fronti: non soltanto politici (pensando alla rappresentanza parlamentare, e peraltro una democrazia effettivamente funzionante è quella che può contare su una valida opposizione di controllo), ma anche civili e culturali e sociali, e mi riferisco – oltre che al sindacato ed alle organizzazioni di massa –,anche alla stampa, alle case editrici, alle cattedre universitarie. Ed ancora, certamente non ultimo in importanza, sul fronte delle amministrazioni locali. Dove quel ricambio ancora impossibile sui livelli politico-costituzionali sovraordinati era invece pacificamente realizzabile, proprio nella logica d'alternanza. Villacidro negli anni fra '50 e '70 è dimostrazione di questo.

Gli anni del fare e quelli della memoria 

Io credo che sul piano propriamente istituzionale e politico la democrazia italiana, negli anni in cui la maggioranza governativa era bloccata dal fattore K, sia stata ossigenata dalla varietà delle formule politiche presenti localmente, sul territorio della Repubblica, e scaturenti dalla normale dialettica ideale e programmatica.

Sarebbe interessante ed utile ricostruire i tratti della vita civile, amministrativa, culturale, religiosa, ecc. di Villacidro in questo ultimo mezzo secolo circa, e forse qualche tesi di laurea può aver trattato della cosa. (Colgo l'occasione per rinnovare all'Amministrazione municipale l'invito a promuovere una "Biblioteca villacidrese" – una raccolta cioè, in vista della pubblicazione, ancorché talvolta con formulazione diversa dall'originale, delle tesi di laurea d'argomento – qualsiasi argomento – cidrese – attorno a cui possa crearsi, magari di lato al parco letterario dessiano, l'interesse pluriforme, sardo, nazionale e dell'universo mondo per il "paese d'ombre").

La giunta pci nel contesto della storia locale e oltre

Dicevo, sarebbe interessante ricostruire questa storia recente, col distacco dell'analista, naturalmente, non del partigiano, anche se della parte giusta, ammesso che la parte giusta sia sempre così chiaramente individuabile. Certo è che gli anni dell'Amministrazione Saiu sono fra i più interessanti del cinquantennio, perché essi hanno coinciso con le grandi trasformazioni non soltanto urbanistiche, ma innanzitutto economiche e sociali e, direi, antropologiche, per l'immissione nel tessuto propriamente umano della comunità locale, ancora a forte radicamento agricolo, di valori sconosciuti o remoti, quelli dell'industria tecnologicamente avanzata. Con tutto quanto ciò ha voluto dire anche in termini di formazione professionale, di definizione di ruoli (compresi quelli di rappresentanza sindacale), di organizzazione del tempo dei singoli e delle famiglie, di integrazione anche con soggetti – i tecnici, gli specializzati – provenienti da regioni lontane, portatori di cultura e sensibilità tanto diverse dalle nostre.

Non mi tratterrò su questo punto, per restare invece, e sia pure per lumeggiarlo con appena qualche flash, al paese che accolse senz'altro impreparato la grande novità industriale. Si disse e si scrisse molto, allora, della impreparazione di Villacidro alla cosiddetta «rivoluzione del benessere».

Credo vada preliminarmente anche molto ben precisato che le insufficienze di sovente addebitate ad una amministrazione, quale che ne sia il colore, sono pressoché sempre il risultato di tutta una serie di cause soltanto in parte riconducibili alla diretta responsabilità dell'esecutivo in carica o della sua maggioranza consiliare: perché, accanto alla supposta modestia progettuale e realizzativa, si pongono le eredità ricevute – e nel caso della giunta Saiu allora bisognerebbe dire anche del decennio precedente a comando democristiano, e le giunte scudocrociate potrebbero rimandare a quella di sinistra di Sanneris, ecc. –, e si pongono forse anche e soprattutto le pastoie di una burocrazia, e ministeriale e regionale, che ha la speciale vocazione a ritardare sempre o quasi l'attuazione dei progetti ed a non accompagnare quasi mai la buona amministrazione. Dunque quanto dirò, o accennerò, non vuol suonare critica ad alcuno, ma comporsi, direi imparzialmente, nel mosaico della realtà civica del tempo.

