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Gianfranco Murtas

Patriarca 92. Lucidità analitica e propositiva: il permanente dono di Paolo Fadda alla sua Cagliari. Una sua lettera del 1964 a Fabio Maria Crivelli

di Gianfranco Murtas

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Da quarant’anni ormai, dacché la SAIA da lui al tempo presieduta mostrò qualche interesse al recupero edilizio ed al rilancio residenziale (e del terziario civico) di Stampace e promosse la stampa dei due volumi sulla Marina (Cagliari Marina: memorie ed immagini per un recupero del vecchio quartiere, 1981) e Castello (Cagliari Castello: passato e presente di un centro storico, 1982) a firma di Antonio Romagnino – pubblicazioni testofotografiche che dettero finalmente la stura al meraviglioso diluvio dei titoli che il professore ha poi, negli anni, consegnato a editori diversi e donato a noi suoi lettori sempre, e chi anche allievo e chi anche sodale nelle imprese di Italia Nostra o nella militanza agli Amici del libro, e altrove ancora – Paolo Fadda è nelle mie preferite, più intense e rispondenti interlocuzioni sulle questioni cagliaritane fra ieri e oggi. Si tratta di interlocuzioni sempre larghe, quasi onnicomprensive, includenti i concorsi della borghesia imprenditoriale e del proletariato operaio allo sviluppo cittadino da Bacaredda (e da prima di Bacaredda) in qua. Includenti altresì la funzione pubblica di alcuni soggetti istituzionali di prim’ordine come le banche direttamente incidenti sulle dinamiche del progresso economico locale, l’influsso della Chiesa nell’evoluzione sociale e culturale della popolazione, e molto altro ancora. Nel novero, non marginale il ruolo della stampa come elemento propulsore della modernizzazione dell’area urbana e sana secolarizzazione del costume sempre più propenso allo scambio con l’oltremare.

A tanta personale istruttiva compagnia hanno concorso, santo carburante, i suoi libri. Paolo Fadda studioso, Paolo Fadda autore originale e prolifico, curatore di collane editoriali, editore lui stesso in un esordio di ammirevole orgoglio – quello della Sanderson Craig (stagione 1990-91) – e naturalmente Paolo Fadda pubblicista ed editorialista perfetto, passato per collaborazioni le più varie (per la varietà delle testate che l’han chiamato ed a cui ha dato la sua fiducia) e sempre di alto profilo, sì, Paolo Fadda ha costituito per me un riferimento sempre preciso e altamente qualificato per ogni inoltro nell’approccio alla nostra storia di ieri e di oggi, nell’approfondimento della nostra contemporaneità regionale e cagliaritana in specie.

Ha avuto lui la generosità di soffermarsi sulle mie cose (con articoli e con la presentazione di libri), ho scritto io tante volte di lui e dei suoi lavori, e sul piano umano e personale gli sono stato assolutamente prossimo quando sciagurate figure (anche, ma non solo, della Chiesa) lo hanno contrastato, giudicando volgarmente e senza conoscere, senza conoscere nulla e, ancor più e soprattutto, senza conoscere l’intima distinzione morale dell’uomo e, in aggiunta alla umiltà (virtù che io neppure mi sogno), quella bontà tutta sua che un novantenne d’oro come Norberto Bobbio, parlando delle categorie etiche dell’umano, definì il pregio ben superiore ad ogni altro possibile nella biografia di una qualsiasi personalità applaudita dalla platea sociale, più della cultura, più del rango. Ho scritto tanto di Paolo Fadda che oggi, mentre egli raggiunge e sobriamente (come sempre) festeggia il suo 92° compleanno, vorrei dare a lui stesso la parola riproponendo un suo articolo (nella forma della “lettera al direttore”) uscito su L’Unione Sarda di quasi sessant’anni fa – del 14 ottobre 1964 per la precisione –, allora vigilia della sua elezione in Consiglio comunale dove permase fino al 1970.

Si tratta – per contestualizzare – della consiliatura che nacque all’insegna dell’esordiente (a Cagliari) formula del centro-sinistra, impostata cioè sull’architrave democristiana ma con i qualificanti contributi del Partito Socialista – e di uomini come Sebastiano Dessanay (assessore anziano), Anton Francesco Branca, Ottavio Businco – allora prossimo alla sua unificazione con la socialdemocrazia di Giuseppe Saragat (al tempo presidente della Repubblica), ed anche dei sardisti alleati dei repubblicani (quando i sardisti erano sardisti, figli puri della cultura democratica mazziniana e cattaneana, e non ingrati raminghi persi nelle nebulose indipendentiste in possibile ebbra conversione forzista e leghista). Venuta da Roma, fu da Cagliari che, poi, l’alleanza di centro-sinistra si portò anche alla Regione favorendo con personalità come Efisio Corrias, Paolo Dettori, Giovanni Del Rio e Soddu e Deriu ecc. quella certa politica contestativa che, al netto di qualche tono o di qualche strumentalizzazione (e anche di qualche omessa autocritica, invero necessaria), fu manifestazione dignitosa di fierezza sarda nei confronti della comunità nazionale e tanto più di un governo (il terzo Moro) impaludato dalle burocrazie ministeriali deossigenanti l’attuazione del Piano di rinascita. Si perse allora, in progress, l’aggiuntività promessa con il piano straordinario, ed i finanziamenti statali finirono per essere sostitutivi dei tradizionali trasferimenti.

