Quando l'inclusione diventa censura: il Monk di Roma chiude le porte al dibattito sull’antisessismo
Quando si è dalla giusta parte non bisogna aver paura

Quando con le proprie idee si ha la certezza di essere dalla parte giusta, non si dovrebbe mai avere paura di esprimerle pubblicamente. È un principio semplice, ma oggi sempre più raro. È il principio su cui ho fondato Giornalia.com, una piattaforma aperta a tutti, dove il confronto è possibile anche – anzi, soprattutto – tra voci che dissentono. È il principio che dovrebbe guidare ogni spazio culturale libero. Ma evidentemente non è più così.
Da tempo avverto la crescente incapacità, in Italia, di affrontare i temi della parità di genere e dell’antisessismo senza cadere in un dogmatismo tossico. Sento anche, e da diversi anni, l’esigenza sempre più pressante, di parlare e occuparmi dei problemi maschili, che oramai sono sotto gli occhi di tutti: dati, statistiche, fatti concreti lo evidenziano. Eppure, chi prova a parlarne viene immediatamente silenziato. C’è una potente compagine culturale che controlla mass media, case editrici, spazi pubblici infiltrata dall’ideologia femminista, che decide cosa può essere detto e cosa deve essere censurato. Chi osa accendere i riflettori sul disagio maschile viene bollato immediatamente come reazionario o fascista, poi cancellato.
Ma quando pensavamo che almeno alcuni luoghi si dichiarassero realmente inclusivi, abbiamo dovuto ricrederci.
Il Monk di Roma, storico locale noto per i suoi eventi di satira e per le battaglie in nome dell’inclusione, ha cancellato l’evento Dis-Pari a soli quattro giorni dalla data prevista. L’evento, coordinato da Yasmina Pani, Leonardo Laviola e Immanuel Casto, avrebbe dato finalmente voce a un dibattito libero sull’antisessismo e sui problemi maschili. Eppure, proprio il Monk – che si definisce spazio “accogliente, sicuro e antisessista” – ha scelto di ritirare la propria disponibilità, dopo aver ricevuto segnalazioni, proteste e pressioni da parte di gruppi femministi che contestavano i relatori.
In una nota pubblica, il Monk si è scusato con la propria comunità per aver “aderito inizialmente all’iniziativa senza approfondire adeguatamente i profili degli organizzatori e degli ospiti”, dichiarando di voler continuare a lavorare “per rendere il Monk uno spazio sicuro, gentile e non violento”. Praticamente hanno ammesso di aver ceduto alle pressioni ideologiche.
Una resa senza dignità, di chi predica l’inclusione ma la pratica solo per chi ha le stesse opinioni.
Una resa al femminismo, ideologia evidentemente estremista e totalitaria che oggi decide chi ha diritto di parola e chi no.
L’ipocrisia di certi spazi cosiddetti “aperti” è diventata insostenibile. Il Monk, che dovrebbe accogliere il dibattito, preferisce chiudere le porte a chi osa parlare di problematiche maschili. Un luogo, che si dice antisessista, censura un evento sull’antisessismo!
Il Monk, che rivendica di essere dalla parte dei marginalizzati, marginalizza proprio chi cerca ascolto, e chi oggi si sente, ed è, ai margini del dibattito pubblico e della società.
Non è neanche la prima volta. Yasmina Pani, infatti, era già stata censurata dalla Fondazione Feltrinelli pochi mesi fa. Segno che il problema non è episodico, ma sistemico: da una parte il fondamentalismo di certo femminismo ideologico che ha perso il senso stesso di pluralismo, dall’altra la viltà di chi si piega al conformismo culturale.
E così l’inclusione diventa selettiva. La sicurezza degli spazi diventa uno schermo dietro cui operare esclusioni arbitrarie. La democrazia si piega all’oclocrazia dei social: il governo delle pressioni, dei capricci delle masse, dei like e delle indignazioni estemporanee. È la degenerazione di una cultura che ha sostituito la lettura e il pensiero critico con quattro post su seguitissime pagine Instagram a stampo femminista.
Il parterre dell’evento – Yasmina Pani, Leonardo Laviola, Immanuel Casto, Fabio Nestola, Giancarlo Dimaggio, Tiziana Lombardi, Giorgia Antonelli e Filippo Giardina – è stato bollato come scomodo, troppo pericoloso per essere ospitato. Troppo dissonante per le orecchie delicate di chi pretende di decidere cosa sia il bene e cosa sia il male.
Ma la verità è che a fare paura non sono le persone: sono le idee.
Fa paura chi propone un discorso libero, fuori dalle gabbie del pensiero standardizzato. Fa paura chi osa criticare il femminismo contemporaneo, che sembra aver perso di vista le basi del pensiero pluralista e democratico. Un femminismo che si è ridotto a discutere sul linguaggio inclusivo, sulla violenza dello sguardo degli uomini diretto ad una scollatura, sull’aprioristica inferiorità del “maschio” (colpevole di tutti i mali del mondo), e che dimentica ciò che davvero conta: la libertà di pensiero, la libertà di parola, la libertà di essere ascoltati.
Non è un caso se oggi chi davvero viene marginalizzato sono proprio coloro che portano una voce diversa. E la cancellazione dell’evento Dis-Pari è solo l’ennesima prova di questa deriva: una censura ideologica, spacciata per progresso.
Il Monk ha scelto da che parte stare: dalla parte di chi urla più forte, dalla parte dei custodi del pensiero unico.
Noi, invece, scegliamo di stare dalla parte della libertà, e di non aver paura, perché chi è dalla parte giusta non ha paura, e alla fine vincerà. Noi sappiamo che, prima o poi, vinceremo e con noi vinceranno la parità, la giustizia e la pace.
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