Omaggio a Giovanni Lay, padre vero fra tanti padri veri della Repubblica nata antifascista
di Antonello Angioni
Abbiamo il piacere di pubblicare il bellissimo ricordo di Giovanni Lay proposto nei giorni scorsi dall’avv. Antonello Angioni, consigliere comunale di Cagliari, in occasione della intitolazione di una piazza nella Pirri in cui nacque (nel 1904) e crebbe una delle personalità più nobili dell’antifascismo sardo.
Debbo premettere che, quando la Presidente della Municipalità di Pirri mi ha chiesto di tracciare un ricordo di Giovanni Lay, in occasione dell’intitolazione di questa piazza, ho accettato l’invito per due ragioni. La prima è che mi veniva data l’occasione di rendere omaggio a un uomo che ha lottato per la libertà e la democrazia, pagando sempre di persona. La seconda è che si tratta dello zio di Aurelio Lai, pirrese d.o.c., consigliere comunale di Cagliari, stimato presidente del Gruppo al quale ho aderito.
Ho avuto il privilegio di conoscere Giovanni Lay col quale ho anche fatto un viaggio a Strasburgo durato circa una settimana: nella corriera eravamo seduti a fianco, lui era il più anziano della comitiva e io il più giovane. Avevo 21 o 22 anni. Ricordo ancora i suoi occhi chiari, la sua voglia di ascoltare e di capire, la sua grande apertura mentale, la curiosità che aveva verso il nuovo. Era quasi inevitabile quindi che, in quel clima di confidenza e posso dire di amicizia, mi raccontasse la sua vita.
Mi ha descritto la Cagliari della sua infanzia e dell’adolescenza, una Cagliari che si sfilacciava nella campagna, ancora separata dal Comune di Pirri, sia da un punto di vista urbanistico che sociale.
Giovanni Lay era nato a Pirri nel settembre del 1904. Allora la maggioranza della popolazione, di oltre tremila abitanti, era dedita alla vinicoltura: si trattava in prevalenza di piccoli e medi proprietari che esercitavano anche altre attività. I vigneti erano ubicati in prevalenza nel territorio dei comuni viciniori: Selargius, Sestu, Soleminis, Monastir, Donori, Ussana. I terreni facenti parte del Comune di Pirri erano invece posseduti, quasi per intero, da una ventina di famiglie “benestanti”, da grossi commercianti di Cagliari e da qualche nobile.
La gente di Pirri vestiva male. Gli indumenti venivano rattoppati in continuazione, talvolta con pezze di diverso colore. La maggior parte della gente di campagna metteva le scarpe, quando le aveva, solo per andare a messa nei giorni di festa. Le donne, per risparmiare i 15 centesimi del biglietto del tram a vapore, andavano da Pirri a Cagliari a piedi, con le scarpe in mano. Le calzavano in prossimità della “fermata” di San Mauro, dove c’erano le prime case della città. In quella zona abitava anche l’ex sindaco Baccaredda, di cui quest’anno, a dicembre, ricorre il centenario della morte.
Lo stesso Giovanni Lay, quando aveva poco più di otto anni, andava a piedi da Pirri a Cagliari, dove il padre lavorava in via Sassari, nella ditta di Guglielmo Marini (commercio ferro). Marini a Pirri aveva un’importante azienda agricola con casa. Nelle famiglie dei lavoratori si panificava una volta alla settimana e la minestra si mangiava solo la sera, quando rientrava dal lavoro il capofamiglia: una minestra con poco condimento e un po’ di pasta fatta in casa.
Nel 1910, all’età di sei anni, Giovanni Lay si era iscritto alle scuole elementari. Il maestro, il cav. Setzu, era bravissimo ed aveva insegnato a leggere e scrivere ad alcune generazioni di Pirresi: questo insegnante lo accompagnò nelle prime tre classi delle elementari. Finita la terza, solo due bambini, Giovanni e Agostino Caschili, figlio di un muratore, furono avviati a frequentare la quarta elementare. A Pirri infatti la scuola finiva con la terza e chi voleva continuare gli studi doveva recarsi a Cagliari: così per le famiglie si poneva il problema della spesa per il tram.