E bisognerebbe anche dire, a tal riguardo: fu grazie anche a Paolo Fadda, e per tanta misura grazie a lui, che la politica cittadina conobbe questa promozione aperturista verso la sinistra, allora interprete di tanti valori e tante esperienze, insomma di un patrimonio non ancora apprezzato sul piano amministrativo (s’intende dopo la fine delle giunte di concentrazione Dessì Deliperi e Pintus, e Crespellani 1946-49. I liberali di Cocco-Ortu, Caredda, Angioy… garantivano il rigore e la costruttività dell’opposizione moderata, fuori dal recinto della destra missino-monarchica, dall’altra parte il carrismo lussiano, pur nel dottrinarismo di certe impostazioni, assicurava un slancio ideale utile a tutti, maggioranza e minoranza. Allora giovane – 35enne – capogruppo democristiano in Consiglio comunale (qui eletto con 1.218 preferenze), uomo di grande famiglia, colto e di mille relazioni, Paolo Fadda seppe progressivamente indirizzare le scelte del suo partito favorendo anche, nel 1967, l’assunzione della sindacatura, in ricambio da Giuseppe Brotzu, da parte di Paolo De Magistris: un avvicendamento positivo che si protrasse fino a quei successi “d’immagine” della città che furono la visita a Cagliari del papa Paolo VI e la vittoria dello scudetto da parte dei rossoblù di Gigi Riva e Manlio Scopigno. (Circostanza, quest’ultima, che mi riporta alla memoria la collaborazione di “cronista sportivo” resa dal Fadda ventenne, nei trascorsi anni ’50, sia a L’Unione Sarda che a L’Informatore del lunedì di Franco Porru!).

Cagliari 1964
Certamente erano anni, quelli poi mitizzati – gli eroici “60” –, che per molti che ne hanno raccontato, o testimoniato, avevano coinciso con le età più belle della vita: l’infanzia e l’adolescenza o la primissima giovinezza. Ciò è valso come uno specialissimo riflettore di luce chiamato a promuovere insieme presente e futuro. In altre parole – bisogna dire anche questo – la vitalista illuminazione delle cose e delle atmosfere recata da quel dispositivo mentale, ha carezzato gli eventi (e anche la memoria d’essi) ed enfatizzato, nelle sintesi e nei rilasci, l’ottimismo generale.

Era esso – il riflettore – come il giustificato e naturale supplemento al tempo colorato come lo si respirava allora captandolo dai giornali, dalla radiotelevisione, dalle conversazioni (quelle da bar e da salotto, da passeggiata e da scuola): la distensione internazionale (nonostante la permanenza dittatoriale oltre cortina, Cecoslovacchia inclusa, e, di segno opposto, anche in questo o quello stato sudamericano, ma pur comunque dopo la crisi superata a Cuba!), certe dinamiche infra-ed-interstatuali che si prestavano a diverse interpretazioni ed anche ad opposti giudizi (dalla decolonizzazione in corso nei continenti alla guerra infinita nel Vietnam, dalle durezze marziali cinesi ai movimenti giovanili pacifisti dell’Occidente con la Baez e Bob Dylan e le altre ribellioni dei Rolling e dei Beatles, dalle lotte e controlotte in America per la questione razziale, fino ad arrivare agli assassini politici dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King, alle conquiste dello spazio ed a quelle della medicina (perfino con i trapianti)…

Da noi ecco la progressiva felice secolarizzazione del costume nazionale (anche per la positiva autoriforma in chiave umanistica ed ecumenica della massiva Chiesa cattolica) e la più conciliante politica sociale dei governi di centro-sinistra arrivando addirittura alla stagione dell’autunno caldo a chiusura di decennio, la liberalizzazione universitaria e la riforma ospedaliera (anticipazione della futura riforma sanitaria recante il superamento delle mutue e l’impianto del servizio sanitario nazionale), i riassetti democratici di certa stampa in rapida evoluzione tecnologica – si pensi a I ed al grosso dei rotocalchi Rusconi e Rizzoli – (e, di contro, le nuove infeudazioni all’industria da qualche parte, come in Sardegna) e cento altre cose…

Sì, quel riflettore mentale si poneva come supplemento “in prevalente positivo” ai fatti raccolti e registrati… Per non dire dell’accompagnamento pubblico proveniente, oltre che dai partecipati comizi di piazza, dalle canzoni di Sanremo, del disco per l’estate, di Mina, Fabrizio De André e Lucio Battisti… colonna sonora di una-due generazioni italiane in viaggio verso il futuro. Anche per la Sardegna tutto questo e però anche il sogno, e qualche realizzazione, del Piano di rinascita come freno all’emigrazione ed impulso al progresso civile attraverso nuove infrastrutture viarie ed idriche del territorio, il disegno dello sviluppo turistico e anche industriale – uno sviluppo che dette il segno della modernità alla nostra società, ma pure introdusse elementi rivelatisi poi negativi e perfino rovinosi –, ancora qualche drammatico colpo banditesco ma anche le prime vere glorie del Cagliari e con il Cagliari in A…

E Cagliari in quanto “città-regione”? Cagliari, con i suoi ormai duecentomila residenti nel 1964, a contare naturalmente le comunità che si sarebbero successivamente ritagliate l’autonomia municipale, da Elmas a Quartucciu a Monserrato… Cagliari ancora cantiere a vent’anni ormai dai bombardamenti, ma cantiere ormai non più soltanto per le riparazioni ma per lo sviluppo, per il nuovo, nella logica (sempre più terziaria) del polo d’attrazione dalla provincia... Quartieri residenziali di fresca urbanizzazione, periferie ad alta intensità d’abitanti in nuovi appartamenti dei piani IACP e Ina-casa, fra Villa Fiorita e Fonsarda, Is Mirrionis e San Michele, La Palma e Bingia Matta… L’arcivescovo Paolo Botto benedice, passando di strada in strada, il nuovo quartiere di Is Cornalias, mentre il vicino seminario diocesano carbura al meglio e diventa – negli anni propizi del Concilio – luogo di incontro e risveglio di una cultura larga, e le chiese parrocchiali e non – da Santa Caterina a Cristo Re, da San Carlo (dopo San Paolo) a San Francesco d’Assisi, la Medaglia Miracolosa e Sant’Eusebio, si posizionano come centri di riferimento delle nuove aree urbanizzate.

