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Gianfranco Murtas

Per Franco Cossu, medico dal “cuore di carne”

di Gianfranco Murtas

Una grande folla di amici ed estimatori ha partecipato ieri pomeriggio, martedì 16 luglio 2019, ai funerali di Franco Cossu, medico, deceduto nella notte fra domenica e lunedì.

L’aula grande e ospitale della parrocchiale moderna di San Sebastiano era piena e la liturgia addolcita dai canti dei ragazzi del gruppo scout.

Ha celebrato un presbitero di origine indiana, temporaneo sostituto del parroco don Marcello Contu: giovane sacerdote dolcissimo nella presidenza eucaristica e nella breve omelia offerta ai partecipanti e, per prima, alla famiglia in lutto.

Franco Cossu è stato ricordato nel suo percorso di vita segnato, tanto nel pubblico quanto nel privato, da una speciale sensibilità all’altrui accompagnamento discreto ma fattivo in ogni circostanza: così in famiglia, così nella scuola, così nelle relazioni sociali. Tanto più questo è stato nel corso della sua carriera professionale di specialista urologo, in diversi ospedali della Sardegna, e tanto più a Nuoro da cui si era congedato, pensionandosi nello scorso novembre, quando già la malattia s’era rivelata nei suoi preannunci infausti.

A Nuoro aveva portato a livelli d’eccellenza il suo reparto e l’intero dipartimento di cure chirurgiche di cui gli era stata affidata la direzione. E tale eccellenza si era nel tempo espressa non soltanto per la perizia professionale dell’intero staff sanitario – medico ed infermieristico – ma anche, e in stretta connessione, per la dedizione assoluta, convinta e morale, di ciascun operatore al malato.

Medico sapiente e perfetto, marito padre e fratello all’altezza sempre del dovere che avvertiva come un’impellenza di vita, era nato ad Orani da una famiglia che nel lavoro e nel servizio alla comunità e allo Stato aveva voluto il suo spazio. Nel 1981 aveva sposato Enza Ferrantelli, allora giovanissima insegnante di diritto ed economia alle scuole superiori. Erano poi nati, in successione, i figli Andrea ed Elena, oggi adulti ed affermati professionisti entrambi nel continente.

Da giovane, Franco Cossu aveva militato nel Partito Repubblicano Italiano di Ugo La Malfa; aveva cominciato proprio ancora ragazzo la sua militanza, adolescente di sedici anni studente allo scientifico Michelangelo di via Deledda. Diversi dei suoi compagni di classe avevano allora frequentato tutti insieme le stanze della vicina FGR – della Federazione Giovanile Repubblicana cioè –, una organizzazione storica, fondata ai primi del Novecento, per sostenere fra le nuove generazioni gli ideali mazziniani, contro la monarchia e il liberalismo autoritario del tempo.  

A quei valori di una democrazia piena e di una sinistra riformatrice, fieramente europeista e sociale, era rimasto sempre fedele, firmando alcune settimane fa un documento politico di grande impegno anche civile e culturale per i riferimenti strettamente sardi (cf. https://www.giornalia.com/articoli/fuori-dalle-gare-elettorali-soltanto-con-le-idealita-civili-e-politiche-di-una-vita-intera/).

Amò il risorgimento e la storia nazionale tanto travagliata da cui, ancora a pochi anni dalla fine della disastrosa guerra voluta dalla dittatura, la sua stessa generazione sorgeva, chiamata a costruire una stagione di vita nuova: e costruirla non soltanto con un generico senso patriottico, ma con un impegno di studio e/o lavoro, di responsabilità privata e pubblica, senza posa e senza sconti. 

Espresse l’affezione ai principi superiori dell’umanitarismo coinvolgendosi anche, a Nuoro dopo che a Cagliari, nella partecipazione a taluno dei sodalizi di maggior stima ed autorevolezza, che da personalità come il dottor Schweitzer o altri medici italiani e sardi, con visione cosmopolita, come Alessandro Tedeschi e Giovanni Battista Faa hanno preso realtà di vita. 

A conclusione della cerimonia liturgica e prima della benedizione finale, dei commossi abbracci alla famiglia da parte di tutti i presenti, accompagnato dai due figli di Franco Cossu, Andrea ed Elena, ho potuto dall’ambone ricordare di lui, in breve, e dolentissimo, i tratti della straordinaria umanità.

Cagliari e la Sardegna tutta hanno perso, abbiamo perso, un grandissimo professionista, un concittadino pienamente consapevole della dignità civica del ruolo di ciascuno, un testimone dei più bei valori sociali ed umanitari, di libertà e giustizia, che possano immaginarsi. 

Ecco il testo del mio intervento (il che valga, ancora una volta, a provare un sentimento di fraternità collaudato in mille frangenti della sua e della mia vita).

 

«Ditemi addio, fratelli miei!»

Ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, 

ho avuto sete e mi hai dato da bere; 

ero malato e mi hai visitato / mi hai rasserenato / mi hai curato / mi hai rasserenato / mi hai operato / mi hai guarito / mi hai rasserenato / mi hai dimesso / mi hai rasserenato.

Fuori orario e fuori piazza, all’ospedale e fuori dall’ospedale, a casa. Molti possono testimoniarlo: Franco Cossu ci ha dato, fusa alla sua professionalità, la sua umanità.

E’ stato un medico dal “cuore di carne”, come dice il profeta Ezechiele che noi a Cagliari conosciamo nelle fattezze monumentali presenti nella cappella di Georges Chapelle al camposanto di Bonaria, che tanto spesso visitiamo in fraternità comunitaria. 

