user profile avatar
Gianfranco Murtas

Presso Gerusalemme, al civico 281 di Villanova. (Studio dialogato del Vangelo di Gesù di Nazaret nell'occasione della Pasqua 1998)

di Gianfranco Murtas

article photo


Domenica delle Palme 1998 (5 aprile). Un gruppo di dieci persone - nove uomini e una donna [Andrea, Filippo, Bartolomeo, Giuda Taddeo, Giacomo il minore, Giuda Iscariota, Maria pia donna, Simone di Cirene, Giuseppe d'Arimatea e Cleopa] - suonano alla porta di San Mauro. Sono tutti vestiti uguali (piccolo paramento a mo' di corpetto che dia l'idea della divisa); soltanto il capo (Andrea) porta un qualche segno di colore diverso. Apre Annibale.

Andrea. Buongiorno. Sono Andrea figlio di Giona, vengo da Betsaida sulla sponda nord-orientale del lago di Genezaret in Galilea ed a pochi chilometri da Cafarnao. Anche tutti questi amici vengono dalla terra di Gesù. Avevamo concordato questa visita col vostro padre Morittu, quando è tornato da noi nell'occasione dei suoi 50 anni. 

Annibale. Sì, accomodatevi.

I ragazzi sono nel chiostro [Roberto, Carlo, Andrea, Matteo, Quirino, Cristian, Luca, Marino, Andrea e Baingio]. Annibale li raduna e dice: Ragazzi, abbiamo ospiti. Andiamo tutti in sala-refettorio.

Qui giunti in ordine un po' sparso, fra ospiti e comunitari ci si accomoda ai tavoli. 

Annibale. Ragazzi, come già vi avevo informato, attendevamo questa visita, proprio in questo periodo di pasqua. Sono amici di Salva che vengono dalla Palestina. Sono compatrioti di Gesù Cristo, ebrei che in circostanze varie hanno conosciuto Gesù, facendo poi compagnia con lui.

Andrea. Noi siamo una piccola équipe missionaria, parliamo di quello che abbiamo vissuto. Siamo felicissimi di essere oggi a Cagliari e in questo antico - ma per noi è giovane - convento di Villanova. So che qua vicino, nell'area dove nel 1600 e forse anche prima è sorta la chiesa di San Giacomo, c'era più di mille anni fa una sinagoga ebraica... noi siamo ebrei d'origine...

Cristian P. Siete antichissimi...

Andrea. Siamo antichi, abbiamo tutti, chi più chi meno, duemila anni sulle spalle, ma la resurrezione di Gesù ha avuto, oltre alle molte altre, anche questa conseguenza: ci ha resi contemporanei degli uomini e delle donne di ogni epoca. Insomma, siamo vecchi però siamo sempre attuali, proprio grazie al prodigio della resurrezione e, dopo, della pentecoste.

Matteo M. Perché? io non l'ho capito.

Giuda Taddeo. Te lo spiego subito, o almeno cerco, è troppo importante. Io sono Giuda Taddeo, ero agricoltore, come il qui presente mio fratello Giacomo "il minore", apostolo anche lui. Taddeo vuol dire "magnanimo"; altri mi chiamavano Lebbeo, che significa "coraggioso". Ho scritto anche una lettera che è rimasta nel libro del Nuovo Testamento, che come forse saprai è costituito dai quattro Vangeli, dagli Atti degli apostoli, da ben 21 lettere, fra le quali le più note sono quelle di Paolo, e infine dall'Apocalisse.

Comunque, non mi ritengo né magnanimo né coraggioso in modo speciale, e neppure uno scrittore più abile dei colleghi qui presenti. Ad ogni modo, per rispondere a... come ti chiami?

Matteo M. Matteo.

Giuda Taddeo. Bene, Matteo. Vedi, Andrea che è il nostro capo - perché è stato il primo ad essersi fatto acchiappare dal carisma di Gesù - ha detto poco fa che noi abbiamo avuto la grazia di restare sempre attuali. Ma non è per noi questo prodigio, è per quelli che incontriamo. Perché noi incontriamo la gente per parlare di Gesù e dell'avventura in cui lui ci ha coinvolti. E sia Gesù che quell'avventura sono senza tempo, cioè non invecchiano mai, e neppure noi invecchiamo.

Carlo B. Io sono Carlo. Credo di averlo capito: sarebbe come dire che il messaggio di Gesù interessa l'uomo nel suo profondo, al di là della sua cultura o del tipo di società in cui è inserito. Insomma, tocca il cuore delle persone, che è un dono della natura e dunque non cambia mai.

Andrea P. Io mi chiamo come il vostro capo, Andrea. Questo discorso vale anche sul piano fisico: il freddo è freddo sempre, il caldo è caldo sempre, per esempio. Come poteva aver freddo, duemila anni fa, Gesù appena nato, se non ci fossero stati quegli animali a riscaldarlo col loro fiato, così è stato per quella zingarella che un paio d'anni fa è morta di gelo in un campo nomadi qui a Cagliari.

Cristian P. Io sono Cristian. Si può dire anche così: come poteva essere vero, mille anni fa, il dolore di una persona per un lutto in casa o per la malattia di un amico, oppure la gioia per un qualsiasi successo personale o di un caro, così sarebbe anche oggi.

Luca P. Io sono Luca. Pure io ci ho pensato tante volte, andando per esempio in una chiesa antica. Mi sono detto: davanti a questo stesso crocifisso o a questa statua della Madonna o di un santo che ha, metti, 800 o 500 o 200 anni, sono passate migliaia e migliaia di persone. Me le sono immaginate, in una fila infinita, queste persone, vestite alla moda del proprio tempo: quella come ci si vestiva in Sardegna magari nel medioevo, quando nell'Isola c'erano i quattro giudicati e nella penisola uomini come San Francesco, Giotto o Dante, che sono appunto di quel periodo; quell'altra come ci si vestiva all'epoca spagnola, e sono stati almeno 300 anni, fino all'inizio del 1700; quell'altra ancora come ci si vestiva al tempo dei piemontesi...

Andrea C. lo sono un altro Andrea. Lo stesso discorso vale per come ci si esprimeva, per la lingua insomma: oggi l'italiano, ma ieri il sardo o magari il sardo mischiato allo spagnolo, ecc. Però il sentimento nella preghiera è stato certamente sempre lo stesso: per ringraziare o invocare un aiuto...

Bartolomeo. Il mio nome è Natanaele, ma vengo citato, fra gli apostoli, anche o prevalentemente come Bartolomeo. Credo che questa idea di base l'abbiamo chiara tutti quanti: come i sentimenti profondi delle persone non cambiano mai, così le buone idee che riguardano il senso della vita sono inossidabili. E le idee di Gesù, che noi abbiamo compreso un po' alla volta, frequentandolo, erano veramente straordinarie, e sono sempre valide ed attuali.

Parlando per esempio dei talenti, Gesù ci ha fatto capire che tutti quanti abbiamo una missione da compiere, e che questa missione deve però partire da una esatta risposta che noi ci dobbiamo dare quando, con sincerità, ci interroghiamo dentro: quale è la mia vocazione? quale può essere il mio ruolo nella società? Per dirla col linguaggio calcistico moderno: mi sento portato più alla difesa o all'attacco, oppure al centrocampo? Sprecherei tempo ed energie, farei un'infinità di brutte figure, creerei un sacco di guai alla mia squadra se mi volessi imporre in un ruolo al quale non sono portato. Questo ce lo ha insegnato Gesù, facendoci ragionare sui talenti che ciascuno ha ricevuto e dei quali dovrà rispondere. 

Filippo. Attenti, non è mai questione di quantità ma di qualità. Questo è importante ricordarlo... Io mi chiamo Filippo, ero un pescatore pure io di Betsaida, avevo barche e reti come Andrea e suo fratello Simon Pietro e anche l'altra coppia di fratelli-apostoli, cioè Giacomo "il maggiore" e Giovanni. Imparando piano piano la lezione di Gesù, mi è sembrato di avere maturato una vocazione a predicare, eppure ero una persona semplice, un lavoratore. Questo è avvenuto dopo la sua morte e resurrezione ed ascensione al cielo, e dopo anche la pentecoste, cioè la discesa dello Spirito Santo che ci ha incoraggiato a superare i nostri limiti e a gettarci nella mischia e nel pericolo. Sapete perché? soltanto perché era giusto farlo.

È stato, fra noi apostoli, come svolgere veramente un gioco di squadra: ognuno s'è preso un territorio. Io sono andato con mia moglie e le tre mie figlie nell'Asia minore, in Scizia e Frigia ho portato la mia testimonianza ad ebrei e pagani. Ho dato la mia vita per quella missione, sono finito anche io a capo in giù, come Simon Pietro, crocifisso a Roma.



Andrea. Io sono andato a predicare, fra l'altro, in Grecia e sono morto a Patrasso legato ad una croce fatta ad X.

Bartolomeo. E io in India e poi in Armenia - zona turca, per intenderci - dove sono stato scorticato vivo e poi crocifisso. 

Giuda Taddeo. E io in Giudea, Samaria, Idumea, Siria e Mesopotamia. A Beirut mi hanno ucciso con mazze, spade e scuri. 

Giacomo "il minore". E io, che sono Giacomo "il minore", ed ho guidato la primissima chiesa di Gerusalemme, sono stato lapidato nell'anno 62 per ordine di un sommo sacerdote.

Giuda Iscariota. Anch'io sono stato apostolo, sono morto anch'io, senza gloria però...

Annibale. Posso integrare io. La storia, qualche volta legata però a leggende, dice che Giacomo "il maggiore" fu il primo martire fra gli apostoli: predicò, oltre che in Giudea e Samaria, anche in Spagna e fu infine decapitato, per ordine di Erode Antipa, a Gerusalemme.

Matteo fu martirizzato in Etiopia, pugnalato proprio mentre celebrava una "santa cena", cioè una messa, così come è capitato a monsignor Romero a San Salvador nella mezza sera del 24 marzo 1980! A proposito: anche questo martirio conferma quanto si diceva prima sulla perenne attualità del vangelo vissuto. «Non fate funerali / non riuscirete a seppellirlo: / egli è venuto dal nordeste / Abele non finito di sgozzare...», ha cantato di lui padre David Maria Turoldo.

Anche l'apostolo Simone lo zelota, dopo aver predicato in Egitto e in Persia, fu qui assassinato e segato in due.

E Tommaso, che non aveva creduto alla resurrezione ed era stato perciò invitato da Gesù, apparso un'altra volta agli apostoli, a mettere il suo dito nelle ferite dei chiodi e la mano sul suo fianco, fu martirizzato a colpi di lancia in India.

Fu lapidato e finito a colpi di scure anche Mattia, l'apostolo che, su indicazione di Pietro, aveva sostituito Giuda Iscariota dopo il tradimento e dopo la morte di Gesù.

Andrea. Mi pare che, uno dopo l'altro, ci stiamo presentando tutti. Avete conosciuto me, Giuda Taddeo, Bartolomeo, Filippo, anche Giacomo figlio di Alfeo, soprannominato "il minore" per distinguerlo dall'altro Giacomo caro nostro compagno e fratello di Giovanni...

Giacomo "il minore". Sapete che gli studiosi della Bibbia, in ormai duemila anni, non sono riusciti a darmi un volto storicamente preciso? Ma in fondo mi hanno fatto un piacere. Lo stesso è avvenuto per mio fratello Giuda Taddeo e per nostra madre Maria, qui presente anche lei. Molti contestano questa nostra parentela, sostengono che non è mai esistita... Ma fatemele dire a me due parole su questo, ché non sarà inutile.

In effetti i nostri nomi - Giacomo, Giuda, Maria erano abbastanza comuni. I vangeli non sono libri di storia, gli evangelisti avevano un altro scopo che non quello di precisare per filo e per segno l'identità storica ed anagrafica di noi protagonisti di prima o seconda fila di quella vicenda straordinaria... Essi hanno scritto dopo la resurrezione, hanno ricostruito sulla base della memoria personale oppure del racconto dei testimoni, il loro obiettivo era di proclamare la verità di Gesù Cristo agli ebrei, oppure ai pagani - i cosiddetti "gentili" - che popolavano le terre attorno alla Palestina o più lontano, nel Mediterraneo, tra Africa ed Europa, ecc. Qualcuno degli studiosi più moderni ci ha dato un volto, qualcun altro ce ne ha dato uno diverso... Poco importa. A voi diciamo questo: ci siamo "allargati" per voi, cioè ci siamo presi l'identità nostra e anche quella degli altri probabili Giacomo, Giuda e Maria. Ci va benissimo. Fissate nella memoria questo: nel vangelo di Matteo, quando si riferisce della diffidenza della gente di Nazareth verso Gesù che raccontava le parabole e insegnava nella sinagoga del paese...