Si comincia a cantierare il CEP in direzione di Pirri ed in centro, in piazza San Cosimo, viene abbattuta la vecchia casa-ospizio del clero e si progetta il monumentale palazzone-tunnel di collegamento fra le vie San Lucifero e Logudoro… E così si cantierano anche le nuove scuole, il prefabbricato di via Falzarego e lo scientifico Pacinotti in via Liguria, il classico Siotto-Pintor fra il viale Trento e il viale Sant’Avendrace, ed il femminile professionale a Bingia Matta…

Sono ormai definiti i progetti di nuove arterie stradali – dalla circonvallazione aeroporto-Poetto al panoramico viale Europa di Monte Urpinu, dalla via Abba di collegamento fra le vie Garibaldi e Sonnino alla scenografica scalinata di Bonaria…, cresce il traffico, sfiorano le quindicimila le immatricolazioni d’auto in un anno.

Sono quasi al debutto i poliambulatori previsti in via De Gioannis, via Carloforte e via Nebida a Is Mirrionis, né diverso è il discorso per i mercati rionali dopo quelli trionfanti di San Benedetto e di Santa Chiara ed anche di via Pola, anche gli altri delle frazioni e di La Palma e via Quirra…

S’inaugurano, in municipio, il centro meccanografico per il servizio Anagrafe e, a Clinica medica, la “banca degli occhi” per i donatori di cornea, s’appalta il completamento del gigantesco brefotrofio provinciale con 572 posti letto (andrà presto in liquidazione lo stabilimento dell’Infanzia abbandonata da riciclare come facoltà di Scienze Politiche nel viale Fra Ignazio), la Provincia apre in viale Ciusa il suo nuovo laboratorio d’igiene e sanità (trasferendolo dal viale Bonaria). Va in rinforzo con nuovi macchinari il Centro tumori (destinato ad evolvere presto in Ospedale oncologico regionale), mentre è sempre attiva, in città, la campagna di vaccinazioni antiantipolio – migliaia di bambini (di noi bambini e ragazzini allora) ne sono fortunatamente coinvolti – e la sensibilizzazione sociale alla donazione del sangue: sono 800 gli avisini, un vigile urbano è premiato per il maggior merito fra i salassati… Al civico di San Michele si tumulano 16 caduti in guerra le cui spoglie sono state tardivamente recuperate…

Piange, Cagliari, la morte di due sante suore: suor Teresa Tambelli, superiora dell’Asilo della Marina e di Stampace, e suor Angela Fumagalli, superiora della Casa delle madri…

S’avviano i lavori per l’acquedotto nell’area sviluppo industriale – quell’area di Macchiareddu su cui molto di spera anche per il porto-contaniners – mentre al Quadrifoglio entrano in funzione gli impianti per il riciclaggio dei rifiuti trasformati in produzioni di concimazione agricola; trasferito il mattatoio nello stabilimento di via Po, si ipotizza lo spostamento della prefettura nei dismessi vecchi spazi di San Lucifero…

Al Poetto si formalizza il consorzio fra i comuni di Cagliari e di Quartu, mentre i casottisti fanno lobby per ottenere migliori attrezzature sul litorale. D’estate sono ben 36, nella statistica del 1964, i graziati dal rischio d’annegamento per l’efficiente servizio dei benemeriti del salvamento…

La centrale del latte di viale Trieste pastorizza e imbottiglia ben 27 mila litri di latte all’anno, prende medaglie l’albergo-scuola Enalc di piazza Dante (poi Piazza Giovanni), i presidi e in generale tutti quanti gli interessati riconoscono che la riforma scolastica delle medie (la media unificata cioè) ha dato ottimi risultati, la scuola di assistenti sociali celebra il suo decennale, però ancora resta nell’orbita semipubblica della Chiesa…

L’ateneo conta qualcosa come settemila iscritti, si pubblicano le graduatorie di ammissione a Magistero, ad Ingegneria si introducono i nuovi corsi di meccanica e di chimica, le feluche goliardiche festeggiano (o fanno la festa a) le matricole… Esordisce la cattedra di antropologia culturale – ponte fra Medicina e area umanistica –, la città accoglie i relatori pronti alla settimana di studi storici (in collaborazione con gli accademici di Spagna) ed ospita anche i giornalisti convocati ad una rappacificazione sindacal-associativa nazionale, e così gli operatori turistici – quelli del Trentino e quelli siciliani (con rettore d’università al seguito) – per possibili futuri scambi.

Finalmente nuove luci vengono accese lungo l’intero Terrapieno, si dà il via ai programmi di sviluppo di Marina piccola… Cagliari si fa bella, apre un ufficio di informazioni turistiche in piazza Matteotti…

L’anno 1964, così come ogni anno invero, è scandito dalle manifestazioni pubbliche segnate in calendario: dal carnevale con i suoi carri allegorici alle due settimane della Fiera campionaria (con gli “speciali” della giornata europea e della giornata dei paesi arabi), dalle devozioni quaresimali e della settimana santa alla ritualità pasquale, dalla processione-festa di Sant’Efisio a quella tutta religiosa del Corpus Domini (con sosta al sanatorio di Monte Urpinu), dal viaggio marino della Vergine di Bonaria a luglio alle leggerezze popolari di Ferragosto, dalle onoranze al patrono San Saturnino ai pellegrinaggi verso i cimiteri, dalle visite alle caserme militari al megaraduno per l’Immacolata, alle celebrazioni natalizie, fra novena e messa di mezzanotte… e in mezzo, naturalmente, ecco le giornate del mutilato, dell’aeronautica, dell’Enal, dei fedeli del lavoro, della Guardia di finanza, della Polizia, dei Carabinieri…

In mezzo è, naturalmente, anche la politica, piuttosto chiusa quella comunista nel suo permanente dogmatismo (nel 1964 muore Togliatti e prende la segreteria del PCI Luigi Longo), fissi nell’antistoria borbottante quelli della destra, bloccati nelle tentazioni d’ingordigia del potere i democristiani (non per caso commissariati dalla loro direzione nazionale), con qualche desiderio o aspettativa di novità l’area socialista e quella autonomista.