Aggiungo anche che, nonostante l'esperienza delle zone omogenee, legata ai piani esecutivi della 588/62, cioè del cosiddetto Piano di Rinascita, e l'esperienza anche dei Consorzi e di bonifica e industriali, la cultura e perfino il gusto della programmazione a livello di area, cioè di concertazione degli interventi anche civili, e non soltanto degli insediamenti produttivi, fra amministrazioni di comuni contermini erano allora – quarant'anni fa – alquanto arretrati: si ergevano campanilismi, anche fra Villacidro e Guspini, e quanto di più fra amministrazioni di opposto orientamento politico!

Mentre dunque erano in costruzione gli stabilimenti di Cannamenda e salivano al cielo le prime ciminiere, il paese si muoveva lentamente e pareva come impacciato nella gestione della novità. Così per gli alloggi dei molti che arrivavano – i fitti schizzarono alle stelle (già nel 1967 fu quantificato un aumento nell'ordine del 30 per cento rispetto all'anno precedente) e non può dimenticarsi che, per svariati mesi, tecnici e specializzati giunti in paese per metter su stabilimenti ed impianti furono costretti a forzose coabitazioni; mentre dallo stesso sindaco Saiu venne ai paesani un appello – così lo chiamò: «un appello» – alla ospitalità, non all'avarizia e alla speculazione (pena la scelta residenziale di altri comuni viciniori, dai quali infatti partivano le avances di concorrenza: basti pensare a San Gavino, infeudato al partito concorrente di quello di Saiu: «Il comune di Villacidro si prenda pure le tasse delle società industriali; noi di San Gavino ci prenderemo i salari degli operai»)...

Così per le pavimentazioni stradali e per la viabilità interna – erano ancora gli anni della Fluminera, erano gli anni della interruzione fra la piazza Lavatoio e la via Repubblica, delle strade strozzate e buone quasi soltanto per i carri, non per il traffico che andava annunciandosi, per dire soltanto del centro, mentre larghe parti del paese, anche importanti quali quelle che conducevano al cimitero o alla pineta, erano aree di discarica; così per il traffico urbano – materia fra le più complicate che esistano – con nuovi sensi di marcia, transiti consentiti od impediti per privati e corriere, soste per motociclette (lambrette e quant'altro); così per l'annona, con l'apertura del mercato di Funtanedda, 16 box su due piani, che parve mal rapportarsi con quello persistente e neppure forse moribondo di piazza Frontera, ch'esso avrebbe dovuto superare e sostituire, assieme alle non igieniche rivendite del pesce al muraglione di via Roma; così per la distribuzione idrica, sia per la povertà delle riserve che per la inadeguatezza della rete interna (l'acqua arrivava alle case ogni qualche giorno anche d'inverno – come sarebbe rimasto per oltre un decennio – ed in più si attendeva un significativo aumento delle utenze), mentre andava completandosi il comunque modesto sbarramento di Coxinas; così ancora per la nettezza urbana, cioè per la raccolta a domicilio dei rifiuti solidi; per le scuole e l'asilo, ecc.

Un chiaroscuro, inevitabilmente. Gli anni '60 - soprattutto nella loro fase ultima, quella della contestazione giovanile e studentesca e poi operaia – a Villacidro vogliono anche dire – ed è nel "chiaro" – il risveglio sportivo dei ragazzi delle scuole medie o già passati al primo lavoro (sono i 40-50enni di oggi) impegnati nei campionati zonali juniores, l'allestimento ad opera di sponsor illuminati – ricordo i nomi del signor Brandolini e di Gennaro Murgia – di sodalizi e squadre: la Spendula, soprattutto la Villacidrese di capitano Meloni e anche di Giorgio Danza, poi Unione Sportiva Villacidro, che rimonta in tre, quattro anni, dalla terza categoria alla prima... (Perché non scrivete una storia, anche storia fotografica, dello sport a Villacidro?). C'è il problema del campo, e il sindaco rosso inizia comprando la rete di recinzione...