Carlo B. Quando Gesù dirà quella famosa frase «Nemo propheta in patria», cioè «Nessuno è ascoltato in casa sua»...

Giacomo "il minore". Esatto. In quel punto si può leggere: «I suoi compaesani erano molto meravigliati e dicevano: "Ma chi gli ha dato questa sapienza e il potere di fare miracoli? Non è il figlio del falegname? Sua madre è Maria; i suoi fratelli sono Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda..."». Idem Marco e idem Luca.

Bene, quel Giacomo e quel Giuda "fratelli" (cioè parenti stretti) di Gesù considerate che siamo noi, qui presenti oggi e presenti nel collegio apostolico, anche se nessuno specifica quando siamo entrati nel gruppo dei dodici.

Giuda Iscariota. Io non sono galileo. Non vi posso dire il mio nome perché, purtroppo, l'ho perso, anche se lo sento qua vicino, come un bene che sto per riconquistare.., penso di poterlo recuperare anche grazie a voi. È una cosa importante il nome, nel nome c'è la nostra identità personale, io ho perso me stesso, ho perso il nome... Ma sono ormai in rimonta, tornerò ad essere quello che ero nei miei anni migliori, tornerò ad essere quello che dovevo essere.

Vengo da un villaggio a sud di Gerusalemme, Qeriot. C'è stato un periodo, nella mia vita, di grande confusione: ho combinato guai che ci vorrebbero cento enciclopedie a raccontarli tutti. Per quello che è stato il mio passato, non ci sarebbe ragione alcuna per trovarmi oggi qui, come ospite magari di riguardo, starei meglio in questa vostra comunità, come uno qualsiasi assegnato a un settore di lavoro.

Ma anche la nostra équipe missionaria è una comunità, io ci sono - e sono contento - proprio per l'amicizia che mi hanno dimostrato i miei vecchi colleghi Andrea e gli altri. Essi non mi hanno giudicato. Mi hanno trovato, un giorno, quando ero solo con i rimorsi e la mia disperazione, forse hanno sentito quel nome che ho sussurrato quando mi sono impiccato, e mi hanno preso con loro.

Luca P. Che nome hai pronunciato?

Giuda Iscariota. Gesù, soltanto Gesù. Era il nome dell'amico che avevo tradito e dato in pasto alle iene. Pronunciarlo in extremis era come chiedere perdono e aiuto.

Anch'io ho un ruolo nell'équipe, l'ho scoperto cammin facendo. Avevano ragione prima Bartolomeo e Filippo: gioco nella loro squadra, cerco di fare bene, di essere sempre sincero con me stesso e leale con tutti, anche perché voglio dimostrare al mondo intero che si può sempre ricominciare, anche dopo averne combinate di gravi.

E poi sono appassionato di storia e di geografia e i miei colleghi mi utilizzano come "tecnico" per questo, in occasione dei nostri viaggi.

Annibale. Sentiamo anche gli altri?

Giuseppe d'Arimatea. Io sono Giuseppe, vengo d'Arimatea, che è un villaggio a una trentina di chilometri ad nord-ovest di Gerusalemme, verso il mare. Sono giudeo anch'io e sono stato membro del sinedrio. Ma Gesù io l'ho capito da subito che era il Messia. A Gibran, che me l'ha chiesta, ho reso una lunga testimonianza, ho raccontato di lui che ci parlava e ci incantava dicendo parole profonde e poetiche come queste: «Guardate la corrente del fiume e ascoltate la sua musica. Sempre tenderà al mare, ed è senza fine la sua ricerca, eppure canta il suo mistero un giorno dopo l'altro. Vorrei che cercaste il Padre come il fiume corre verso il mare».

E ancora: «Il tuo prossimo è lo sconosciuto che è in te, reso visibile. Il suo volto si riflette nelle tue acque tranquille, e in quelle acque, se osservi bene, scorgerai il tuo stesso volto. Se tenderai l'orecchio nella notte, è lui che sentirai parlare, e le sue parole saranno i battiti del tuo stesso cuore. Sii verso di lui quello che vorresti lui fosse verso di te. Questa è la mia legge, e io la dico a voi, e voi la ripeterete ai vostri figli, e i figli ai loro figli».

E ancora: «Non sei tu solo a essere te stesso. Tu sei presente nelle azioni di altri uomini, e questi, senza saperlo, sono con te in ognuno dei tuoi giorni. E non commetteranno delitto senza che la tua mano si unisca alla loro. Non precipiteranno se tu non precipiterai con loro, e non si rialzeranno se tu non ti rialzerai. Tu e il tuo prossimo siete due semi gettati nel campo. Insieme crescerete e insieme ondeggerete al vento. E né l'uno né l'altro reclamerà il possesso del campo».

Che ve ne pare? Insomma, è chiaro che non potevo partecipare alle decisioni della maggioranza del sinedrio contro Gesù. Ho raccolto il santo corpo, me lo sono fatto dare da Pilato dopo la morte e l'ho ospitato in una tomba di mia proprietà, alla periferia di Gerusalemme. L'ho onorato quel corpo. Era il minimo che potessi fare. Ero ricco, avevo molti beni, ma i beni materiali hanno senso soltanto se sono condivisi con gli altri, se sono uno strumento, diciamo così, di comunione col nostro prossimo, e onorare Gesù significava anche ringraziarlo per l'umanità che avevo dentro e di cui egli era il prototipo, e perché mi aveva fatto scoprire quanto è bello fare comunione col mio prossimo.

Ho speso per quegli unguenti, così come ha fatto il mio collega Nicodemo, ma avrei potuto e voluto spendere centomila volte di più in mirra ed aloe. Onorando il corpo di Nostro Signore, in fondo pensavo di dover onorare i caduti di tutti i tempi, per l'egoismo e la violenza del prossimo.

Simone di Cirene. Hai ragione, quante ne abbiamo viste di ingiustizie nella Palestina del nostro tempo. Ma anche oggi, quante tensioni e quante vittime innocenti, fra ebrei e musulmani, figli di quel comune padre che è Abramo... I cristiani, anch'essi discendenti di Abramo, dovranno sempre mettere pace, esistono soltanto per questo.

Forse io non avevo capito bene, allora, mentre già entravo nella storia, il senso pieno di quel che stavo facendo. Poi iniziai a comprendere, passo dopo passo...

Mi date mezzo minuto per leggere qualche riga della mia testimonianza a Gibran? Eccole qui: «Ero in cammino, diretto ai campi, quando lo vidi; portava la croce e lo seguiva una gran folla. Anch'io allora presi a camminare al suo fianco. Più di una volta la croce che portava lo costrinse a fermarsi, perché il suo corpo era stremato. Allora mi si avvicinò un soldato romano, e disse: "Tu, tu che sei saldo e robusto, porta la croce di quest'uomo". A quelle parole il cuore mi si gonfiò nel petto e provai gratitudine. E portai la croce. Era pesante, fatta di pioppo impregnato di piogge invernali. E Gesù mi guardò. E il sudore della fronte gli scorreva sulla barba. Ancora mi guardò, e disse: «Bevi anche tu questo calice? Vi accosterai le labbra insieme a me fino alla fine del tempo». Così dicendo pose la mano sulla mia spalla libera. E procedemmo insieme verso la Collina del Cranio. Ma io non sentivo più il peso della croce. Sentivo solo la sua mano. Come ala di uccello sulla mia spalla».

Cleopa. Il mio nome è Cleopa e sono uno dei due discepoli che nel giorno della resurrezione si stavano recando da Gerusalemme ad Emmaus, che era a una dozzina di chilometri dalla capitale. Discutevo di quel che era successo in quei giorni, fino a quella mattina, e ad un certo punto mi trovai a parlarne con Gesù stesso - il Risorto - che si era aggregato a noi, cammin facendo. Noi però non l'avevamo riconosciuto. Sembrava uno che non sapesse niente di quanto era accaduto a Gerusalemme: la croce sul Calvario, il sepolcro vuoto, ecc., e però era chiaramente un superesperto delle sacre scritture, e anche se sembrava che non sapesse niente della resurrezione sapeva tutto lo stesso perché, sosteneva, tutto era previsto. Ricordo che gli dissi così, riferendomi "a lui" senza sapere che parlavo "con lui": «Era un profeta potente davanti a Dio e agli uomini, sia per quel che faceva, sia per quel che diceva. Ma i capi dei sacerdoti e del popolo Io hanno condannato a morte e l'hanno fatto crocifiggere. Noi speravamo che fosse lui a liberare il popolo d'Israele! Ma siamo già al terzo giorno da quando sono accaduti questi fatti. Una cosa però ci ha sconvolto: alcune donne del nostro gruppo sono andate di buon mattino al sepolcro di Gesù ma non hanno trovato il suo corpo... Poi sono andati al sepolcro altri del nostro gruppo e hanno trovato tutto come avevano detto le donne, ma lui, Gesù, non l'hanno visto».

Egli - come dicevo - si mise allora a spiegarci le scritture. Ci incantò, tanto che gli chiedemmo di restare con noi, anche perché eravamo già arrivati al villaggio, dopo due ore di cammino spedito. Accettò. Mangiammo insieme. Ma quando, dopo aver pregato, spezzò il pane e ce lo diede, allora lo riconoscemmo, lui però scomparve dai nostri occhi...

Annibale. Io ho letto la tua testimonianza resa a Gibran. È molto bella, specie quando ricordi le parole di Gesù che predicava: «I profeti di un tempo hanno parlato a voi, e le vostre orecchie si sono colmate della loro parola. Ma io dico a voi: vuotate le vostre orecchie di quanto avete udito».

Vorrei la leggessi, almeno in parte, ai ragazzi.

Cleopa. Con molto piacere. Qui mi riferisco alle emozioni che mi dava la sua parola: «Quando Gesù parlava, il mondo intero ammutoliva in ascolto. Non erano per le nostre orecchie le sue parole, erano per gli elementi con i quali Dio ha plasmato questa terra. Si rivolgeva alla distesa marina, immensa madre di ognuno di noi. Si rivolgeva al monte, nostro fratello maggiore, la cui vetta è una promessa. E parlava agli angeli al di là del mare e del monte, nelle cui mani avevamo rimesso i nostri sogni prima che s'indurisse la nostra argilla al sole. E la sua parola... era semplice e gioiosa la sua parola, e il suono della sua voce era come frescura di acque in terra riarsa».

Maria. Ecco anche me, unica donna qui. Sono Maria, la tradizione evangelica mi ha definito "una delle pie donne" perché ho assistito alla crocifissione sul Golgota e successivamente sono stata fra quelle che si sono recate al sepolcro la mattina del terzo giorno, trovandolo vuoto: il Signore era risorto.

Luca P. I vangeli a te accennano soltanto, sembrano scritti in chiave maschilista, se così posso dire, o sbaglio?

Maria. Per quanto riguarda l’"accenno" hai ragione; per quanto riguarda il maschilismo pure, ma va considerato che la società ebraica era veramente patriarcale. Pensa che la donna, in quella società, doveva lavorare e tacere, e naturalmente procreare. E basta. Non sedeva neppure a tavola con gli uomini, nessuno poteva rivolger loro la parola in strada... Insomma, una persona di serie B.

Luca P. Ho letto che nel Talmud, cioè nella raccolta delle tradizioni ebraiche, ad un certo punto è scritto: «Si brucino le parole della Legge, ma non siano comunicate alle donne». E anche che nelle sue preghiere quotidiane il buon ebreo maschio ringraziava Dio di non averlo fatto né infedele, né schiavo né donna...