Il 22 e 23 novembre quasi centodiecimila elettori sono convocati alle urne ed il municipio cerca un suo pur parziale rinnovo. Vengono eletti 23 candidati democristiani, otto comunisti, sei liberali, quattro missini, tre socialisti, due socialdemocratici, altrettanti sardisti, un monarchico ed un socialista dissidente (poi socialproletario). L’alleanza di centro-sinistra presto formalizzatasi poggerà su una maggioranza di 30 consiglieri.

Fadda columnist e… proiezione Sassari (con rimbalzo)
Amante della scrittura – e la sua fu (e continua ad essere) sempre sobria e rapida, eppure mai superficiale, al contrario! – Paolo Fadda accompagnò in quegli anni il suo impegno politico-amministrativo con una presenza piuttosto frequente sulla stampa cittadina. Ricorderei a tal riguardo, per chi volesse approfondire le sue valutazioni e lavorare magari a ricostruire di lui il profilo pubblico in una fase storica assolutamente rilevante per la città capoluogo, questi articoli apparsi su I: “Cagliari città-guida” e “Pericolosi errori sulle vie dell’industria”, rispettivamente del 20 novembre e 20 dicembre 1964; “La strada giusta: per l’industrializzazione della Sardegna”, “La svolta in Sardegna” (proprio sull’avvento del centro-sinistra in municipio ancora a presidenza Brotzu), “Democrazia o demagogia?”, “La paura delle ombre”, “Tramonto dei notabili”, “La seconda autonomia”, “I nuovi compiti degli enti locali”, rispettivamente del 21 e 31 gennaio, 16 e 19 marzo, 25 aprile, 26 maggio e 25 giugno 1965; “La polemica sul Golfo”, “Bisogna salvare i nostri comuni: una riforma fondamentale” e “Il vero senso dell’autonomia”, rispettivamente del 29 giugno, 15 luglio e 15 novembre 1966… ma infine, ad elencarli tutti (su diverse testate) ancorché limitati al tempo della sola consiliatura 1964-1970, si decuplicherebbe il numero… Non mancherei peraltro di menzionare, in tale ricco repertorio, questo ancora de L’Unione Sarda (uscito il 30 marzo 1968 in vista del rinnovo delle Camere), almeno l’editoriale “Due temi per una scelta” (essendo i “temi” l’influenza conciliare e postconciliare sul partito della Democrazia Cristiana che si sarebbe voluto riportare al suo originario popolarismo e, su altro piano, lo spazio ispirativo ed operativo della autonomia regionale impegnata nella politica di rinascita), e, d’interesse tutto locale (ma con evidenti ricadute regionali), “Problema della città” riferito alla grave questione della edilizia universitaria (uscito in cronaca il 25 aprile dello stesso anno).

Ripeto, ho accennato a qualcuno soltanto degli interventi pubblici di Fadda nei cruciali anni ’60, assolutamente meritevoli di ripresa e di verifica della loro rispondenza problematica e/o anche permanente attualità… Ma oggi ho pensato anche – omaggio speciale all’amico Paolo Fadda – di saltare Campeda e da Cagliari proiettarmi, in conclusione, a Sassari (dove egli visse e lavorò per diversi anni da giovane manager), qui raccogliendo una nota a lui dedicata da Aldo Cesaraccio, il celebre Frumentario titolare della celebrata rubrica “Al caffè” de La Nuova Sardegna (valga per il conforto ma valga ancor più per il dissenso o l’asprigna critica… anticagliaritana). Eccola qua (dal giornale del 23 luglio 1969):

«Ancora di “Cagliari città-guida”. Dopo il sindaco De Magistris, mi scrive il capo del gruppo consiliare della Democrazia Cristiana, dottor Paolo Fadda. Poiché egli ha la benevolenza di ricordarmi l’“affetto di una vecchia amicizia” tengo subito a dire che, non soltanto questa amicizia è immutata, ma anzi ad essa si aggiunge l’ammirazione sincera per chi, come lui, dà prova fino ai limiti della polemica di un attivo amore per la propria città.

«Il dottor Fadda mi invia il testo integrale del suo discorso del 1° luglio al Consiglio comunale di Cagliari, dal quale è spuntata la discussione sulla “città-guida”. Ho letto il testo, e bisogna riconoscere che il discorso è intonato a tema più accettabile, quello cioè di Cagliari come proponente del “discorso di un’integrazione regionale nel processo di sviluppo civile della Sardegna”. Preso così, il tema ha i suoi limiti naturali nel fatto che si trattava di un dibattito in Consiglio comunale, non in Consiglio regionale. Dice infatti il dottor Fadda: “La nostra visione di città leader non è, né può essere, una comoda ed ereditaria posizione aristocratica; deve essere un primato conquistato e meritato ogni giorno nelle trincee dell’impegno e dell’azione”. Alla buon’ora! Ma è quel che dicevo io, quando affermavo che l’unica distinzione cui Cagliari potesse aspirare era quella di servire d’esempio per attività, spirito d’iniziativa ecc. senza affatto cadere in contraddizione (come invece mi faceva rilevare il sindaco De Magistris) nei confronti della tesi dell’accaparramento.