Cresce una generazione, è la mia stessa, e il pensiero va magari agli adolescenti dell'associazione San Sisinnio, che organizza il carnevale, e a quegli altri che, presso la Costa Verde, fondano l'estiva "Repubblica dei ragazzi" intitolata dapprima soltanto a John Kennedy, poi anche a Bob.

Nel giro di Santa Barbara incombe ancora, nella sua lucida vecchiaia, la figura di monsignor Diana, e intanto, dopo tre anni di permanenza, torna dal Messico don Modesto Floris, mentre don Angelo Pittau parte alla volta del Sud Vietnam, non così distante da quel Giappone in cui il fratello gesuita, padre Giuseppe, è rettore d'Università. Questa Villacidro, pur con tutte le sue contraddizioni, è attraversata da tutte le latitudini del mondo, o si spande, virtuosa – al contrario di quel che riteneva il Niceforo –, nei continenti.

Al governo Franco Piga assume l'ufficio di capo di Gabinetto del presidente del Consiglio Rumor. Avrà anche lui a che fare con l'autunno caldo che infuoca l'Italia.

L'autodifesa del primo cittadino

Molti i ritardi denunciati, le lacune attribuite all'Amministrazione. Però non è che il sindaco non avesse di che rispondere ai suoi critici. Egli poteva elencare i progetti presentati a finanziamento, ed anche gli stanziamenti deliberati ora dalla Regione ora dalla Casmez per il completamento della diga di Coxinas, per una condotta di sbarramento del serbatoio di Giarranas, per la cementazione e gli impianti di potabilizzazione: 40 milioni più 15; per la sistemazione (e parziale rifacimento) della rete idrica in tutti i rioni, attraverso l'attivazione di due anelli principali a cui collegare le condotte: 200 milioni; per il nuovo servizio fognario: 230 milioni...

Mentre la SNIA aveva iniziato la costruzione delle sue palazzine – tre, da affittare ai suoi dipendenti –, il sindaco poteva riferirsi alla richiesta avanzata al Genio militare di cessione delle casermette all'Amministrazione civica: 100.000 metri quadrati da urbanizzare ed edificare per la tipologia economico-popolare; all'approvazione dei progetti della società "Undici dicembre" per le costruzioni in via Regione Sarda, dirimpetto al mulino Caddia; all'approvazione anche del piano regolatore generale, peraltro destinato a suscitare molte polemiche e comunque "premiato" con un finanziamento regionale di 500 milioni, con cui saranno costruite alcune palazzine operaie a valle dell'ex stazione delle Complementari; e così all'avvio del cantiere del nuovo liceo classico, finanziato con un decreto ottenuto in giornata dal sindaco in missione ai Lavori Pubblici della capitale; così all'affidamento del servizio medico scolastico, delibera non meno dell'altra destinata a scontentare molti, in primo luogo i medici anziani ai quali era stato preferito un più giovane collega...

Poteva vantare, il sindaco, il finanziamento regionale di ben 350 milioni per un parco pubblico e l'asilo nido: si disse allora, da parte dell'opposizione, che ci sarebbero voluti molti anni per passare alla realizzazione, a causa dei numerosi espropri che si dovevano decretare per circa due ettari complessivi, e che ben altre opere civili – le case per gli operai in particolare – avrebbero preteso la precedenza, e comunque...

Certo restava quel problema di fondo del rapporto fra l'Amministrazione civica e le società di nuovo insediamento a Cannamenda. Il 16 novembre 1969 – siamo in pieno autunno caldo – il Municipio promoveva un convegno sull'occupazione femminile nell'area industriale. Poche, avrebbero detto le cronache, le partecipanti locali, qualcuna della Leonardo da Vinci (insieme alla Ermion e alla Fibracolor appartenenti al gruppo Beretta delle non rimpiante Tessili Sarde Associate), nessuna forse del gruppo SNIA, numerose invece del Cagliaritano, giunte in missione al seguito di alcuni consiglieri regionali. Altre polemiche...