Maria. Appunto. Circa i personaggi femminili che compaiono nei quattro vangeli, ti posso dare qualche numero e qualche nome, tanto si fa in fretta (ce li ho qui appuntati): dunque, su un complesso, mi pare, di 53 personaggi individuati - Gesù incluso, e incluso l'angelo Gabriele dell'annunciazione a Maria la vergine ed a Zaccaria per sua moglie Elisabetta, e anche Lazzaro il mendicante della parabola del ricco Epulone -, pensa che soltanto dieci sono donne. Te le elenco:

- intanto Maria la madre di Gesù, e poi in ordine alfabetico,

- Anna la vecchia profetessa che era al Tempio di Gerusalemme quando Gesù vi fu portato, a 40 giorni dalla nascita, per la consacrazione a Dio e che riconobbe nel bambino il Messia tanto atteso;

- Elisabetta la cugina di Maria (l'ho appena citata, era la madre di Giovanni Battista): quando Maria, dopo l'annunciazione della propria gravidanza, andò a trovarla nella sua casa ad Ain Karim, su una bellissima collina, alle porte di Gerusalemme, lei era ormai incinta di sei mesi e restarono insieme molte settimane, forse fino al parto;

- Erodiade moglie di Filippo (uno dei figli del terribile Erode "il grande") ed amante del cognato Erode Antipa (un altro figlio di Erode "il grande": questo Erode Antipa, ubriaco, avrebbe fatto decapitare il Battista che lo aveva pubblicamente accusato di incesto, accontentando così Salomè, la figlia viziosa della sua amante viziosissima Erodiade; sempre questo Erode Antipa - antipatico - era lo stesso che si sarebbe rifiutato di giudicare Gesù, rimandandolo da Pilato);

- Giovanna moglie di Cusa funzionario proprio di Erode Antipa: era stata guarita da Gesù e da allora s'era aggregata al nostro gruppo delle "pie donne", prendendosi cura di Gesù e dei dodici; 

- Maria di Betania, cioè la sorella di Lazzaro amico di Gesù, colei che pochi giorni prima della sua morte unse Gesù con olio prezioso e gli asciugò i piedi con i propri capelli;

- e Marta l'altra sorella, tipo piuttosto pratico, che anzi si lamentava dell'eccessiva tendenza della sorella alle preghiere o ai sogni: era lei che cucinava quando Gesù andava a trovare il suo amico Lazzaro;

- e ancora Maria di Magdala - la notissima Maddalena -, che fu liberata da Gesù dai sette demoni che l'avevano invasa, e con noi seguì il Signore nella sua passione e fu la prima a vedere il Risorto e ad annunciarlo agli apostoli;

- Salomè moglie di Zebedeo il pescatore di Betsaida nonché madre degli apostoli Giacomo "il maggiore" e Giovanni: pure lei del nostro gruppo, era fra quelle che si recarono al sepolcro di Gesù per imbalsamarne il corpo e non lo trovarono;

- ed io infine, Maria: personaggio, io dico, "degli elenchi", nel senso che nessuno mi ha mai descritta per quella che sono, ma soltanto mi ha infilata in qualche lista di persone quasi "anonime" presenti qua o là... Ma non me ne dispiaccio, anzi gradisco molto questa rappresentanza degli anonimi, "un nome e nessun volto". 

Matteo M. Dicci un po' di te, Maria.

Maria. Intanto è il caso di premettere, ricordando quanto abbiamo detto all'inizio, che questo nostro incontro, in quanto virtuale, può anche consentirci una "rilettura" dei testi. Vorrei arrivare a quanto ha già detto mio figlio Giacomo "il minore", riferendolo anche a Giuda Taddeo: poiché per duemila anni gli interpreti dei testi antichi si sono affannati a ricercare l'esatta fisionomia di ciascuno dei personaggi nominati, senza peraltro riuscirci sempre e chiaramente, allora ci è sembrato di doverci attribuire noi stessi "personaggi marginali", senza chiedere l'autorizzazione a nessuno, una identità che magari è un po' più larga di quella storica, ma non per questo inverosimile.

Faccio il mio caso: nella scena della crocifissione io sono indicata, nel vangelo di Giovanni, come «la sorella della madre di lui (Gesù)», cioè cugina della vergine e madre del Signore, oppure anche come Maria di Cleofa, moglie di Alfeo. Giovanni fa un elenco di persone presenti, taluni studiosi sostengono che Maria la cugina e Maria di Cleofa siano due persone diverse, altri che siano la stessa persona. Io me le sono cucite entrambe addosso. Nei vangeli di Matteo e Marco sono indicata, come dicevo, come la madre di quattro figli - Giacomo, Giuseppe (Joses), Simone e Giuda - non meglio specificati. Taluno ha creduto di scorgere in Giuda Taddeo il mio Giuda e in Giacomo "il minore" il mio Giacomo e dunque eccomi qui con questi due figli.

Carlo B. È curioso, ma soprattutto è bello che facciate una "piccola comunità nella comunità" voi famiglia madre-e-due-figli. Prima di tutto perché vivete fra di voi i vostri affetti mischiandoli però ad una comune idealità, quella dell'amicizia con Gesù. Cioè intuisco che il vostro essere famiglia vi abbia incoraggiati in questo, e che questa fedeltà vi abbia rafforzato nella vostra unione affettiva di famiglia.

In secondo luogo mi pare bella questa piccola comunità... 

Giacomo "il minore". Virtuale e simbolica...

Carlo B. Certamente, lo tengo presente, virtuale e simbolica, abbiamo tutti forzato la storia rendendo certo quello che è soltanto probabile, l'abbiamo detto prima... Dicevo è bello perché la vostra comunità familiare si apre alla comunità più vasta, non si riduce ad essere una setta. Insomma, testimoniate a tutti come vivete la piccola comunità per contagiare a tutti l'esempio...

Luca P. Posso fare un'attualizzazione di quanto diceva Carlo? Io ho fatto una piccola ricerca sui miracoli di Gesù che sono raccontati dagli evangelisti — e sono 39 - ma sfogliando i vangeli ho anche trovato le parabole. Ce ne sono davvero di bellissime. L'evangelista Matteo ne riunisce una decina soltanto nel capitolo 13. Una di queste è flash e dice: «Il regno di Dio è simile a un po' di lievito che una donna ha preso e ha mescolato in una grande quantità di farina, e a un certo punto tutta la pasta è lievitata!». Anche l'evangelista Luca cita questa parabola, anche lui al capitolo 13. Dice Gesù: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? Esso è simile a un po' di lievito: se una donna lo prende e lo impasta con tre grosse misure di farina, allora il lievito fa fermentare tutta la pasta».

È chiaro il riferimento. L'essere comunità piccola dentro una comunità più grande può fare male — è capitato anche da noi, purtroppo — quando non si sa regalare alla comunità grande i propri valori. Ho letto che anche nei duemila anni di storia della chiesa cattolica c'è stato, per molti secoli, questo separarsi dal mondo, giudicato più che amato, insomma questo essere lievito che non si vuole mischiare alla farina. Un'autentica contraddizione in termini. Da una parte la "società perfetta", dall'altra gli infedeli. Un po' come fa oggi un certo fondamentalismo islamico. Il concilio Vaticano II, ho letto, ha cambiato questa visione presuntuosa riconvertendo preti e vescovi, papa e semplici fedeli, ai valori delle origini: non separazione ma integrazione, perché poi la migliore predica è la vita, cioè la carità vissuta, l'esempio. La carità è il lievito della storia.

Annibale. Grazie. Dobbiamo proseguire il giro. Ora sono i nostri ragazzi che si rivolgono a voi presentando se stessi e la loro vita in comunità.

Cristian P. lo, come ho detto, mi chiamo Cristian P., sono di Guspini, un paese di quindicimila abitanti a 60 chilometri da Cagliari, quasi a metà strada fra Cagliari e Oristano. Qui è ambientato il bellissimo libro di Sergio Atzeni "Il figlio di Bakunin", da cui hanno tratto un film che proprio adesso è nelle sale cinematografiche.

Un tempo erano fiorenti le miniere, in zona di Montevecchio, e lavoratori venivano da tutta la Sardegna. Oggi c'è una vasta disoccupazione, soprattutto giovanile.

Ho 24 anni e da due sono in comunità. Lavoro in legatoria e in cucina.

La mia famiglia è composta di cinque persone, genitori e tre figli. Quando avevo un anno hanno scoperto che ero talassemico, dunque da allora sono costretto alle periodiche trasfusioni. Mi ci sono abituato, ma comunque è pesante... All'inizio è stato difficile accettare la mia malattia, ma poi ho capito che ci devo convivere. Per sei anni sono stato tossicomane: non lavoravo, non studiavo, non andavo d'accordo con i miei familiari, mi piaceva trasgredire. Poi sono entrato in comunità qui a San Mauro. Una cosa bella della comunità è l'idea di essere una famiglia e anche il fatto di aiutarsi a vicenda, tutti per uno stesso scopo, e scoprire i valori veri della vita.

Matteo M. lo mi chiamo Matteo M. e sono cagliaritano. Ho 49 anni, sono proprio un figlio del dopoguerra... Famiglia piccolo borghese, madre casalinga e padre commerciante, avevamo un negozio, oltre che la casa, nel quartiere della Marina, fra il porto e la parte alta della città. Oggi conduciamo un'attività alberghiera a Nora, una zona fra le più antiche e belle della Sardegna, un po' a sud di Cagliari.

Mi sono diplomato al liceo artistico, amo l'arte e l'architettura: ho anche frequentato la facoltà di architettura a Roma, erano gli anni 1968-69, sono un ex-sessantottino, così mi definiscono...

Ho girato molto: dopo Roma sono venute Genova e Firenze. Firenze è stata veramente "gioia e dolore" della mia vita. Qui ho frequentato un ambiente artistico intenso ed appassionante, molto stimolante, ma ho anche conosciuto l'eroina, sicché oggi, a 49 anni, eccomi in una comunità di recupero.

Come ci sto? Intanto ci sto per riconquistarmi pienamente come persona, per riprendermi la mia libertà, o la capacità di amministrare la libertà. E poi ci sto bene. Sono assegnato al settore ceramica ed all'orto.

A San Mauro sono già tre anni, ma sento che debbo lavorare ancora molto su me stesso. Venti anni di tossicodipendenza hanno fortemente inciso sulla mia personalità. È chiaro che non posso risolvere un problema così grande in un breve tempo. Ma mi sto impegnando seriamente, ogni giorno cerco di fare un passettino in avanti.

Roberto B. Io invece sono il più giovane: ho rubato il primato di Cristian neppure tre settimane fa, quando sono arrivato qui da Alghero, la mia città.

Mi chiamo Antonio Roberto B., ma mi conoscono soltanto come Roberto. Di curioso c'è che sono nato l'ultimo giorno dell'anno 1973: avessi aspettato qualche ora, avrei un anno di meno...

Ho scelto di entrare in comunità per cercare, anzi per riuscire a mollare la roba. Fuori ci avevo provato tante volte, ma sempre con pessimi risultati.

Gli anni trascorsi da tossico, la maggior parte li ho fatti da disoccupato. Saltuariamente ho anche lavorato: panettiere, carrozziere, imbianchino, gelataio, ecc. Non so quale lavoro preferirei fare ancora: più che scegliere il lavoro, mi interessa lavorare, e lavorare bene.

Appena sono arrivato qui, mi hanno incoraggiato, dicendomi che questo poteva essere il posto giusto per me. Spero veramente che, per me, questo sia non solo il posto giusto, ma anche il momento giusto.




Andrea P. Io mi chiamo Andrea P., sono nato a Cagliari 33 anni fa. Qui ho sempre vissuto, tranne brevissimi periodi (alcuni mesi) nei quali sono stato in varie città d'Italia per lavoro.

Per parecchi anni la mia vita è stata condizionata, più o meno costantemente, da "sua maestà l'eroina", sino a quando questa pseudomalattia non mi ha messo davanti agli occhi un bivio con due sole strade da percorrere: una che portava verso il baratro, una che portava verso la salvezza. Io ho scelto quest'ultima.

Quindi eccomi qui, in questa comunità di San Mauro, da quasi nove mesi.

Qui ho conosciuto tanti ragazzi che hanno avuto lo stesso mio problema, e tante persone splendide che ci aiutano a percorrere la famosa "strada della salvezza".

In comunità faccio parte dei settori ceramica - dove si lavora la mattina - e poi orto-muratura, dove con gli altri ragazzi formiamo un gruppo molto affiatato.

Quirino M. Io sono Quirino M., ho 37 anni, vengo da Ballao, nel Gerrei, zona di Flumendosa e di miniere (antimonio e barite) e anche di nuraghi. Sono qui da dieci giorni soltanto, mi sto orientando...

Marino P. Anch'io, Marino P., sono nuovo di qui, ma ho già due anni e passa di esperienza comunitaria fatta a S'Aspru. Provengo da Settimo San Pietro, a una decina di chilometri da Cagliari. Nel nostro territorio - dico soltanto questo - hanno trovato un pozzo nuragico che perfora in profondità, fino alle radici, un intero colle...

Andrea C. lo mi chiamo Andrea C. - siamo tre Andrea a San Mauro in questo periodo - e sono in comunità da 3 anni e dieci mesi, di cui due anni e tre mesi li ho trascorsi nella comunità di S'Aspru, nel Sassarese.