Del profeta soliamo ascoltare le parole, conosciute come quelle della “valle delle ossa secche”: le ossa che riprendono, per il soffio del vento increato, movimento di vita, e nervi, carne e pelle; 

speriamo nel tempo delle ricomposizioni fra noi, quello che la religione chiama risurrezione e gli umanisti, senza poterne definire i modi, intuiscono essere la stagione della comunionalità perfetta, sapiente e definitiva fra tutte le creature.

Nelle fasi dolorose della malattia – di tutte le quattordici pesanti stazioni della sua via crucis personalissima – chi gli si è accostato con il proposito di dargli una volta distrazione, un’altra consolazione o sollievo due argomenti han fatto premio su tutti, non però per anticipare un consuntivo, ma per realizzare che dal molto “ben fatto” sarebbe stato equo e possibile, e probabile anzi, probabile perché giusto, il ristoro compensatore, il recupero di energie e salute. 

Questi temi nel racconto:

per quarant’anni hai operato – Franco – ogni settimana, dieci-quindici persone malate; hai dato cure, sollievo e guarigione, speranza di vita, forse a trentamila persone, una città intera come Nuoro, hai rincuorato trentamila famiglie. Sei stato come un delegato della Provvidenza, laico nella professionalità, religioso nella intenzione, fratello nella relazione.

E poi. Hai fatto comunione di vita con Enza ora sono quasi cinquant’anni, dal tempo in cui eravate, eravamo ancora degli adolescenti. Noi giovani repubblicani, con Mazzini e Giovanni Bovio nel cuore, avevamo allora allargato lo spazio ad Enza.

E con Enza hai cantierato famiglia: lei nella scuola, tu nell’ospedale – a Cagliari, nel reparto della clinica ma anche nelle guardie mediche, nei notturni, per dieci e più anni; a San Gavino dopo, per un decennio pieno ancora; a Nuoro per quasi diciassette anni, questi finali, quando hai messo su un reparto d’eccellenza ed ammirato. 

I figli li hai cresciuti dando loro certamente qualità più ancora che quantità. Di entrambi hai fatto, con Enza, dei capolavori: 

Elena ingegnere laureata al Politecnico di Torino e da subito inserita in funzioni di responsabilità in una grande compagnia multinazionale; 

Andrea medico chirurgo sulle tue orme, al San Raffaele, più bravo di te – come dicevi sempre –, più bravo di te che pure eri bravissimo e primario da trent’anni e aggiornatissimo su tutte le nuove metodiche chirurgiche, direttore di dipartimento.

Se anche i ragazzi non avessero reso quel che hanno invece saputo rendere, esprimendo i loro talenti che sono grandi, avresti potuto concludere che comunque, in coscienza, il tuo dovere di esempio nell’impegno lo avevi fatto sempre; hai invece avuto la consolazione anche della resa da parte di questi ragazzi, oggi adulti e preziosi nei loro ambienti professionali.

Abbiamo udito i canti degli scout – dono speciale di Elena ed Andrea per te –, ricor-diamo e condividiamo noi la pedagogia umanistica da cui il movimento scoutistico è nato.

Hai avuto anche la grazia di essere diventato nonno di Mario, che ricorderà questo meraviglioso nonno oranese-cagliaritano, in visita da lui o da raggiungere con l’aereo in volo sopra il mare e le montagne della Sardegna terra madre.

Noi anche, stretti nei circuiti delle nostre militanze civili e democratiche, delle nostre militanze umanistiche ed ecumeniche, ti ricorderemo uomo d’ascolto e presente, mai disertore o rinunciatario.

Ancora un mese fa sei stato il primo firmatario di un documento impegnativo circa le nostre idealità limpidamente europeiste e repubblicane. E’ stato, consapevole, il tuo testamento civile e democratico. Chi ti volesse riscoprire nei tuoi sentimenti civili e politici lì ti troverebbe, ci troverebbe.

Fra le ultime tue, di Enza e mie comuni letture, c’è stato il ripasso di vita e testimonianza democratica del nostro indimenticato amico Lello Puddu, fratello maggiore per noi, fratello di pratica etico-civile, fratello di ospitalità tutta nuorese. Consolazione grande per noi, quella, in mezzo a tante crescenti e perfino disperanti preoccupazioni del momento.

Con il poeta Tagore, indiano universalista di Calcutta, ci è caro immaginarti pronunciare parole come queste:

Ho ricevuto il mio congedo. / Ditemi addio, fratelli miei! /

M’inchino a voi tutti / e prendo commiato. /

Ecco, rendo le chiavi / della mia porta / 

Rinuncio a ogni diritto / sulla mia casa. / 

Vi chiedo soltanto / ultime parole gentili. / …

Per molto tempo fummo vicini / di casa […] 

Ora si fa giorno, / e la lampada che rischiarava /

Il mio buio cantuccio s’è spenta. /

E’ giunto un richiamo / e sono pronto al mio viaggio.

E conclusive valgano qui, accoste a quelle del vangelo di Gesù di Nazaret, le parole cadette dell’altro nostro amato fratello poeta Rudyard Kipling, britannico nato a Bombay, rinato ecumenico a Lahore, dove incontrò – lui anglicano – Saul, l’ebreo di Aden e Din Mohammed, Amir Singh, il sikh e Castro delle officine di riparazione, cattolico romano. 

Invoca Kipling, invochiamo anche noi, membri di una sola famiglia – cristiani, umanisti ecumenici, liberi muratori e costruttori: 

Oh, Potenza segreta e nascosta / le cui tracce cerchiamo invano, / 

sii con noi nell’ora / della sconfitta e del dolore; / 

Cosicché… anche se abbattuti, / proprio perché abbattuti, / [da questo lutto]

noi si possa sorgere e costruire ancora, / In piedi! A costruire ancora!










Fonte: Gianfranco Murtas
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