«Ora, caro amico Fadda, la nuova situazione in corso di maturazione nella nostra isola porta a una netta distinzione fra città-esempio e città-guida o anche città-leader. (Lei stesso saggiamente dice nel suo discorso: “A vent’anni dall’autonomia regionale noi vogliamo superare il vieto provincialismo, la faida dei campanili”, nel senso che un discorso su una qualsiasi città-esempio può e deve farsi, non soltanto per Cagliari, ma anche per Villacidro, per Arbatax, per Porto Torres, per Porto Cervo, per Olbia e, si spera, anche per Ottana e per Sassari. Ma Lei è Lei. E gli altri? Gli altri, magari con l’alibi del leader, confondono l’esempio con la guida, e lo fanno – badi bene – non nell’ambito del Consiglio comunale (dove il discorso ha pieno diritto di cittadinanza), bensì fuori. In Consiglio comunale una frase come questa (cito sempre dal Suo discorso): “I problemi di Cagliari sono quelli dell’intera Isola; e quelli della Sardegna, indipendentemente dal campanile da cui prendono ombra, sono i problemi di Cagliari”, va benissimo, è un programma civico che fa onore a chi lo propone; ma quando l’affermazione: “I problemi di Cagliari sono quelli dell’intera Isola”, emigrando dal Consiglio comunale, viene presentata in assemblee regionali come cambiale imperativa da far pagare a un ignaro Governo o a una furba Giunta regionale, siamo da capo con l’equivoco della città-guida che deve essere soddisfatta nelle sue esigenze come se davvero esse riassumano le esigenze dell’intera Isola anziché rappresentarne soltanto una parte. Il porto terminale delle navi-contenitori (cito uno degli esempi più recenti) potrà essere un beneficio per Cagliari, ma non dice nulla, assolutamente nulla, al progresso economico dell’intera Isola; tuttavia per la sua attuazione (se ci sarà) si dovrà attingere a fondi comuni in una misura tale da far legittimamente temere che vi siano sacrificati altri interessi delle zone interne, portuali e non.

«Inserirsi autorevolmente “nel processo di sviluppo civile della Sardegna” vuol dire fare (se glielo lasciano fare) il porto per contenitori a Cagliari contemporaneamente agli aeroporti di Olbia, Ottana e Oristano, agli acquedotti ad Arzachena e a Sa Pedra Bianca, e via enumerando.

«Si riprenda in mano, caro dottor Fadda, i resoconti sommari del Consiglio regionale per ciò che concerne le avvilenti votazioni di quei padri della Patria in materia di emendamenti al “quarto programma esecutivo”, oppure rilegga la paradossale sortita dell’onorevole Molè sui diritti di Cagliari nei “quadri” della Regione (vera causa del dramma di spaccatura della Democrazia Cristiana sarda); si aggiunga le compiaciute e nient’affatto disinteressate lusinghe della Giunta regionale, abbondantemente ombreggiate da campanili e da torri; poi faccia l’addizione in miliardi, e vedrà che l’appunto non riguarda il Suo onesto discorso di cittadino avveduto al Consiglio comunale della Sua città, ma un fatto di costume che al saggio amore per la propria casa contrappone un’insensata furia accaparratrice, in forza della quale un carico di miseria da sempre segue lo stendardo del progresso di una sola città».

Quella frattura fra vita pubblica e mondo del lavoro
Ecco ora la lettera di Paolo Fadda inviata al direttore de L’Unione Sarda Fabio Maria Crivelli. Con una precisazione. Che quel dibattito largo che ci si sarebbe attesi dalle “provocazioni” dell’autore dell’articolo non avvenne poi, per le povertà tradizionali (almeno sotto il profilo del confronto argomentativo!) dell’ambiente.

Riporto qui, per mera documentazione, il distico del direttore Crivelli: «Il problema della formazione della classe dirigente sarda si è andato aggravando negli ultimi anni, sia per i criteri non sempre accettabili che hanno presieduto e ancora presiedono alla distribuzione degli incarichi di maggiore responsabilità, sia per la tendenza di molti giovani a evadere da un ambiente che, del resto, non offre loro se non anguste prospettive.

«Paolo Fadda, un giovane industriale cagliaritano, nella lettera che qui pubblichiamo fa un lucido esame di questo stato di cose, che non è privo di conseguenze per la vita dell’isola. Ci auguriamo che altri vogliano esprimere il loro parere su questo argomento, dando vita a un dibattito, certo non infruttuoso, un dibattito che, pubblicando questa lettera, intendiamo sollecitare».
 


Signor Direttore.

mi vorrà perdonare per il discorso che desidero oggi proporre a Lei, che so tanto sensibile annotatore della nostra realtà quotidiana, nei limiti e nelle responsabilità di un giornalismo moderno, dinamico, aderente al nuovo mondo di oggi.

E’ un discorso che da tempo avevo in animo di farle, che da tempo peraltro andavo limando e correggendo, alla luce di quotidiane verifiche, di nuove esperienze.
E’ un discorso che trae fondamento e sostanza dall’osservare il progressivo decadimento della classe politica dirigente delle nostre città: che viene sollecitato dal desiderio di trovare un antidoto a questa continua lenta “emigrazione di cervelli”; che viene infine proposto dalla necessità di chiamare, attorno al governo della cosa pubblica, una classe dirigente più moderna, più popolare ed integrata, più dinamica, più sensibilizzata ai grandi problemi del momento presente. Ed è proprio la constatazione del come la nostra classe dirigente, non a livello politico, si sia progressivamente disinteressata della realtà politica del nostro paese, che muove e dà ossigeno a quanto io oggi desidero dirle.

E’ possibile osservare oggi una grande netta frattura fra il mondo politico ed il mondo del lavoro e dello studio; l’integrazione fra le nuove leve della vita economica, della vita di studio o di lavoro col vasto campo della vita pubblica, avviene di raro e non avviene per nulla.

Si è venuta a formare a Cagliari più che altrove, una divisione netta, quasi incolmabile.

Da una parte “i politici puri” che ogni giorno di più perdono ogni possibilità di contatto con la vita economica e sociale del nostro paese; dall’altra le nuove classi dirigenti del mondo del lavoro o dello studio che manifestano apertamente la loro estraneità od il più marcato disinteresse per la amministrazione della cosa pubblica.