Provengo da Sestu, un paese del circondario di Cagliari, a dieci chilometri, con 20.000 abitanti. L'attività principale del mio comune è l'agricoltura, soprattutto viticoltura.

Il paese ha origini romane e diverse chiese antiche fino a 700 anni, come la parrocchiale di San Giorgio.

Molto bella e preziosa è anche la chiesa di San Gemiliano - che forse era un "Emiliano", vescovo di Cagliari -, che pure risale al 1200 e fu costruita da maestranze arabe e voluta dai monaci vittorini, che vennero in Sardegna da Marsiglia in Francia, intorno al 1100, ed oltre a fondare chiese e monasteri svilupparono molto l'agricoltura.

Qui a San Mauro faccio parte del gruppo della cucina.

Non so se sapete che nelle comunità in genere, e anche in quelle di Mondo X, i ragazzi sono divisi in settori di lavoro. Da noi ce ne sono quattro: cucina, lavanderia, legatoria più falegnameria, e infine ceramica-orto-muratura.

Luca P. Il mio nome è Luca P., e vengo da Sassari. Ho 30 anni. La mia storia è forse comune a molti altri, ma è comunque la mia. Sono qui a San Mauro dal novembre 1996, e sono assegnato al settore lavanderia-stireria, con Andrea A. come responsabile.

Un mese dopo che sono entrato a San Mauro, Salva mi ha fatto inaugurare la mostra di oggetti d'artigianato che abbiamo esposto, come tre comunità di San Mauro - Campu 'e Luas - S'Aspru, anche per raccogliere fondi per la casa-famiglia che stiamo allestendo a Sassari, per i malati di AIDS. Quando mi ha fatto tagliare il nastro dell'inaugurazione, anche se c'erano il presidente della Regione e il sindaco di Cagliari, è stato come se mi avesse dato un secondo benvenuto nella comunità. È stato molto commovente.

Quest'ultimo anno e mezzo è stato il più intenso della mia vita.

Ma la vostra presenza qui mi suggerisce anche una riflessione sul mio rapporto con la fede. L'esperienza col vangelo è sempre stata vaga per me, condizionata da una maestra bigotta e da una personalità, la mia, che guardava a Dio con occhi troppo timorosi.

Ora è cambiato ancora poco, ma ho deciso di non temere più Dio, l'inferno e la chiesa. Io Dio lo sento. Amo il "profeta" Gesù Cristo, lo rispetto, ma non riesco ad amare la ritualità e i tuffi a capofitto e con gli occhi chiusi in una fede che non mi appartiene. Non credo che Dio mi chieda questi tuffi alla cieca.

Spero che la vostra presenza fra di noi possa far nascere qualcosa di importante, in futuro, in me e spero anche in chi la pensa come me.

La comunità mi ha dato qualche piccolo aiuto per credere maggiormente in me stesso e quindi nella vita, ma voglio essere sempre io a decidere. Nella mia vita è sempre mancata la sicurezza nei miei mezzi ed ora ho intenzione di conquistarla.

Carlo B. Io sono Carlo B., ho 29 anni, vengo da Ozieri, una cittadina di poco più di 15.000 abitanti situata a nord della Sardegna, in provincia di Sassari. È il centro più importante del Logudoro: da noi si parla una delle due varianti fondamentali della lingua sarda, l'altra è il campidanese.

Ad Ozieri c'è una fiorente agricoltura e una altrettanto fiorente zootecnia, con fiere e mercati abbastanza conosciuti anche fuori della Sardegna.

Abbiamo anche bei monumenti antichi e opere d'arte, soprattutto pittoriche, risalenti al 1500-1600.

Tutt'attorno all'abitato moderno ci sono le aree più importanti dell'abitato antico, addirittura dell'età della pietra, 2000 anni prima di Cristo. È la civiltà-base del rame, che chiamano di San Michele, dal nome della grotta dove sono stati rinvenuti i reperti più interessanti. Ci sono anche un'ottantina di nuraghi e varie tombe dei giganti, risalenti al 1500 a.C. pressa poco.

Per tornare a me e al mio oggi, mi trovo qui a San Mauro da circa tre anni; prima ho trascorso otto mesi nella comunità di Campu 'e Luas, nella zona industriale di Macchiareddu, alle porte di Cagliari, in comune di Uta.

Dovete sapere che la nostra associazione, che si chiama Mondo X Sardegna, oltre alle comunità di cui vi ho appena parlato, è costituita anche da una terza comunità, quella di S'Aspru, in comune di Siligo: è una comunità prevalentemente agricolo-pastorale, mentre quella di Campu 'e Luas è soprattutto artigianale, anche se ci sono pure lì animali e colture.

Inoltre abbiamo due centri di ascolto: uno proprio qui a San Mauro e l'altro a Sassari, nel convento di Sant'Antonio abate. Nello stesso convento di Sant'Antonio stiamo completando una casa-famiglia - come ha ricordato Luca - per malati terminali di AIDS, che accoglierà chiunque abbia la necessità di un'assistenza che la famiglia non può assicurare. Credo che la inaugureremo proprio in questi giorni, comunque ad aprile.

Annibale. Ora che le presentazioni sono finite, credo che per calarci meglio in quella vicenda che sì, voi personaggi del Nuovo Testamento avete vissuto ma che per noi è evidentemente così lontana, sarebbe bello se tentassimo insieme un esperimento di contestualizzazione - una parola difficile, diciamo di confronto ravvicinato - della storia ebraica dei vostri tempi e della storia sarda di quello stesso periodo. Però bisognerebbe partire dai dati più sommari della geografia...

Andrea. È una bella idea. Diciamo, per partire, che voi sardi vivete in un'isola che è fra le più grandi del Mediterraneo. Ma è, tutto sommato, confrontata cioè con le superfici degli stati, una piccola terra. Sono poco più di 24.000 chilometri quadrati, press' a poco come la Sicilia oppure il Belgio, diciamo il 7-8 per cento di tutto il territorio italiano, oppure il 5 per cento del territorio francese o spagnolo.

La nostra Palestina - quella dove Gesù è nato e cresciuto, dove ha predicato e compiuto miracoli, dove è morto e quindi risorto - è una terra press'a poco della stessa estensione. Solo che quella nostra terra - che noi ebrei chiamavamo Paese di Canan oppure Terra promessa - era ed è bagnata dal mare soltanto da una parte, lungo la sua costa occidentale, che come entroterra ha una pianura. Per il resto erano e sono confini montuosi o desertici che delimitano le frontiere con gli altri stati. Il territorio è in larga parte collinare e montuoso, con la lunga gola verticale, verso oriente, dove scorre il Giordano.

Cristian P. Io ho letto che le città più antiche della Sardegna sono state fondate dai fenici, che erano navigatori che abitavano in quella zona...

Andrea. Possiamo approfondire, anzi il compito lo diamo a... lui che con sé ha sempre la cartina e il pennarello per la lavagna a fogli.

Giuda Iscariota. Si, diciamola così: a parte il fatto che la Sardegna è un'isola e la Terra di Israele no, subito emerge una somiglianza: sono entrambe, grosso modo, un rettangolo verticale. In quanto alla sua latitudine, cioè alla sua posizione rispetto all'equatore (che sappiamo taglia idealmente a metà il pianeta, in orizzontale) -, siamo su livelli abbastanza vicini: la Sardegna va dal 38° quasi 39° al 41° parallelo; la Terra di Israele va dal 31° al 33° parallelo nord, cioè sopra l'equatore. La Sardegna è dunque un po' più a settentrione della Terra di Israele, diciamo circa 300 chilometri, poco di più di quanto non sia la misura in lungo di entrambe. 

In quanto a longitudine, cioè a distanza dal meridiano verticale di Greenwich, la Sardegna è certamente molto più ad occidente, cioè più vicina al meridiano base, fra l'8° ed il 9° grado a est, mentre la Terra di Israele è, sempre ad est di Greenwich, fra il 33° e il 34° meridiano.

Grossomodo possiamo dire che la distanza in linea retta orizzontale fra la Sardegna e la Terra di Israele (quella stessa percorsa dai navigatori fenici che edificarono Karales antica) è di circa tremila chilometri.

Andrea P. E come territorio?

Giuda Iscariota. Andiamo per schemi. Noi abbiamo presente com'è fatta la Sardegna: il Capo di sopra — cioè il Sassarese (Logudoro e Gallura ecc.) e, a sud, il Capo di sotto —cioè il Cagliaritano, col basso Campidano, e ad est di questo il Sarrabus-Gerrei e ad ovest il Sulcis-Iglesiente. Fra il Capo di sopra e quello di sotto c'è l'asse Oristano-Nuoro, cioè l'alto Campidano, il Marghine-Planargia (la zona di Macomer e Bosa), le varie Barbagie, fino all'Ogliastra di Lanusei e Tortolì e, a nord di questa, le Baronie (Siniscola ecc.).

Questi sono i tre livelli. Bene, press'a poco la stessa tripartizione nord-centro-sud possiamo farla nella Terra di Israele del tempo di Gesù e nostro: a nord la Galilea, al centro la Samaria, a sud la Giudea con la città di Gerusalemme. Dunque: Galilea come il Sassarese, Giudea come il Cagliaritano... Naturalmente c'erano anche altre regioni dell'antico regno. Ma magari ne diremo poi. Per adesso possiamo fissare questo: Gesù è nato a Bethlemme, che è in Giudea, a pochi chilometri da Gerusalemme: secondo il nostro paragone, come se fosse nato a Sarrok o Pula. E ancora in Giudea, proprio a Gerusalemme, egli morirà. Egli nasce e muore in Giudea.

I suoi erano di Nazareth, che è un piccolo, piccolissimo paese della Galilea, un po' come Sorso o Sennori rispetto a Sassari. Ed è lì, nella Galilea, a Nazareth, che egli - che sarà chiamato "il Nazareno" - vivrà i suoi primi trent'anni. Qui svolgerà anche il grosso della sua predicazione, stabilendosi a Cafarnao, città di pescatori sul lago di Genezaret chiamato anche di Tiberiade o mar di Galilea.

Andrea P. Perché, lui di famiglia nazaretaria, nasce invece a Bethlemme?

Giuseppe d'Arimatea. Beh, si sa: c'è nato per caso. I suoi genitori erano di lontane origini giudee. Secondo l'editto del censimento emanato dall'imperatore Augusto ci si doveva registrare nella città dove la famiglia era nata in antico... Soltanto Giuseppe, come capofamiglia, era tenuto a registrarsi, ma si portò dietro anche Maria che era prossima al parto.

In Galilea tornano dopo circa un anno dalla nascita di Gesù, perché nel frattempo era morto Erode "il grande", colui che aveva fatto ammazzare una trentina di creature (maschietti sotto i due anni) della zona di Bethlemme, pensando di dover eliminare quel suo possibile prossimo concorrente politico. I magi che venivano dall'oriente - forse astronomi persiani, colti e spirituali - avevano conferito con lui, in buona fede, riferendogli di quella nascita straordinaria, che andavano ad onorare... Ma dopo la visita alla grotta, per i famosi doni, non erano ripassati da lui. Dunque Giuseppe, Maria e il piccolissimo Gesù, dopo la sua consacrazione al Tempio di Gerusalemme, erano dovuti scappare in Egitto, presso la vasta colonia ebraica esistente in quel paese, che era un paese ricco.

Andrea. Possiamo anche ricordare che cinquecento anni prima, c'era stato un profeta, Michea, che aveva scritto: «E tu, Bethlemme di Efrata cioè "ricca di frutti" (abbondavano fichi, olive ed uva) - così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele».

Bartolomeo. I romani si contavano ogni nove anni. Sapere Il numero dei sudditi nei vari paesi era importante per conoscere quanti erano quelli da tassare o da chiamare agli obblighi militari, ecc.

Nel mondo, allora, eravamo circa 250 milioni, oggi so che si sono superati i 5 miliardi...

Maria. Dopo circa duecento chilometri fatti sopra un asinello la cui cavezza era nelle mani di Giuseppe, Maria arrivò quando la città era ormai strapiena di gente che doveva registrarsi. Locande, case private e perfino il caravanserraglio che era all'ingresso di Bethlemme, tutto era pieno. Se ne dovettero andare, come si sa, in una grotta della periferia, dove mangiava e ruminava un bue che faceva coppia con un asino.

Matteo M. Posso chiederti qualche notizia sulla figura di Maria la madre di Gesù?

