Per don Angelo Pittau nel suo 80° compleanno
di Gianfranco Murtas
Oggi 12 dicembre compie 80 anni uno dei presbiteri sardi che di più ha speso il suo ministero in uno spazio largo di iniziative non soltanto religiose ma anche sociali e culturali. Egli desidera moderazione nei festeggiamenti che gli sono stati promessi, e il primo modo di festeggiarlo è mostrargli santa obbedienza, è cioè di contenere gli evviva che salgono spontanei: spontanei da chi lo ha conosciuto, gli è stato vicino e anche collaboratore nelle infinite imprese. Mi attengo a questa regola anch’io. Soltanto desidero ridedicargli una lettera che pubblicai nell’edizione 1999 – vent’anni fa! – di Partenia in Norbio, il libro che cercava di raccontare qualcosa, soltanto qualcosa delle sue molte fatiche condivise da donne e uomini generosi del medio Campidano ed oltre riunitisi attorno a lui. Tutto quel che valeva allora, espresso nel messaggio, vale oggi, semmai con gli interessi.
Angelo carissimo,
ho ritrovato in due lontane annate di Confronto - il nostro mensile, quello che per più di dieci anni ci ha legati, fra Villacidro e Cagliari, a ragionar di politica e della nostra terra, di chiesa e di inquietudini insanate – queste due tue lunghe poesie [“Questa è la mia prima Messa” e “Vennero i Pisani…”]. Io le stamperei in due grandi manifesti che affiggerei alle cantonate delle nostre strade. E ne farei anche delle locandine da diffondere nelle camerette dei ragazzi delle tue comunità. Perché della tua natura spirituale quello della poesia è il mezzo espressivo che so più spontaneo. Tu scrivi versi come io ti sento parlare, con passione ma anche con misura, di argomenti i più vari, spezzettando le frasi, come fa il poeta col verso, o il pittore con un tratto di spatola. Ogni parola, ogni tocco è un discorso, è allusione a un pensare complesso, ad un sentire del cuore, ora inquieto ora placato, e spetta a chi è convocato al dialogo muto con le strofe od i quadri di mettersi in sintonia, di capire l' "oltre".
Quel che mi è sempre piaciuto di te - dico di te, non delle tue cose - è questo saper andare per sintesi, per cenni o annunci. Il tuo parlare frantumato, le stesse forzature grammaticali cui sovente ricorri e che nella bocca o nella penna di un poeta rivelano sempre una eleganza strana che colpisce, questo è il tuo primo strumento di relazione (e di intesa) con chi ti capita davanti, con chi ti cerca, con chi lavora all'interno della tua fiducia.
Il Vietnam, le miniere. Villacidro. E Confronto. Ognuna di queste realtà mi rimanda a giorni di vita che è passata e che però rimane, fruttifera, nella memoria e nella coscienza. Il Vietnam (dove fosti mandato come fidei donum) mi rimanda a cortei adolescenziali, nel nome del pacifismo cui io - pur sempre occidentalista - nei primissimi anni '70 partecipavo a Cagliari con i giovani repubblicani e la sinistra, anarchici compresi. Le miniere alla storia, non importa se breve, di uno dei tanti lavori di mio padre, e più prolungata per altri parenti arburesi, e di mio nonno vicesindaco socialista e fuochista ad Ingurtosu - hai almeno scorso il racconto che ne ho fatto in Attorno a su scannu 'e tabas? -. Villacidro all'età del debutto professionale, ancora scolaro ed impreparato a tutto, in quegli stessi anni in cui anche tu tornavi dopo le molte avventure di studio e di pastorale scomoda, al tuo paese d'ombre, la piccola patria che il tuo carissimo Beppe Dessì aveva appena portato a una notorietà nazionale come la sua pur vasta e pregevole produzione ancora non era riuscita. E Confronto, poi, era... confronto, dialettica, gusto dell'anticonformismo, del problemismo locale/planetario, e cronaca delle imprese sociali che nascono, come via via i centri d'ascolto e le comunità.
Percorsi autonomi, paralleli, non sempre convergenti né nelle premesse né negli approdi, ma che importa? Io ho preso da te questa conoscenza del fenomeno come non l'avrei mai immaginato possibile: del senso di lucido concretismo che un poeta può avere. Uomo di carità e di poesia, uomo di idee e di budget, uomo di amicizia e del fare nel servizio al più' indifeso, privo di parola e di pensieri, disorientato nel suo andare.
Abbiamo viaggiato insieme, sia pure su carrozze diverse, diretti alla stessa meta. Grazie di tutto.
Appuntamento nel seminario vescovile di Seddanus
Il prossimo sabato 14 dicembre, alle ore 16, nelle sale del seminario vescovile di Villacidro, molti amici del paese d’ombre e di altri paesi e anche di Cagliari converranno per confermare già soltanto con la loro presenza l’affettuosa vicinanza a un presbitero-professore, presbitero-giornalista, presbitero-fondatore di comunità solidali entrato nel cuore di tutti.