Lay e Caschili furono assegnati ad una sezione staccata della scuola elementare di piazza del Carmine, ubicata nella via Caprera. Qui insegnava il prof. Satta (tale era il titolo che veniva attribuito al maestro). Tra i compagni di scuola c’erano anche due ragazzi figli di un ferroviere, i fratelli Porrà: uno di essi, Battista, verrà ucciso a Cagliari da Emilio Lussu, la notte del 31 ottobre 1926, mentre, incitato da un nutrito gruppo di fascisti, tentava di raggiungere il balcone dello studio di Lussu che si affacciava in piazza Martiri.
Durante le vacanze scolastiche del 1914, Giovanni Lay venne affidato dal padre a un suo cugino muratore che eseguiva lavori di restauro nel tetto della casa dove la famiglia Lay abitava. Così in breve tempo Giovanni, all’età di dieci anni, si ritrovò nella posizione di “garzone muratore”, come tale pagato con 60 centesimi al giorno. Era un lavoro molto faticoso perché allora, nell’edilizia, non esistevano i mezzi meccanici che oggi vengono utilizzati per cui mattoni, tegole e calce si portavano a spalla salendo su scale a pioli.
Quindi, alla fine delle vacanze, Giovanni non rientrò a scuola e finì la sua carriera di studente. Più tardi il padre lo affidò a un suo conoscente, un ex bidello della scuola elementare di Cagliari, che lo preparò per l’esame di licenza elementare che sostenne con esito positivo.
Nell’estate del 1915, per interessamento dello zio, Mario Atzeni (che lavorava come operaio fonditore nel deposito delle Ferrovie dello Stato), Giovanni iniziò a lavorare come apprendista meccanico a Pirri, nell’officina dei fratelli Susnik, dove restò per oltre due anni. Nel giugno del 1917, per interessamento del padre, venne assunto nella pasticceria Clavot e Rizzi, in piazza Yenne a Cagliari, dove lavorò sino al 1926 quando venne licenziato per le pressioni esercitate dal genero del questore Laudadio, Antonino Nurchis, capo dei fascisti cagliaritani.
I proprietari erano svizzeri, filo tedeschi, ma gente seria e onesta. Il capo pasticciere, Giovanni Giusti, livornese, era repubblicano e libero pensatore; diversi dipendenti erano socialisti, uno era anarchico. In quell’ambiente di lavoro iniziò la formazione politica di Giovanni Lay: formazione che presto si arricchì attraverso il contatto con gli ex combattenti di Pirri e col nascente movimento sardista e, dopo la “Marcia di Roma”, con l’adesione al Partito Comunista d’Italia.
Nel dopoguerra furono gli ex combattenti (contadini, pastori, operai, professionisti e intellettuali) - che rientravano a casa carichi di sofferenze e di piaghe, fisiche e morali, ma anche di nuove idee, aspirazioni e speranze da realizzare - ad imprimere un nuovo senso e un rinnovato vigore alle lotte politiche e sociali dei sardi. I giovani soldati e ufficiali rientravano dal fronte provati dalle fatiche, dai sacrifici e dai pericoli della guerra ma, sicuramente, più maturi e ricchi di esperienze nuove e diverse rispetto a quelle che avevano conosciuto nella loro isola lontana e arretrata.
Collegato al movimento dei combattenti, in tutta l’Isola si sviluppò il movimento sardista, che affondava le radici nella tradizione e nella storia dell’autonomismo sardo e in seguito darà vita al Partito Sardo d’Azione. In quegli anni, il movimento sardista era l’unico movimento popolare, democratico, in grado di mobilitare larghe masse.
Le sedi dei combattenti e quelle sardiste costituivano la sola possibilità materiale di organizzazione per i lavoratori e i giovani che fecero le prime esperienze politiche in quegli ambienti: si parlava di una Sardegna nuova, autonoma, con una propria amministrazione, dove i lavoratori avrebbero ottenuto il giusto riconoscimento economico e sociale. Spesso, si trattava di discorsi semplici, fatti da gente semplice, che non aveva esperienza politica ma una gran voglia di cambiamento.
Quando si costituì il PSd’Az, Giovanni Lay aderì alla sezione di Pirri. Peraltro, partecipava anche alle riunioni del partito che si tenevano a Cagliari nel quartiere della Marina (in via Porcile o in via Principe Amedeo). A Pirri erano attive squadre di giovani ciclisti che indossavano la camicia grigia e sventolavano la bandiera dei quattro mori. Nel marzo del 1923, Lay chiese ed ottenne l’iscrizione nella Sezione di Cagliari del Partito Comunista d’Italia. Venne accolto con cordialità e fraternità, senza essere sottoposto a inutili formalità, allora molto diffuse.