Fotografare una tale situazione è oggi semplice; meno semplice è risalire nel tempo e rilevarne le cause storiche; ancora più difficile è programmare la cura.
Certo è che il discorso di base rimane quello della divisione netta fra i due mondi; l’incomunicabilità fra mondo politico e mondo economico: i rapporti difficili che si sono instaurati da tempo tra le classi dirigenti delle due realtà della vita sociale di oggi.

La classe imprenditoriale ha sempre vissuto (ed è questa una sua grande limitazione) ai margini della vita pubblica; i suoi tentativi di contatto non hanno mai avuto i contorni di un deciso inserimento od una completa integrazione, ma hanno assunto le linee sfumate della pratica di intrallazzo o, come oggi si dice, di sottogoverno.

E parlando di classe dirigente di mondo economico non si intende parlare soltanto in chiave privatistica, ché il discorso potrebbe allora essere chiaramente ma erratamente individuato come un rivendicazionismo di bassa lega, privo di quei significati sociali che noi invece vogliamo assegnare al nostro discorso.

E’ classe dirigente di una realtà economica anche quella che si è formata negli enti e negli organismi pubblici, nelle grandi società parastatali o nei grandi complessi azionari ove la distanza dal capitale e dalla figura fisica dell’azionista limita e annulla quasi del tutto la struttura e la mentalità privatistica della impresa.

Anche questa classe dirigente, che può avere maturato la sua esperienza nell’amministrazione del pubblico denaro in intraprese economiche, s’è mantenuta lontano, quasi assente, quasi mai partecipe della nuova realtà politica ed economica che i politici puri andavano progettando ed attuando.

Nella valutazione del problema, che è molto interessante sol che lo si analizzi al lume, ad esempio, dell’attuale piano per la rinascita dell’isola, è peraltro molto importante ricercarne le cause storiche.

Abbiamo detto che non è semplice individuarle, definirle, accettarle. Sono cause certamente complesse, sicuramente controverse. Né chi scrive ha bianchi i capelli per poterne essere stato uno scrupolo cornista, né ha alta la presunzione per esserne un lapidario indiscutibile storico.

Un’analisi attenta, peraltro, ci potrà condurre molto vicino alla soluzione, alle regioni di fondo che hanno determinato (e giustificato, fino ad un certo punto) questo allontanamento e questa frattura. Ed è un po’ la storia stessa della nostra regione, economicamente e socialmente poco sviluppata, che fa da sfondo al problema. Una regione ove le grandi iniziative industriali si sono mantenute distanti dalla realtà sociale o, è il caso delle intraprese minerarie, sono intervenute come entità economicamente estranee in una pericolosa posizione di neocolonialismo che non ha avuto che scarsi contatti nella formazione di una classe dirigente con una determinata specifica esperienza e, soprattutto, nella costituzione di un capitale veramente sardo.

La mancanza di fonti di occupazione a livello dirigenziale (proprio per le estraneità di quel mondo dalle strutture sociali della nostra regione) ha portato nel tempo all’ “emigrazione dei cervelli”, tanto pericolosa quanto quella attuale delle braccia, dato che ci avviamo fortunatamente a degli obiettivi di piena occupazione. E’ dell’inizio del secolo la grande selezione che la amministrazione statale ha fatto tra le classi intellettuali mature della Sardegna; la burocrazia statale infatti ha pescato a piene mani in tutto quello che un’isola senza industrie e senza capitali offriva al livello della cultura universitaria.

E la nostra rinascita ha perso, da allora, la sua classe dirigente, preparata dai sacrifici di tante famiglie isolane, maturata nella conoscenza e nella realtà dei nostri problemi economici, emigrata per le tante strade della mastodontica burocrazia statale. Le cause che determinarono questa pericolosa emigrazione sono chiare ed evidenti: per un laureato in Sardegna c’erano poche e difficoltose sistemazioni, per un diplomato altrettanto, né le poche intraprese a livello artigianale trovavano nel mercato creditizio e nell’assorbimento dei consumi, l’ossigeno bastante per partecipare a quella progressiva maturazione imprenditoriale, che invece s’era avuta clamorosamente, e negli stessi anni, nel Veneto, nella Emilia Romagna, in Toscana, per non parlare del famoso leggendario triangolo industriale.

La mancanza di un mercato d’assorbimento per i cervelli che nascevano nelle nostre università, ha provocato in altri tempi e per tutti i primi cinquant’anni del secolo, la fuga dall’isola di una classe dirigente di cui oggi noi tutti non possiamo non rimpiangere la mancanza. In più, la triste esperienza della dittatura aveva come narcotizzato le possibilità politiche di una nuova giovane classe dirigente, vietandone o mortificandone gli aneliti negandone le incentivazioni, creando nuove pericolose discriminazioni.

Il clima autonomistico, conquistato con le libertà democratiche, ci trovò quindi con una classe dirigente mutilata e divisa, numericamente e qualitativamente inadatta a ricoprire la funzione di guida nel nostro processo di trasformazione e di rinascita. Né la politica attuata, in clima democratico, ai diversi livelli della guida politica servì a creare o a facilitare la nascita di una nuova classe dirigente; l’industrializzazione voluta e concepita come mezzo ideale per la trasformazione economica della regione, della realtà sociale delle nostre popolazioni, assunse talvolta i contorni bene definiti di quel tale “neocolonialismo” che già le imprese minerarie avevano instaurato nell’altro secolo in Sardegna.

L’incentivazione creditizia fu mantenuta spesso distante, colpevolmente distante, da quel processo di maturazione industriale dei tanti imprenditori a livello artigianale operanti in Sardegna.

Il mercato della sistemazione dei “cervelli” fu ancora inadeguato, per tante ragioni, a ricevere la collocazione di una futura, capace classe dirigente. Né i molti enti ed organismi che la nuova politica economica dello Stato andava creando, facilitarono o ne studiarono la soluzione. Ancora oggi oltre alla fuga delle braccia, noi assistiamo alla colpevole fuga dei nostri laureati, dei nostri tecnici, dei nostri futuri migliori dirigenti.

