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Franco Meloni

Per ricostruire l’Italia. Con il Sud. Il ruolo della Sardegna

Il sociale, l’istruzione, la mobilità, i luoghi, le imprese sono gli assi su cui concentrare l’impegno per la ricostruzione del Mezzogiorno, dopo l’emergenza covid-19.

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La pandemia ha aggravato lo stato dell'economia del mondo, con pesanti ripercussione sui livelli di benessere delle popolazioni, specie dei ceti più poveri. Ovviamente la situazione cambia da paese e paese, ma tutti sono colpiti duramente. Anche l'Italia vive una fase drammatica e, in essa, la Sardegna. Purtroppo avvertiamo, realisticamente, che la situazione tende al peggio. Tuttavia rileviamo anche motivi di speranza (nella pratica del gramsciano "ottimismo della volontà") , che leghiamo soprattutto all’auspicio che l'Italia riesca a spendere bene le risorse che ha conquistato con la negoziazione tra i paesi dell'Unione Europea. Auspichiamo, in particolare per quanto riguarda la Sardegna, che si superi l'attuale suo marcato isolamento, nella ricerca di vie d’uscita positive. Quali? Innanzitutto dobbiamo puntare sulle scelte politiche per la spendita dei citati fondi europei, che dovranno arrivare anche alla Sardegna, in giusta misura (in certa parte sarebbero anticipatamente spendibili). Tali fondi devono finanziare programmi ben strutturati e credibili, che siano in grado di rispondere alle esigenze del popolo sardo. Chi fa questi programmi? Ecco il punto: è indispensabile una regia di cui facciano parte in primis il governo regionale e quello nazionale. Ovviamente si tratta di redigere programmi che abbiamo il massimo del consenso delle forze politiche, sindacali, sociali e culturali operanti in Sardegna. Ognuno per la sua parte di competenza e di responsabilità, ma uniti nella definizione e pratica di obbiettivi comuni e condivisi. Al riguardo nella nostra regione lo stato del dibattito appare sconsolatamente debole e inadeguato rispetto alle sfide del presente e del futuro. Manca soprattutto un comune sentire della gravità della situazione e non si vede nascere e crescere un impegno per affrontarla coralmente. In questo quasi-deserto è giusto segnalare un’iniziativa dei cattolici che per il tramite dell’ufficio della pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Cagliari (ma crediamo anche delle altre diocesi sarde) stanno costruendo ipotesi di intervento, che porteranno come contributo al dibattito regionale. Bene! E gli altri? Probabilmente qualcosa si muove, ma non in tutta evidenza. Una cosa è certa: il tempo è tiranno e pertanto occorre pensare, discernere, decidere, agire. Il documento che pubblichiamo, redatto da 29 esperti meridionalisti riguarda in particolare il ruolo che il Sud può e deve avere nella ricostruzione dell'Italia. La Sardegna deve insersi a pieno titolo in questo dibattito, facendo valere le proprie peculiarità ed esigenze. Comunque: tutti facciano la propria parte! Noi, come operatori della comunicazione, ci siamo e ci saremo per fare la nostra!

In accordo Giornalia-Aladinpensiero diamo spazio al Manifesto “Ricostruire l’Italia. Con il Sud”, con l’impegno di sostenere e diffondere il dibattito.

Ricostruire l’Italia. Con il Sud

1. Nei prossimi mesi l’Italia si gioca molto del suo futuro. Non si tratta di tornare al passato, ma di ricostruire un paese migliore; bisognerà andare più veloci, e contemporaneamente ridurre fratture e disuguaglianze che tenderanno ad aumentare. La priorità dovrà essere creare lavoro: impossibile mantenere la coesione con 5 milioni di disoccupati e con sole misure emergenziali.

2. Il Sud deve e può offrire un contributo fondamentale a questa ricostruzione; deve essere messo in grado di poterlo fornire, a vantaggio dell’intero paese.

3. Il Piano di Rilancio è una grande occasione. Per questo serve un disegno. Non liste di progetti e interventi senza una visione comune che li leghi, senza che si rafforzino a vicenda. Anche perché non mancheranno conflitti per la gestione delle risorse, richieste di inserire mille provvedimenti specifici, pressioni degli interessi meglio organizzati.

4. Un disegno che non può restare un programma di sola emergenza: deve aprire la strada ad un’Italia più competitiva e più sostenibile. È cruciale ottenere velocemente risultati ma cominciando a costruire un modello di sviluppo di lungo periodo più sostenibile. Serve una forte coerenza fra obiettivi congiunturali e strutturali, fra le iniziative del Piano di Rilancio e le politiche ordinarie, di spesa in conto capitale e corrente.