Maria. Quando partorì, Maria era ancora adolescente, mi pare avesse soltanto 16 anni. Era vissuta con i genitori Anna e Gioacchino, abbastanza anziani. Una famiglia modesta, che discendeva però dall'antico re David di mille anni prima. S'era fidanzata con Giuseppe, che era giovane ma comunque più grande di lei di una decina d'anni. I vangeli apocrifi scrivono che Giuseppe fosse vedovo e per questo la leggenda lo rappresenta come un vecchio, ma in verità non era così.

Maria si occupava delle faccende domestiche, nella casa che aveva tetto e muri d'argilla e di paglia. Un giorno aveva ricevuto quella visita dell'angelo che le aveva preannunciato una gravidanza miracolosa, senza sesso. Chiaramente era rimasta sorpresa, ma aveva creduto ed obbedito: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Poi era andata da sua cugina, pure lei incinta (del Battista). Era durato tre o quattro giorni quel viaggio da nord a sud, 150 chilometri, come da Cagliari a Macomer e oltre, o da Sassari a San Gavino o Villacidro. Tanto, che lei andasse a piedi o con l'asino, la velocità e la resistenza alla fatica erano sempre quelle.

Giacomo "il minore". Il saluto di Elisabetta alla sua giovane cugina che va a trovarla è stato poi ripreso, come si sa, nella preghiera dell'Ave Maria: «Benedetta tu fra le donne. E benedetto il frutto del tuo seno». Per parte sua, Maria aveva intonato un canto bellissimo, tutto ispirato, che è rimasto nel vangelo di Luca e nella tradizione sotto il titolo di "Magnificat": «L'anima mia magnifica il Signore...».

Matteo M. È vero che Giuseppe pensò di ripudiare la fidanzata incinta, non sapendo ancora bene come erano andate le cose? 

Filippo. In quel tempo, secondo gli ebrei, il fidanzamento era un prematrimonio, nel senso che la fidanzata per un anno entrava sotto la legge del futuro marito. Teoricamente fra di loro non doveva esserci sesso, anche se poi in pratica non era così. E il bambino che fosse nato durante il fidanzamento era ritenuto comunque legittimo. La ragazza doveva essere assolutamente fedele al suo uomo. La gravidanza di Maria, però, non era dovuta al seme di Giuseppe, per questo lui fu dubbioso sulla lealtà della sua ragazza e pensò di ripudiarla ma senza scandalo, perché comunque l'amava. Poi seppe la verità dall'angelo apparsogli in sonno.

Maria. Il bambino nacque e agli otto giorni fu circonciso, secondo la tradizione biblica. Quel giorno Gesù ricevette il suo nome, dettato da Giuseppe secondo le istruzioni dell'angelo. Gesù era un nome abbastanza diffuso allora.

Matteo M. Vorrei sapere se la data di nascita di Gesù fu effettivamente il 25 dicembre.

Andrea. No, anche se adesso non ti saprei precisare. La data tradizionale del Natale si lega alla festa pagana della luce, al solstizio d'inverno, che è come il capolinea dal quale inizia il ciclo astronomico per cui allungano le giornate: per questo la festa della luce astronomica, celebrata tanto in Egitto quanto a Roma, è diventata la festa della luce cristiana. Cristo era ed è «la luce del mondo», come ha scritto l'evangelista Giovanni.

Baingio. Sentite Claudel:

«Uno stelo è sorto da David, un fiore dalla radice di Jesse,

«La persona di David è uscita dal seno della Vergine senza peccato!

«Ecco la carne della nostra carne, ecco il Fanciullo-con-Dio che noi abbiamo voluto

«Riprendere piena l'eredità che Satana ci aveva strappato.

«Il suo nome è Ammirabile, Consigliere, Dio-forte, Padre-del secolo-futuro, Principe-della-pace!

«Angeli della Persia e di Grecia! Angelo di Roma! Angelo del Nord e di quelli del mare!

«O pastori di popoli ciechi nella notte, veglianti una veglia amara! Da gran tempo come il grido che le sentinelle ripetono di torre in torre,

«Da un capo all'altro del mondo, voi vi passate la notizia sul far del giorno!

«"È nato il divino Fanciullo!". E voi anche ascoltate il significato di questo canto!

«Voi, Patriarchi, che l'Inferno rinserra nell'immensa fossa!

«La radice oscura sente nel cuore del suo fogliame sbocciare la sua benedizione.

«L'albero di Vita ove nasce il frutto eterno si scuote nelle sue generazioni:

«Ecco l'ammirevole maschio che una Vergine pone nelle braccia di Simeone!

«Madri e Patriarchi, rallegratevi, antenati di Gesù Cristo.

«Dal seme uscito dal vostro seme è nato il Vendicatore di cui è scritto.

«E fra poco, attraverso tutti i morti generati l'uno dall'altro che la ricoprono,

«La terra sino al profondo trema e si spacca.

«Dalla tortura e dalla nera prigione si elevano voci estenuate 

«Delle anime gementi che esclamano: "O figlio, sei giunto!".

«Davvero è Natale, tutto d'oro purissimo che nessun male corrode. 

«Domani, giacché così succede, serviremo il crudele Erode, 

«Riprendendo l'utensile dell'artigiano e la sedia dell'impiegato.

«Io, però sono nella gioia divina, come Giuseppe il falegname, 

«Vedendomi vicino questo bambino che è Nostro Signore,

«E Maria, madre nostra che tace e tutto conserva nel cuore».

Maria. Il bambino crebbe educato dalla madre, poi il ragazzino collaborò col padre nell'officina a metà fra la falegnameria e la carpenteria. Frequentò le elementari, che erano aggregate alla sinagoga. Lì imparò l'ebraico E, credo, anche il greco e il latino dei romani, la storia civile e quella religiosa del suo popolo, studiò la Bibbia. A 13 anni, poi, entrò ufficialmente nella comunità religiosa, come i suoi coetanei. Divenne "figlio della legge" - così si diceva - e iniziò a sottoporsi a tutti gli obblighi della fede. Fra cui le visite annue a Gerusalemme.

Filippo. Da Nazareth, Gesù scenderà in Giudea - ma loro dicevano "salirà", perché guardavano all'altura di Sion, sopra cui è costruita Gerusalemme - svariate volte. Il vangelo di Luca ricorda di quando, a dodici anni, s'era trattenuto a parlare da pari a pari con i dottori del Tempio, e i genitori s'erano allarmati temendo di averlo smarrito. Ma egli sicuramente giungeva a Gerusalemme tutti gli anni, secondo la religione ebraica che imponeva di festeggiare la pasqua, la Pentecoste e i tabernacoli (cioè le maggiori ricorrenze della tradizione) a Gerusalemme: la pasqua per ricordare la liberazione dalla schiavitù d'Egitto; la pentecoste - 50 giorni dopo la pasqua - per la fine della mietitura del grano; i tabernacoli (o le capanne), al tempo della vendemmia, quando gli ebrei si rintanavano per una settimana sotto le tende in ricordo della permanenza nel deserto al tempo di Mosè.

A sud era venuto nell'anno 28 per farsi battezzare, pubblicamente, nel fiume Giordano, in una zona che si chiamava Betania (come la città di Lazzaro, Maria e Marta).

Cristian P. Puoi dirci due parole sul fiume Giordano?

Giuda Iscariota. Volentieri. È lungo più di 300 chilometri, come il doppio del vostro Tirso, o tre volte il vostro Coghinas o il vostro Flumendosa. Nasce nelle montagne del nord ed alimenta il grande lago di Genezaret, il cui specchio d'acqua è di 20 chilometri per 13, e la profondità è di 44 metri. Si tratta di un lago la cui superficie è di 210 metri sotto il livello del mare. Sul lago di Genezaret, che è sempre stato pescosissimo, s'affacciano una decina di paesi o cittadine ad economia peschereccia, da Betsaida a Cafarnao a Magdala, fino a Tiberiade, la città fatta costruire da Erode Antipa.

Il fiume esce poi per indirizzarsi verso il cosiddetto mar Morto, a sud. Il percorso è abbastanza tortuoso: in linea d'aria sono soltanto 100 chilometri - come Cagliari - Oristano, o Sassari - Olbia, ma in effetti ne passano 300. Il mar Morto - 80 chilometri per 18 - è ancora più sprofondato ed è così salato che i pesci non possono viverci. Per questo si chiama "morto". Ha una salinità del 26 per cento, almeno otto o nove volte il normale.

Annibale. Riprendiamo magari con la storia comparata fra Sardegna e Palestina...

Giuda Iscariota. D'accordo. Nella terra d'Israele c'erano allora circa 2 milioni e mezzo d'abitanti, almeno dieci volte di più di quanti popolassero la Sardegna.

L'impero di Roma aveva conquistato la Terra di Israele da una sessantina d'anni prima che nascesse Gesù. Erano stati discreti i romani, in verità, avevano concesso una certa autonomia politica agli ebrei, nel senso che il governo diretto delle popolazioni lo avevano lasciato nelle mani di alcune famiglie locali: prima gli Asmodei, eredi dei Maccabei (di cui parla a lungo la Bibbia), e successivamente alla famiglia beduina di Erode che era divenuto così re. Questa è stata la politica seguita da Giulio Cesare in giù.

Andrea C. Ho letto che Erode era un politico fine, aveva il senso del grande. Però era un tiranno sanguinario. Aveva perfino fatto massacrare alcuni suoi figli che temeva come possibili rivali. 

Giuda Iscariota. Morto lui, quando Gesù era tanto piccolino che forse non sapeva ancora camminare, il suo regno fu diviso in tre parti, affidate ai tre figli rimastigli: il primogenito Archelao ebbe la Giudea con Gerusalemme e anche le due ragioni immediatamente a settentrione ed a meridione della Giudea, cioè la Samaria e la Idumea. A lui toccò anche la città di Cesarea, sulla costa mediterranea.

Giacomo "il minore". Il secondo, Erode Antipa, ricevette la Galilea e la Perea, cioè la Transgiordania ebraica, una regione ad oriente del Giordano: diciamo press'a poco come l'Ogliastra rispetto al Campidano, con la separazione del Flumendosa. Egli fu, fra l'altro, come abbiamo sentito, il fondatore della città di Tiberiade in onore dell'imperatore Tiberio (divenuto imperatore, quando Gesù e anch'io avevamo circa vent'anni). Gesù una volta l'avrebbe soprannominato "volpe" e "sciacallo".

Bartolomeo. Al terzo figlio di Erode "il grande", che si chiamava Erode Filippo - il marito tradito di Euridice - andarono altre terre del nord, ad oriente della Galilea ed a sud della Siria: press'a poco, secondo la cartina della Sardegna, la Gallura rispetto al Logudoro ed al Sassarese. Quelle regioni erano separate dalla Galilea proprio dal lago di Genezaret. Qui la popolazione era, in prevalenza, di religione non ebraica.

Filippo. Altre terre ancora furono date a Salomè, sorella di Erode "il grande" e zia dei nuovi sovrani. Mentre altre città sparse furono aggregate alla Siria, pure essa provincia romana.

Andrea C. Questa situazione durò molto tempo?

Simone di Cirene. No. Archelao si rivelò così crudele - tanto più del padre, che è tutto dire -- che l'imperatore Augusto lo depose mandandolo in esilio nelle Gallie, in Francia cioè. Il suo regno - cioè Giudea, Samaria e Idumea - fu quindi amministrato direttamente da Roma attraverso propri funzionari, che stavano lì qualche anno. Il quinto della serie fu Ponzio Pilato, che restò in carica una decina d'anni. Quando processò Gesù era circa a metà del suo mandato. Il grosso del tempo lo passava a Cesarea, una città in prevalenza pagana. A Gerusalemme andava soprattutto quando, in occasione delle feste, lì si recavano grandi masse di pellegrini. 

Andrea C. E degli altri cosa si sa?

Giuda Iscariota. Erode Antipa - quello che comandava in Galilea e nella Transgiordania - è rimasto nella storia perché, come ha ricordato prima Maria, fece incarcerare e decapitare il Battista e perché trattò con disprezzo Gesù prima di rimandarlo da Ponzio Pilato. Lo vestì, per sbeffeggiarlo, d'un manto sgargiante.

Giuseppe d'Arimatea. Migliore senz'altro fu Erode Filippo, che regnò con moderazione.

Andrea C. E la Sardegna in quel tempo come se la passava? 

Giuda Iscariota. Allora anche la Sardegna era sotto il dominio romano, anzi lo era da ben prima della Palestina.

Diciamola così, in breve e per grandi quadri: nei mille anni che, grossomodo, da Mosè arrivano fino a Cristo, il popolo ebraico subisce invasioni e domini e deportazioni a non finire: babilonesi, persiani di Ciro e Dario, greci di Alessandro il macedone, egiziani nuovamente, siriani, fino ai romani appunto.