Abbiamo cercato di individuarne, nella lacunosa esposizione, le cause storiche, focalizzandole soprattutto nel “neocolonialismo” che vietò in altri tempi, e vieta tutt’ora, la crescita e la rinascita isolana, sul piano imprenditoriale, in quanto ne mortificò e ne mortifica le aspirazioni, ne frustrò e ne frustra le iniziative, negando l’apertura di un adeguato mercato creditizio agile e dinamico, che è il solo che avrebbe sopperito alla mancanza del capitale, vistosa palla al piede del nostro sviluppo industriale.

La nuova burocrazia regionale, nata con l’istituto autonomistico, allevò sì una nuova classe dirigente (quella classe dirigente di politici puri) che peraltro manifestò subito, d’acchito, la propria insofferenza a vivere assieme a chi aveva trovato, nel mondo economico o dello studio, diverse difformi esperienze per la propria maturità dirigenziale.

Né gli anni facilitarono la comunicabilità fra i due mondi, la frattura diventò anche più grave e le colpe possono essere comodamente addebitate alle due fazioni.

Né l’una né l’altra facilitarono mai il dialogo, la possibilità di un discorso purchessia; l’una – quella deli politici puri – rivendicando origini diverse, e, soprattutto, una diversa differenziata problematica; l’altra manifestando chiaramente il proprio disprezzo per la classe dirigente a livello politico e conducendo colpevolmente possibili contatti solo a livello d’uno spregevole intrallazzo.

Oggi le scelte politiche ci portano di fronte alla necessità di ottenere la soluzione d’un grosso problema, allorquando è in corso un radicale processo atto a modificare e a trasformare la realtà economica e sociale della regione; oggi è ancora più delittuosa l’incomunicabilità stabilitasi fra i due mondi, in quanto mortifica le possibilità di rinascita della nostra realtà sociale; oggi la divisione fra i due sforzi e le due iniziative operanti in campi così lontani, sarebbe condannabile ed inaccettabile allorquando si parla di coordinazione e di programmazione sia a livello politico che a livello imprenditoriale.

Ottenere questa integrazione, facilitare questo rapido inserimento in un unico organico strumento operativo è una necessità ed un obbligo per gli uomini del nuovo tempo della Sardegna.

Un dibattito mancato, la DC, Crivelli
Come ho sopra accennato, tali “provocazioni” non sortirono quel dibattito che pur si poteva credere molto molto opportuno, alimentabile dalle diverse correnti e politiche e sociali, tanto più alla vigilia del voto amministrativo che vedeva anche il capoluogo sardo impegnato nella scelta della sua classe amministrativa. Fu un’occasione persa. Comunque il “giovane” Fadda emerse nella conta delle urne allora alle viste. Eletto consigliere comunale, presto avrebbe assunto le funzioni di capo del maggiore gruppo politico presente in municipio. E da lui, anche da lui, sarebbero venute cose buone per la città.

Aggiungo che le riflessioni portate nella sua lettera a L’Unione Sarda mi indurrebbero – insistendo qui sui parametri del giudizio socio-politico di Paolo Fadda – a considerazioni ulteriori, diciamo d’ambiente da una parte, personali d’interlocuzione da altra parte. Qui richiamerei, distintamente e in relazione, lo Scudo crociato e Fabio Maria Crivelli.

Mi permetto, sul primo punto, una nota critica all’amico Fadda ed a quanto di prezioso egli ha lasciato alla nostra pubblicistica ed alla saggistica politica. L’omessa trattazione – quasi avesse voluto respingerla volutamente dal paniere tematico – delle dinamiche politico-amministrative cittadine, cioè tutte cagliaritane, in capo alla Democrazia Cristiana. Così soprattutto nel suo interessantissimo, informatissimo C’era una volta in Sardegna la DC. Tesi per una storia critica della Democrazia Cristiana sarda, 2008, l’occhio pare rivolto esclusivamente alla dimensione regionale, saltando a piè pari l’analisi del ginepraio locale. Il nome stesso – secondo me centralissimo – di Paolo De Magistris sembra escluso da ogni ripresa di cronaca e da ogni giudizio, e meriterebbe oggi, insieme con tutto il suo portato, un recupero onesto e sincero e pieno.

Le dinamiche politiche di Cagliari (in salsa democristiana s’intende) sono sussunte, al meglio, e naturalmente con riferimento alla storica svolta del centro-sinistra nei mediani anni ’60, nella dimensione provinciale: «Le vicende della politica nazionale, con il declino del centrismo e l’emergere, seppur lento e faticoso, delle alleanze di centro-sinistra (lo si scrive qui proprio con il trattino, come voleva Aldo Moro), avrebbero influenzato anche in Sardegna gli assetti interni del partito. Ai pionieri del gruppo sassarese di Cossiga s’erano poi uniti – anche se su posizioni non del tutto omogenee – i giovani cagliaritani guidati da Ernesto Dessì e Lello Picciau […] e diversi giovani provenienti dalla Fuci, dai laureati cattolici e dalle Acli. Tutti vicini, culturalmente, all’insegnamento di Dossetti e di Moro, e quindi aperti verso un progresso sociale (nelle alleanze e nell’azione politica). Nel reclutamento avevano trovato una sponda in quegli ambienti emergenti nel mondo cattolico, nei circoli e nelle organizzazioni ecclesiali per via di un laicato ora più aperto verso il mondo esterno, oltre che più autonomo nei confronti della gerarchia.

«Vi è comunque da tener presente che, nonostante il loro impegno, non sarebbero riusciti a ribaltare il potere interno del partito in provincia, per via della forte presenza, nel tesseramento, di quel gruppo clerico-moderato che faceva capo a personalità di rilievo, come quelle di Raffaele Garzia e di Giuseppe Brotzu (oltre alla presenza di un politico dal forte potere, carismatico e clientelare, come il deputato Antonio Maxia).