Nell’occasione sarà anche inaugurata una mostra di circa 150 “terze pagine” de L’Unione Sarda e de La Nuova Sardegna, gran parte delle quali – riferite agli anni ’40-50 e successivi – accolsero i racconti di Giuseppe Dessì, purtroppo poi non rifluiti nelle antologie degli scritti dell’autore di San Silvano e Michele Boschino, de I passeri e Il Disertore, di Paese d’ombre e La scelta, oltre che di un’altra decina di opere, fra il romanzo e il teatro, episodi tutti importanti della letteratura italiana del Novecento…
Una sezione della mostra ho voluto fosse dedicata a padre Giuseppe Pittau S.J., scomparso nel 2014 a Tokio: si tratta di alcuni scritti del gesuita già rettore dell’università Sophia di Tokio e della Gregoriana a Roma, arcivescovo per lunghi anni segretario della Congregazione dell’educazione cattolica, apparsi sulle pagine di Confronto, il mensile che don Angelo, suo fratello minore, promosse con altri amici nel 1977 reggendone la direzione per tre lustri.
Appunto conclusivo e mirato in special modo al presbitero-poeta quale è stato ed è Angelo Pittau: ecco a seguire, come a voler marcare l’appartenenza solidale dell’autore al mondo isolano del lavoro, i versi da lui dedicati alla storia dei minatori sardi, di Montevecchio in particolare, pubblicati nel gennaio 1984 proprio su Confronto:
Vennero i Pisani
furono i primi a violare i seni delle nostre montagne
picchi pale ceste
corde tronchi palanchi
uomini e muli
piombo per i loro scudi
argento per le loro monete
zinco per le loro armi
ricchezza per gli altri
miseria
una miseria fatta fame
pane nero e duro
per noi
poi molti secoli dopo
un prete errante, prete Pischedda,
tra forre e sassi in decomposizione
percepì il luccicare delle pietre
prismi misteriosi, filoni freddi, venature sognanti
Arrivò un nobile,
tra il nobile e il mercante
il grasso marcante,
aprì gallerie, costruì baracche,
eresse uffici, acquedotti, ospedali, strade
strade e ferrovie
fece soprattutto un gruppo di azionisti
I piccoli uomini
nelle piccole gallerie
con le grandi pale, i grossi picchi
e la dinamite
riempivano i grossi carrelli
e coi grassi muli
muli ciechi e buoni
riempivano, continuamente riempivano, gonfiavano
i conti in banca
nelle banche svizzere
degli azionisti
E arrivò Mussolini
capì
che i piccoli uomini stanchi
e i poveri muli ciechi
gonfiavano gonfiavano
gonfiavano
i conti all'estero
e soddisfacevano i desideri
dei suoi marpioni
E vennero i nuovi padroni
come arrivò la spagnola
i pozzi divennero più profondi
si moltiplicarono
pozzi, gallerie, laverie, flottazioni, fonderie
nuove ricerche
i minatori divennero mille
due mila
tre mila
e il piombo fu per la guerra
per gli africani d'Etiopia
per gli antifascisti d'Italia
e i conti in banca
in banca svizzera
per i gerarchi fascisti
imboscati nella Montecatini
tremila operai
40.000 tonnellate
il 63% della produzione nazionale
la totalità dei fabbisogni bellici
poi la guerra
la fine della produzione
Ma la guerra finì e riprese la produzione
si produceva il 1947
più del fabbisogno italiano
si esportava piombo e zinco
e i minatori
i piccoli minatori nelle grandi gallerie
riuniti nella
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
si ritrovarono nell'unità dei lavoratori italiani
comunisti, democratici,
socialisti, liberali
ebbero paura i padroni
aprirono le loro borse
e gli operai ebbero qualche spicciolo
e gli operai lottarono
ma arrivarono le elezioni
a dividerli
poi li divise il re
poi i preti
e poi li divisero i partiti
i sindacati
li divisero i soldi
A Montevecchio
arrivarono più soldi
più di Carbonia
di Monteponi
della Pertusola
più dei minatori di tutta Italia
In quel tempo
i minatori lottavano
lottavano ad Iglesias, Carbonia
lottavano in tutta Italia
per avere più pane, più giustizia
in quel tempo
i minatori di Montevecchio
lavoravano perché avevano più pane
più pane degli altri minatori
prima lo disse il sindacato
alla Camera di lavoro
poi il Partito
era vergognoso lavorare mentre gli altri
tutti gli altri lottavano
In quel tempo i minatori lottavano
lottavano
A Montevecchio si entrò in agitazione
precisamente si entrò in agitazione "paiolu a sezi"
In quel tempo
a Guspini i minatori
non volevano scioperare
ma scioperano
per il sindacato per il partito
per i minatori d'Italia
Noi siamo qui a lottare
forse morire
per il nostro lavoro di oggi e di ieri,
siamo qui a lottare, forse a morire
per il nostro lavoro di oggi e di ieri
Noi qui siamo a lottare forse a morire
per il lavoro dei nostri figli e dei figli dei nostri figli
i figli studiano a Guspini
studiano a San Gavino nelle scuole del Vescovo
studiano a Cagliari, ad Iglesias
periti diventano i nostri figli
periti minerari dottori professori
i figli di noi minatori, scavatori, manovali
i nostri figli di miniera non ne vogliono sentire
e noi siamo qui a lottare
per il nostro lavoro di fame
questo buio ci opprime
possiamo anche vincere
ma poi?
i nostri figli di miniera non ne vogliono sentire
il padrone non ama la miniera
il guadagno ama
per il guadagno vende la miniera
ci vende
la miniera l'amiamo noi
perché ci ha preso la vita
succhiato il sangue
impietrito i polmoni
impietrite le ossa
femmina cattiva è la miniera
si lascia amare e non ama
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