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Redazione Giornalia

Paolo Fresu: "È come a scuola, ogni giorno imparo cose che spero di portare fuori presto"

Il musicista riflette anche su tutti coloro che lavorano nella musica e che stando a casa non guadagnano: "Se non c'è spettacolo cadono come birilli"

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di PAOLO FRESU

Fino ad oggi per me c’era il tempo del lavoro e il tempo della casa. Il lavoro di concertista mi porta spesso in giro per il mondo e quando torno al borgo nella mia casa in collina ritrovo il tempo dello studio, della composizione, degli ascolti e della famiglia. Sono dunque abituato a stare in casa quando non sono in viaggio, conosco questi tempi dilatati. Eppure stavolta è diverso, è come se nella mia casa si fosse spalancata una grande finestra sul mondo. Solitamente sono discreto ma questa condizione di isolamento, e l’idea che non si possa lasciare la casa, non si sa fino a quando, mi ha fatto abbandonare ogni remora: i social sono l’unico modo che abbiamo per comunicare. Tutto è diventato più intimo, dobbiamo riconoscerci nell’intimità delle quattro mura e la nostra intimità portarla verso l’esterno, non c’è altro modo. È tutto nuovo: guardate anche in tv, gli ospiti in collegamento dalle loro case, dal loro divano, i quadri alle pareti. 


Le cose che imparo ogni giorno sono tante, l’apprendimento continua ma, come ai tempi di scuola, comincio a sperare che tutto ciò finisca presto per poter portare queste ricchezze all’esterno, verso gli altri. Perché a un certo punto la scuola finisce e ciò che hai appreso lo spalmi nella vita. A casa ti godi un libro, un disco, ma anche semplicemente riscopri gli oggetti: questo l’ho comprato in Africa 20 anni fa ma lo guardo con altri occhi, ho ritrovato il braccialetto di mia moglie di quando 12 anni fa in ospedale è nato mio figlio, forse non lo avrei mai trovato se non avessi avuto tutto questo tempo. Il tempo è un privilegio. 


Qualcuno mi ha detto che noi musicisti siamo dei privilegiati, ma il privilegio è solo di chi è conosciuto, di chi lavora come me, non certo di chi dal 23 febbraio è a casa e non sa quando potrà riprendere a lavorare. Dietro di noi ci sono musicisti, macchinisti, tecnici del suono, addetti alle luci: se non c’è lo spettacolo o il tour, cadono come birilli, un esercito di persone. Va benissimo la casa da condividere, ma se non sai come pagare il mutuo o i pannolini, allora non è un piacere, è un guaio.


Lo spettacolo è fatto di quelli che io chiamo come i francesi “gli intermittenti”: accesi sul palco e spenti quando sono giù dal palco, senza protezioni fiscali e previdenziali anche se hanno contribuito al gettito fiscale e allo Stato sociale. Per questo abbiamo lanciato su change.org la petizione #velesuoniamo già arrivata a 15 mila firme, da sottoscrivere perché quando si uscirà dalla crisi si possa risolvere definitivamente il problema del futuro dei lavoratori dello spettacolo. Perché senza di loro non ci sarebbe il successo della cultura che porta il nostro Paese in alto nelle classifiche. Non ci sarebbe la musica che oggi cantiamo tutti insieme dai nostri balconi per gli italiani.

Fonte: Repubblica.it
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