«Forse, c’era in questi due raggruppamenti una base comune, pur nelle opposte concezioni dell’agire politico: li avrebbe uniti, infatti, una spiccata idiosincrasia (che era poi un misto di invidia e di avversione) per il gruppo sassarese e, soprattutto, per quell’egemonia messa in atto nelle scelte e nel potere regionale.

«Sarà poi un’iniziativa, di cui pare fosse stato autore il “turco” Nino Giagu-De Martini, a modificare – a metà di quegli anni Sessanta – gli equilibri interni della DC cagliaritana. Ne sarà protagonista il romano Carlo Molè, potente capo della segreteria della presidenza di quell’Ente di riforma agraria (ETFAS), accusato d’essere – come si è avuto modo di ricordare – una sorta di centro di potere per i “giovani turchi”.

«Sarà proprio Molè a reclutare – immettendoli nell’organico di quell’ente – alcuni fra gli emergenti giovani del partito, da Pinuccio Serra ad Angelo Becciu, da Leonardo Tronci a Lucio Artizzu. E soprattutto ad accerchiare il gruppo Garzia stabilendo alleanze, più o meno organiche, con il gruppo oristanese di Lucio Abis e con quello sulcitano di Giovanni M. Lai. Quelle sue operazioni – che al tempo dirà d’esser state più frutto di tattica che di vera strategia – avrebbero trovato una positiva conclusione nella conquista della maggioranza nel comitato provinciale, con la sconfitta del gruppo Garzia (che peraltro avrebbe continuato a mantenere una forte incidenza sul piano elettorale)…». Così alle pp. 100-102.

Circa Crivelli mi fa piacere riprendere da un altro bellissimo libro di memorialistica e testimonianza politica di Paolo Fadda – L’amico di uomini potenti, 2016 – un passaggio che dà onore ad una personalità che anch’io ho molto stimato ed ho incluso fra le mie amicizie più impegnative. Ho già richiamato il passaggio in un mio articolo del 2020 postato sempre su Giornalia (“Paolo Fadda, patriarca 90. Al compleanno del manager e scrittore cagliaritano ‘amico dei potenti’”) ma credo utile oggi riproporlo: «Paolo ricorda che in diversi incontri con Fabio Maria Crivelli (storico direttore del quotidiano cagliaritano, oltre che attento osservatore ed interprete delle vicende politiche isolane) si parlò a lungo di questa degenerazione dell’assetto politico regionale, e del palese declino del comparto produttivo. Ed il parere di Crivelli s’incentrava proprio su quella perdita d’unità del partito che era stato per anni l’asse portante della politica sarda. Cinque o sei anni fa – diceva – la classe politica s’impegnava per la creazione d’un cantiere navale o per l’apertura d’un nuovo stabilimento industriale, mentre oggi parla e si divide sull’alleanza con Armandino Corona, con Mario Melis o con Umberto Cardia per varare una nuova giunta, ed anche l’impegno per l’industrializzazione lo si è ridotto ad una cruenta contesa fra i supporters di Girotti dell’Eni, quelli pro Cefis e Montedison ed i “siriani” di Rovelli. Dove la posta in palio non sarebbe – aggiungeva sconsolato – il successo di quell’industria, ma i favori riscuotibili dal vincitore.

«Crivelli, nel ricordo di Paolo, era un Giornalista ed un Direttore con la sua bella iniziale maiuscola (fatto, questo, non molto consueto nella categoria), e – soprattutto – un galantuomo, nel senso più ampio che si possa dare a questo termine. Mai fazioso, ma sempre rispettoso della verità dei fatti, avrebbe guidato “L’Unione Sarda” con grande equilibrio in anni importanti per la storia isolana, realizzando soprattutto un giornale moderno, attento interprete della società locale ed aperto alle nuove istanze dettate dall’emancipazione culturale e sociale allora in atto. Seppure guardato con sospetto dagli ambienti più estremi della sinistra per via di suoi pretesi eccessi filogovernativi (c’è chi ne avrebbe modificato il nome in Fabio Maxia Crivelli, per via della sua amicizia con quell’esponente democristiano), dette al suo giornale una linea informativa indipendente, lontano da ogni eccesso e da ogni piaggeria di comodo.

«Discorrere con lui nel piccolo studio in cima al corridoio della redazione, allora nel viale Terrapieno, era una ghiotta occasione per analizzare vicende e uomini della politica e dell’economia o per fare il punto su certi fatti accaduti. Non era certamente filodemocristiano, ma fra i democristiani aveva diversi amici, scelti – come amava dire – fra chi amava leggere libri ed ascoltare buona musica e non fra chi andava freneticamente alla ricerca di tessere e di potere.

«Ed è per questo che a Paolo interessava molto scambiare con lui delle opinioni, per meglio capire le tante incongruenze di un partito dove (era questa l’analisi di Crivelli) le opinioni di due leader dorotei come Raffaele Garzia e Lucio Abis apparivano mille miglia distanti da quelle dei morotei di Sassari e dei forzanovisti di Nuoro.

«Era questo quel che si percepiva all’esterno ed il parere di un osservatore come il direttore del maggior giornale dell’isola non poteva che essere importante…». Così alle pp. 113-114.

***

Scrivo queste note mentre continuano a giungere, drammatiche, le notizie da Kiev e dalla Ucraina tutta. Sia maledetto chi ha scatenato l’inferno ed ha provocato la morte e la sofferenza di tanti innocenti. (Ed ancora una volta abbiamo la plateale dimostrazione della nullità liberale degli esponenti della destra italiana, pagana e imbrogliona, da cui insistenti sono venuti, negli anni, gli accarezzamenti ad un pericoloso dittatore nato).

Fonte: Gianfranco Murtas
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