5. Un disegno che deve essere unitario. L’Italia non è un treno con improbabili locomotive. È come una squadra di ciclisti: per vincere ognuno deve dare il suo contributo, nessuno deve restare indietro. Come nella logica europea alla base della “Next Generation Initiative”, si cresce se l’avanzamento di ognuno aiuta gli altri, grazie alle interdipendenze economiche.

6. Un disegno unitario e attento a tutti i luoghi: le politiche devono essere le stesse, ma la loro intensità, la loro attuazione deve tenere conto delle diverse realtà. Tutti i territori devono contribuire al rilancio; ma perché questo accada devono essere messi in grado di farlo, investendo sulle loro capacità, creando nuove opportunità.

7. Il Sud deve avere un ruolo molto importante nel Piano di Rilancio, coerentemente con gli scenari del Piano Sud 2030. Non solo per motivi di equità, ma anche perché è la riserva di crescita dell’Italia, perché dispone delle maggiori quantità di risorse inutilizzate, in particolare umane; che oggi non producono valore per la comunità nazionale.

8. Per questo sono necessari prerequisiti finanziari: l’allocazione quantomeno con il rispetto della clausola del 34% di tutti i fondi della “Next Generation”. Ma anche con l’attivazione coerente di risorse già destinate al Sud: una quota significativa dei prossimi fondi strutturali e del Fondo Sviluppo e Coesione deve essere indirizzata a finanziare ulteriormente il Piano di Rilancio, per accrescerne ancor più l’impatto nelle regioni più deboli e per estenderne gli interventi per l’intero decennio.

Ma questo non basta, senza una proposta sul che fare e sul come farlo.

9. Al Sud e all’Italia servono tanti interventi. I programmi per la Digitalizzazione, l’Alta Velocità ferroviaria, il rilancio di Impresa 4.0, sono buoni punti di partenza in diversi ambiti. Ma se si prova a fare tutto subito si ottiene poco. Solo stabilendo priorità si possono produrre presto risultati tangibili, comunicare al paese e ai partner europei obiettivi concreti; mostrare risultati raggiunti; e quindi creare fiducia. Per questo, proponiamo che il Piano di Rilancio si concentri su 5 grandi assi.

1° Asse. Investire nel sociale. Per costruire progressivamente le reti pubbliche dei servizi socio-sanitari territoriali, anche con un ruolo centrale del Terzo settore. Per prevenire futuri rischi sanitari e sociali, specie per i più deboli. Per puntare così ad un’Italia più giusta, nella quale siano riconosciuti a tutti i diritti di cittadinanza. Per creare occasioni per nuove occupazioni qualificate, soprattutto per i giovani e le donne. La coesione sociale è la prima pre-condizione indispensabile per lo sviluppo, soprattutto al Sud.

2° Asse. Investire nell’istruzione pubblica. Per accrescere quantità e qualità degli apprendimenti, lungo tutta la filiera scolastica e in tutti i territori: dai servizi per l’infanzia al recupero dei vuoti didattici e di socialità causato dal Covid e dagli abbandoni. Con investimenti strutturali nelle scuole, e la promozione di “comunità educanti” animate da istituzioni scolastiche e soggetti del privato sociale. Nell’università, per aumentare le immatricolazioni con meno tasse e più diritto allo studio, e dare prospettive a più giovani ricercatori e docenti. Il sapere è l’ingrediente più importante per ricostruire l’Italia, soprattutto al Sud.

3° Asse. Investire sulla mobilità. Servono “grandi opere”, con effetti lontani nel tempo, ma anche e soprattutto un piano di interventi fisici puntuali di ricucitura ed efficientamento delle reti e contemporaneamente l’attivazione di servizi, anche nuovi, di trasporto urbano e di corto e medio-lungo raggio. Per accrescere le “capacità” delle periferie, rivitalizzare il terziario nei centri storici, aumentare l’integrazione fra le economie urbane e i territori circostanti. Riconnettere l’Italia e in particolare il Sud e tutte le aree marginalizzate è una precondizione per lo sviluppo dell’intero paese.

4° Asse. Investire sui luoghi. Dedicare risorse alla valorizzazione della varietà territoriale e ambientale dell’Italia: sostenere le produzioni tipiche, la qualità e biodiversità agricola, i beni culturali, un turismo più sostenibile, la produzione diffusa di energia da fonti rinnovabili, la prevenzione e tutela del suolo, soprattutto sull’Appennino; la rigenerazione dei patrimoni immobiliari anche per accrescere l’offerta di abitazioni per le famiglie a basso reddito¸ le forme di auto-organizzazione sociale locale. La ricostruzione è più forte con il contributo di tutti i luoghi, in tutto il paese.