Filippo. I profeti nel corso dei secoli hanno accompagnato le pene del popolo, annunciando la liberazione che sarebbe venuta. 

Giuda Iscariota. Bene, nello stesso periodo la Sardegna conosce tre diverse fasi di dominazione esterna. Per primi arrivano i fenici, che si accontentano delle coste; poi arrivano i punici, cioè i cartaginesi - africani tunisini di origine anch'essi fenicia infine i romani. Questi ultimi scalzano i cartaginesi nel 258 a.C. Per 200 anni - diciamo fino al 38 a.C. - il controllo militare è pieno. È il periodo che coincide con l'età repubblicana (quella di Giulio Cesare per intenderci). Segue la fase cosiddetta della "pax romana", cioè della piena civilizzazione. Ecco tante opere pubbliche, soprattutto le strade, ecco il forte sviluppo economico, soprattutto in agricoltura, ecco la diffusione della lingua latina (che rimarrà nel sardo, che infatti è una lingua neolatina) e, progressivamente, della religione cristiana.

Annibale. Perché intanto è arrivato Cristo, nel mondo e nella storia. 

Giuda Iscariota. Infatti, mentre in Sardegna comandano i romani, in Palestina - pure romanizzata - si svolge la vicenda di Gesù. Nel 27 a.C. la Sardegna diventa una provincia senatoriale di Roma, governata cioè da magistrati per conto del Senato (l'imperatore ha invece il controllo diretto soprattutto delle province di confine).

E quando Gesù ha 20-22 anni, ben 4.000 ebrei sono deportati a Tharros dall'imperatore Tiberio ed impegnati nella lotta senza quartiere ai barbaricini, cioè ai sardi dell'interno, ribelli al dominio dei colonizzatori.

Matteo M. È molto interessante tutto questo. Ma, per tornare alla Palestina, c'erano partiti politici in quel tempo? 




Giuda Taddeo. Possiamo chiamarli partiti religiosi. I principali erano quello dei farisei e quello dei sadducei. I primi ammettevano oltre alla legge scritta data da Dio a Mosè, anche quella orale della tradizione, con un'infinità di precetti esteriori. A Gesù erano parsi delle ipocrisie belle e buone, e nel linguaggio moderno dire "fariseo" è, infatti, come dire "ipocrita".

Al fariseismo si ispiravano anche gli scribi, i cosiddetti dottori della legge, esperti della Torah.

I sadducei credevano soltanto ai primi 613 principi della legge scritta, quella dei primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Essi erano, in prevalenza, benestanti. I sacerdoti erano soprattutto sadducei.

I più fanatici di tutti erano senz'altro gli zeloti, che volevano la rivoluzione per liberarsi dai romani.

Gli esseni somigliavano un po' ai farisei, ma erano più sinceri, persone pie, di preghiera.

Matteo M. Com'erano organizzati, dal punto di vista religioso, gli ebrei?

Andrea. Rispondo io. Intanto bisogna dire che la religione univa il popolo, conservandone l'identità nei secoli, nonostante il dominatore di turno, dai persiani antichi ai romani. Si può dire che la religione rendeva gli ebrei uno stato nello stato.

Il capo di tutti era il sommo sacerdote, che vestiva bene e viveva nel lusso e governava la chiesa ebraica, chiamiamola così, assieme al sinedrio, una specie di senato che era anche tribunale e facoltà teologica, istituito a suo tempo da Mosè e formato da 71 membri. C'erano gli ex sommi sacerdoti, gli esponenti delle famiglie aristocratiche di tendenza sadducea, e gli scribi, i rabbini di orientamento farisaico.

Matteo M. I romani rispettavano le convinzioni religiose degli ebrei?

Filippo. L'ha detto prima lui... Direi di sì, e la cosa favoriva senz'altro il buon vicinato. Qualche imperatore aveva addirittura mandato offerte al Tempio di Gerusalemme per migliorarlo sempre più. Naturalmente gli ebrei consideravano i romani degli impuri perché non circoncisi, e in più faticavano ad accettare il fisco che era pesante. Essi odiavano gli esattori, chiamati "pubblicani", anche perché questi se ne approfittavano, calcando la mano e arricchendosi in proprio. Anche Matteo, prima della conversione, era così. E anche Zaccheo, di Gerico.

Matteo M. Anche nell'antica Palestina ogni paese aveva la sua parrocchia?

Bartolomeo. C'erano le sinagoghe. Dentro un armadio si custodivano i rotoli della Bibbia e c'era anche un pulpito da cui la Bibbia veniva letta e spiegata.

Giacomo "Il minore". Ma la sinagoga più importante era il Tempio di Gerusalemme, una specie di megacattedrale. Era stato costruito dal re Salomone mille anni prima di Cristo; dopo circa 500 anni era stato distrutto da Nabucodonosor e però era stato ricostruito qualche decennio più tardi e portato quindi a magnificenza da Erode il grande. Fu inaugurato nuovamente soltanto quattro anni prima che nascesse Gesù. Poi continuarono ad abbellirlo. Nel 70 dopo Cristo fu raso al suolo dall'esercito romano di Tito che stava cercando di reprimere la rivolta indipendentistica degli ebrei.

Matteo M. Ma in cosa consistevano i riti?

Cleopa. Si offrivano i sacrifici a Dio, a Jahvè.

Il Tempio era una costruzione maestosa e complessa: si ergeva su una grande spianata tutta delimitata da poderose mura alte fino a 40 metri. C'erano grandi porticati e una balaustrata che limitava, pena la morte, l'accesso ai pagani. Fra i porticati e la balaustrata c’era l’atrio dei gentili, con le bancarelle dei venditori di colombe, capretti, ecc. (gli animali da sacrificare) e anche dei cambiavalute. Gesù – faccio una parentesi – un giorno se la sarebbe presa con i mercanti del Tempio, che punì a scudisciate.

Oltre la balaustrata c'erano tre cortili delle donne, degli uomini e dei sacerdoti: in questo s'alzava l'altare dell'olocausto. Sembrava un mattatoio.

Al centro del Tempio era il santuario con le stanze del Santo - con l’altare d'oro dell'incenso, la mensa dei pani ed il candelabro d’oro a sette bracci - e poi, separato da un grande velo, il Sancta Sanctorum, il Santo dei Santi, che al tempo di Salomone aveva contenuto l'arca dell'alleanza e dove il sommo sacerdote entrava una sola volta l'anno, alla festa dell'espiazione, quando il popolo chiedeva a Dio il perdono dei suoi peccati.

I sacerdoti svolgevano le loro funzioni nel Tempio a turni. 

Andrea C. Vorrei sapere qualcosa di più su Gerusalemme.

Giuseppe d'Arimatea. Quando molti secoli addietro erano stati esuli a Babilonia, gli ebrei avevano gridato al cielo: «Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra! Mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo!». Così ricorda anche il salmo 136. Non c'è ebraismo comprensibile senza Gerusalemme, così come sarebbe l'Islam senza la Mecca. Almeno una volta nella loro vita, gli ebrei dovevano andare a Gerusalemme.

Gerusalemme si trova al centro della Giudea, a circa 800 metri d'altitudine. Le sue strade si diramavano, e ancora è così, a raggera verso tutte le direzioni. In una dozzina d'ore si arrivava al Mediterraneo. Antica forse, allora, di 3.000 anni —5.000 ad oggi—, e molto bella sul piano del paesaggio e dei colori, la città era circondata da una grande muraglia fatta costruire da Erode "il grande". Come popolazione era quasi come la vostra Sassari d'oggi, o la metà della vostra Cagliari d'oggi. In occasione delle grandi festività religiose, quando diventava meta di pellegrinaggi da tutta la Palestina, la sua popolazione però si raddoppiava e forse triplicava nell'arco di poche ore.

Era anche molto disordinata, era stata costruita senza uno straccio di piano regolatore, su due colline, dunque era un saliscendi faticoso a percorrere. C'erano bellissimi palazzi, il teatro, l'anfiteatro, il circo, la reggia.

Andrea C. E l'economia del Paese?

Simone di Cirene. Ricordava un po' quella vostra, soprattutto per ragioni climatiche, agricoltura e pastorizia e anche pesca. Nei centri urbani, specie a Gerusalemme, era abbastanza fiorente l'artigianato. Ricordo fra i tanti altri il lavoro del vasaio. Ho sentito da padre Morittu che anche voi avete, qui a San Mauro, un bel laboratorio di ceramica... E i nostri vasai s'erano attrezzati con cisterne d'acqua, il tornio per modellare l'argilla e la fornace per cuocerla. Gli oggetti - ciotole, lampade, giare, anfore, ecc. - erano decorati molto semplicemente, magari con una riga rossa o nera, non come fate voi, cose molto rifinite...

Il grano veniva coltivato, ovviamente, nelle terre più fertili della pianura verso la costa o nella valle a nord del Giordano. A sud c'era più orzo che grano. Sulle montagne s'ergevano bellissimi uliveti e vigneti. I datteri erano coltivati nel sud del Giordano.

Il vestiario della popolazione era prevalentemente di lino della Galilea o di lana delle montagne della Giudea.

C'erano anche vaste zone boscose, con querceti secolari, nella zona montagnosa che declinava verso la pianura costiera. Là pascolavano bovini ed ovini, pecore e capre. I cammelli prevalevano, naturalmente, nelle zone desertiche.

Diffuse erano le attività legate al mare o comunque alla pesca, anche nei laghi più o meno grandi, com'era quello di Genezaret. 

Cristian P. Noi, qui in comunità, abbiamo visto varie volte film sulla Bibbia, sull'Antico Testamento, su Mosè ecc. ecc, e anche sulla vita di Gesù e sul Nuovo Testamento. Quindi, quello che tu hai detto adesso mi ha ricordato un po' quelle scene. L'impressione che mi è rimasta è di una società "vecchia", oltre che maschilista, come ha detto prima Maria, dove i giovani o erano pochi o non avevano comunque molta voce in capitolo... 

Andrea C. Era una società tradizionalista. Forse questo derivava dalla stessa cultura ebraica, dalla loro dottrina millenaria. 

Roberto B. Tutte le società agro-pastorali - come anche la Sardegna - sono conservatrici.

Matteo M. Sì, lo credo anch'io questo. I giovani non si facevano sentire, erano un po' passivi, un po' fissi nel loro ruolo che era il ruolo di chi deve aspettare il maturare di certi tempi per farsi una famiglia e assumere così un ruolo di riguardo. Anche se è vero che già a 13 anni entravano nel giro dei "figli della legge", come abbiamo sentito prima.

Carlo B. La nostra società d'oggi è certamente più mobile, da questo punto di vista. C'è un protagonismo giovanile importante, basti pensare soltanto ai movimenti studenteschi... La contestazione del '68, poi quella del '77, e anche quella più recente, anche se molto diversa dalla precedente, è stata sempre un fenomeno di massa, che esprimeva un sentimento diffuso.

All'inizio c'era, alla base, anche un disegno politico, un progetto di società nuova, un'ansia di novità che partiva dal pacifismo, iniziato in America contro la guerra del Vietnam e poi arrivato in Europa e in Italia...

Certi sociologi dicono che i "ribelli" d'oggi, invece, sono figli della televisione e della nutella, degli spot pubblicitari, che hanno la testa quasi vuota, che della politica non gli interessa nulla, e allora forse alla base della loro rivolta c'è soltanto il disagio dell'età. 

Andrea P. Questo forse riguarda in particolare gli studenti. Però c'è un disagio enorme anche tra i disoccupati, tra i giovani che hanno finito la scuola e che non trovano lavoro, che non riescono a trovare una collocazione nella società.

Matteo M. C'è sempre di più una crisi di identità personale, non soltanto come soggetto sociale, che è molto ampia e diffusa. 

Andrea C. È vero, ci pensavo anch'io, quando... lui ha parlato di sé e della perdita del suo nome.

Roberto B. Come si fa a trovare o ritrovare se stessi?

Carlo B. Secondo me la crisi non è soltanto dei giovani, anche se noi giovani, come soggetti deboli, senza sicurezze di un futuro, sia di lavoro che d'altro, e con una formazione culturale molte volte precaria, ne soffriamo di più. Ma la crisi è generale.

È crisi veramente di valori: non si sa più quale sia il senso delle cose, perché è più importante una cosa invece di un'altra, quali obiettivi meritino certi sacrifici.

