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Ilaria Loddo

PANDEMIA: FACCIAMO IL PUNTO SULLA CAMPAGNA SENTIMENTALE!

I disastri intangibili, oltre quelli palpabilissimi, che durante questi mesi sono cresciuti lentamente ma inesorabilmente dentro ciascuno di noi.

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Questa pandemia ha travolto ciascuno di noi scaraventandolo ripetutamente ai propri estremi, tirando fuori a volte il meglio, a volte il peggio. 

Ho avuto modo di apprendere che tante persone che conosco a malapena, coltivano in realtà, delle meravigliose passioni ed è sempre interessante scoprire che qualcuno ha in sé più di quello che appare.

La didattica a distanza dell'università (nei confronti della quale non ho mai nutrito troppo livore) ha messo maggiormente in evidenza le dicotomie successive a questa situazione, accentuando il divario tra chi insegna per mestiere e chi invece è chiaramente votato alla difficile arte dell'educazione, che ha capito che la collaborazione viene prima della gerarchia accademica, e si è messo a disposizione dei ragazzi, cercando di utilizzare i loro stessi mezzi, il che poi significa voler imparare a comunicare nella stessa lingua.

I tempi sono cambiati e indietro non si torna. Credo che la tecnologia si imporrà sempre più profondamente nella nostra quotidianità e questo a volte sarà un bene (perché non ha senso affrontare un'ora di traffico per andare a sostenere un esame e una riunione, o dover rinunciare a questi impegni perché ci si trova in un'altra regione per motivi, eventualmente, di salute) però è anche vero che questa pandemia ha portato con sé anche dei disastri intangibili, oltre quelli palpabilissimi, che durante questi mesi sono cresciuti lentamente ma inesorabilmente dentro ciascuno di noi. 

Le lunghe giornate in isolamento, la mancanza della libertà di poter anche solo pensare di organizzare una cena con gli amici, le colazioni al bar il fine settimana, le vacanze che in realtà di vacanza non hanno proprio il sapore, i sorrisi coperti dalle mascherine, il non potersi spostare dal proprio comune, le incoerenze e le vessazioni della politica, i bambini che non si possono toccare e correre durante la ricreazione, gli abbracci mancati, il non poter lavorare e percepire uno stipendio quando per il proprio lavoro si è sempre sputato sangue, credo che tutte queste cose ci abbiano fatto vivere dei periodi in cui tutto sembra impossibile, in cui sembra difficile anche fare le cose che ci piacciono.

Siamo spesso bombardati dalle proiezioni esteriori degli atti di eroismo e super-efficenza altrui e questo ci porta inevitabilmente a sentirci in sovraccarico emotivo.

Durante questo periodo poche volte sono uscita e ho incontrato i miei amici e tutte queste volte tornavo a casa sentendomi inebriata da questi momenti di convivialità, appagata, felice e poi improvvisamente abbattuta, priva di stimoli, qualche volta nel panico, ma comunque sempre nel costante tentativo di arginare frustrazioni, oscillazioni emotive e l'apparente obbligo di “doverla prendere bene” tutti i giorni.

Quindi, ora che abbiamo appurato che lo slogan “andrà tutto bene”, con l'arcobaleno sullo sfondo, era una simpatica stronzata, quello che penso si possa tentare di fare, nel nostro piccolo, è cercare tutti i giorni, da ogni giorno, di carpire un piccolo insegnamento, una piccola ragione per cui essere grati o un piccolo lato positivo e laddove non dovessimo trovare una risposta, ricordarci che nel bene o nel male, stiamo comunque crescendo, che siamo sempre abbastanza, che da qualcuno saremo sempre amati, che se durante una giornata non siamo stati produttivi, va bene lo stesso e che la vita è come un elettrocardiogramma: ci sono degli alti e dei bassi ma quando è piatto, vuol dire che sei morto.


Nell'immagine è rappresentata una scultura di Federico Clapis.

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