Quale rapporto dunque? «Come comunisti noi siamo contrari a questo tipo di industrializzazione, ma [parlando da Sindaco dico che] la nostra Amministrazione è stata lieta di avere dato la massima collaborazione alle Società industriali [...]. Un esempio: prima ancora che fossero terminate le palazzine della SNIA VISCOSA noi ci siamo preoccupati di portare nella zona la rete idrica, mentre a Villacidro ci sono ancora interi quartieri privi di condotte idriche». Parola di sindaco, che non taceva però anche le riserve: «La Giunta si batterà sulla questione delle assunzioni, per evitare qualunque discriminazione nei riguardi di lavoratori meritevoli e capaci». E aggiungeva, riferendosi alla formazione del personale: «Mentre sappiamo di quale tipo di manodopera ha bisogno la SNIA VISCOSA, nulla si sa per quanto riguarda le fabbriche dei Fratelli Beretta, che assorbiranno il grosso della manodopera. Noi abbiamo ancora disponibili i locali offerti gratuitamente a suo tempo per i corsi di preparazione al lavoro industriale, corsi che non sono stati poi finanziati».

Saiu columnist 

Le opinioni di Angelino Saiu sull'attualità politica sono un riverbero del suo orgoglioso passato di militante e di amministratore: un passato rivissuto come una fase anche assolutamente gratificante, quasi eroica, della sua vicenda di vila e di appartenente alla comunità cidrese già servita con l'esemplarità familiare e con quella del mestiere; un passato rivissuto anche con molto sentimento, direi perfino con candore, certamente con santa capacità di sognare il meglio e di indignarsi per quel che non vale e che pur strappa l'applauso di quelli che pensano poco o cedono agli abbagli dei vetrini colorati, per non dire ovviamente di quelli che intruppano la claque per convenienza. 

Contabilizza anche lui le sconfitte dell'area progressista – e in essa della sinistra storica –, addebitabili, più ancora che ai meriti degli avversari, alla insufficienza elaborativa o di tensione morale, e quindi anche di dialogo comunicativo degli uomini che pur dovrebbero tenere alta la bandiera: quella di una tradizione di pensiero che, al di là delle sbandate dogmatiche e dei limiti di formulazione, valorizzava gli ideali della giustizia sociale combinandoli con quelli della libertà individuale, in una logica di solidarietà che non smette d'esser tale pur se oggi il quadro di grande scenario è quello della non facile integrazione continentale nell'Unione Europea e, sul piano interno, del nuovo impianto federalistico.

L'acerbità critica di molti uomini della sinistra, dei gruppi dirigenti come della militanza, ha avuto sbocchi penosi nell'attualità politica portando chi pur avrebbe dovuto continuare a difendere idealità di democrazia partecipativa, alla passiva assunzione mitologica della modernità e, dunque, anche di un certo capitalismo che non è qui inteso come macchina di sviluppo, suscettiva di opportuna alleanza con la politica per l'equa distribuzione del reddito e del benessere, ma come pura fabbrica di bisogni artificiali e di risorse appaganti l'effimero. Né si tratta – in chi queste osservazioni formula – di voler guardare soltanto all'economia reale, alla produzione di beni cioè, ma anche alla qualità della vita che si realizza in primo luogo nel riconoscimento al cittadino del suo proprio status.

E invece abbiamo visto – Saiu se ne occupa nelle sue riflessioni critiche, e ne parlo anche io per l'esperienza personale, che avverto però nella sua emblematicità – esponenti della sinistra che, chiamati ad essere uomini delle istituzioni, sono stati ben lunghi dal mostrarsi all'altezza, anche in Sardegna. Proprio qui a Villacidro, in questa biblioteca, ne parlammo, una decina d'anni fa – mentre il PCI diventava PDS – con Angelo Pittau e Umberto Cardia.