Invece il ritmo frenetico della vita sembra costringere tutti a bruciare le tappe, a fare per fare o fare per avere, per possedere, riducendo così, e quasi annullando, le pur necessarie pause del pensiero e della riflessione...

Matteo M. Non si hanno quasi più queste pause, o forse si scelgono le pause che fanno più comodo: la partita in TV vale più della conversazione con un amico. Il fare è spesso un fare senza senso: l'uomo sta smettendo di essere homo sapiens e sta diventando sempre più homo faber, ma nel senso dell'impoverimento di sé. Almeno, secondo me è così...

Luca P. A me sembra che un certo conformismo ci sia anche nelle religioni e nelle chiese. Per quel poco che ne so, mi ha sempre affascinato la teologia della liberazione.

Cristian P. In sud America la teologia della liberazione ha coinvolto molte comunità di base della chiesa, perché per loro la dottrina dei libri...

Carlo B. ...che sono libri europei, cioè espressione della cultura e della spiritualità di un continente ricco...

Cristian P. Sì, per i latino-americani la dottrina astratta è meno importante della vita concreta di sfruttamento delle masse contadine...

Roberto B. Sono masse che per secoli sono state tenute a bada, buone e rassegnate, obbligate ad accontentarsi, non solo dal governo autoritario, militare o fascista, ma anche da preti e vescovi. 

Luca P. Finalmente il cristianesimo è stato sentito come liberazione dallo sfruttamento, anche dalle ingiustizie sociali.

Andrea C. Ma i cardinali di Roma e anche il papa hanno condannato quella teologia, ritenendola quasi marxista.

Luca P. Ma il cristianesimo o è liberazione totale o non è nulla. Come fa ad essere veramente libera una società dove c'è, metti, libertà di pensiero, di stampa e di culto, ma dove ha diritto di cittadinanza anche lo sfruttamento del lavoro e dei lavoratori, dove pochi latifondisti dominano su tutto e su tutti, sul governo e sui giornali, e dove operai e contadini non hanno alcuna protezione sindacale?

Andrea P. Ma perché il papa e i cardinali hanno condannato la teologia della liberazione che ha visto la chiesa sud-americana schierarsi con i poveri veramente? Forse loro, da Roma, non le hanno viste quelle situazioni di ingiustizia sociale? Chissà se Gesù Cristo, tornando nel mondo e andando in Argentina o in Brasile, in Perù o in Cile, se ne sarebbe stato zitto o non sarebbe piuttosto diventato anche lui un teologo della liberazione...

Carlo B. Il vangelo predica la vera libertà. Forse qualcuno, anche se ha addosso la sottana rossa vescovile, non ha dentro il cuore questa sensibilità, questa capacità di rabbia e di rivolta verso l'ingiustizia. È troppo facile guardare alla dottrina prima che all'uomo. Secondo me Gesù Cristo e San Francesco sarebbero stati ottimi teologi della liberazione, e chissà se, allora, il papa e i cardinali si sarebbero rifiutati...

Matteo M. All'inizio tutti temevano, la contaminazione del comunismo, pensavano che lottare contro l'ingiustizia volesse dire essere complici dei terroristi, anche se è vero che lì, in centro e sud America c'erano due terrorismi: non solo quello antigovernativo, il terrorismo di sinistra, ma anche quello che a San Salvador ha assassinato monsignor Romero. Cioè il terrorismo di stato, quello che in Argentina ha fatto sparire migliaia e migliaia di persone. C'erano anche molti sardi, ho letto.

Cristian P. Ma ora il comunismo non c'è più, è caduto in Europa, nell'Unione Sovietica, anche a Cuba le cose stanno cambiando... Però la condanna della teologia della liberazione c'è sempre. 

Carlo B. Comunque è difficile giudicare. Non possiamo dire, in assoluto, che chi non condivide la teologia della liberazione sia insensibile alla questione sociale, al dramma umano dei poveri. Non sarebbe giusto. Però, chissà, forse qualcuno non ha mai vissuto in mezzo ai poveri, nelle loro favelas, non ha preso i colpi dei miliziani della morte, insomma non ha condiviso in prima persona la condizione di quegli emarginati. Monsignor Romero, come anche abbiamo visto in un film, era stato "convertito" dai poveri, l'aveva detto lui stesso...

Cristian P. È una vita triste quella di chi non sente, dentro di sé, l'entusiasmo per la giustizia.

Roberto B. È bello sognare una società di uguali, insomma essere un po' utopisti...

Luca P. Sono d'accordo. Piedi ben piantati per terra, ma la testa in alto, fra le nuvole delle utopie che, se davvero si vuole, possono diventare realtà.

Andrea C. Sono d'accordo anch'io.

Andrea P. Anch'io.

Matteo M. Anch'io.

Carlo B. Anch'io.

Matteo M. Anche sulla pena di morte ci sono molte reticenze da parte di diversi uomini di chiesa, e naturalmente non solo di chiesa. Prima abbiamo sentito come gli apostoli, tranne... lui, sono stati fatti fuori uno dopo l'altro dal potere: magari il potere religioso del tempo, oppure quello politico-militare.

Andrea P. Il cristianesimo dava fastidio allora; oggi magari molte cose belle e giuste danno fastidio ai cristiani "perbenisti", che hanno bisogno di scaricarsi la coscienza con le elemosine e, avendo bisogno di sicurezza, sognano una società "ordinata"...

Roberto B. Sì, ma ordinata con la polizia e, se serve, con la sedia elettrica.

Andrea C. Secondo me, la pena di morte è un omicidio di stato, punto e basta. So che molti sostengono che la società si deve difendere dai pericoli, oppure che la pena di morte può essere d'esempio per scoraggiare il ripetersi di atti di criminalità, dei delitti contro le persone, come i sequestri, gli stupri, ecc.

Matteo M. Certe legislazioni cosiddette avanzate e moderne, come quelle di certi stati americani, non tengono conto del pentimento, cioè del ravvedimento sincero che può intervenire in una persona riconosciuta colpevole da un tribunale e perciò detenuta e candidata alla morte.

Cristian P. È vero, spesso la sedia elettrica e simili sistemi di morte sono messi in funzione dopo molti anni che uno si è macchiato di un crimine. E molte volte, nel frattempo, quella persona è cambiata realmente, è diventata proprio un'altra persona.

Andrea P. Questo succede anche per noi tossici, e un tempo forse succedeva anche più frequentemente. Ti facevano il processo magari cinque o sei anni dopo che avevi commesso un reato e magari ti eri fatto la comunità, ma fatta bene, dico, ed eri ormai un'altra persona.

Carlo B. Questo purtroppo è successo anche a ragazzi delle nostre comunità di Mondo X, e so che Salva si è sempre molto impegnato con giudici e servizio sociale per evitare questa beffa del carcere a cinque o sei anni dopo il reato commesso e, soprattutto, dopo che uno aveva fatto il programma.

Luca P. Ora credo che un po' abbiano aggiustato la legislazione assurda di un tempo, con l'affidamento alle comunità, o ai Sert, o magari a un'azienda che ha dato il lavoro. Poi ci sono le pene alternative come le limitazioni al movimento fuori città o provincia, o negli orari di ritorno a casa, o riguardo alla frequentazione di persone "strane", cioè ancora del giro...

Andrea C. Resta il fatto che se è giusto che chi ha sbagliato paghi il suo conto, non è giusto però che giustizia sia fatta dopo molti anni, quando intanto c'è stata una profonda autocritica del, chiamiamolo così, "delinquente".

Cristian P. Insomma, la vendetta di stato non c'entra niente con la giustizia. E questo vale per la sedia elettrica destinata agli assassini realmente pentiti, come per il carcere a "scoppio ritardato" destinato ai tossici che si sono rimessi a posto con la comunità o, comunque, con un programma di recupero serio.

Matteo M. Se certi parlamentari che approvano le leggi o certi ministri o certi giudici che le applicano si mettessero nei panni concreti, umani, di chi vive queste situazioni assurde, forse sarebbe diverso da come è.

Roberto B. È la stessa cosa che Carlo ha detto prima per la teologia della liberazione. Bisogna vivere certe situazioni per capirle fino in fondo.

Luca P. Nel vangelo c'è questa frase, press'a poco: non fare agli altri quello che vorresti non fosse fatto a te, e soprattutto fa agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te. E io credo che questo basti e avanzi.

Andrea. Ecco, ho veramente piacere di questa discussione sorta, spontanea, fra voi ragazzi. Resta chiaramente dimostrata così, anche attraverso la vostra riflessione, la perenne attualità - come l'abbiamo chiamata - del messaggio evangelico, che non è una ideologia o una fede sociale, ma un modo di intendere la vita. Soltanto questo: comprendere e coltivare l'alto senso della vita. Se essa fosse un'ideologia chiusa, infatti, non si darebbe modo ai seguaci di Cristo di farsi "lievito" nella pasta dell'umanità...

Le generazioni che da duemila anni si sono susseguite nel mondo hanno offerto in continuazione occasioni di confronto con la Parola "senza inizio e senza fine", ma alfa ed omega della realtà cosmica, donata dal cielo agli umani.

Illuminata dalla Parola, l'esperienza umana, a sua volta, ha rielaborato il contenuto del messaggio, filtrandolo con la cultura e la sensibilità del suo tempo. Direi che l'umanità ha arricchito Dio stesso con la sua produzione filosofica o artistica, con la sua virtù e, talvolta, la sua innocenza...

Però, ripeto, è la Parola ad illuminare la storia. E la storia, che pure è percorsa dalla Provvidenza, è una elaborazione umana, una produzione laica, del pensiero e della fatica nostra...

Filippo. Siamo sempre impegnati a valorizzare energie e possibilità, i nostri talenti...

Giacomo "il minore". La vita è essenzialmente responsabilità. Non possiamo e non dobbiamo essere "miracolisti", non dobbiamo mai rimandare ad altri - il cielo compreso - il compito di risolvere i nostri problemi. A me pare importante sostenere questo, proprio perché ho conosciuto e frequentato Gesù che molte, moltissime volte ha "forzato la natura", riaffermando la signoria del cielo attraverso i miracoli...



Luca P. Ne ho fatto la lista, l'ho detto prima. Posso elencarli? È anche questo un modo, mi pare, per riflettere sulla condizione dell'uomo, sui suoi limiti e le sue necessità... Eccoli qui:

- Gesù converte l'acqua in vino, alle nozze di Cana cui partecipa con sua madre;

- Gesù guarisce il figlio di un funzionario del re a Cana di Galilea; 

- Gesù permette la pesca miracolosa nel lago di Genezaret (o di Tiberiade o mar di Galilea);

- Gesù guarisce un indemoniato nella sinagoga di Cafarnao; 

- Gesù guarisce la suocera di Simon Pietro a Cafarnao;

- Gesù guarisce diversi infermi a Cafarnao;

- Gesù guarisce un lebbroso in Galilea;

- Gesù guarisce un paralitico a Cafarnao;

- Gesù guarisce un paralitico nella piscina di Betzaetà a Gerusalemme;

- Gesù guarisce la mano inaridita di un uomo a Cafarnao; 

- Gesù guarisce il servo del centurione a Cafarnao;

- Gesù risuscita il figlio di una vedova a Naim;

- Gesù guarisce un altro indemoniato a Cafarnao;

- Gesù calma una tempesta mentre è in barca con i suoi apostoli; 

- Gesù guarisce due indemoniati a Gadara, vicino al lago di Genezaret;

- Gesù guarisce una emorroica e risuscita la figlia di Giairo; 

- Gesù guarisce due ciechi a Cafarnao;

- Gesù guarisce un muto indemoniato a Cafarnao;

- Gesù moltiplica i pani e i pesci, per cinquemila persone; 

- Gesù cammina sulle onde del lago di Genezaret;

- Gesù guarisce la figlia della Cananea a Tiro, in Fenicia; 

- Gesù guarisce un sordomuto della Decapoli (dieci città); 

- Gesù guarisce diversi infermi in Galilea;

- Gesù moltiplica una seconda volta i pani e i pesci, per quattromila persone;

- Gesù guarisce un cieco a Betsaida;

- Gesù si trasfigura sul monte Tabor;

- Gesù guarisce un epilettico;

- Gesù fa trovare una moneta nella bocca di un pesce a Cafarnao; 

- Gesù guarisce un cieco-nato a Gerusalemme;

- Gesù guarisce una donna inferma da diciotto anni a Gerusalemme;

- Gesù guarisce un idropico a Gerusalemme;

- Gesù guarisce dieci lebbrosi al confine fra Samaria e Giudea; 

- Gesù risuscita Lazzaro a Betania;

- Gesù guarisce dei ciechi a Gerico;

- Gesù fa seccare un albero di fico nel monte degli Ulivi;

- Gesù guarisce l'orecchio di Malco al Getsemani;

- Gesù risorge;

- Gesù permette la pesca miracolosa a Betsaida, sul lago di Genezaret;

e molti altri prodigi «che non sono stati scritti», annota l'evangelista Giovanni.