5° Asse. Investire sulla qualità delle imprese. Rafforzare il tessuto di imprese industriali e terziarie in tutta Italia, favorendone la crescita dimensionale, una forte innovazione anche a matrice digitale, le convenienze a occupare di più (anche riducendo gli oneri contributivi sul lavoro e favorendo stabilmente le assunzioni di personale più qualificato, specie al Sud), investendo sui propri dipendenti. A stabilire legami con altre imprese e con una rete nazionale per la diffusione delle innovazioni. Il lavoro si crea con la qualità e i diritti.

Ma che cosa fare ancora non basta, senza una proposta sul come farlo.

10. Per come l’Italia è organizzata oggi difficilmente può realizzare un Piano di Rilancio presto e bene. L’esperienza dei programmi dei fondi strutturali è chiara: pletoricità degli obiettivi, frammentazione degli interventi, procedure complesse, lentezza nelle realizzazioni, scarso coordinamento fra gli interventi straordinari e ordinari. Non basta distribuire risorse, in particolare alle Regioni, sperando che questa volta le cose vadano meglio.

11. È un problema di governance. Occorrono scelte chiare e precise, sugli obiettivi e sulla “missione” del Piano. Ed è indispensabile rafforzare un governo centrale della sua attuazione: l’interfaccia con l’UE, le Regioni e le autonomie locali, con il Parlamento; anche potenziando le attuali strutture di coordinamento (come le Conferenze), con le rappresentanze delle forze sociali e del privato sociale. Passando dalla logica della mera distribuzione di risorse ai singoli attori e livelli istituzionali ad un processo in cui ciascuno ha obiettivi e tempi chiari.

12. Per attuare il Piano deve esse definito un insieme di modalità di intervento e di tipologie di progetti validi in tutto il paese, chiunque le realizzi; in ciascun territorio si tratterà di definire il loro mix ottimale, e di accompagnarne l’effettiva attuazione: non di ridisegnare ogni volta misure e procedure. Sono cruciali interventi per la semplificazione delle norme e degli iter procedurali, per ottenere sostanziali accorciamenti dei cicli dei progetti, e una velocità di spesa molto maggiore.

13. Le Amministrazioni Comunali dovranno avere un ruolo centrale nella realizzazione di molti degli interventi. Per questo, devono essere rapidamente potenziate le loro dotazioni di personale qualificato e ripensate le loro modalità organizzative, anche con un uso molto più intenso delle tecnologie digitali. Un ruolo centrale dei Comuni, delle unioni di Comuni e dell’Anci nella ricostruzione è fondamentale.

14. Alle imprese a partecipazione pubblica nell’ambito del Piano di Rilancio dovrebbero essere affidate importanti, specifiche “missioni”(per la mobilità, per i servizi digitali, per la transizione energetica), nel rispetto dell’autonomia manageriale e dell’economicità della loro azione.

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Promotori:

Pierfrancesco Asso, Università di Palermo

Laura Azzolina, Università di Palermo

Piero Bevilacqua, storico

Luca Bianchi, economista

Carlo Borgomeo, Fondazione con il Sud

Luciano Brancaccio, Università Federico II Napoli

Luigi Burroni, Università di Firenze

Domenico Cersosimo, Università della Calabria

Leandra D’Antone, storica

Paola De Vivo, Università Federico II Napoli

Carmine Donzelli, editore

Maurizio Franzini, Università La Sapienza Roma

Lidia Greco, Università di Bari

Alessandro Laterza, editore

Giorgio Macciotta, politico

Flavia Martinelli, Università Mediterranea Reggio Calabria

Alfio Mastropaolo, Università di Torino

Vittorio Mete, Università di Firenze

Enrica Morlicchio, Università Federico II Napoli

Rosanna Nisticò, Università della Calabria

Emmanuele Pavolini, Università di Macerata

Guido Pellegrini, Università La Sapienza Roma

Francesco Prota, Università di Bari

Francesco Raniolo, Università della Calabria

Marco Rossi-Doria, maestro

Isaia Sales, Università S. Orsola Benincasa Napoli

Rocco Sciarrone, Università di Torino

Carlo Trigilia, Università di Firenze

Gianfranco Viesti, Università di Bari


Fonte: Giornalia, Aladinpensiero
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