Certo, viviamo in un paese strano, se abbiamo un presidente del Consiglio come quello che abbiamo, e una sfilza di riciclati al governo nazionale e a quello regionale che sarebbero meno indigeribili se almeno non dicessero d'essere nuovi. Però dall'altra parte, che pure è migliore – almeno dal mio punto di vista – non possiamo purtroppo proporre grandi sostanziali alternative.

Il libro del Sindaco Rosso

Il libro di Saiu, a mio parere, ha un suo merito e, vorrei dire, una sua necessità. Così per l'intenzione che l'ha mosso – di testimonianza cioè, e di una esperienza umana, privata, e di una militanza civile e politica, ma anche di un libero pensare odierno – e anche per l'articolazione che l'autore gli ha dato – modulandolo fra cenni di vita soprattutto nel "prima" dell'impegno amministrativo, la rielaborazione puramente narrativa degli stessi eventi (l'iniziazione alla età adulta di Luca, pastorello preadolescente chiamato a sconfiggere la paura della notte e del buio e dei cadaveri penzoloni), la raccolta, infine, degli interventi di vario argomento, a firma dello stesso autore, usciti su Il Provinciale Oggi.

Il giudizio invece, lo dico con pari sincerità – che è anche rispetto per chi ha fatto credendo di fare bene –, è di riserva sull'edizione. Saiu, che avrebbe meritato un'assistenza più ardita, nel caso anche contro la sua volontà, atteso che l'uomo, valoroso per tanti aspetti, certamente non è dei più facili a trattare; il pregio della scrittura spontanea e confidenziale, che è valore proprio dell'opera, non può confliggere infatti con l'esigenza di una pulizia formale, concordata con l'autore, che è dovere precipuo dell'editrice, la quale impegna, verso il pubblico, anche il proprio marchio.

La parte seconda dell'opera, cioè la rassegna degli articoli usciti sul Provinciale, conferma e rafforza le perplessità sulla inadeguata assistenza offerta dall'editrice all'autore. Spiace di dover esprimere un'opinione che non suona di apprezzamento, ripeto, non al libro – che invece, nel suo motivo ispiratore e nei suoi contenuti, merita il plauso – ma all'accompagnamento dell'editrice che deve sempre portare i suoi motivi all'autore che essa pubblica. Da questo genere di dialettica vengo fuori anch'io proprio in questi giorni. Gli argomenti bisogna sempre ascoltarli e puntare, con umiltà, al meglio...

Io consento con l'idea, neppure recente, dell'editrice del Provinciale di servire il territorio del medio Campidano con una speciale informazione periodica ed una tribuna di dibattito di cui si avvertiva la necessità. È il modo concreto con cui ciò avviene che non mi convince, né nel giornale – che (grafica a parte) non può mai essere soltanto un contenitore di tutto e del contrario di tutto, anche se la selezione non può toccare, e ci mancherebbe, il senso e la materia del confronto di opinioni –, né oggi nella raccolta dei brevi testi di Saiu, sempre stimolanti. La pura sequenza temporale – di cui non scorgo la ragione effettiva – avrebbe dovuto cedere il passo al riordino tematico dei pezzi, anche per dare al lettore la sensazione di un ragionare meno episodico e frammentato e più approfondito.

Sarebbero bastati, io credo, quattro titoli attorno a cui riunire la cinquantina di "opinioni" di Saiu distribuite nell'arco di un quadriennio, fra estate 1997 e primavera 2001: memorie amministrative, attualità paesana, relazioni con gli uomini di Chiesa, grande politica corrente.

Al di là di tutto questo, comunque, nella "Biblioteca villacidrese" della quale ho parlato prima – come raccolta di libri prima ancora che come struttura fisica per la pubblica fruizione – i Racconti di un Sindaco Rosso possono starci bene, per la carica evocatrice che essi mostrano non soltanto di un vissuto personale, ma anche di una esperienza collettiva che non è ancora conclusa e che però già aspetta – perché i tempi sono ormai maturi – un attraversamento critico.


Fonte: Gianfranco Murtas
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