Baingio. Sentite don Milani:

«Gesù non ha dato il suo insegnamento tutto d'un colpo. Ha giorno per giorno studiato i suoi ascoltatori e dosato le sue parole sulla loro capacità progressiva di riceverlo. Questa lotta quotidiana contro l'indifferenza, il dubbio, l'incomprensione, la durezza di cuore e di testa dei suoi ascoltatori è il filo conduttore della sua vita.

«Al principio Gesù non giudicò di poter predicare diversamente dal Battista (Penitenza). Dopo salì uno scalino (ma sempre nel campo della preparazione dei cuori a ricevere i grandi insegnamenti): Discorso della Montagna.

«Durante questo tempo ha nominato il Regno. Dovette presto constatare che era stato frainteso. La parola aveva troppo infiammato le speranze temporali dei giovani. Allora Gesù dovette diminuire il loro entusiasmo precisando che cosa il Regno era nella sua intenzione (Giornata delle parabole del Regno).

«Ma, ciò nonostante, l'entusiasmo delle folle sempre più numerose crebbe ancora. È sul punto di concretizzarsi nell'elezione di Gesù Re. Allora Gesù fu forzato a dare il primo colpo dogmatico (Discorso del Pane di Vita). Sapeva bene di perdere così le masse, ma il suo dovere era di insegnare. L'entusiasmo delle folle che era arrivato al culmine si spezza di colpo. L'apostolato in Galilea è finito.

«Possiamo misurare il dolore del Signore sui visi indecisi dei dodici restati. Non gli resta che un anno di vita. Decide di concentrare tutti i suoi sforzi sulla formazione dei dodici che dovranno dopo la sua morte riprendere l'opera interrotta (Viaggi all'estero). Anche con loro la pedagogia dì Gesù è pazientemente progressiva. Un colpo alla botte, un colpo al cerchio! Li ubriaca d'entusiasmo descrivendo loro la potenza della Chiesa e immediatamente dopo li immerge nella delusione dolorosa della profezia della Passione. 

«Sei giorni dopo lo stesso gioco: dalla gloria della sua divinità (Trasfigurazione) alla mortificazione della croce ("e si domandavano gli uni e gli altri quello che voleva dire..."; "non capivano questi discorsi e temevano d'interrogarlo"; "e furono molto rattristati"). Era duro, ma facendo così li conduceva per mano all'intuizione del mistero dell'incarnazione».

Annibale. Sarebbe bello proseguire per approfondire ... Comunque sappiamo come è andata, e come è finita.

Oggi, domenica delle Palme, facciamo memoria di quella giornata festosa a Gerusalemme, con i tanti che sventolavano i loro ramoscelli, in segno di saluto verso Gesù che, da Betania, arrivava a Gerusalemme, cinque giorni prima della sua morte.

Dopo gli entusiasmi verranno, dagli stessi, le prese di distanza, fino all'avversione più isterica e gridata, con la richiesta a Ponzio Pilato di liberare Barabba e quel "Crucifige, crucifige!".

Vi leggerò qualche passo che, su quel giorno di festa e su quelli che immediatamente seguono volgendo al giovedì santo, la scritto un autore importante dell'8OO, il francese Ernest Renan: un grande storico e studioso delle fonti originali, per il suo metodo critico di interpretazione fu molto avversato dalla Chiesa, ma il suo lavoro resta comunque, io credo, un servizio alla causa di Gesù. Ecco qui: 

«Il giorno dopo Gesù discese da Betania a Gerusalemme. Quando, al voltar della via, sulla cima del monte degli Olivi, vide la città distendersi sotto di lui, pianse sopra di essa. Ai piedi della montagna, ad alcuni passi dalla porta, entrando nella zona vicina al muro orientale della città, chiamata "Bethphage" senza dubbio a cagione dei fichi che vi erano piantati, i galilei gli portarono un'asina, seguita secondo l'uso dal suo asinello; i galilei stesero le loro più belle vesti come gualdrappa sul dorso di quella povera cavalcatura, e vi fecero sedere Gesù, mentre altri spiegavano le loro vesti sulla strada e la cospargevano di rami verdi. La moltitudine che lo precedeva e lo seguiva, portando palme, gridava: "Osanna al figlio di David! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!". Alcuni gli davano pure il titolo di re d'Israele. "Rabbi, falli tacere", gli dissero i farisei. - "Se essi tacciono, grideranno le pietre!", rispose Gesti, ed entrò in città. I gerosolomiti, che appena lo conoscevano, domandavano chi fosse: "È Gesù, il profeta di Nazareth in Galilea", si rispondeva loro. Gerusalemme era una città di circa 50.000 anime. Un piccolo avvenimento, come l'ingresso di un forestiero un poco celebre, o l'arrivo di una truppa di provinciali, o un moto di popolo alle porte della città, in circostanze ordinarie si sarebbe sparso senz'altro rapidamente; ma in tempi di feste era grande la confusione. Gesù, al solito, andò a passar la notte al suo caro villaggio di Betania: anche i tre giorni seguenti (lunedì, martedì, mercoledì) scese a Gerusalemme, e dopo il tramonto del sole risalì a Betania o alle ville del fianco occidentale del monte degli Olivi, ove egli aveva molti amici. 

«Sembra che in questi ultimi giorni una grande tristezza avesse invaso l'anima di solito così lieta e serena di Gesù: tutti i racconti si accordano nel dire che prima del suo arresto ebbe un momento di esitazione e di turbamento, quasi una agonia anticipata. Si dice esclamasse a un tratto: "La mia anima è turbata. Padre, salvami da quest'ora". E si credette che in quel momento si facesse udire una voce dal cielo. Altri dicono che un angelo venne a consolarlo. Secondo una versione molto diffusa, questo fatto sarebbe avvenuto nell'orto di Gethsemani. Gesù si allontanò un poco dai suoi discepoli addormentati, prendendo con sé solo Cefa e i due figli di Zebedeo. Allora pregò con la faccia a terra: la sua anima fu triste sino alla morte, oppressa da terribile angoscia; alla fine vinse la rassegnazione alla volontà divina. Si può dire soltanto che negli ultimi giorni Gesù avvertì tutto l'enorme peso della missione che aveva accettato; la natura umana si risvegliò in lui per un momento. Forse gli occorse qualche dubbio sulla sua opera, il terrore, l'esitazione s'impadronirono di lui, uno smarrimento peggiore della morte. Forse fu assalito in quel momento da quelle dolci memorie che serbano anche le anime più forti. Si ricordò forse le chiare fontane di Galilea, in cui avrebbe potuto rinfrescarsi; la vigna e il fico sotto i quali avrebbe potuto sedersi; le fanciulle che avrebbero forse consentito ad amarlo? Maledisse egli forse il suo aspro destino che gli aveva interdetto le gioie concesse a tutti gli altri? Si lamentò forse della sua troppo nobile natura; e, vittima della propria grandezza, pianse di non essere rimasto un semplice artigiano di Nazareth?... Nessuno lo sa; perché tutti questi turbamenti interni evidentemente non furono svelati ai discepoli. 

«Certo la sua natura divina riprese presto il sopravvento: egli poteva ancora evitare la morte, e non lo volle. L'amore dell'opera sua vinse. Egli accettò di bere il calice sino alla feccia; e infatti dal quel momento Gesù si trova tutto intero e senza nube. Le sottigliezze del polemista, la credulità del taumaturgo e dell'esorcizzatore sono dimenticate, e non resta che l'eroe incomparabile della Passione, il fondatore dei diritti della coscienza libera, il modello perfetto su cui mediteranno le anime afflitte per fortificarsi e consolarsi».

Baingio. Sentite Quoist:

«Signore, è troppo tardi per tacere, hai parlato troppo; è troppo tardi per lasciarTi fare, Ti sei battuto troppo.

«Non eri neppure ragionevole, esageravi, Ti doveva capitare. Hai trattato la gente per bene da razza di vipere.

«Hai detto loro che il loro cuore era simile a sepolcri imbiancati pieni d'ogni marciume sotto belle apparenze.

«Hai abbracciato i lebbrosi putridi.

«Hai parlato sfrontatamente con volgari stranieri.

«Hai mangiato con peccatori notori, hai detto che avrebbero preceduto gli altri nel regno dei cieli.

«Ti sei compiaciuto con i poveri, i pidocchiosi, gli storpi. 

«Non sei stato un uomo osservante dei regolamenti religiosi.

«Hai voluto interpretare la Legge e ridurla ad un solo piccolo comandamento: amare.

«Adesso si vendicano.

«Hanno fatto dei passi contro di Te presso le autorità, e vengono presi provvedimenti.

«Signore, io so che se cercherò di vivere un po' come Te sarò condannato. Ho paura».

Andrea P. I segni e le testimonianze storiche sulla vicenda di Cristo sono tanti e sempre più spesso argomento di discussione. Come la "sacra sindone", per esempio. Non capisco però dove si voglia arrivare...

Andrea. Vedi, caro amico, anche ai "nostri tempi" i misteri non mancavano. Il dubbio, la paura, l'incertezza erano i nostri compagni di viaggio. Tutto sembrava sparire, però, quando Gesù era con noi e, con la massima semplicità, ci parlava dei misteri che lui sapeva. Forse oggi manca la semplicità...

In quanto alla Sindone: che importanza ha se sia o no autentica? Non basta forse la parola del Signore, autentica come l'aria che respiriamo? Perché l'uomo deve sempre dimostrare qualcosa a un altro uomo?! Siamo così piccoli!

Giuda Iscariota. Mi viene spontaneo pensare ad altre sindoni, cioè ad altri volti non meno reali, non meno storici...

So che al recente concerto di Paolo Manconi, al teatro Alfieri di questa vostra città, il padre Morittu ha parlato di ben 74 ragazzi che sono stati nelle vostre comunità e che ora non sono più a godersi il vostro affetto.

Io posso assicurarvi che essi godono ben più del vostro affetto, perché sono riparati nel grembo di Domineddio, che dà tenerezze e consolazioni quante neppure ne immaginate. Però capisco che, sul piano strettamente umano, la lacerazione c'è stata.

Sono rimaste le sindoni della loro memoria nel cuore e nella mente di tutti, ed è bene onorarle queste sindoni, soprattutto con l'imitazione del buon esempio e delle buone qualità.

E sapete che vi dico, infine? Che, per quanti limiti possano esserci nel carattere, ciascuna persona ha una sua grandezza. E che scoprire e valorizzare questa grandezza del nostro prossimo, soprattutto dei nostri amici e compagni di vita, è compito nostro. Se non scopriamo, negli altri, motivi degni di considerazione e di imitazione, è colpa nostra, e dobbiamo rimediare imparando ad essere più profondi.

Andrea. Credo che questo nostro incontro possa concludersi qui. Abbiamo messo salde fondamenta, mi pare, per un rapporto che potrà continuare, se lo volete.

Abbiamo scambiato le nostre esperienze, ripassato alcune delle vicende evangeliche, ci siamo accorti della perenne attualità del Cristo nella storia del mondo e nella vita più intima delle persone. Io credo di potere, insieme con voi tutti, ripetere con Gibran la preghiera dei secoli che raccontano questa perenne attualità:

«Maestro, Maestro dei cantici,

«Maestro di parole mai dette,

«Maestro di poesia,

«Maestro di parole pronunciate, Maestro di parole cantate, Maestro delle ore solitarie,

«Maestro d'amore,

«Maestro dei nostri desideri muti,

«Maestro di luce,

«Maestro, Cuore celeste, Cavaliere del sogno più bello,

«tu ancora percorri questo giorno;

né archi né lance fermeranno i tuoi passi.

«Tu passi attraverso le nostre frecce,

«sorridi volgendo lo sguardo su di noi,

«e tu, il più giovane di tutti,

«sei padre a tutti noi.

«Poeta, Poeta dei cantici, Cuore grande,

«possa il nostro Dio benedire il tuo nome,

«e il grembo che ti ha custodito, e il seno che ti ha allattato. E possa Dio concedere il perdono a ognuno di noi».

Grazie davvero dell'ospitalità. Ad un'altra volta. Arrivederci.



Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

letto 2908 volte • piace a 0 persone0 commenti

Devi accedere per poter commentare.