Nel 1927, sei mesi dopo le leggi eccezionali, Giovanni Lay venne arrestato per attività sovversive e, l’anno successivo, condannato dal Tribunale speciale a sette anni e sei mesi di reclusione per «ricostituzione e appartenenza al Partito Comunista illegale». Dopo un periodo di segregazione scontata a Lucca, venne trasferito a Procida e poi, nel 1930, nel carcere di Turi, nei pressi di Bari, dove conobbe e frequentò per sedici mesi Antonio Gramsci.
In realtà Giovanni Lay aveva conosciuto Gramsci qualche anno prima, nel 1924, quando l’intellettuale era arrivato a Cagliari per partecipare al Congresso regionale clandestino del Partito Comunista d’Italia che si doveva tenere il 26 ottobre a Is Arenas (e più precisamente dove ora sorge la borgata di Medau su Cramu). Gramsci era arrivato a Cagliari la sera prima, col treno da Olbia, e aveva trascorso la notte nello studio dell’avvocato Alberto Figus, in via Ospedale, a poche centinaia di metri dalla casa del corso Vittorio Emanuele dove aveva abitato da studente liceale.
L’indomani mattina, all’alba, venne a prenderlo un giovane operaio metallurgico che lavorava nell’industria “Costruzioni Meccaniche”, Nino Bruno, che lo accompagnò nell’area, tra il Poetto e Monte Urpinu, dove era previsto il Congresso. Era una domenica. Il lunedì Gramsci pranzò nella trattoria dei Fratelli Fanni, che si trovava nel largo Carlo Felice, e poi fece due passi per prendere il caffè in piazza Yenne, nel bar Clavuot e Rizzi, dove venne servito da un giovane comunista, Giovanni Lay. I due, sette anni dopo, si ritroveranno nel carcere di Turi. Alle 14 Gramsci saliva sul treno diretto a Ghilarza, per far visita ai genitori (Cicillo e Peppina Marcias). Qui si trattenne per dieci giorni (dal 27 ottobre al 6 novembre): quando si lasciarono non sapeva che sarebbe stato l’ultimo abbraccio.
L’incontro in carcere con Gramsci venne ricordato da Giovanni Lay con queste parole: «Ero intimidito ma felice, e lui se ne accorse. Fu subito molto affettuoso, mi parlò in sardo, probabilmente per farmi superare l’imbarazzo in cui mi trovavo». E lo stesso aggiunse: «Rispondevo con la massima precisione possibile, ma senza riuscire a liberarmi dello stato di disagio in cui mi trovavo. Così prese a canzonarmi e mi disse che mi comportavo come un vecchio pastore riservato e orgoglioso». A Turi, Giovanni Lay fu anche compagno di cella di Sandro Pertini col quale intrattenne un costante e sentito rapporto per tantissimi anni.
Amnistiato nel 1932, Lay tornò a Cagliari e visse da sorvegliato speciale della polizia politica. Venne nuovamente rinviato a giudizio, davanti al Tribunale speciale, con altri 31 antifascisti e fu assolto per insufficienza di prove. Ancora arrestato nel 1940, fu ammonito per un anno.
Alla caduta del fascismo, proseguì il suo impegno politico e, tra il 1946 e il 1948, fu protagonista delle lotte operaie dei minatori di Carbonia. Fece parte del primo Consiglio comunale di Cagliari con Emilio Lussu, Giovanni Battista Melis e atri. Nel 1949 venne eletto consigliere regionale nelle liste del PCI. Fu riconfermato per altre tre legislature fino al 1965. Cessato l’impegno istituzionale continuò a dedicarsi, con grande impegno e generosità, alle attività di partito e fu anche tra i fondatori e gli animatori dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ISSRA).
È morto nel 1991. Ha lasciato alcuni scritti politici, pubblicati principalmente sul settimanale “Il Lavoratore” (edito a Cagliari tra il 1945 e il 1948), e un interessante documento autobiografico che si trova nel libro L’antifascismo in Sardegna, curato da Manlio Brigaglia e altri. Diversi testi sono inoltre raccolti nel volume Io, comunista. Dal carcere con Gramsci all’impegno antifascista, curato dalle figlie Gabriella e Laura.
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